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mondo granata
Devo confessarvi che la prima volta che sono andato allo stadio è stato per una partita dell’altra squadra della città. Mi aveva portato mio padre, non so bene per quali motivi, ma era un’amichevole di fine agosto contro una squadra brasiliana. Mia madre mi raccontò che dormii tutta la sera tra le sue braccia (e le sue imprecazioni) perché voleva starsene a casa. La seconda volta fu sempre per una partita dei giocatori a strisce e ho ricordi meno vaghi, ma non belli. Accadde dopo un paio di mesi da quell’amichevole di fine agosto e so che mi portai dietro la sensazione di una tristezza infinita. La Juventus (ahimè, ho dovuto farne il nome) che subissava di reti il Verona, addirittura sei. In porta c’era un certo Superchi, mi aveva fatto tanta pena. Non mi facevano pena, ma solo compassione, i tifosi della curva che avevo alla mia sinistra. Quelle che dovevano essere le loro urla di gioia per le reti segnate erano solo dei rantolii mosci che si affievolivano ben presto perdendosi nel silenzio più assoluto. Per il resto, tanto grigiore per via anche dei non colori delle loro bandiere. Quel nero misto al bianco mi aveva subito chiarito cosa volesse dire la parola lugubre. Avevo solo cinque anni, ma avevo già le idee chiare. Ero tifoso del Toro, non per tradizione familiare, nel senso che a casa mia c’è sempre stato interesse per lo sport, ma né mio padre, né mia madre sono stati tifosi. Ero diventato tifoso del Toro per via degli amici con cui giocavo sotto casa, ma soprattutto perché una predisposizione ad essere granata ci deve essere per forza nel dna di ciascuno di noi. La mia vera prima volta, cari lettori, fu il 12 novembre 1978, Torino vs Vicenza. Che spettacolo. Con la bandiera in mano, ci sistemiamo, sempre con mio padre, nei distinti. Era una gran giornata di sole, nonostante fossimo a novembre. Un'esplosione di colori mi pervase. Il prato verde più che mai, il granata che straripava, la gente felice. Il cuore che mi scoppiava e le preoccupazioni di mio padre affinché potessi riuscire a vedere la partita in mezzo a tante persone. Il vicino che aveva sempre la mia bandiera sulla faccia, ma che capiva e non mi rimproverava. Segnò Pulici, poi una tripletta di Graziani, ma con la sensazione che ci fosse rispetto per gli avversari. Mi imbatto anche nella prima spiegazione di cosa fosse il fuorigioco. Paolo Rossi, quando ancora non era caduto nella trappola del calcioscommesse e non era divenuto famoso per il Mundial di Spagna, giocava nel Lanerossi Vicenza. Aveva segnato il gol della bandiera, ma l’arbitro glielo annullò per fuorigioco. Alla mia domanda sul motivo dell’annullamento, si prodigarono ben quattro persone nella spiegazione. Feci finta di capire per tranquillizzarli, ma solo qualche anno più tardi, forse alle scuole medie, mi fu più chiara la regola. Finita la partita, incrocio Roberto sulle strette scale che ci portavano all’uscita. Mia madre diceva che io ero tifoso del Toro a causa sua, perchè, in caso contrario, Roberto non mi avrebbe fatto giocare con lui. Se è vero lo ringrazio ancora adesso e, ancora adesso come allora, soffriamo come dei matti; la nostra è un’amicizia che ci accompagnerà per sempre. Era anche lui allo stadio con suo papà e mi celebrava le gesta di Pulici; io gli rispondevo che anche Graziani era stato bravo, aveva fatto una tripletta… Il tutto tra la selva di gambe degli adulti che ci sovrastavano e spingevano per uscire.Infine, il rientro a casa in auto e l’ingorgo per uscire dal quartiere dello stadio con i clacson delle macchine a tutta forza e le bandiere fuori dai finestrini. Avevamo solo battuto il Vicenza, ma forse in quegli anni ogni partita era sempre una festa.
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