So di avere una foto di quella notte.Lo so, ma non la trovo.Eppure c’era, ne sono sicuro, è come se avessi ancora il flash davanti agli occhi.Eravamo fuori dallo stadio di Nantes, con pannocchione Kieft, un’ora dopo la partita.Era stato un trionfo ed eravamo tutti sorridenti.Di sicuro c’erano Dr. Jeckill e Mr. Hide, gli amici un po’ sfigati, con i quali non avrei mai combinato nulla.Dovevano esserci anche… come si chiamavano…Dada, Paolina, Marta e …mi sembra Agnese… si Agnese, proprio lei. Le amiche che avevamo conosciuto quella sera sul pullman.Poi c’ero io, il Barbarossa e lei. Lei in mezzo a noi due.Come la chiamavo? Lei era Susy, ma qual’era il soprannome che trovai per lei quella notte?Sono sicuro che quella foto sia da qualche parte, anche se le immagini di quella notte sono confuse.Invece, frugando tra le scatole dei miei cimeli, ho trovato soltanto un vecchio walman e una scatoletta di Xamamina, il medicinale che prendevo sempre in abbondanza contro la nausea, prima di un lungo viaggio. Quello con le pastigliette bianche, che ti stordiva un po’.
mondo granata
La notte di Nantes
Vorrei rivedere il mio volto di allora o degli altri confusi protagonisti inghiottiti da quella notte. Eppure la mia memoria raramente fa cilecca… perché diamine un ricordo così importante è diventato così sfocato? Cosa ricordo? Vediamo… il viaggio… i suoi disegni… la campagna francese… i gol… il vento dall’oceano... quel vagone… Un pullman bianco, un grosso spavento.E’ strano, sono svaniti, inghiottiti da quel viaggio.Devo trovare quella foto.So che c’è, non posso essermela sognata.
Era il 1986, ero un ragazzo spesso solo, ascoltavo un nastro per il quale tutti mi prendevano in giro e avevo sempre con me un Walkman rosso, col quale non appena potevo, mi isolavo ad ascoltare quelle canzoni.Da quanti anni conoscevo il Barbarossa?Chi lo ricorda in questa storia fatta di spazi grigi?Forse da più di un anno, da quando era arrivato in Italia.Abitava e studiava a Firenze ed ogni due domeniche prendeva il pullman per venire a vedere il Toro, trascinato da Susy, la sua ragazza. Una storia strana. Nessuno dei due era di Torino, Susy era nata a Roma, lui addirittura irlandese.Barbarossa… qual’era il tuo vero nome? Qualcosa che poteva essere russo… Ivan forse? O forse sono io che ricordo male.
Nessuno dei due di Torino, ma Susy era granata fino al midollo, non le ho mai chiesto il perché.Adesso che ci penso, quante cose non le ho chiesto.Tu la accompagnavi, certo, anche se ho sempre pensato che vivessi il calcio con un distacco che nascondevi male.
Ma tu la amavi, amico mio.Come credo di averla amata io, forse. Con uno sguardo da quando la vidi.Ricordi quando ci incontrammo, fuori dalla Curva, quando stavi chiedendo informazioni col tuo italiano insicuro.Ero con Dr Jeckill e Mr. Hide, gli amici con i quali non avrei mai combinato nulla.Tu mi fosti subito simpatico, con quel sorriso aperto e cordiale.Ma lei mi fulminò.La guardai e compresi finalmente di essere arrivato. Ricordo i suoi occhi, strano tipo di donna che era. Forse per la prima volta, lessi la capacità di essere compreso e capito e compreso al volo. Io che ero sempre stato da solo e che ascoltavo musica per la quale tutti mi prendevano in giro, io col mio walkman rosso, io che con Dr. Jeckyll e Mr. Hyde non avrei mai combinato nulla.E tu, oh sì Barbarossa, ti accorgesti subito di tutto e provasti simpatia e terrore allo stesso tempo, per quel ragazzo che avevi di fronte e che, avevi compreso, avrebbe portato via una parte di te.Vedemmo la partita insieme e lei parlò a lungo, per quanto fosse possibile. E così fece le altre volte.Sì, perché tornaste ancora. Me lo promise lei dopo quella prima partita.
Tu, Barbarossa da una parte, in quello spicchio di Curva, io dall’altra e lei tra di noi.Lei quella che sarebbe diventata la… la… diamine, qual’era il suo soprannome? Perché continua a sfuggirmi…?Ricordo ancora la sua mano, quando prese la mia in mezzo alla folla.Oh, credo che tu sapessi, fin dall’inizio, ma l’amavi talmente tanto che arrivasti a condividere il tuo amore per lo spazio di una partita, ogni due settimane.Una donna da amare in due, in comune tra te e me.Tu che soffrivi durante quelle partite, io che stavo male ma bene, bene ma male, sapendola con te a Firenze per tutta la settimana.Pensavamo, senza che ne avessimo mai parlato, che ci fosse del tempo per uscire da questa malinconia.
Cosa studiava lei a Firenze? Arte? Disegnava, se non ricordo male, riempiva intere cartelle di sogni, come spesso diceva.Me li mostrò su quel pullman per Nantes, in quella notte che non finiva mai…Già, Nantes…
Di chi fu l’idea di andare a Nantes, tutti insieme, quel lontano giorno di settembre? Non lo so, non ricordo neanche questo. So solo che ci ritrovammo su quel chiassoso pullman di gente giovane, che veleggiava verso la Francia, lei con te poco distante, anche se il ricordo è offuscato.Certo, c’erano anche Dr. Jeckill e Mr. Hyde, ma sono figure in secondo piano, mi ricordo di più del walkie rosso e della Xamamina, della quale mi imbottii prima di partire, se c’era una cosa che temevo era stare male per la nausea.Partimmo, io forse mi addormentai intontito.Ma prima di farlo, premetti il tasto premetti il tasto play del walkman rosso.Partì la musica per cui tutti mi prendevano in giro.Ero seduto da solo in quel momento ma ero felice, perché sapevo che lì, poco distante c’era lei.
Aveva portato con sé i tuoi disegni, lo ricordo bene.Erano bellissimi, il primo raffigurava dei ciliegi in fiore.Si sedette accanto a me e cominciò a mostrarmeli, quando avevamo lasciato Torino da un po’, e io ero preda dei miei pensieri storditi.Mi mostrava i disegni, mentre il Barbarossa ci guardava.I suoi ciliegi in fiore… ora ricordo!Era la Signora bionda dei ciliegi. Così mi venne in mente di chiamarla quella notte.
Se il viaggio è nebuloso, la partita si illumina.Eravamo sferzati dal vento freddo che arrivava dall’oceano e temevamo di prendere una sonora dose di legnate, il sorteggio era stato terribile.Il vento freddo dell’oceano ci sferzava la schiena, come, ci dissero, faceva sempre da quelle parti.Qui sont les plus forts?Le plus forts sont les rouges… cantava, mentre mi teneva la mano.Era il coro inventato apposta per quella sera, per farci capire dai francesi.- Canta con me – lei mi diceva ed io cantavo…No, non eravamo soli, ma sembrava che lo fossimo e desiderassimo di esserlo.- Ce la faremo a resistere fino alla fine? – mi chiese titubante nell’intervallo, quando le nostre mani si nascondevano sotto le giacche a vento.A chi si riferiva?A noi o alla partita?Che ne sarebbe stato di noi, una volta tornati a Torino?Erano solo quindici minuti ma mi augurai che diventassero eterni.Poi cominciò improvvisamente a piovere.Piovere di gioia.
Prima Comi, poi Beruatto con un cross sbagliato, poi Kieft due volte.Ci abbracciammo come non avevamo mai fatto, increduli, sempre più forte a mano a mano che la nostra vittoria assumeva le dimensioni di un trionfo.Al quarto gol ti voltasti direttamente verso di me e mi gettasti le braccia al collo.Quasi non vedevamo più Dada, Paolina, Marta, Agnese e gli altri, che avevamo conosciuto poco prima.Lo so Barbarossa, incrociai il tuo sguardo in quegli attimi di guazzabuglio, quando eravamo in balia dell’onda del gol. Chissà se sapevi che mi sentivo in colpa.Che non avrei voluto ma che era stata una cosa inevitabile, che aveva travolto noi e i nostri rimorsi.
Non trovo la foto, maledizione. Eppure la scattammo un’ora dopo la fine della partita.Eravamo felici nonostante il freddo, e volevamo aspettare i giocatori.Ricordo lei, la Signora bionda dei ciliegi, mentre si riparava dal vento dietro a una rientranza del recinto dello stadio, le scarpe da tennis bianche e blu, le labbra troppo rosse, la giacca a vento.Poi i cancelli si aprirono e cominciarono ad uscire i giocatori, per raggiungere il loro pullman, lì all’esterno.Non so quanti fossimo, ma li festeggiammo come se avessimo già vinto quella coppa.Chiamammo un paio di giocatori ma loro tirarono dritto. Kieft invece si voltò e si fermò per un autografo. Poi per una foto, in mezzo a tutti noi.Ho ancora il flash di fronte agli occhi.Prima di ripartire, prima di una nuova Xamamina.Prima dei pensieri di nuovo confusi e intontiti.
Parlammo, parlammo tanto, confusi nel chiasso gioioso di quel pullman festante. Mi piaceva stare a sentirla, lei mi parlava di frontiere, di finanzieri e contrabbando, mi scaldavo ai suoi racconti.Intravedemmo le montagne nella notte, lì mentre il pullman correva verso le loro ombre scure, e mi disse che suo padre aveva combattuto in montagna. Poi mi domandò del mio.I tuoi disegni scorrevano uno dopo l’altro, le reti al sole, i pescherecci in alto mare, conchiglie e stelle… e poi un barcone rovesciato al sole… le biciclette in riva al mare… la sabbia infuocata…Fino a quando, continuando a raccontare, poggiò il capo sulla mia spalle e lentamente si addormentò.Tirai su la giacca a vento su di noi e la abbracciai.Il pullman corse nella notte.
Poi il mezzo si guastò.Improvvisamente, nella campagna francese.Era notte fonda.Tu dormivi, Barbarossa, o fingevi di farlo nei sedili più avanti, e non vedevi il suo capo appoggiato sulla mia spalla, avvolta dalla giacca a vento.E mentre stavo pensando che ogni metro ci portava verso il momento nel quale lei sarebbe ripartita con te, udii gli improperi dell’autista e gli spintoni del mezzo.La frizione - inveiva l’uomo - la frizione!Il pullman sussultò, poi si bloccò sul ciglio di quella campagna francese, a poca distanza da una costruzione.Il rumore la svegliò.- Come va? Sei ancora addormentata? – le chiesi, mentre si rannicchiava ancora di più contro di me.- Stavo facendo un sogno strano…- mi disse intorpidita – Stavo sognando un giardino. Con me c’era un uomo… lui mi girava le spalle… ma… ma… cosa è successo? Dove siamo? – si rialzò di colpo e gettò uno sguardo verso di te, Barbarossa, per vedere se ti eri svegliato.
Un pullman guasto nella notte della campagna francese, ore per avere un aiuto o, peggio, un pezzo di ricambio.Scendemmo passandoti di fianco, Barbarossa, immerso nel tuo sonno finto e, sferzati dall’aria della notte, ci guardammo intorno.Ci eravamo bloccati nei pressi di una piccola stazione, lungo il quale si intravedeva il profilo di alcuni vagoni merci fermi.Non ci fu bisogno di parlare, volevamo entrambi la stessa cosa e nella nostra disperazione sapevamo che non avremo avuto scampo da quello che cercavamo.
E fu lì che capitò, nell’alba ancora lontana.Noi due nascosti in un vagone, in quella notte, lì alla stazione. Mentre tutto il resto del mondo stava cercando un pezzo di ricambio.Mi resi conto solo allora, nella confusione e nella tempesta di pensieri che mi fulminavano che… no… non ti avevo mai baciata.Cosa vi posso raccontare?Vorrei solo poter rivedere le immagini di allora, lo stesso giorno, la stessa ora.Per respirare di nuovo la vita, vissuta con lei.
Ricordo poco di quando tornammo al pullman.Mentre tutto si fa se possibile ancora più strano, anche i ricordi intontiti diventano al rallenty.Eravamo quasi al termine della nostra avventura e dovrei rammentare tutto, invece…Dove si sedette quando rimontammo sul pullman… la nostra partenza…. il viso del Barbarossa.Invece niente… niente… solo un’altra Xamamina per non stare male.
L’ultimo ricordo di quella notte infinitaEro in piedi in coda al pullman, dove avevo lasciato lo zaino, per recuperare dell’acqua.Mi voltai per tornare al mio posto e mi irrigidii.
Vidi tutto attraverso i vetri. Un enorme sagoma scura, che poi si rivelò essere bianca, un altro pullman che si parò a tutta velocità sulla destra.Feci per ritrarmi in attesa dell’impatto inevitabile.Alzai le braccia per proteggermi e in quel momento pensai a lei, che era in rotta di collisione.Pensai a tutti i miei amici che sarebbero stati centrati in pieno dall’altro pullman.Fu un attimo, alzai le braccia al volto per proteggermi e la bottiglia d’acqua si inarcò fu scagliata verso l’alto.Attesi la frenata e pensai che sarei stato scaraventato chissà dove, che sarebbe stata la fine di tutto.Gridai, chiudendo gli occhi.
Sentii il colpo della bottiglia che atterrava sul pavimento del pullman con un colpo sordo.Riaprii gli occhi abbassando improvvisamente le mani.L’unico rumore era quello del nostro veicolo, che continuava ad andare avanti.Nessuno parlava.Tutti, si erano girati a guardarmi con facce interrogative.Non era successo niente.La massa prima scura poi bianca, un pullman bianco come il nostro, con uno striscione granata sul vetro posteriore come il nostro, stava proseguendo alla nostra sinistra.Non poteva.Non poteva averci mancato.Poteva solo… poteva solo esserci passato attraverso.Ricordo quell’immagine spettrale attraverso i vetri.Un pullman bianco che svanisce nell’oscurità.Un pullman bianco.Come il nostro.Li guardai come si guarda un fantasma.E credo che loro mi abbiano guardato allo stesso modo.Nessuno di loro si era accorto di niente.Restai per qualche istante a guardare oltre il finestrino il veicolo ormai lontano, che stava ormai andando per un’altra strada, poi raccolsi la bottiglia, che aveva riversato tutto il suo contenuto sul tappetino del pullman.Tornai al sedile tremante.Credetemi se vi dico che da quel momento i ricordi sono svaniti.Dove sei stata Signora bionda dei ciliegi? Cosa mi dicesti lungo quanto rimaneva del viaggio?E tu Barbarossa? Che cosa mi hai detto in quella notte?Ho poche immagini, fredde, distaccate e silenziose dei miei compagni di viaggio, da quel momento in avanti quasi svanirono, da quel contatto col pullman fantasma come il nostro, che prese un’altra direzione.Dada, Marta, il Barbarossa, gli altri e… soprattutto lei.Un solo ricordo. Quando scendemmo dal pullman.Ricordo di averti salutato, per l’ultima volta, prima che anche tu svanissi.Ti accarezzai la guancia e credo di averti detto qualcosa di stupendo, e di averlo fatto senza parlare.Addio amica mia, addio. Ti ricordo così. Il tuo sorriso e i tuoi capelli, fermi come… come…
Caro il mio Barbarossa, compagno di un avventura.Mi sei tornato all’improvviso tu, chiaro nella mente, dopo tutti questi anni.Mi viene da dirti che in fondo se lei se ne è andata… no… non è colpa mia.Mi chiedo se la tua vita di allora sia cambiata in qualche modo, ma credo di no. Lo so, sarai ritornato in Irlanda, con la tua laurea in Filosofia.E io sono rimasto qui, in questa città… Fottuto di malinconia.E di lei.
E’ strano, sapete? Non riesco a trovare quella foto, eppure so che c’eravamo tutti: Dr. Jeckyll, Mr Hide, Dada, Paolina, Agnese, Susy, pannocchione Kieft tra noi che sorrideva, io, il Barbarossa e lei, la Signora bionda dei ciliegi in mezzo a noi.E’ proprio strano.
Continuo a ripensare a me confuso nella notte e a quel pullman bianco che sembrò attraversare il nostro e andare per un’altra strada.Ero in coda al pullman.Arrivai in ritardo di qualche secondo a quell’appuntamento, poteva essere un momento prima o uno dopo. Forse portò via loro, che erano più avanti.Alle volte ti accorgi che la vita è piena di incroci, quasi fossero davvero appuntamenti.Quella notte fui io a mancare il nostro di poco.Chi può dirlo.
O forse no, io so bene che non troverò mai quella foto.Forse sto mentendo a me stesso e su quel pullman eravamo solo in tre. Io, il mio walkman rosso e la e la Xamamina, il farmaco che non ti faceva venire la nausea, ma ti stordiva e ti intontiva.
Ero giovane, spesso solo, ascoltavo musica per la quale molti mi prendevano in giro e avevo un walkman rosso, dal quale non mi separavo mai.Questa è la storia della notte di Nantes, di un ricordo e di un amore durato il tempo di una canzone triste.So che premendo il tasto play e ascoltando questa cassetta potrei sapere la verità su quella notte.Ma forse non voglio.
Mi sembra di sentire ancora il sapore delle sue labbra, come il ricordo di un bacio adolescente.Desideravo tanto vivere una storia travolgente, e per quanto disperata e contorta, la trovai.Fu una delle cose più belle della mia vita.E forse la mia condanna è non sapere se l’ho vissuta veramente.
E’ triste veder lentamente svanire con gli anni il ricordo di quella donna, della “Signora bionda dei ciliegi”.Ma la cosa più amara di tutte è che… che ora non c’è più nessuno che mi parli ancora un po’ di lei…Ancora un po’ di lei.
Un grande, un enorme, immenso grazie a Ivan Graziani, per le poesie che ha messo in musica e per le storie che ci ha raccontato, per le quali, salvo rare eccezioni, non ha mai avuto il successo e il riconoscimento che avrebbe meritato.
Mauro Saglietti
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