mondo granata

La fine del viaggio

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

I lettori di Toro News hanno una particolare fortuna: tutte le settimane, ogni venerdì, sanno che potranno godere di un nuovo racconto delle Istantanee di Mauro Saglietti. Per molti è un momento da gustare con calma, per cui, ci dicono, la stampano in ufficio per leggersela a casa; per altri, significa rubare un po' di tempo al lavoro... Tempo ben speso.

E' un onore per la nostra testata raccogliere la mai sopita ispirazione di Mauro. Uno dei suoi racconti gli è valso il premio "Sergio Rossi" 2007, Concorso di Letteratura Granata. E ora, siamo a 100: venerdì leggeremo la centesima Istantanea. Per avvicinarci a quest'occasione, nei tre giorni precedenti riproponiamo uno dei 99 pezzi fin qui pubblicati, scelti dall'autore. Cui auguriamo altri 100 (e anche più) di questi racconti, e che possiamo continuare a lungo a godere delle sue parole granata.

 

Voglio raccontarvi una storia di tanto tempo fa.So che non mi crederete, ho preferito a lungo credere che si fosse trattato di un sogno, o di un’invenzione infantile, generata dai mille universi fantastici nei quali ambientavo i miei giochi di bimbo.Questo almeno fino a pochi giorni or sono.Ero quasi riuscito a scordarmi completamente di quella storia, poi ho trovato qualcosa di cui ignoravo l’esistenza e tutto è cambiato.Quasi vorrei che questa fotografia che stringo tra le mani improvvisamente svanisse e tornasse da dove è venuta. Invece no, gli angoli sono prevedibilmente sgualciti, i colori si sono ingialliti come quasi tutte le foto scattate negli anni ’70, ma il soggetto della foto è sempre lì.Dove non dovrebbe essere mai stato e soprattutto quando non dovrebbe essere mai stato.

Il tempo ha cancellato molte cose ma non i colori, gli odori ed i suoni del pomeriggio in cui tutto cominciò. Quando vado con la mente a quel giorno, mi sembra quasi di sentire il rullo dei tamburi ed il vociare della gente, mentre salivo le gradinate dello Stadio Comunale…

- Fai attenzione a dove metti i piedi, che qui ti schiacciano e tienimi per mano!Che meraviglia entrare allo stadio la prima volta. Quanta gente! Chi aveva mai visto quelle scalinate e tutte quelle bandiere insieme? Ed il campo verde? No… quella non era una partita in bianco e nero alla televisione. Era un qualcosa di più grande e coinvolgente! Era lo stadio!La mia prima partita... avevo insistito così tanto perché mio nonno mi portasse.Insisti oggi e insisti domani, il 2 maggio del 1976 avevo calcato per la prima volta le gradinate del Comunale, accompagnato dal nonno e dal suo inseparabile amico Carlin:Torino-Cagliari 5-1, Pecci, Graziani, Zaccarelli e Pulici due volte.Il Toro stava per vincere lo scudetto 27 anni dopo Superga.Chi può dimenticare quei giorni?

Carlin e mio nonno erano qualcosa di più che semplici amici. Nel 1976 avevano entrambi compiuto 65 anni.Li vedevo sempre insieme, parlare su una panchina, giocare a bocce, o parlare del Toro.Si erano conosciuti in un campo di prigionia inglese, dopo essere stati catturati in Nord Africa, in una guerra che per altri aveva avuto sorte peggiore. Erano stati entrambi piloti e ogni tanto mi portavano a visitare il campo dell’aviazione di Corso Marche, per “vedere gli aeroplani”.Mio nonno però non avrebbe voluto fare il soldato, gli sarebbe piaciuto scrivere. Era una miniera di sogni, fantasia fervida, storie che mi perdevo ad ascoltare per ore.- I sogni sono importanti - mi diceva sempre - Fai lavorare anche la fantasia oltre all’intelligenza.Io ascoltavo e non capivo, ma mi perdevo nei racconti che inventava.O in quelli sul Grande Torino.Quante volte mi raccontava quella storia, la storia del volo che non era mai arrivato!Non mi sarei mai stufato di ascoltarla.Mio nonno diceva che quei ragazzi dell’aeroplano erano stati i suoi amici e di aver pianto quando se ne erano andati. Rimanevano in vita nei suoi ricordi, nei suoi sogni e nella fantasia che lo faceva tornare ad un periodo di lontana gioventù.Chissà se li aveva veramente conosciuti, se aveva pianto per loro?Era mio nonno, perché dubitarne?

Due settimane dopo quel 2 maggio, il Toro si laureò Campione d’Italia ed in città esplose la festa.Questa volta il nonno non mi volle portare allo stadio per via della bolgia. Seguì la partita alla bocciofila con Carlin, tra un aneddoto e l’altro, tra un ricordo e un sogno.Ma non è di questo che voglio parlarvi.E’ della telefonata che giunse a casa nostra verso sera. Una telefonata di Carlin, che in modo agitato, voleva vedere il nonno.

- Perché hai portato il bambino? Non potevi lasciarlo a casa?Carlin ci aspettava di fronte al cancello del Campo volo, sotto il cono di luce di un lampione, l’immancabile sigaro che roteava nelle mani. Mi è rimasta impressa la sua immagine agitata, in preda ad un euforia insolita.Quella sera sembrava non volermi avere intorno. Parlava in piemontese stretto, come sempre:- Hai impiegato tre ore ad arrivare! Da dove sei passato?! Vieni a vedere cos’è capitato! Vieni a vedere! - Ma cos’hai? Sembri impazzito! - Il bambino no, è meglio di no - mi indicò facendo segno di no con l’indice, poi quasi scusandosi si rivolse a me in Italiano invece che chiamarmi bocia come al solito.- Scusa, eh, ma io e tuo nonno dobbiamo parlare di cose da grandi… però, se mi prometti di fare il bravo, dopo prendiamo un gelato dal bar anche se è chiuso! –Cos’era mai un gelato a quell’età? Era tutto, era la gioia che si materializzava nel presente, pertanto non opposi resistenza.Così Carlin mi condusse in una grande sala bianca dell’impianto piena di poltrone. Mi mise un giornalino in mano e mi disse di stare tranquillo, lui ed il nonno sarebbero tornati cinque minuti dopo. Il nonno mi rassicurò e se ne andò con Carlin.

Così rimasi solo in quello stanzone insieme al mio broncio. Anche se sapevo che il nonno non mi avrebbe mai lasciato, avevo una gran voglia di andare a curiosare. Ero arrabbiato e non capivo perché non potessi mai ascoltare le cose dei grandi, gelato o non gelato.Sentii i loro passi che si allontanavano, mentre da lontano arrivava il suono di qualche clacson festante.Ricordo bene che lo stanzone era percorso da lunghe finestre orizzontali, oltre quali non riuscivo a vedere, sia per il buio, sia perché per me erano troppo alte.Sapevo però che oltre quei vetri si trovava la pista di atterraggio del Campo volo.Ero preoccupato e curioso, volevo sapere. Posai il Topolino su di una poltrona e mi arrampicai sullo schienale, per riuscire a vedere oltre le vetrate.Premetti il viso contro il vetro per scorgere qualcosa oltre il buio, e oltre il mio stesso volto, che si rifletteva su quella superficie.Fu allora che vidi.Carlin ed il nonno erano pochi metri più in là, ai bordi della pista e mi volgevano le spalle. L’amico del nonno indicava qualcosa ancora più distante, una sagoma enorme che emergeva come un fantasma dall’oscurità della pista. Doveva aver piovuto... come era possibile che avesse piovuto se quella giornata era stata un anticipo di estate? Eppure l’asfalto era umido come se fosse appena terminato un violento temporale.Mio nonno osservava immobile quella scena, le mani appoggiate contro i fianchi. Non potevo sentirlo ma ero certo che lui non parlasse. Era un aereo, un aereo che doveva essere enorme in confronto ai piccoli velivoli che conoscevo. Doveva essere vecchio, non ne avevo mai visto uno simile. No, non era come quei grandi jet che avevo visto in televisione. Questo aveva ruote enormi, il muso che puntava l’elica verso l’alto, una scritta nera che mi parve gigante sulla fiancata ed il portellone, che permetteva l’accesso alla fusoliera, stranamente aperto. I contorni dei ricordi diventano indistinti, così come lo stava diventando l’aereo, avvolto dai vapori di umidità che si alzavano dalla pista. Chi può rammentare altro? Sono trascorsi talmente tanti anni e tutto quello che mi porto ancora dentro è la sensazione incombente di rimanere da solo.Il nonno non si sarebbe mai dimenticato di me, eppure quello di lui che osserva quell’aereo sulla pista umida è uno degli ultimi ricordi che ho della sua vita.

Cominciò a comportarsi stranamente dopo quella sera, dopo che fece ritorno nello stanzone e mi portò via.Rimase silenzioso per tutto il viaggio, quasi pensasse e ripensasse all’accaduto e neanche le bandiere della gente a piedi e sulle macchine sembrava distrarlo.- Che cosa ti ha detto Carlin, nonno? –Mi strinse la mano forte, come unica risposta, così forte che dovetti trattenere un gemito per il dolore.Le macchine scorrevano bardate di granata a mano a mano che ci riavvicinavamo al centro e quel colore così intenso sommerse il ricordo di quanto avevo visto poco prima, tanto che non feci neanche caso al fatto che non stesse affatto piovendo.Quella sera, molto probabilmente, non aveva mai piovuto.

Un tram che corre nella notte di festa, mentre un uomo e un bambino si tengono per mano. Il calore e la forza di quella stretta sono davvero le ultime cose che ho di lui.Dopo tre mesi infatti se ne andò.

Si ammalò pochi giorni più tardi in modo inaspettato e peggiorò in modo inesorabile senza avere il tempo di lottare contro il male che lo aveva sorpreso. Ricordo i silenzi in casa, le lacrime della nonna quando lui andava a dormire e lei rimaneva da sola, quella strana sensazione di protezione che mi davano le persone più care in quei giorni.Nelle rare occasioni in cui riusciva ad alzarsi cercavo di parlargli, ma tutto quello che ottenevo era uno strano sorriso. Si portava l’indice al naso, come ad indicare di fare silenzio e poi sorrideva. – Fai silenzio – mi diceva – Non c’è bisogno di parlare –Ed io restavo in silenzio a malincuore, senza riuscire a capire.

Ho pochi frammenti di ricordi del giorno dei suoi funerali, se non che non riuscivo ancora a credere al fatto che non lo avrei più rivisto. Piangevano tutti, ma io no, non ci riuscii quel giorno. Mi sembrava strano non dovessi più scorgere il suo sguardo strano degli ultimi mesi. Un amico delle bocce stringeva un fazzoletto granata tra le mani, il nonno avrebbe voluto così.Quel giorno il mio sguardo scorse sperso sui partecipanti alla cerimonia. In fondo alla chiesa, quasi in disparte, scorsi Carlin. Mi guardò e mi sorrise. Lo stesso sorriso complice che mi aveva rivolto il nonno durante i giorni in montagna.Continuammo a guardarci e a  sorridere per un po’, poi distolsi lo sguardo.Fu l’ultima volta che lo vidi.

 

Tre anni dopoFino a quel momento avevo sepolto sotto la massa di nuove nozioni dei miei undici anni, le vicende di quel 16 maggio. Mi restavano nella memoria la gioia per quella festa, che fino ad allora non si era più ripetuta, e l’immagine delle bandiere che sventolavano, mentre il nonno mi teneva per mano su quel tram.Ogni giorno vedevo mia nonna affannarsi dietro alle borse, regalandomi con serenità tutto quello che suo marito non era riuscito ad insegnarmi.La osservavo scorrere le foto, che teneva in una scatola che riponeva in fondo al suo armadio. Lei non mi vedeva, ma io la osservavo piangere in silenzio in quei primi anni nei quali era rimasta da sola.Avrei voluto dirle qualcosa, ma non avrei saputo trovare le parole adatte. Provavo dispiacere, ma le mie emozioni restavano incomplete e rovinavano nel silenzio.Amavo sempre leggere e proprio in un pomeriggio di maggio, mentre la nonna era occupata in cucina, stavo sfogliando una rivista calcistica. L’argomento era interessante, ne avevo sempre sentito parlare ma non avevo mai letto i dettagli di quella triste vicenda.Proprio mentre l’articolo entrava nel vivo e catturava la mia attenzione, voltai la pagina.La mia vita cambiò in quel momento, credo.Dapprima osservai la foto con curiosità, tale era l’interesse per la vicenda.Poi raggelai lentamente.Non poteva essere quello, non poteva essere vero.Lasciai cadere le mani e la rivista rimase aperta sulle ginocchia, rifiutandosi di cadere, sotto i miei occhi sbarrati.Lo stesso profilo, la stessa sagoma e poi la scritta nera sulla fiancata, che sembrava pulsare di inchiostro vivo.Eppure la fotografia non era stata scattata tre anni prima. Ne erano passati trenta.Era stata scattata a Lisbona, all’arrivo della squadra granata prima dell’ultima amichevole, prima dell’incontro con il destino.I-ELCE urlava la scritta sulla fiancata dell’aereo nella foto.I-ELCE gridavano i miei ricordi dell’aereo scorto dal finestrone. I-ELCE, la scritta nera.Avevo visto l’aereo del Grande Torino.

Pensai per anni a questo particolare, ma non lo rivelai a nessuno per paura di essere preso per pazzo.Ne parlai distrattamente con la nonna, le chiesi anche che fine avesse fatto Carlin, che non avevo più visto, ma lei mi guardava in modo strano, sviando il discorso...Cosa poteva sapere lei se l’aereo del Grande Torino aveva finalmente ultimato il suo viaggio, in un luogo ed in un tempo sbagliato?Mi diedi del visionario e sotterrai questo ricordo.Fino a pochi giorni fa.

Anche la nonna se ne è andata, 29 anni dopo suo marito.L’abbiamo composta con la foto del nonno, quella che teneva sempre nella scatola che non voleva che noi vedessimo.E’ stato lì che ho trovato due cose:Una lettera ed una fotografia.Sto tremando, non riesco a tenerla ferma tra le mani.

 

Anna adorata,quanto sono lunghe le ore senza di te. Quanto manca al tuo arrivo?Oggi le infermiere dicono che sto meglio e che presto sarò fuori di qui.Sono tenere e gentili con me ed in un certo senso hanno ragione.Quanto faccio fatica a reggere la penna per scriverti poche righe! E così sono arrivato al capolinea. Peccato, mi sarebbe piaciuto rimanere ancora un po’ di tempo con te, vedere crescere il “cit”, portarlo con me in montagna… Abbi cura di lui, è del Toro quindi verrà su bene e forte. E’ un bambino curioso e intelligente, chissà cosa farà nella vita? Hai visto quanto gli piace leggere? L’ultima volta che siete venuti  a trovarmi, si è sistemato su questa stessa poltrona ed ha letto tutto il suo libretto in sole due ore. Non far caso a quello che dice, ha tanta fantasia ed ogni tanto si confonde. Pensa che si è anche inventato che io ho un caro amico che si chiama Carlin. Non ridere, si è inventato di tutto. Tu digli che probabilmente è solo un sogno, perché sono convinto che prima o poi in qualche modo ti chiederà di lui.Un’ultima cosa: custodisci questa fotografia, ti prego, non farla mai vedere al cit. Un giorno forse capirai.Sono alla fine, mia amata, lo so da tempo e con te fingo per farti stare tranquilla, ma i tuoi occhi non hanno mai saputo mentire. Non nego di avere paura, vorrei soltanto che tutto fosse lieve e veloce, non come sta capitando…Quanto ci metti ad arrivare? Sono tanto stanco e ho voglia di vederti…

 

La seconda cosa è una fotografia, con i segni del flash di quella notte.Una foto a colori.Una foto a colori dell’aereo I-ELCE su quella pista così come me lo ricordavo.

So dove devo andare per trovarvi, so che è da lì che state partendo. Mi sembra una pazzia eppure so che siete lì.Mentre corro mi chiedo se sono stato alla vostra altezza, se vi ho deluso,  se ho meritato quanto mi avete insegnato.Dio, una vita insieme, mentre io non riesco ad avere la stessa opinione per più di due giorni di fila.

Sto correndo, non so perché, ma temo che possa essere troppo tardi. Mi aspetterete?Ho scioccamente pensato di poterci arrivare in macchina.. che buffo! Come sarebbe stato stonato,arrivare, posteggiare e sedersi in prima fila. No, non siamo a teatro e non ci saranno repliche.Ci ha pensato la vettura comunque a lasciarmi a piedi, inevitabilmente senza benzina.L’ho lasciata sul ciglio della strada ed ho cominciato a correre.Sta facendo buio ed i fari delle macchine mi lambiscono, sembrano volermi inghiottire.So che dovrò guardare da lontano e che tutta questa è una pazzia.Ma so che in quell’aeroporto potrei anche vedere un aereo.L’aereo dei tuoi sogni nonno, l'aereo della tua passione, l’aereo dei tuoi amici, l’aereo della tua fantasia.Con il quale sei venuto a prendere la nonna.

Potete crederci o no.E’ una storia granata.Se ne raccontano ancora tante. Potete fermarvi ad ascoltarle, con qualche amico, magari davanti ad un buon bicchiere di vino.E poi decidere se crederci o no.O magari alzare lo sguardo al cielo e immaginare che quei due puntini là in alto lontani lontani non siano soltanto stelle. Mauro Saglietti