mondo granata

La lunga strada per la libertà

La lunga strada per la libertà - immagine 1
di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

Questa storia comincia con un foglio che vola lontano. E'un foglio ingiallito, scritto da una ordinata calligrafia d'altri tempi... Lo vediamo alzarsi e abbassarsi con il cielo azzurro sullo sfondo. Poi un turbine di vento improvvisamente lo fa abbassare, fino a portarlo su uno sfondo di gru e case in costruzione, le une quasi addosso alle altre. Mentre si abbassa, il pezzetto di carta dipinge delle lettere nell'aria, come se stesse per scrivere la nostra storia. Amava il suo lavoro. Gli faceva trasformare il mondo, vedeva un progetto diventare cosa finita passo dopo passo, entrava in contatto con molte persone. Ma quello no. Non doveva toccare a lui. Quando gli avevano sottoposto il progetto, non si era ricordato della zona, non aveva minimamente pensato a una coincidenza simile. Aveva lasciato quel palazzo per ultimo, sperando assurdamente di non doverlo fare mai. 'Piove da giorni ormai.disse il Capo cantiere. Se va avanti così, col tetto già scoperchiato, c'è il rischio che venga giù tutto. Speriamo finisca alla svelta. L'ultimo baraccone da spedire a miglior vita. Un paio di giorni per sgomberare e poi si può partire. Qui costruiremo l'ala ricevimenti del Centro Congressi'.

Però, Geometra, se non partiamo subito con la demolizione avremo ritardi che diventeranno costi, denaro sonante, non possiamo permetterci altro tempo ma, mi ascolta?' Il Geometra diede un’occhiata distratta al progetto che conosceva benissimo e al disegno dell’enorme Centro Congressi dai finestroni circolari e dalle lastre verdi, che sarebbe sorto sulle ceneri del civico numero 4.Guardò fuori dalla piccola finestra del gabbiotto del Capocantiere, il suo vecchio palazzo, torre solitaria e scura in un deserto di macerie.Sarebbe toccato a lui il compito del boia. Lui che l’aveva amato così tanto.  

 

Uscì sul piazzale incurante della pioggia torrenziale, con gli occhi fissi sullo scheletro del caseggiato, seguito dal Capocantiere che lo osservava un po’ scocciato.Il cellulare squillò: - Ah, sei tu… No, non mi disturbi per niente… certo che mi fa piacere… sì… no, a quell’ora è meglio di no… ci sarà troppa gente, lo sai... Senti, ti richiamo io… Ciao…Il Geometra ripiegò il telefono e tornò a posare gli occhi sui cinque piani che aveva di fronte.Si trovava in quello che un tempo era stato il cortile interno, l’irriconoscibile luogo che aveva visto i suoi giochi di ragazzo, dove si era affacciata la carrozzeria del Baffone.Negli ultimi anni l’incuria, l’abbandono e il degrado avevano avuto la meglio sul vecchio condominio di cinque piani, prima che fosse decisa la demolizione del complesso. Graffiti variopinti di difficile decifrazione occupavano l’intera facciata interna del piano terra. Un po’ ovunque restavano segni di bivacchi e di occupazioni di abusivi e vagabondi che ne avevano fatto il loro dormitorio.Tutto era diverso da quanto ricordava, i palazzi circostanti erano stati già demoliti e la casa era stata spogliata. Infissi, suppellettili, ringhiere, tetto, tutto in previsione della demolizione.Il civico numero 4, la casa della sua prima gioventù. Il suo mondo al quarto piano.Ripensò alla Torino di quel tempo mentre la pioggia gli rigava il viso.Il fumo delle ferriere, la cenere che si posava sui balconi, distante anche molti isolati.O la fiumana di persone che scendeva in bici lungo via Orvieto per andare a lavorare.Le corse speciali dei tram o le prime moto di grossa cilindrata.Il primo accenno di quello che poteva essere un lontano benessere.I 45 giri che giravano nel mangiadischi arancione fino a consumarsi.Cosa ricordava? All by myself, soprattutto. Quanto a lungo l’aveva ascoltata! Aveva consumato il piccolo vinile a forza di farlo girare nel mangiadischi.Un tempo in cui non era ancora Geometra e tutti lo chiamavano Ratìn.Il nome che gli aveva dato il Signor Barbero.- Fossi in lei non mi azzarderei a entrare, Geometra. Lì dentro non è sicuro… sta piovendo da tanto… l’acqua si sta infiltrando… Geometra…?Il Geometra varcò l’androne delle scale.Il Capocantiere lo guardò perplesso.

 

Salì le scale emozionato.Ad ogni piano gli sembrò di veder sbucare dalle porte i vecchi occupanti. Chissà che fine avevano fatto. Erano morti tutti? Si erano trasferiti.Arrivò al suo appartamento, passando dal ballatoio del quarto piano.Davvero quello era stato il luogo? Come sembrava strano e triste con solo più i mattoni a vista. Ritrovò la propria stanza. Riconobbe quella che per lui era stata la “finestra dei sogni”.Aveva trascorso tante ore della sua vita a guardare il mondo e le ragazzine passeggiare in strada, da quella finestra, che la sua fantasia aveva perso il conto dei voli pindarici che aveva fatto su di esse.E sopra c’era il soffitto dei sogni. Dove proiettava le fantasie sul mondo, prima di addormentarsi.Sfiorò i muri spogli con una mano.Non voleva essere lui il boia dei suoi ricordi…

All by myself,don’t wanna beAll by myself… anymore

 

La popolazione del civico numero quattro, all’inizio degli anni Settanta era eterogenea.Il Geometra aveva compiuto dieci anni nel 1972, e viveva col papà e con la mamma.Entrambi lavoravano, così, quando non c’erano i nonni, doveva badare a se stesso per buona parte della giornata e per tutti era “Ratìn”, topolino, piccolo topo. E qualche volta anche “Rat”, quando si comportava male.Nell’ampio cortile dove lui e gli altri ragazzini del caseggiato giocavano a pallone, si apriva la carrozzeria di Baffone, come lo chiamavano tutti i suoi amici. Un tifoso granata sfegatato all’interno della cui attività campeggiavano onnipresenti foto e gagliardetti granata, affiancati a quelle immancabili di donne nude. La sua battaglia contro i ragazzini era una guerra di posizioni. Loro giocavano a pallone in cortile e gli ammaccavano macchine in verità già ammaccate per conto loro, lui in cambio le disponeva proprio in mezzo al loro campo da calcio. E così via.C’era poi il Marghé, il lattaio, un uomo avanti con gli anni piccolo e buono, dalla testa tonda e dalla moglie cortesissima. C’era Bruno, il barbiere gobbo, che non riusciva a chiamarlo Ratìn e lo chiamava “Ratte”.E poi c’era il signor Barbero.Un uomo burbero, spesso triste e malinconico, altre volte improvvisamente euforico.Era un ex Partigiano, con un’invalidità ad una gamba procuratagli dalla scheggia di una granata in tempo di guerra, in seguito alla quale doveva accompagnarsi ad una “canna”, un bastone che ogni tanto martellava instancabile la ringhiera del ballatoio del quinto piano.Trascorreva le giornate seduto su quel balcone, dietro un paio di occhiali scuri.Spesso, se la stagione lo permetteva, in cannoniera, arrotolandosi di tanto in tanto una sigaretta.Potevano trascorrere giornate intere senza che aprisse bocca e i bambini che giocavano in cortile lo vedevano assorto in chissà quali pensieri.Allo stesso modo sapeva diventare improvvisamente di buon umore.Talvolta, durante i lunghi pomeriggi, era solito battere la sua canna sulla ringhiera per tre volte, per chiamare Ratìn, quando il ragazzo si trovava sul ballatoio sottostante.- Ratìn, ven su. Vieni su, che facciamo due parole…Era stato proprio il signor Barbero ad affibbiargli quel buffo soprannome, in una occasione nella quale Ratìn stava parlando con suo figlio.Il figlio del signor Barbero, in molti lo chiamavano “Caplun”, “cappellone” era una sorta di fratello maggiore per Ratìn. Gli passava i suoi dischi, i vecchi fumetti, gli parlava della partita e gli narrava le affascinanti storie della Curva Maratona.I Barbero abitavano l’appartamento esattamente sopra quello di Ratin, ai quali si accedeva per mezzo del ballatoio.Nel vicinato tutti sapevano che la moglie del Signor Barbero era morta da più di vent’anni, quando il figlio era ancora piccolino. Quell’uomo aveva dovuto crescere il figlio da solo e fin troppi conoscevano il motivo dei suoi lunghi silenzi.

 

Il Geometra salì un altro piano di scale.I suoi passi affondavano silenziosi nella polvere posatasi sulla pietra. Gli unici rumori erano quelli della pioggia incessante e dello sgocciolare dell’acqua che si stava infiltrando nei vecchi muri. Non era un segnale rassicurante.Sbucò sul balcone del quinto piano. Faceva un certo effetto senza ringhiera e si tenne rasente al muro, mentre guardava giù. In quello che era stato il cortile. Il Capocantiere continuava a guardarlo preoccupato sotto il suo copricapo giallo.Il Geometra si emozionò nuovamente. A quell’altezza un tempo c’era la sedia del signor Barbero… tutto sembrava diverso, la scena di cartapesta di un film.Entrò nelle stanze che erano state l’alloggio dei Barbero. Immediatamente di fronte all’ingresso, una parete di mattoni diversi stava ad indicare che qualcuno doveva aver eseguito lavori di restauro o modificato l’aspetto delle stanze. Vide il luogo dove gli era stato offerto il primo “Cichet”, il primo sorso di qualcosa di alcolico.Che giornata era stata quella!

 

Una domenica di fine marzo del 1975, Ratìn e gli altri ragazzini stavano giocando a pallone nel cortile del civico numero 4. Baffone non c’era e una della due porte era la saracinesca della sua carrozzeria, l’altra era quella disegnata sul muro che separava il cortile da quello adiacente.Non era un giorno normale. Quella domenica allo stadio si stava disputando il derby, con i bianconeri saldamente in testa al campionato. Il figlio di Barbero si era recato in Curva, come tutte le domeniche e dai balconi aperti giungeva l’eco di “Tutto il calcio minuto per minuto”, trasmissione che in quegli anni toccava anche i venti milioni di apparecchi sintonizzati ogni domenica.I ragazzini si erano divisi in granata e bianconeri, sei granata da una parte, quattro bianconeri e due interisti dall’atra.Quando i granata facevano gol, la palla andava a cozzare contro la saracinesca della carrozzeria, e tutto il condominio ne veniva a conoscenza.- Gol! – diceva il Signor Barbero, come sempre seduto sul balcone, in giornata stranamente non burbera.Dallo stadio arrivavano notizie di situazione in parità, un gol per parte, quando, ad un certo punto del pomeriggio, la voce di Barbero interruppe la partita in cortile.- Ratìn… 2-1… Pulici! Suma fort!Il gruppo di ragazzini granata proruppe in un grido, abbracciandosi.Quel giorno però non avevano fatto i conti con Bruno, il barbiere gobbo.Bruno, che viveva con la moglie e i due figli nei locali che si aprivano nel retro del negozio, era un brav’uomo, ma non aveva il senso del limite. E non riusciva ad accorgersene.Uscì nel cortile e cominciò ad inveire contro i ragazzini che urlavano, con parole dure, prima di chiudere la porta di casa con un tonfo.Tutto sarebbe stato normale, non fosse stato per il fatto che, quando ormai dovevano mancare solo pochi minuti alla fine della partita, la porta di Bruno si spalancò improvvisamente.Il Barbiere uscì con la radio in mano ed inveì in modo arrogante contro il gruppetto granata.- Capello!!! Ah ah ah! 2-2… E adesso non ridete più? Eh? Non ridi più Ratte? - Ed andò a saltare in mezzo al gruppetto gobbo, tra cui i suoi due figli.Gobbi come lui, manco a dirlo.Ratìn fu invaso da una furia cieca.Sentì gli occhi diventare umidi e la gola gonfiarsi in un groppo.Aveva già tredici anni, ma stava per scoppiare a piangere davanti a tutti, proprio lui che era il più infervorato nel tifo. Corse su per le scale con rabbia e andò a sedersi sul balcone di casa, mentre i figli gobbi del barbiere in cortile continuavano a sfotterlo.Sarebbero andati avanti a lungo, Ratìn li conosceva bene, erano testardi come il padre.Ma tre colpi secchi sulla ringhiera del ballatoio superiore, lo fecero trasalire.- Ratìn! – esplose la voce del signor Barbero – Zaccarelli! A l’ha fait gol Zaccarelli! Ha segnato Zaccarelli! Tre a dui! Tre a due! Vai, vai giù da Bruno, adesso, corri!Ratìn non se lo fece ripetere due volte. Corse giù in mezzo agli altri ragazzini festanti, proprio in tempo per vedere il barbiere Bruno che, paonazzo in volto, faceva rientrare in casa i suoi due figli e si richiudeva la porta alle spalle con un altro tonfo, ancora più forte.Ratìn scoppiò a ridere, le lacrime di poco prima diventarono risate senza freno.Bruno! – urlava il Signor Barbero dall’alto - Ven fora! Vieni fuori! A l'ha segnà Zaccarelli! Tre, Bruno! Tre a due, Tre a dui! Ven fora, göb!Ratìn non l’aveva mai visto così felice.L’uomo gli fece segno di salire e, per la prima volta lo fece entrare in casa sua per offrirgli un “cichetin”, un fondo di bicchiere di un Amaro che teneva in credenza, la vittoria andava festeggiata.- Non dirlo ai tuoi, eh? ‘Em racomandu!L’appartamento del signor Barbero e del figlio gli diede l’impressione di essere più piccolo del suo, forse per la gran quantità di oggetti appesi alle pareti, nonostante la specchiera posta di fronte all’ingresso regalasse un po’ di respiro…Il “cichet” aveva un sapore amarissimo, ma quel giorno sapeva di vittoria.La sera poi, il figlio di Barbero gli raccontò per filo e per segno cos’era successo allo stadio e in quella Curva che, fino a quel momento, aveva dipinto nei suoi pensieri soltanto con le parole dell’amico.Prima di addormentarsi, Ratìn immaginò tutta la partita sul soffitto sopra il letto e incorniciò addormentandosi quella giornata indimenticabile.

 

Furono anni sereni per lui.Quando il Toro vinse il campionato, l’anno successivo, i ballatoi del quarto e del quinto piano vennero completamente addobbati di drappi granata, mentre il Lattaio espose in vetrina la sua vecchissima bandiera. Quanto a Baffone, combinò uno scherzo a un amico che aveva una macchina in riparazione da lui. Gliela verniciò completamente di granata! Per carità, poi la riportò all’originale gratuitamente, ma Ratìn non poté mai dimenticare la faccia che fece l’amico del carrozziere e gli insulti che gli rivolse quando vide la sua Alfasud completamente granata.E Bruno? Bruno tenne il negozio chiuso tre giorni perché, a quanto sembrava, era stato colto da uno strano attacco di influenza in pieno maggio. - Bruno! Ven fora, göb! – gli urlò il signor Barbero per tre giorni di fila.

 

In quegli anni Ratìn si divertiva ad ascoltare il suo mangiadischi sul balcone, con i 45 giri che gli passava il figlio capellone del signor Barbero.- Ancora questa? – diceva immancabilmente l’uomo, seduto sul ballatoio superiore, quando sentiva Le prime note di “All by myself” – E’ due anni che va avanti ‘sta storia, Rat!Ratìn rideva. Sapeva che sotto sotto il signor Barbero aveva simpatia per lui.Una mattina del novembre 1978, poco prima dell’alba, Ratin fu però svegliato da rumori secchi, porte che sbattevano e da un gruppo di persone che correvano su per le vecchie scale in direzione dell’appartamento del signor Barbero.L’azione fu rapida e nessuno della famiglia fece in tempo ad affacciarsi sull’uscio per capire che cosa stesse capitando.Lui invece riuscì a spalancare le persiane della finestra dei sogni, in tempo per vedere la strada piena di veicoli della polizia, la cui luce fredda dei lampeggianti raggelava una delle tante mattine nebbiose.Scorse l’uomo che veniva spinto nel cellulare.Erano venuti a prendere il figlio di Barbero.

 

La verità non aveva tardato a venire fuori e i giornali ne avevano dato ampio risalto.Nessuno aveva mai sospettato nulla.Era tutto vero, ma il Geometra non voleva crederci.Non era possibile che quello che era stato il suo fratello maggiore fosse quello che vedeva nelle foto segnaletiche, che avesse preso parte a tutti quei crimini.

Da allora il Signor Barbero visse quasi sempre rintanato in casa. In molti lo evitarono, un po’ per imbarazzo, un po’ per diffidenza o per non venire coinvolti in quella storia.A Ratìn sarebbe piaciuto passare a salutarlo, ma i suoi genitori, che non avevano mai provato troppa simpatia per quell’uomo, erano stati categorici nel proibirglielo.Le notizie giungevano sottovoce dal suo amico Baffone o addirittura dal Barbiere.Si parlava di carcere duro, ci sarebbe stato un processo.Ratìn sentiva spesso i passi furtivi e traballanti di Barbero sulle scale, presto all’alba o la sera, quando rincasava tardi dal carcere, per non farsi vedere dai vicini. I mesi passarono e una sera di giugno il papà di Ratìn annunciò al figlio che presto avrebbero cambiato casa.La notizia non giunse inaspettata. Da tempo il ragazzo aveva captato i discorsi dei genitori sui disagi che quel vecchio condominio comportava. L’ingresso dal ballatoio, il dover portare a spalle la bombola del gas per piani e piani, la mancanza di un ascensore, l’affitto sproporzionato…Ratìn aveva sempre abitato in quella vecchia casa e trascorse con angoscia il mese che restava prima del trasloco, fissando nella memoria ogni singolo dettaglio della casa e delle sue persone per paura di dimenticare.Pochi giorni prima della partenza, salì di nascosto a bussare all’uscio del signor Barbero per salutarlo, ma nessuno rispose, con suo gran dispiacere.La notte precedente la partenza non riuscì a prendere sonno, tormentato dai pensieri e dalle incognite che il giorno dopo gli avrebbero riservato. Restò a guardare il soffitto sperando che la notte non passasse mai e che l’indomani tutto si rivelasse un incubo.Preso da mille pensieri si assopì senza accorgersene.Si risvegliò di soprassalto sudato e spaventato per un incubo.Due ore, mancavano ancora due ore all’alba. Due ore da vivere, da respirare. Due ore da far diventare eterne.Faceva caldo nella camera. Aprì la porta del balcone senza farsi sentire e andò a godere di un po’ di refrigerio sedendosi all’esterno. Gli sembrava assurdo sapere che non avrebbe più rivisto i profili delle case che riconosceva a memoria anche nell’oscurità.Proprio mentre osservava il vuoto però, tre piccoli colpi provenienti dal ballatoio superiore lo fecero trasalire.- Ratìn, ven su. Vieni su, che facciamo due parole…Il ragazzino sgattaiolò silenzioso al piano superiore.Non parlava col signor Barbero da prima dell’arresto del figlio e si sentì un po’ a disagio.- E così c’è un altro animale notturno oltre a me… Ciao Giovanotto. Non riesci a dormire stanotte?- No, signor Barbero, ho avuto un incubo. Credo di aver sognato un mostro…- Addirittura! E com’era questo mostro che hai sognato?- Era un mostro strano, un mostro dagli occhi grandi. Non era umano, non era neanche un animale… era una cosa enorme, verde, con le ali! Mangiava tutto quello che trovava… era una cosa strana… si estendeva, sembrava volesse mangiare anche me… Voleva mangiare questa casa. Mi sembra ancora qui…- E’ solo un incubo. Domani non te ne ricorderai neanche più.Ratìn deglutì poco convinto.- Ti porto i saluti di mio figlio, Ratìn, inutile che facciamo finta di niente. Mi ha detto di salutarti… spero che un giorno possiate ancora incontrarvi. Non sono stato un buon padre, purtroppo. Non ho fatto abbastanza…- Signor Barbero…? – Disse Ratin sottovoce.- Dimmi… hai qualcosa che non va, vero?- Io… – rispose con un groppo in gola che sembrava voler esplodere – Io… domani andrò via.L’uomo sospirò – Lo so, amico mio, lo so. Sono venuto a saperlo. Speravo di vederti domattina. Prima quando ti ho sentito sul balcone ti ho chiamato per salutarti… So come stai. Non c’è bisogno che tu me lo dica.Ratìn tirò su col naso.- Io voglio bene a questo posto… Le giuro che se avrò l’opportunità, un giorno comprerò questa casa. Se mi capiterà di avere tanti soldi… tornerò ad abitare qui. Qui c’è tutto quello che conosco, le persone di sempre… Dove andremo non sarà mai più lo stesso…Il Signor Barbero confezionò una delle sue sigarette. Il punto rosso della sigaretta descrisse piccoli cerchi nella notte sul ballatoio buio.- E’ incredibile come ci affezioniamo alle cose, ai luoghi, agli oggetti. Pensa alle storie che potrebbe raccontare questa casa. I muri sono pieni di pensieri e di segreti. Potessero davvero mettersi a raccontare, a far uscire le storie che hanno trattenuto… come suma cumplicà, eh, Ratìn?Restarono qualche istante in silenzio senza parlare come due persone che si conoscevano da sempre. Un lontano chiarore cominciava a dipingersi sopra i tetti più distanti.- Signor Barbero?- Dimmi Ratìn – disse l’uomo tranquillamente.- Noi siamo amici, vero?Sì, fiol. Nui auti suma gent del Tor. Suma amis per forsa.- Posso domandarle una cosa?L’uomo restò in silenzio.- Perché lei è… sempre così triste? Anche prima che suo figlio… lei è sempre stato triste…Per qualche istante Ratìn temette che non sarebbe arrivata alcuna risposta.- Tu sei un ragazzino in gamba e buono di cuore. Per questo mi sei sempre stato simpatico. Te lo dirò, senza tanti giri di parole… Mi manca una persona. Mi manca tanto una persona…Ratìn capì e si morsicò la lingua per una domanda così banale.- Sai, forse quando sarai grande capirai che possono passare tanti anni senza che tu veda una persona, e quella continuerà a mancarti come se fosse il primo giorno che se ne è andata. E maledici quella cosa, speri sempre che gli anni mettano a posto le cose. Invece no, Rat, il ricordo ti può lasciare stare tranquillo per un po’, poi però un mattino torna a dirti che c’è ancora.Ratìn non aveva mai conosciuto la moglie di Barbero, se non dalle parole dei vicini di casa che abitavano in quella casa da molto più tempo.- Era… era una persona…- Era una persona che mi ha lasciato un vuoto enorme, quando se ne è andata… improvvisamente, ormai tanti anni fa. Da allora ho seguito strade sbagliate e accumulato errori… come vedi.  Ho cercato a lungo di dimenticarmene. Ma non c’è stato giorno della mia vita che non abbia pensato a una vita diversa. Ci voleva coraggio, Ratìn. Ci voleva troppo coraggio. Ti auguro di averne. Cerca di avere sempre tanto coraggio, soprattutto con te stesso. Anche quando tutti ti diranno che hai torto. Ricordalo Ratìn… non restare solo con te stesso.Gli occhi dell’uomo brillarono nella notte. Fu solo un attimo.Bè, basta adés. Va su! – Non ti saluterò domani. Detesto gli addii. E torna a trovarmi ogni tanto, che mi fa piacere… Ciau fiulin! Sempre del Tor, ‘m racumandu!Si abbracciarono lì, su quel balcone nella notte, come due vecchi amici.Ratìn fece per voltarsi e tornare imboccando l’androne delle scale, ma la voce dell’uomo lo fermò.- Ratin… Se un giorno davvero vorrai comprare questa casa… cerca il suo segreto. I muri parlano. Non lasciare che sia quel mostro a mangiarsela e portarsela via…Ratìn scese le poche scale con la sicurezza che una parte importante della propria vita si fosse chiusa in quel momento.

 

Il mattino dopo salutò tutto.Salutò la finestra dei sogni, la sua stanza, il soffitto, il ballatoio, la carrozzeria nella quale si accorse che il rude Baffone nascondeva lo sguardo forse commosso, il lattaio e persino il barbiere gobbo. Attraversò l’androne e diede un’ultima occhiata, dal basso, alla finestra dei sogni. Ci sarebbe tornato, lo giurò a se stesso. Un giorno avrebbe comprato la casa della sua infanzia e sarebbe tornato a viverci.Poi se ne andò.E con lui anche Ratìn, il suo soprannome.

 

Occorsero molti anni, perché Ratìn, nel frattempo diventato Geometra, tornasse nel luogo dove aveva vissuto anni lontani e sereni.Venne a sapere che il signor Barbero se ne era andato quasi per caso, all’inizio del 2001. Accolse la notizia con tristezza e rimorso. Non era mai più tornato a fargli visita, come lui gli aveva chiesto nel loro ultimo colloquio.Il tempo aveva presentato il suo conto salato. Il civico numero 4 era in forte stato di degrado e molti appartamenti erano stati abbandonati. Non c’era più il negozio del Barbiere. Bruno il gobbo se ne era andato da qualche anno, ed il negozio del lattaio aveva la saracinesca abbassata.Soltanto la carrozzeria all’interno del cortile resisteva, ma non era più Baffone a gestirla. Il Geometra fece qualche rapido ed emozionato passo all’interno del cortile e alzò lo sguardo verso il suo ballatoio, ma si sentì il peso addosso dei loschi sguardi che entravano ed uscivano dall’androne con una certa frequenza.Un numeroso gruppo di persone si era radunato sotto casa, all’uscita del feretro, insieme alla banda musicale dell’ANPI, l’associazione dei Partigiani. Riconobbe i segni del tempo su qualche volto del drappello di persone. C’era l’anziana moglie del lattaio, poco più indietro scorse un vecchio dal volto sottile, che si sosteneva a fatica su un bastone col manico in avorio. Incrociò con lo sguardo un uomo con un pizzetto ingrigito, che stringeva le mani ai presenti nei pressi del feretro.Non tardò a riconoscerlo. Era il figlio del signor Barbero. Il caplun.I loro sguardi rimasero sospesi per qualche istante, poi, con un certo imbarazzo, si separarono consensualmente.La banda iniziò un pezzo di una bellezza quasi straziante, poi il feretro si avviò.

 

Al termine della celebrazione, il Geometra volle indugiare per qualche istante lungo il quartiere che aveva amato così tanto. Quasi senza accorgersene si avviò lungo la strada che costeggiava il fiume Dora, immerso nei propri ricordi. Si ritrovò in breve di fronte ad una bassa casupola rossa in legno, che fino a qualche tempo prima aveva svolto funzione di Bar e che ora giaceva in stato di abbandono.- Questa è l’osteria dove ci incontravamo durante la guerra. Lo sapeva?Il Geometra si voltò improvvisamente. Poco più in là si trovava il vecchietto dallo sguardo smunto che aveva già notato sotto casa del Signor Barbero. Si appoggiava al bastone con manico d’avorio guardando la casetta rossa. Parlava con evidente accento straniero e con qualche difficoltà.- Ci incontravamo? Chi? – chiese imbarazzato il geometra.- Durante la guerra questo era il luogo segreto di ritrovo dei Partigiani che lavoravano nelle fabbriche qui attorno. Dentro quelle vecchie assi si discuteva di tante cose. Di libertà soprattutto… Mi scusi… io parlo male. Ho vissuto tutta la mia vita all’estero e sono tornato da molto.Parlava senza mai spostare lo sguardo dalla bassa costruzione.- Conosceva il signor Barbero? – chiese il Geometra.- Siamo stati grandi amici sulla montagna… ma sono arrivato tardi – sussurrò - E’ molto che è morta sua moglie?- Se ne è andata molto giovane, credo alla fine degli anni ’50…- Sono arrivato tardi – scosse la testa il vecchio - Sono arrivato troppo tardi… troppo tardi…Continuò a ripetere quella frase mentre si avviava senza dire altro lungo via Orvieto. Al Geometra, che lo guardava perplesso andare via, sembrò quasi che quell’anziano così minuto dovesse essere ingoiato dalle nuove ed enormi costruzioni che stavano cominciando a sorgere lì attorno.

 

Il Geometra abbandonò i ricordi.Uscì lentamente dallo scheletro della casa.- Trovato qualcosa? – chiese il Capocantiere con ironia fuori posto.L’uomo si allontanò dal cantiere senza rispondere, mentre le pozzanghere ribollivano.

 

La pioggia batteva con insistenza sui vetri del suo appartamento, quella stessa notte.Per un attimo credette che quel picchiettare fosse la prosecuzione del sogno, ma gli occorse poco per capire che si era svegliato.Respirò affannosamente come se quella cosa fosse ancora lì.Doveva avere la febbre. Si sentiva la testa pesante ed era scosso da brividi.Quel sogno… quel sogno terribile che aveva fatto oltre trent’anni prima, era tornato a fargli visita.Il mostro dai grandi occhi, quel mostro verde che non era un mostro… Non era un uomo, non era un animale. Stava di nuovo per divorare lui e la vecchia casa… Quei grandi occhi, grandi come… possibile che…Un pensiero confuso gli trapassò il cervello.Il Geometra si alzò confuso e cominciò a cercare tremante tra le carte di casa, senza trovare ciò che cercava.- Dov’è? Dov’è? – Imprecò. La sua mente fu bersagliata da strane frasi che sembravano la provenire dal suo sogno, forse scatenate dalla febbre improvvisa.

 

Ratin, devi essere libero.Non lasciare che sia quel mostro a mangiarsela e portarsela via…Sono arrivato tardi…Un mostro verde con occhi grandiI muri parlano.I muri parlano.I muri parlano.

 

Scappò via dal suo appartamento di corsa e si gettò in macchina.Albeggiava di un chiarore grigio investito d’acqua.Non c’era più tempo. La sera prima il Capo cantiere gli aveva telefonato per dirgli che dal civico numero 4 provenivano forti cigolii, come di una bestia ferita che soccombe con un estremo lamento.Gettò la macchina, ancora accesa e col tergicristalli che danzava monotono alle soglie del cantiere, tra spruzzi di pozzanghere e fango.La casa era ancora in piedi, ma sinistri rumori rimbombavano al suo interno e trapassavano il torrente di pioggia.Corse scoordinato all’interno del gabbiotto del Capocantiere. Poteva essere che fosse proprio…?Un mostro verde con occhi grandi.Mise le mani sul progetto e lo spalancò sulla piccola scrivania.Il progetto del Centro Congressi.I grandi finestroni circolari che si spalancavano come occhi, i colori vistosi e il verde delle lastre alle pareti.Il mostro verde che avrebbe inghiottito la casa.La casa e lui.

 

Il palazzo scricchiolava come se fosse fatto di polistirolo.Si trovava da solo nell’enorme spiazzo, illuminato dai fari della sua vettura ancora accesa.Lui, da solo di fronte all’enorme edificio che gli si parava di fronte.La testa rimbombava al ritmo delle frasi dettate da febbre e ricordi.Se un giorno davvero vorrai comprare questa casa… cerca il suo segreto. I muri parlano. Non lasciare che sia quel mostro a mangiarsela e portarsela via…I muri parlano.L’appartamento del signor Barbero…gli era sembrato più piccolo…Più piccolo…Cerca il suo segreto…Cerca il suo segreto…I muri parlano…Scattò improvvisamente in avanti, affondando nelle pozzanghere e sollevando spruzzi fangosi.Raccolse un attrezzo abbandonato dai manovali poco distante.Poi entrò nel vecchio condominio.

 

Le tempie pulsavano sempre più forte mentre correva dentro la casa e si avventurava su per le rampe di scale. La vista si annebbiò per l’acqua piovana e per la confusione.Primo piano, secondo piano. Le ombre di tutti gli occupanti della casa si affacciavano dai pianerottoli e dall’ingresso delle abitazioni. Vide il lattaio e sua moglie, il barbiere Bruno, i suoi compagni di giochi del cortile…Scacciò quelle ombre degli occhi con una mano, ma mille voci continuarono a tormentarlo.

 

L’appartamento sembra più piccolo…Cerca il suo segretoCerca il suo segretoI muri parlano

 

La casa era scossa da fremiti, dall’alto della tromba centrale delle scale cadeva polvere di mattone mista a qualche calcinaccio. Dalle cantine arrivavano sordi rombi, amplificati dai locali vuoti.- Cosa hai nascosto lì, Barbero... – urlò incespicando – Cosa hai nascosto? Che cosa hai nascosto!Quarto piano, superò l’imbocco del proprio appartamento e proprio in quell’istante udì un rumore familiare. Era il vecchio click del disco che veniva spinto nel mangiadischi arancione.Le note di All by myself iniziarono a risuonare per la casa vuota.

 

Sbucò sul ballatoio del quinto piano e corse, incurante del fatto che non ci fossero più ringhiere e che tutto grondasse d’acqua, fino all’ingresso dell’appartamento del signor Barbero.Entrò. Si trovò di fronte la serie di mattoni strana, che aveva pensato essere dovuta a dei lavori.- Qui sotto noi avevamo lo sgabuzzino – pensò – Ecco perché il suo alloggio mi era sembrato più piccolo… Cosa hai nascosto qui dentro? Cosa hai nascosto Barberooo?Urlò così forte che la casa sembrò avvertirlo e diede uno scossone.Il Geometra impugnò il piccolo piccone e cominciò a percuotere i mattoni più recenti.In modo ritmico, inesorabile, i colpi echeggiavano come frustate e sembravano voler dare il colpo di grazia alla casa.Continuava a colpire incurante della musica incessante e delle ombre delle persone che dovevano essere lì con lui.Faceva fatica a deglutire, ma proseguì il suo lavoro con foga disperata.- Geometra! Geometra!Le urla dal cortile del Capo cantiere e dei manovali, che erano giunti al lavoro.- Geometra! Venga fuori di lì! Sta per venire giù tutto! Geometra! Esca fuori!Il Geometra sorrise. Ripensò al mostro verde, a quanti palazzi aveva già ingoiato, alla resa dei conti che gli stava per essere presentata.E cominciò a ridere forte mentre colpiva. Più forte della musica.Più forte dell’acqua che continuava a scrosciare e a penetrare all’interno delle mura, più forte degli scricchiolii della casa che tentava disperatamente di ristabilizzarsi.Poi si aprì un varco nel muro, prima una piccola porzione, quindi tutta la parete cedette con un tonfo sordo, rivelando il piccolo locale che era stato murato.

 

La luce penetrava direttamente dall’esterno, non c’era bisogno di torce, che del resto non aveva.- Geometraaa! Esca da lì. Qui viene giù tuttoIntravide, facendosi largo nel pulviscolo, cinque vecchi fucili, appoggiati a una rastrelliera sulla parete di fronte.Su di un piccolo tavolino, sulla destra, erano state avvolte in un plico di carta da giornale alcune lettere. Non c’era altro lì dentro.Scorse le lettere ingiallite, scritte da una calligrafia fine e ordinata.- Geometra! Si sente bene? Esca fuori, per la miseria!

 

20/11/1944Non dovrei scriverti, ma so che è l’unico modo per dirtelo… Ieri sono caduti Cescu e Cichin, poco sotto la strada che…

21/12/1944…Sarà il Natale che ci porterà alla libertà. So che sei lassù da qualche parte sul monte… Non faccio altro che pensarti…

 

Il Geometra sfogliò sconvolto le lettere, lasciandone cadere alcune sul pavimento, fino ad arrivare all’ultima, con gli occhi spalancati.Udì la voce di Barbero rimbombare in quelle stanze:Era una persona che mi ha lasciato un vuoto enorme. Quando se ne è andata…Era una persona che mi ha lasciato un vuoto enorme. Quando se ne è andata…- Geometra! Per l’amor di Dio…- Allora non era … non stava parlando di…! – mormorò il Geometra.Udì tre colpi secchi dietro di sé.Erano i colpi di un bastone leggero.Il Signor Barbero era dietro di lui.Lo guardava sorridendo, dietro i suoi occhiali scuri.- Ha segnato Zaccarelli, Ratìn! Ha segnato Zaccarelli! 3-2. Vai, vai giù da Bruno, adesso, corri!- Sì… - disse il Geometra come in uno stato di trance.La polvere si staccava dai muri spogli e la casa gemeva su se stessa con stridore lancinante. Si sentì addosso le voci degli abitanti della casa, i bambini strillavano in cortile.All by myself ricominciò ancora una volta, da capo.- Ha segnato Zaccarelli, Ratìn! Devi correre giù. Da Bruno, ora! Vai Ratìn! Devi essere coraggioso!Le parole del signor Barbero sembravano un ordine perentorio.Dai muri colava polvere come fosse sangue.Ratìn prese la via del balcone e poi giù per le scale scosse da tremori e vibrazioni.La musica suonava quasi come un canto beffardo.

All by myselfDon’t wanna beAll by myself… anymore.

 

Ratìn fermò un istante a guardare verso l’alto. Il signor Barbero lo stava guardando, fermo nel pulviscolo sempre più denso.- Corri! – lesse sulle sue labbra, senza sentirne più la voce.Ratìn si gettò stravolto verso le scale, con gli occhi sbarrati, perdendo dietro di sé i vecchi fogli che stringeva tra le mani.Udiva a malapena le urla disperate del Capo Cantiere e dei manovali.Le voci della casa erano dentro di lui. Risa di bambini, parole sussurrate, e un cigolio lamentoso e disperato sempre più forte, sempre più forte…Ancora due rampe di scale.Solo due rampe.Poi fu un boato e tutto fu nero.

 

Due giorni dopo- Quando comincerete a sgombrare le macerie? – chiese il Capocantiere- Domani stesso. Ora è ancora tutto sotto sequestro. – rispose uno dei manovali.Il Capo cantiere brontolò qualcosa, quindi si allontanò scuotendo la testa. – Se non altro ha smesso di piovere – mormorò.

 

Una luce e un volto confuso nella nebbia.- Ha… Ha segnato Zaccarelli! Ha segnato Zaccarelli!- Sì, magari segnasse ancora Zaccarelli! Infermiera… si è svegliato! – disse l’uomo. Aveva uno sguardo giovanile e spiritoso, incorniciato da piccoli occhialini rotondi.- Ne hai studiata un’altra? – disse l’uomo con fare ironico, sedendosi sulla sponda del letto poco dopo che la donna se ne fu andata.- B… B… Bruno, sei tu? Mi spiace… mi spiace io… - disse il Geometra con fatica- Sssst… non dire niente. Non adesso. – Parlava sottovoce. L’uomo batté leggermente una mano sul materasso e sorrise al Geometra.- Non mi ricordo più nulla…- Ma cosa eri entrato a fare là dentro? Cosa volevi fare? La casa è venuta giù mentre tu stavi uscendo. Ti è andata veramente di fortuna. Un pezzo di muro ti ha sfiorato la testa, ma quella è dura e non c’è pericolo. Per le gambe invece… ci sarà da lavorare un po’. Ma ce la farai. Devi ringraziare il capo cantiere e i manovali che ti hanno tirato subito fuori di lì…Il Geometra sentiva dolore in ogni singola giuntura del proprio corpo. Tentò di mettere in ordine i pensieri confusi. Ricordava tutto fino al momento nel quale era entrato nel vecchio condominio. Nelle stanze della sua memoria, diventate quasi vuote e simili alla casa nella quale era entrato, si aggirava il vago ricordo di un luogo nascosto, di una stanza segreta. Una stanza segreta… l’aveva trovata? Qualsiasi cosa fosse stata, era diventata un cumulo indistinto di macerie.- Non mi ricordo più niente…- disse ancora.Devi avere coraggio rimbalzava come una lontano eco della quale non sapeva definire la provenienza, forse un lontano insegnamento…Devi avere coraggio… Devi avere coraggio…Guardò il suo amico e abbozzò un sofferto sorriso. - Adesso… ti lascio tranquillo. E’ l’alba comunque, stai tranquillo, non c’è nessuno e non è un orario sospetto. Bruno strizzò l’occhio all’amico.Devi avere coraggio…- Resta… - disse sottovoce il Geometra – Mi fa piacere se resti ancora un po’.Coraggio, pensò il Geometra. Chissà se ora avrebbe imparato ad averne.

 

Del civico numero 4, crollato due giorni prima, non rimanevano che macerie.Non c’era più il locale del panettiere, non c’era più il ballatoio dove più di trent’anni prima avevano sventolato le bandiere granata. Non c’erano più il negozio del barbiere e quello del lattaio, non c’era più la finestra dei sogni. Non c’era più il soffitto sopra il letto.Erano rimaste pietre, calcinacci e mattoni in pezzi.Presto tutto sarebbe stato rimosso.Il vento, lo stesso vento che aveva spazzato le nubi, faceva mulinellare la polvere, i piccoli detriti e qualche foglia.Tra quei detriti c’era un piccolo foglio di carta fragile e ingiallito, che veniva sollevato dal vento.Si depositò per un attimo sopra un mucchio di detriti.

 

19/10/1946Amico mio,il vento spazza il cielo oggi. E’ una giornata che ricorda tanto da vicino quelle meravigliose e spaventose allo stesso tempo che abbiamo trascorso insieme in montagna.Non faccio che ripensare all’ultimo anno e a tutto quello che abbiamo fatto insieme.A quando abbiamo incominciato, a chi non c’è più.Dove ci condurrà la strada per la libertà, amico mio?Abbiamo fatto bene?Si ricorderanno di noi?O verrà tutto dimenticato e sommerso?Questo mi chiedo, vorrei avere una sfera di cristallo per viaggiare nel tempo e per avere risposte.Non solo per quello, tu lo sai bene.Perdonami amico mio, so a cosa stai pensando.Mi sembra di vedere l’espressione del tuo volto in questo momento e ne soffro.Non ce la faccio.Non ho il coraggio che vorresti avere tu.Ho sfidato la morte ma non riesco a sfidare il mondo e a non avere paura di una cosa tanto grande.So che me ne pentirò e che quando sarò salito su quella nave che ora aspetta, maledirò me stesso all’infinito.Ma non ho il coraggio per farcela.Vorrei, ma non ce l’ho.C’è sempre qualche posto al mondo dove lottare ancora per la libertà.Andrò lì.Lotterò per quella visto che non riesco a lottare per la mia.Perdonami.Non ti dimenticherò mai.

Il tuo amico della montagna.

 

Un piccolo turbine si sollevò e catturò il foglio, che descrisse nell’aria un ultima lettera, e si posò poco lontano.Prima di risollevarsi e svolazzare lontano.Un uomo molto anziano, seduto sul balcone di un alto condominio, lo intravide per quello che la vista ancora gli permetteva.Appoggiò il mento al suo bastone con manico d’avorio.Un foglietto piccolo e ingiallito… Anche lui un tempo lontano aveva scritto su fogli simili.Aveva scritto delle parole che aveva rimpianto per tutta la vita.- Sono arrivato tardi… - mormorò sottovoce - …sono arrivato tardi.Lui, un piccolo punto quasi inghiottito dalla facciata del palazzone, restò a guardare il foglietto che volava via lontano.E poi ancora più lontano.Più lontano.

Fino ad oltrepassare i confini della nostra storia. Mauro Saglietti

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