Era la sera del 22 gennaio 1989. Per la prima volta, un servizio della Domenica Sportiva sul Torino si aprì con la notizia che i granata stessero occupando l’ultimo posto in classifica. Chi non era abituato a sentirselo dire, pensò che si trattasse solo di un brutto sogno. Fu, in realtà, l’inizio di un vero e proprio incubo (sportivo). La mancata consapevolezza di società, giocatori e tifosi che anche il Toro potesse rimanere invischiato in zona retrocessione risultò essere la peggior condanna per la squadra a fine campionato. I granata, quella sera, erano di ritorno in pullman dalla trasferta di Ascoli Piceno e di sicuro non avevano avuto modo di vedere il servizio della Ds. Chissà, forse si sarebbero svegliati dal torpore che li avvolgeva, forse avrebbero compreso il rischio che stavano correndo. L’Ascoli era una diretta concorrente per la salvezza e aveva giocato con lo spirito battagliero di squadra che deve salvarsi. Vinse con un gol di una delle tante nostre bestie nere, Bruno Giordano (il calciatore, non il filosofo); proprio lui, che doveva vestire i nostri colori poco prima dell’inizio del campionato e che non fu acquistato per volere dei giocatori della vecchia guardia. La rete giunse a freddo, ad inizio partita, poi poco o nulla. Venne a mancare la reazione della squadra compatta, che ha voglia di vincere. In quel campionato, era, invece, una costante la sufficienza e la mancanza di umiltà di molti giocatori granata, che continuavano a sentirsi superiori agli avversari. Se l’Ascoli schierava Arslanovic e Cvetkovic, due sconosciuti giocatori della ex Jugoslavia, il Toro poteva vantare tra sue file i brasiliani Muller ed Edu. Poteva contare sui dribbling di Skoro, sull’esperienza di Cravero e la voglia di emergere di Fuser, ma mancava l’unità di intenti. A novembre, venne esonerato Gigi Radice; al suo posto si sedette sulla panchina Claudio Sala, nelle ultime tre-quattro partite, tentò il miracolo il mago delle giovanili, Sergio Vatta. Dopo la retrocessione ufficiale sul campo di Lecce, Vatta decise, preso dal disgusto, di non allenare più gli adulti. Fu di parola, e andò via anche dal Torino, che da allora, vent’anni fa esatti, ha passato la metà dei campionati in serie B, con piccole parentesi felici e tante disgrazie societarie e di risultati che hanno pian pianino offuscato il nostro mito.Noi tifosi ci siamo ancora e tramandiamo il nostro credo ai più giovani, agli amici, alle mogli, ai nostri figli, più perché spinti da una necessità di salvaguardia della specie “granata” (con tutti i suoi valori umani di contorno), che da una vera e propria convinzione nei successi futuri della squadra. Questa presa di coscienza, nel sottoscritto, iniziò in forma molto vaga quella sera del 22 gennaio 1989. Forsa fieuij.
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