mondo granata

La Maestra

La Maestra - immagine 1
di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

Esistono storie che si scrivono da sole e tu non sei altro che il mero strumento di raccolta ed esposizione dati.Oh, sì, puoi illuderti di esserne l’ideatore, il miscelatore, o quello che le fa risplendere.Ma spesso la realtà è un’altra e la tua parte è minima, perché non ne sei stato la scintilla, nell’acqua che le spegne.Quando è cominciato tutto quanto?Forse in una notte di agosto, non lontana.Seduto sulla spiaggia, da solo e perso nei miei pensieri vedevo quel pallone rotolare nel mare aperto, portato al largo dalle onde senza che io potessi fare nulla per riprenderlo, mentre stringevo tra le dita un bigliettino da visita.No… quella forse è stata l’acqua che spegneva il tutto, senza che io lo sapessi.Forse tutto è cominciato in modo casuale e le nostre vite, come elettroni impazziti, si sono incontrate nel loro moto casuale, in un bussolotto, numeri estratti a sorte dalla mano inconsapevole di qualcuno che forse non c’è più.Forse è andata proprio così.

 

Ho ricevuto un regalo poco tempo fa.Talvolta le cose inaspettate non sono sempre cose dalle quali stare in guardia.Facebook sarà anche uno strumento di autocontrollo sociale, ma non ha soltanto accorciato il mondo.Ha ristretto il tempo.Così ti puoi ritrovare a parlare con persone con le quali non hai proferito parola per oltre trent’anni.E subito dopo con un’altra.Andrea… Andrea… Andrea… vediamo un po’...Sì, me lo ricordo bene. Era del Toro, vero?Piano piano tutto torna alla mente.Era un compagno di scuola in quel di Borgo Vittoria, quando eravamo piccini.Eravamo i figli del boom, nati alla fine degli anni Sessanta, troppo fortunati per non avere tutto quello di cui avevamo bisogno, ma troppo consapevoli per darlo per scontato.Gli ammonimenti dei nonni e le storie della guerra erano sempre dietro l’angolo, a ricordarti che la vita non doveva essere sempre stata la tenda di Big Jim o la casetta di tela dentro la quale ti rifugiavi a nasconderti dal mondo.Mentre penso, sfoglio questo regalo, che ho ricevuto via mail.

 

Stento a credere ai miei occhi.Sono le scansioni del giornalino di classe del 1974-1975, classe I, unite a quelle del giornalino 1977-1978, classe IV.Tutto rigorosamente disegnato su… come si chiamavano? Piccoli ciclostile sui quali rimaneva impregnato il foglio sottostante, che poteva poi essere usato come originale per il ciclostile vero e proprio.Altro che CTRL + Z, ogni sbaglio significava rifare tutto dal principio, tutto da capo, buttando via l’originale.Ad uno ad uno scorrono nomi che credevo di avere dimenticato, ma che in realtà sono sempre stati parcheggiati in qualche fotografia riposta tra i ricordi.

- Signora Maestra, posso fare l’articolo su Pulici, per il giornalino?- E va bene… fallo! Evviva la maestra che ti lascia fare l’articolo su Pulici…

 

Eccolo qui, quasi non ci credo.E’ nel giornalino del 1978, dal titolo Quattro chiacchiere con la IV E.Si intitola “Una persona che ammiro”, ed è quanto scrissi sul mio idolo di sempre.Un disegno molto grezzo, a fondo pagina, mostra il numero undici granata mentre colpisce la palla di testa, spedendola alle spalle del portiere avversario, quasi sicuramente Zoff.Quanto scrivevo ordinato all’epoca, in confronto alle zampe di gallina incomprensibili di adesso!Poche righe, magari mi fosse rimasta quella capacità di sintesi.Non sempre ci si evolve e forse la purezza è rimasta laggiù, su quella pagina.

 

Una persona che ammiro.Una persona che ammiro è Pulici, l’ala sinistra del Torino.Sono andato già a vedere 11 partite sempre vinte dal Torino, e Pulici ha quasi sempre segnato.Ha iniziato a giocare nel Torino nella stagione ’68-69, e al suo esordio aveva già segnato un gol.Ha vinto la classifica dei cannonieri per ben tre volte.L’ultimo gol che ha segnato è stato nella partita Torino-Genoa, finita 3-1.Ha contribuito alla conquista dello scudetto.Questa sera a Londra, allo stadio di Wemblei, ci sarà la partita Inghilterra-Italia, purtroppo Pulici sarà in panchina e così vale per Sala.Al loro posto ci saranno due giocatori della juve degni di sostituzione!Purtroppo l’allenatore Bearzot fa giocare chi vuole.Speriamo che cambi idea!

  Andrea gestisce un bar. E’ stato lui a stabilire ora e luogo dell’incontro. Lo riconosco perché il tempo per alcuni passa meno in fretta che per altri e per lui non è proprio trascorso.Ci sorridiamo senza fingere di esserci visti soltanto l’altro giorno. In fondo ci sono vite differenti, elettroni che hanno viaggiato separati per trent’anni.Ha con sé le vecchie fotografie di scuola. La Prima, la Seconda.La Terza, quando arrivò la nostra Maestra.

 

Cos’era stato a farci conoscere? Un bussolotto in un sacchetto. Un numero estratto da mani che forse non ci sono neanche più.Un appello epocale in una palestra affollata di bambini e genitori.Eravamo una cosiddetta “classe sperimentale”, facemmo insomma da cavia per metodi di insegnamento basati sull’insiemistica, che esulavano dagli insegnamenti tradizionali.Un giorno ci fecero soffiare con delle cannucce dentro a bicchieri pieni d’acqua. Meraviglia, l’acqua si riempiva di bolle! “Questi sono tutti scemi” pensai.Il risultato fu che alle soglie della Terza, non sapevamo che cosa fosse un verbo e le tabelline erano ferme a quella del 7, che significava il numero di scudetti vinti dal Torino.

 

Le foto scorrono e la tenerezza si fa largo.Stento a credere di poter essere davvero io, con i collettoni delle camicie in pieno stile anni ’70. I colori delle foto di quel periodo sono sbiaditi sull’aranciato e basterebbe poco per restaurarle.Ma forse non sarebbero più vere, reali.Noi maschietti avevamo le maglie blu, le bambine il grembiulino bianco, almeno i primi anni. Ultimo retaggio di uniformi al quale saremmo stati presto allergici.Mi sembra di sentire ancora il nostro vociare, il primo giorno di scuola.

 

La scuoletta non c’è più. Era stata costruita apposta per accogliere noi, i bambini di quegli anni. Poi, quando il picco demografico aveva cominciato a scendere, ne avevano fatto la sede dei Vigili Urbani.  Credo che lei stessa sia stata più contenta di essere abbattuta che essere utilizzata ancora da loro.Era il Primo di ottobre del 1974, il giorno dell’appello, il primo giorno di scuola.C’era Andrea, certo, c’era Riccardo, il primo bimbo ad essere mio compagno di banco, c’era Maurizio, che si scoprì subito avere un talento innato per il disegno. C’era Alberto, il bambino più magro di tutti. Ma soprattutto quella era la classe dei tre Mauri, Mauro F., Mauro S. e Mauro V., tant’è che per distinguerci, tutti quanti utilizzavano i nostri cognomi.All’interno della struttura c’era un piccolo cortile che a noi sembrava immenso. La festa era poter uscire a giocare, il divertimento era raccogliere il fazzoletto prima dell’avversario, o restare tutti in fila sulla linea dell’ombra, fregando il maestro supplente, che non si era accorto che l’ombra si spostava in avanti per il muoversi del sole.

 

- Questa invece è la foto della Terza, la prima che facemmo fuori dalla scuola… Guarda come è ingiallita….- Chissà che fine ha fatto la nostra Maestra? Ne hai più saputo nulla?

 

La maestra della Prima Elementare, quella che ci faceva ascoltare in classe “Ci vuole un fiore” di Sergio Endrigo, quella che mi aveva cavato un dente traballante e vendicato a modo suo chi mi aveva messo le puntine da disegno sulla sedia, era partita per un luogo che alla metà degli anni Settanta era considerato un eden: l’Iran.Quella di Seconda, quella che ci faceva sentire gli Inti Illimani e “El pueblo unido”, quella che, juventina, aveva intimato “Via quella bandiera!”, quando aveva fatto il suo ingresso in classe il 17 maggio 1976, rinunciando presto al suo tentativo di far sparire il vessillo granata dal mio banco, aveva abbandonato per seguire la carriera di giornalista.In Terza era arrivata una signora che si era messa le mani nei capelli dopo pochi giorni, vedendo il livello totale di impreparazione e si era rimboccata le mani per tentare di darci quelle cognizioni scolastiche che erano mancate i primi anni a forza di soffiare bolle nell’acqua.Ma fosse stato solo quello il problema.- Non voglio assolutamente che vi picchiate per il pallone!Sempre con questa storia. Toro – juve, juve –Toro. Ora basta. Se vi picchiate ancora una volta, vi mando dal Preside!Quante volte aveva minacciato di spedirci dal Preside, quando il lunedì mattina andava in scena l’immancabile zuffa legata ai risultati della domenica pomeriggio.Del resto la classe era spaccata. Io e Mauro F. eravamo le avanguardie del tifo granata, compagni di banco ad ogni costo, ed io venivo travolto dai racconti di una Curva alla quale lui accedeva tramite suo padre. Poi c’era Cesare, un bambino pacato e solare. Suo padre lo portava a vedere sia Toro che juve, ma lui aveva scelto il meglio, in anni nei quali non era difficile scegliere.Alberto era juventino, mite ma strafottente, e finiva spesso sotto tiro negli intervalli - rissa. Così come Dario, che tutti chiamavamo “tappo”, neanche fossimo stati dei Watussi.Maurizio e Mauro V. erano invece dell’Inter, alleati con noi granata al momento delle zuffe, o al momento interminabile di fare le squadre, quando la Maestra concedeva di farci giocare a pallone in palestra.La nostra Curva era il lunedì mattina, la balconata erano i banchi, dietro ai quali io e Mauro F. amavamo nasconderci quando scoppiava una zuffa extra calcistica, che aveva quasi sempre come protagonista Mauro V.Le bambine? Quasi tutte juventine, per uno di quei strani motivi che non ho mai compreso.Lo era Paola, la mia vicina di casa, per la quale mio padre insisteva nell’attribuirmi un filarino, in anni nei quali non ne conoscevo neanche il significato. Così come lo era Claudia, che ha portato avanti il proprio credo errato, nel corso degli anni.Gli altri? I ricordi si confondono… c’era Lorena, Patrizia, dai grandi occhi, Maria Cristina, dal cerchietto e dai capelli lisci e lunghi.In verità in quegli anni, nessuno di noi aveva capito a cosa servissero le bambine.

 

Facebook e il giornalino sono stati il pretesto per incontrarci.Maurizio ora espone quadri, ha seguito i propri talenti. Cesare è diventato un musicista, suona la batteria, aveva già cominciato in quei giorni. Riccardo non è dei nostri. Vive a Genova e fa il liutaio, ma ci ha mandato un messaggio.Alla spicciolata arrivano Maria Cristina, Paola, Stefania, Patrizia…Che sensazione strana pensare di essere stati piccoli insieme. Non abbiamo più 20 anni, e apparteniamo ad una generazione sin troppo disillusa, per non comprendere che quest’incontro vale il prezzo del biglietto, senza pensare a quello che sarà il poi.Avremo bisogno di un collante tanto volatile quanto etereo, il fatto di avere condiviso 5 anni della nostra vita.Molti mancano all’appello. Gli elettroni, dopo essersi urtati, sono schizzati via, rimbalzando confusi sulle pareti dell’esistenza.- Ma dai, ma sei tu in questa foto?- Ti ricordi quando ci hanno portato a visitare il Museo Egizio?- E la volta che siamo andati in gita alla Mandria?- Qualcuno ricorda la festa di Carnevale? La Maestra aveva voluto che fossimo tutti in maschera…- Io sì, mi ero vestito da Zorro!- Eravate in tre Zorri quel giorno.- Io mi ero vestito da Sandokan!- E’ vero! C’era anche Marianna se non sbaglio... come si chiamava quella bambina?- Allora, qualcuno ha notizie della Maestra?

 

Sandokan, Zorro, Marianna.Andammo avanti una settimana a chiamarci con i nomi più strani, tanto eravamo entrati nella parte, riuscendo a non parlare di Calcio per un po’ di tempo, anche se alla fine l’istinto aveva preso il sopravvento.- Tira!- Passa!- Dai!- Goooool!L’urlo del “gol” era il segnale inequivocabile che metteva in allarme la Maestra, che in meno di due secondi si sarebbe catapultata sul fondo della classe, per requisirci la pallina di carta stagnola, rivestita di nastro adesivo.- Non voglio più che giochiate con la palla in classe! Vi mando dal Preside!Quante partite sospese così, interrotte sul più bello, match che erano iniziati quando le parole della Maestra – Fate la merenda! - avevano scandito l’inizio della ricreazione.La pallina era stata sostituita da qualcosa di più rozzo, come una gomma da cancellare, che presto o tardi sarebbe andata a raggiungere la pallina stessa, nei trofei della Maestra.Quando poi la possibilità di correre dietro a un pallone si era materializzata sul serio, nel vicino campetto dell’oratorio, ecco che la parte maschile della classe era entrata in un vortice di ansie e aspettative, mentre quella femminile si era preparata riluttante a fare il tifo in modo non troppo convinto.Immancabile arrivava la pioggia, il giorno stesso della partita, o anche solo la sera precedente, in modo da rendere impossibile giocare o impraticabile il campetto.Lunghe ore di attesa. Giocheremo o non giocheremo? Giorni che diventavano settimane, per poter cominciare il torneo con le altre Terze.Fino al giorno dell’incontro vero e proprio, quando la nostra voglia di correre e di vivere si scatenava.La Maestra faceva le sostituzioni, facendo attenzione a far giocare tutti, ma spesso ci si ritrovava con gente che non aveva mai visto un pallone, piantata in mezzo alla difesa come una statua.Riuscimmo ad arrivare terzi, nel torneo vinto dalla classe della maestra Nervo, che batté in finale quella del maestro Giordano.Ricordo il giorno in cui la palla oltrepassò le seppur alte recinzioni e finì nel cantiere adiacente, scivolando per sempre nei suoi anfratti.Non era possibile, piagnucolammo, che non si potesse fare niente, che la partita fosse finita così, senza un motivo valido.- Alle volte non si può fare niente con le cose – disse serenamente lei, mentre guardavamo il pallone rotolare via lungo la discesa, ma noi non eravamo in grado di comprendere quelle parole sagge.Come potevamo, del resto?Partecipammo alla premiazione tra gli olè, raccogliendo la nostra medaglia dalle mani della Maestra.

 

- Io ho qualche notizia, ma di seconda o terza mano…I volti sconosciuti ma fin troppo familiari, si voltano verso il sottoscritto.A tutti piacerebbe riabbracciarla, sempre che il tempo, che si mise a correre non molti anni dopo, non abbia intrapreso un corso sbagliato.- Ho riconosciuto una delle vecchie maestre, quella che ci aveva fatto l’esame di Quinta… le ho chiesto notizie…Quasi mi sembra davvero di tornare indietro nel tempo, mentre i volti attendono curiosi, forse impacciati da quella possibilità di confidenza che esula dal corso delle nostre vite, e forse dei nostri destini.

 

Mi ero fatto una figura epocale, ma me ne ero reso conto solo dopo qualche anno.All’esame di quinta elementare, tenuto anche da altre maestre, una di esse mi aveva chiesto:- Sai perché è famosa l’Austria?E io ovviamente non avevo saputo rispondere.- Per la musica, per il Walzer, quello di Strauss.E io, imbecille già allora:- Ah, sì, il Walzer di Strauss, boja fauss, boja fauss!Ma si poteva essere più scemi?Ci fu una risata generale, ma quando la Maestra lo seppe si arrabbiò moltissimo.- Che figura mi hai fatto fare, con l’altra maestra! Fingeva di essere arrabbiata, ma sapevo bene che in fondo era divertita da quanto era successo.

 

- Tempo fa ho riconosciuto quella maestra dell’esame e… le ho chiesto se avesse informazioni. I long drinks e le note della serata sembrano lentamente svanire.C’è bisogno di un finale sui titoli di coda, che faccia da trait d’union per non perdersi immediatamente.. Mi è stato detto che si è trasferita in Liguria… avevo lasciato il mio numero di telefono… ma nessuno mi ha mai richiamato. Solo una volta ho trovato una chiamata senza risposta, ma chi può dire se fosse veramente lei?- Bene, direi che abbiamo un motivo per incontrarci la prossima volta, no? – interrompe Andrea - Ognuno di noi si impegna a fare delle ricerche. Se la troviamo, le facciamo una bella sorpresa e la andiamo a trovare, fosse anche in Liguria, vi va?La serata si chiude sull’onda lunga della speranza. Quasi abbiamo nostalgia per le maglie blu ed i grembiulini.

 

La maestra diceva sempre che eravamo imbranati.- Mi lamentavo della classe che avevo prima… ma questi!Eppure ci voleva un gran bene e stimolava la nostra parte creativa e la fantasia.In Quarta preparammo la recita di fine anno, ognuno con il suo ruolo.Io, Cesare, Dario e Maurizio componevamo un piccolo gruppo canoro, che si esibì con discreto successo e grande ilarità dei genitori, in una canzone dei Gatti di Vicolo Miracoli.Noi provammo, lei ci incoraggiò, e la scena si ripeté l’anno successivo, in occasione della festa di addio dopo gli esami.- Spero che vi comporterete bene nelle Medie come vi siete comportati con me.La registrazione è del giugno 1979.Curioso come una persona non sia consapevole di quanto un oggetto comune possa diventare un pezzo di storia.Furono le sue ultime parole con noi, troppo fiera per lasciarsi scappare le lacrime, troppo intelligente per non comprendere che noi sapevamo che stava piangendo.

 

Spero che vi comporterete bene nelle Medie come vi siete comportati con me.Forse è l’ultima volta che sentiamo la sua voce. Chi di noi in fondo avrà voglia di schiacciare quel tasto play, dopo questa sera.Ci siamo ritrovati al bar di Andrea, in fondo avevamo voglia di stare tra di noi, senza caos che riempisse i vuoti.Qualcuno accende ancora il nastro, dopo averlo riportato indietro.La paura è che si spezzi, che si porti via lontano la sua voce, oltre che i suoi ricordi.Spero che vi comporterete bene nelle Medie come vi siete comportati con me.Ci guardiamo con una tristezza che non abbiamo mai condiviso, forse neanche al momento del nostro addio nel 1979.Molto probabilmente è l’ultima volta che ci vediamo, ci siamo ritrovati per chiudere il cerchio e per inserire la nostra infanzia in un quadro.Per capire quanto sia stato bello.E’ stata Paola a portare la notizia.La nostra Maestra è morta qualche anno fa, in un incidente stradale.Stava cercando di aiutare il marito, che aveva avuto un malore.E’ stata investita mentre cercava di aiutarlo.L’abbiamo cercata troppo tardi.

 

Forse non abbiamo altro da dirci.A che serve chiedersi se quel numero che trovai anni prima nel cellulare, fosse il suo?Alcuni degli elettroni impazziti si sono reincontrati e ricominciano la loro corsa ai margini dell’universo.Ci salutiamo, promettendo un nuovo incontro che sappiamo bene, non arriverà mai.E tutto diventa nostalgia, perché in fondo, quello che è rimasto di noi, sono gli occhi malinconici di una sera d’inverno, forse gli stessi di allora.

 

Forse non bisognerebbe frugare nel passato.Però, sapete, mi sono rotto le scatole di chi ha sempre la filosofia della vita pronta.Quelli che hanno raggiunto la Grande Consapevolezza, che hanno capito che in realtà la vita è un insieme di momenti da vivere esclusivamente al presente.Quelle per cui ogni istante trascorso a ricordare la vita andata è una perdita di tempo, un’imperfezione.Contenti loro. Non ho mai conosciuto persone dall’apertura mentale così ristretta, come quelle che si atteggiano a Grandi Risolutrici, persone in subito pronte a puntarti l’indice contro perché tu non sei come loro, tu non hai ancora capito il Grande Disegno.Preferisco coprire le mie insicurezze riconoscendole, piuttosto che auto illudermi di avere capito tutto e vivere in una casa di mura della quale fingo di non vedere le crepe.

 

La palla rotolava via portata dalle onde, soltanto adesso ci ripenso.Come quella palla che rotolava nel cantiere.Mi sembra di sentire ancora la sua voce.Alle volte non si può fare niente con le cose.E mi chiedo quanta casualità ci sia stata in tutto questo, e quanto sia stato voluto da lei.Io, che per vent’ani non sono andato al mare, ho scelto proprio, ignaro, il paese dove lei è morta.Stringo tra le mani il bigliettino da visita dell’agenzia che ci ha permesso di trovare casa.Ha il suo stesso cognome.

 

Alle volte non si può fare niente con le cose.Se fossi uno scrittore direi che quel pallone che rotola via, rappresenta una vita che la causalità ha voluto far incontrare con tutte le altre.Se fossi un simbolista penserei che non sono stati il caso e il destino a portarmi su quella spiaggia, alla fine di agosto per scrivere questa storia...Esistono storie che si scrivono da sole.Oh, sì, puoi illuderti di esserne l’ideatore, il miscelatore, o quello che le fa risplendere.Ma spesso la realtà è un’altra e la tua parte è minima, perché non ne sei stato la scintilla, e neppure l’acqua che le spegne.Alle volte è così difficile far finire i racconti, quando si chiudono già da soli.Come questo, che scivola pian piano, portato al largo nel Mare delle Storie. Mauro Saglietti

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