mondo granata

La finestra sul cortile

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

Negli anni ’70 a Torino c’erano tre cose che erano in cima alla lista di desideri di ogni bambino che tifasse Toro.La prima era Pulici. Proprio lui. Averlo in carne ed ossa, da mettere vicino al comodino, per farsi raccontare nel dettaglio, tutte le sere prima di addormentarsi, la storia dei gol rifilati alla gobba. Poiché questo desiderio era irrealizzabile, si passava al secondo. Ovvero la figurina di Pulici. Era molto rara e capitava spesso che non si potesse completare la raccolta perché lo spazio nell'album restava vuoto. Non si poteva comprare e si doveva soltanto confidare nella fortuna.Infine c’era il desiderio numero tre. Era semplicemente un disco.Con Pulici in copertina, naturalmente.Era l’inno del Torino, cantato dagli stessi giocatori granata.Si trattava di un desiderio sicuramente più alla portata, ma c’era un piccolo problema.Quel disco era introvabile.Questa è la storia di quel quarantacinque giri, delle vicissitudini ad esso legate e del grande desiderio che Cesare, il piccolo protagonista della nostra storia, aveva per quel disco.

- Allora, mi porti alla partita domenica?- No!- Per favore…- Ho detto No, sei troppo piccolo!- Allora mi regali il disco con l’inno del Toro? Per il mio compleanno...- Ti ho detto che non si trova. E poi chiedilo a Papà.- Dice che non lo vuole cercare…- Appunto. Senti, adesso basta. Ti ho detto che quel disco non si trova da nessuna parte. E ora stop, andate giù! Stefania ed io dobbiamo studiare.- Ma studiate con la musica?- Non ti riguarda, sciò. Quando sarai più grande studierai anche tu con la musica. Via, ora andate!- Se mi trovi il disco, poi posso sentirlo sul tuo stereo?- Fuori!

Cesare scendeva a giocare in cortile ogni pomeriggio con la sorellina, mentre il fratello maggiore pensava a “studiare” con la sua amichetta. Adorava suo fratello e un po’ lo invidiava, perché poteva andare a vedere il Toro con gli amici allo stadio, mentre lui doveva aspettare molto dopo le 18 per vedere i gol, quando cominciava 90° minuto, con Valenti e Barendson. Gli invidiava lo stereo e tutti i dischi che possedeva, mentre lui doveva accontentarsi del vecchio mangiadischi azzurro.

Nel cortile, ogni pomeriggio si radunavano, una volta terminati i compiti, quasi tutti i bambini dei due enormi palazzi posti ad angolo, che condividevano quel selciato comune. Le ore si riempivano di grida e allegria. In quel luogo i bimbi giocavano al riparo di tutte le insidie della strada. C’erano fazioni ben precise e quasi tutti gli amichetti di Cesare erano granata, contrapposti in mille partite alla intrusa ed estranea controparte bianconera. Ed in quella primavera 1976 c’era da essere fieri del Toro, essendo la squadra granata in testa al campionato.Quando non giocavano, i bambini parlavano di mille cose, di calcio e figurine, parlavano di quello che c’era oltre il portone.Ripetevano la storia triste che i genitori raccontavano sempre.Cesare la conosceva bene, era successo molto tempo prima, quando lui non era ancora nato ed i suoi genitori erano ancora ragazzini.C’era un bambino, gli avevano raccontato, che si chiamava proprio come lui, che aveva rinvenuto un oggetto metallico nel prato lì davanti, dove adesso sorgevano le case. Aveva cominciato a picchiarci sopra con una pietra per tentare di aprirlo. Un’esplosione aveva scosso il quartiere che stava nascendo.Era una bomba, una piccolo ordigno inesploso risalente alla guerra, ma lui non poteva saperlo. Quel bambino, che si chiamava come lui, era morto sul colpo nello scoppio ed i ragazzini che erano lì attorno erano rimasti feriti.Era successo proprio lì, non si stancavano di ripetergli i genitori, oltre al portone, dove una volta c’era un prato.Forse per quel motivo erano stati così chiari e determinati:- Guai a voi se tu e tua sorella oltrepassate il portone e uscite in strada, chiaro?Oltre il cortile c’era il portone e poi il mondo esterno ed il pericolo.C’era la Casa dell’immondizia e soprattutto c’era Giacu, di cui tutti avevano paura.La casa dell’immondizia, come la chiamava Cesare, faceva parte di una vecchia cascina abbandonata, forse l’unico posto dove fossero rimasti i prati nella zona. Dicevano che lì attorno i Piemontesi avessero sconfitto i Francesi, non si sa bene quando; del resto a Cesare la Storia non interessava molto.Ma era incuriosito dalle feritoie dalle quali i soldati dovevano aver sparato. Era attratto da quella casa con i buchi neri delle soffitte che lo guardavano come occhi, ogni volta che i genitori lo portavano a fare una passeggiata.Gli amici assicuravano che ci fosse un babau che viveva lì nelle cantine, ma lui era sicuro che il babau fosse in quelle soffitte nere. Chissà se ci sarebbe mai entrato? Dicevano che ci fosse un passaggio che permetteva di entrare nel recinto della casa. Chissà cosa c’era lì, dentro l’oscurità?

Tutti avevano paura di Giacu. Ai bambini era stato detto di evitare quello strano uomo, di cui nessuno conosceva l’età.Viveva in una roulotte appoggiata a uno dei muri della casa dell’immondizia e si chiamava Giacomo, ma per tutti era Giacu. Nessuno conosceva la sua storia, era comparso da qualche anno e viveva di espedienti, quali raccogliere il ferro che trovava per strada e tentare di rivenderlo.Passava nelle vie con la sua bici ed un carrettino scricchiolante attaccato dietro. Se vedeva un bambino, lo salutava con un sorriso un po’ matto, ma tutti abbassavano lo sguardo e non gli rispondevano.I genitori erano stati chiari, non ci si doveva fidare.Giacu era spesso ubriaco, nessuno sapeva che cosa avesse da dimenticare, ma quando beveva diventava imprevedibile, come quando aveva messo le mani addosso ad un vigile che voleva farlo sloggiare dalla sua roulotte.

I pericoli tuttavia non si trovavano solo fuori del cortile.La loro oasi di gioco e divertimento veniva sempre sconvolta dall’arrivo dei Donega.I fratelli Donega, in altre parole la paura che si materializzava.Loro sì che uscivano ed entravano dal portone quando volevano.Si diceva che avessero amicizie poco raccomandabili e frequentassero spesso Giacu.Due fratelli. Secchi, dal volto scavato e cattivo, più vecchi dei bambini del cortile.Piantagrane, maneschi sbruffoni, cattivi, una perenne minaccia per tutti gli altri.C’è bisogno che vi dica per quale squadra tifassero o avete indizi sufficienti?

Tutte le sere Cesare amava trascorrere una decina di minuti seduto di fronte alla finestra della cameretta dove dormiva con la sorella, e guardare il mondo avvolto nell’oscurità. Intravedeva le finestre e sapeva che ad ogni luce corrispondeva un bambino, compagno di giochi.C’era la luce del suo amico portiere, poi c’era la finestra dei due fratellini granata, un po’ più giù là nell’angolo quella di Fabrizio, il suo compagno di scuola, mentre all’estremità dell’altra casa, quasi sospesa nel vuoto, c’era il bambino del quale non ricordava mai il nome, al quale non piaceva il calcio, che trascorreva i pomeriggi a leggere i fumetti in cortile.Spesso si addormentava così, guardando luci spegnersi ad una ad una, con la certezza che si sarebbero rivisti tutti il pomeriggio seguente in cortile.Poco più in là, a metà dell’altro palazzo c’era una finestra scura e minacciosa che lo angosciava.Era quella dei Donega.Purtroppo c’era anche quella.

I Donega odiavano il Toro e i bambini granata in particolare.Dopo che la gobba era stata prima giustiziata nel derby e poi superata in classifica, li odiavano ancora di più.Il più vecchio in particolare si vantava di giocare nei pulcini bianconeri, e di conoscere personalmente Bettega. Non che la cosa gli avrebbe fatto particolarmente onore ma Cesare sapeva che erano tutte balle.I due tuttavia insistevano, Pulici non avrebbe più segnato, mentre loro avrebbero vinto lo scudetto ancora una volta, perché loro erano i migliori, erano i campioni! Cesare li detestava per la loro arroganza. Era vero, Pulici non faceva più gol da qualche partita, ma il Toro era sempre primo in classifica, proprio davanti alla juve. Sapeva che i Donega parlavano per rabbia, anche se nessuno li contraddiceva per paura di essere picchiato.Come se non bastasse poi, i due fratelli erano entrati in possesso del famigerato inno bianconero degli anni ’70.Una cosa terribile, quello che parlava del grido che la forza ci dà, qualcosa di simile.Sapevano di dar fastidio. Lo ascoltavano continuamente a tutto volume e le odiate note, stonate nel concetto, più che nella sostanza, uscivano in continuazione dalla loro finestra.Cesare avrebbe voluto chiudere i propri vetri per non sentire, ma questo avrebbe significato non poter più tenere d’occhio il cortile e l’arrivo degli amici.Un venerdì fu scosso dai propri pensieri da una voce alle spalle, mentre teneva il mento appoggiato contro il piccolo davanzale e l’odiata canzone si diffondeva nel vicinato.- Un giorno o l’altro qualcuno riempirà di mazzate quei due. –Era la voce di suo fratello.

Il giorno seguente Cesare si svegliò di buon’ora. Era il suo compleanno, ma, cosa ancora più importante, era il giorno di Torino-Fiorentina, per la quale si preannunciava un elettrizzante pomeriggio.Sul comodino, anziché trovare Pulici, trovò un pacchettino quadrato e infiocchettato.- Auguri, fratellino! – disse la voce di suo fratello poco distante. – Che fai? Non lo apri?- Cesare lo scartò senza minimamente sospettare che all’interno ci fosse quello che aveva tanto desiderato. La foto in bianco e nero dei giocatori che si abbracciano, la scritta “Forza Toro” in granata. Era l’inno del Toro!- Grazie!!!! Come hai fatto? – chiese al fratello che sorrideva in un angolo della stanzetta.- Grazie davvero! – proseguì senza attendere risposta - Posso usare il tuo stereo per ascoltarlo? Mi insegni? Così lo faccio sentire a tutto il cortile?- No! Tu non devi toccare quello stereo!- Ma…- No e poi no. Ascoltalo nel tuo mangiadischi.Così Cesare era stato costretto, un po’ a malincuore ad ascoltare il disco tanto desiderato nel mangiadischi azzurro e quel giorno le note sembravano più belle che mai.

Con la fede nel Torino,Con amore e passione saràIl successo più vicino,Il successo si conquisterà…

Nel primo pomeriggio, dopo che il fratello era già partito in direzione stadio da un bel pezzo, Cesare domandò il permesso ai genitori di poter scendere in cortile per mostrare il disco al suo amico Fabrizio, permesso che gli fu naturalmente accordato. Non aveva però percorso neanche dieci metri nel cortile in direzione di Fabrizio, che i Donega, nascosti dietro ad una rientranza del muro, gli saltarono addosso e gli strapparono il disco dalle mani.Cesare non ebbe il tempo di lottare.- Datemelo, è mio! E’ il mio compleanno! E’ il mio regalo!- Oh poverino! – lo canzonò il più vecchio dei due fratelli – E ora come farai senza disco? Ora è nostro, sai?! Stavamo giusto andando da Giacu a fargli vedere questo… - e mostrò il quarantacinque con l’odiato inno bianconero, che i due fratelli facevano suonare ore e ore al giorno. – Bene, ora gli portiamo anche questo! – e sghignazzarono beffardi.- Datemelo, è mio! - Ti faccio una promessa, femminuccia granata – così come lo chiamavano tutte le volte che lo incrociavano – Se oggi il Toro vince, scendo giù in cortile e spezzo il disco davanti a tutti quanti. Ah ah ah! Hai capito femminuccia? Ma tanto il vostro Pulici non segna più, quello è bollito! Ah ah ah.Cesare si lanciò contro di loro vinto da una rabbia che non aveva mai conosciuto, ma tutto quello che ottenne fu solo una manata che lo fece piombare a terra.I Donega si allontanarono oltre il portone. E di lì verso la roulotte di Giacu.

Cesare corse su tentando di trattenere le lacrime, e fu solo nella cameretta che si abbandonò a un pianto disperato e silenzioso contro il cuscino, incurante della sorellina, che non lo aveva mai visto piangere.Aveva deluso suo fratello. Si era fatto rubare il regalo di compleanno e aveva lasciato che Pulici venisse insultato, senza che lui avesse potuto difenderlo.Non avrebbe più recuperato quel disco. Avrebbe dovuto attendere il ritorno di suo fratello dallo stadio e dirgli la verità.

Pulici però quel giorno sembrava lo sapesse e giocò incazzato come non mai.Il Toro vinse 4-3 e Pulici segnò tre gol, uno più bello dell’altro, ma Cesare non riuscì a gioire come voleva, umiliato dall’onta di quel furto vigliacco.Pregò che il fratello tornasse in fretta, ma quel giorno lui, neanche a farlo apposta era in ritardo. Pregò anche che i Donega non mettessero in pratica la loro promessa vigliacca, ma una voce che proveniva dal cortile un’ora dopo la fine delle partite lo fece trasalire:- Hey femminuccia! Femminuccia, affacciati! Non avrebbe voluto ma lo fece.- Femminucciaaaa… guarda cosa facciamo del tuo disco?!Tutti i bambini del cortile erano affacciati dalle loro finestre, silenziosi e impauriti spettatori di quella scena.Cesare aveva i lacrimosi che scendevano.I Donega lo videro e sorrisero in modo malvagio. Il più vecchio alzò il disco verso la sua finestra. I giocatori del Torino in copertina erano prigionieri delle rozze mani del teppista.Poi, con una mossa il Donega piegò le due estremità della copertina, fino a quando dall’interno non si udì un eloquente CRACK.Cesare pensò che le sue lacrime sarebbero scese fino in cortile. Stava per scoppiare a singhiozzare di fronte a tutti, di fronte ai suoi amici, di fronte ai Donega ghignanti, ma non riusciva a dimenticare il grido Toro-Toro! con cui si apriva la canzone, le note allegre dell’attacco… gli pareva, forse per suggestione, di sentirle ancora…

Forza Toro… Forza Toro…Torneranno i tempi d’oro…

I Donega alzarono la testa ed il ghigno sparì dai loro volti scavati.Cesare spalancò gli occhi per lo stupore. La musica fortissima c’era davvero e si stava diffondendo per tutto il cortile…

Col Torino che s’avanza…Rifiorisce la speranza…

Cesare si voltò.Dietro di lui c’era suo fratello, con uno sguardo feroce.Sul suo stereo, a tutto volume stava girando l’inno del Toro.

La vittoria che sogniamo…La vittoria arriverà.

Il fratello si diresse come un fulmine verso la finestra e si rivolse verso i Donega con un tono che Cesare non avrebbe mai creduto possibile:- Hey! Hey, voi due fessi! Guardate un po’ cosa avete rotto veramente…!I Donega lo guardavano pietrificati- Mi avete sentito, balordi? Guardate dentro la copertina! Guardate che cosa avete rotto in realtà…!I due teppisti estrassero il disco spezzato dalla copertina.I bambini delle finestre dei piani più bassi li videro chiaramente impallidire e guardarsi quasi senza parole.- Ma… è l’inno della juve… - disse il più vecchio, poco prima che dalle finestre cominciassero a levarsi tante piccole risate, sempre più forti, sempre più potenti.Che li sommersero.

Ci sono volte, rarissime volte, nelle quali l’energia cosmica si raduna in un solo punto dell’universo e libera uno tsunami di giustizia.Quel giorno si radunò in quel cortile e scatenò una fantastica coincidenza.I Donega non avevano ancora realizzato quello che era capitato nell’ultimo minuto, che la porta delle scale del loro condominio si spalancò con un tonfo secco.Ne uscì di corsa loro padre, che piantò un malrovescio da paura al più vecchio dei due fratelli.Il ragazzo andò a gambe all’aria assieme al disco bianconero spezzato, mentre il più giovane cercava di scappare.I Carabinieri erano alla porta. Un motorino era stato rubato il giorno prima e le Forze dell’ordine erano risalite ai due fratelli.Le urla del padre fecero tremare anche i vetri. A giudicare dalla veemenza con la quale il più giovane tentava inutilmente la fuga, non doveva essere la prima volta che capitava.Così, mentre la scena si chiudeva, nel cortile e nelle case rimbombarono le ultime note dell’inno del Toro, poco prima che la puntina si sollevasse dal disco.

Tutti in coro, gridiamo Forza Toro!Lo scudetto arriverà…Tutti in coro, gridiamo Forza Toro!Lo scudetto arriverà!

- Dovresti andare a ringraziare Giacu, sai? E’ merito suo se il disco è tornato a casa. A proposito, lo sapevi che era del Toro? Credo che nessuno lo sappia.Cesare era rimasto con la bocca aperta dal momento in cui il fratello era comparso alle sue spalle ed il disco aveva cominciato a suonare. Non riusciva a trovare le parole per chiedere spiegazioni. Il fratello lo guardò e sospirò.- Quando sono arrivato dalla partita Giacu mi ha fermato. Mi ha detto che i Donega erano andati da lui per mostrargli i due dischi. Gli hanno confidato che ti avevano fregato il disco e che volevano romperlo.- Lui li ha distratti e ha scambiato le copertine. Poi si è fatto lasciare il disco con la copertina della juve… l’ho già stracciata, non ti preoccupare, e me l’ha consegnata, in modo che tu potessi riavere il tuo disco. Digli “Ciao” ogni tanto, quando ti saluta e di non abbassare sempre la testa quando lo incroci con la mamma….

La sera si richiuse su quell’angolo di città. “Per ogni bambino, più verde a Torino” diceva uno slogan di quegli anni. Bè, lì in quel cortile il verde non c’era, ma loro si divertivano lo stesso. C’erano le finestre degli altri bambini ancora accese, c’era quella dei Donega, sbarrata e spenta.E c’era Pulici che aveva fatto tre gol alla Fiorentina.Sì, quella era stata proprio una giornata speciale.Quella sera si addormentò così, mentre guardava il mondo fuori, con la testa appoggiata contro la piccola mensola, mentre le altre piccole luci dei suoi amici si spegnevano una ad una.

Cesare si ripromise di andare personalmente a ringraziare Giacu, per tutto quanto avesse fatto.Ma non portò mai a termine il suo proposito.Dopo neanche un mese alcuni passanti udirono dei lamenti provenire dalla roulotte.Giacu era disteso sul pavimento, ormai negli estremi spasimi dell’agonia.Un ambulanza lo portò disperatamente all’ospedale, ma non ci fu più nulla da fare, il fegato gli era scoppiato.La gente commentò per qualche giorno la notizia con tristezza, poi tutto si richiuse nel silenzio.

Quando i Donega se ne andarono dal quartiere non furono solo i bambini del cortile a tirare un grande respiro di sollievo.Nessuno seppe più nulla di certo su di loro. Qualunque cosa sia stata non furono in molti a rimpiangerli.

I giochi dei bambini nel cortile durarono ancora un paio d’anni.Poi il padrone degli immobili decise che la sua preziosa vettura correva il rischio di essere rigata da qualche bimbo di passaggio, così fece affiggere un avviso nel quale vietava l’utilizzo del cortile per i giochi.La felicità altrui ha sempre dato fastidio.

Cesare non torna spesso a visitare i luoghi della propria infanzia, c’è un prezzo, in termini di nostalgia, troppo alto da pagare.Sarebbe fin troppo facile e scontato per lui fare un paragone tra quello che è stato e quello che era. Troppo facile davvero osservare tristemente quanto siano cambiati quei luoghi, o siano stati sommersi da costosissime catacombe in paramano, dai soffitti bassi e dalle finestre fazzoletto.Le cose cambiano, ma anche noi cambiamo. Alle volte è difficile credere che i cortili così stretti di oggi siano gli stessi del 1976, quelle autostrade sulle quali i bambini correvano e giocavano.Una volta dieci centimetri di cortile erano una fascia sulla quale involarsi per poi mettere al centro, lo scalino era la linea del fuori ed una grondaia era il montante di una porta.Ora tutto è cemento. Il tempo cambia anche la percezione delle cose.

La cascina si sta arrendendo, la casa dell’immondizia sta crollando. Ha resistito ai Francesi, ha sopportato le bombe, ma nulla ha potuto contro il tempo, l’incuria e l’interesse.Assicuravano che questo fosse monumento Nazionale.Tutto è monumento Nazionale, fino a quando non incombe qualche colossale affare edilizio o un bell’iper-mercato.

Una parte del tetto è crollata. L’interno misterioso, che una volta era avvolto dall’oscurità perenne, è ora beffardamente illuminato dai raggi del sole.Ecco dunque le soffitte, finalmente di fronte agli occhi.Non c’è nessun babau, sapete?Meglio non averne da piccoli, ragazzi. Se ne incontrano tanti più avanti nella vita, senza bisogno del buio per farli comparire.

Ora abita lontano, ma le rare volte che Cesare torna qui, non può evitare di fermarsi di fronte a quello che resta della casa dell’immondizia.E pensare alla roulotte di Giacu, quell'uomo generoso del quale nessuno si ricorda più.O al bambino che si chiamava come lui, che morì per la bomba.A quelli che erano stati i protagonisti di una vecchia storia, che nessuno conosce.Sarebbe bello, pensa, chiudere gli occhi e avere la certezza, come allora, di rivedere i propri amici l’indomani.Ma sa che i bambini non ci sono più. Non sono più nei cortili o nelle strade.Sono nascosti dietro le finestre buie, che oggi fanno paura più di quelle soffitte.Quando Cesare torna qui, si ferma e chiude gli occhi un attimo prima di andarsene.Pensa a quella vecchia e bellissima storia, che nessuno conosce e che lui è fiero di aver vissuto.

Negli anni ’70 a Torino c’erano tre cose che erano in cima alla lista di desideri di ogni bambino che tifasse Toro.La prima era Pulici, la seconda era la sua figurina.La terza era un disco introvabile Un disco che fu la colonna sonora di un tempo fantastico e di un’avventura che i bambini di allora, un po’ bimbi ancora oggi, non riescono a dimenticare

 

Alcuni cognomi di questo racconto sono fittizi, ogni caso di omonimia è pertanto puramente casuale.E’ esistito veramente un bambino di nome Cesare, che morì per lo scoppio di una bomba  inesplosa. Anche la figura di Giacu è reale. E’ a loro che è dedicato questo racconto. Mauro Saglietti