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Sono stato a lungo indeciso quando si è trattato di scegliere un titolo per questa nuova rubrica. Alla fine ho deciso di optare per “La Risalita”, pensando soprattutto alla stagione 1989-90 dalla quale partirò ogni volta per spingermi a raccontare lo svolgimento di quella che sta per iniziare esattamente vent’anni dopo. Ovviamente è un titolo che vuol essere anche un augurio affinché questo Toro ripercorra la cavalcata trionfale di vent’anni fa che ci portò, in un paio d’anni, da Licata al Bernabeu. Non si parlerà solo di calcio, ma di sport in generale e di quello che accadeva in un mondo che stava cambiando sotto i nostri occhi senza che ce ne rendessimo conto.
Anno 1989. Verso fine agosto. Pensieri un giovanissimo malato di Toro.
Non ci potevo credere. Fino a un anno fa, se qualcuno avesse previsto una cosa simile, si sarebbe preso del gobbo infame e del porta sfiga. Il Toro, il mio Toro non poteva finire in serie B. E invece, in quella triste domenica di fine giugno trascorsa su a Fenils tra i libri dell’esame di maturità e le voci gracchianti dell’autoradio, è successo davvero. Il Toro le aveva prese anche a Lecce ed era inesorabilmente retrocesso. Una cosa assolutamente nuova ed impensabile per me, che non ricordo lo scudetto, ma che ho visto il Toro giocare in Coppa Uefa fino ad un paio di stagioni fa.Come abbia potuto accadere non si sa, ma sta di fatto che è accaduto. Sta di fatto che la squadra messa insieme da Gerbi e De Finis, che sulla carta non sembrava male, si è rivelata un colabrodo. Muller, che doveva essere il nostro fiore all’occhiello, ha segnato, tra una fuga in Brasile e l’altra, gol importanti. Gli altri stranieri, ovvero Skoro ed Edu Marangon, si sono rivelati evanescenti. E anche i pochi punti di forza come Cravero e Fuser hanno finito per farsi coinvolgere dalla negatività generale. Non è bastato cambiare un presidente e tre allenatori. Non è bastato battere l’Inter, già campione a ritmo di record, alla penultima giornata. Le speranze si sono infrante quel giorno a Lecce. Siamo in B. Saremo anche il Toro, ma dovremo lottare al pari di Licata e Barletta per tornare subito in serie A.Il Presidente Borsano sembra avere progetti ambiziosi. Dopo la retrocessione, ha subito dichiarato che non avrebbe ceduto i pezzi migliori, ovvero Cravero e Muller. E così è stato! Se ne sono andati Fuser e Comi, ma al loro posto sono stati acquistati fior di giocatori come i giovani terzini Mussi e Bianchi, il centrocampista Romano, già pedina fondamentale del Napoli campione d’Italia nell’87, l’attaccante ex juventino Marco Pacione e l’esterno dal sinistro al fulmicotone Roberto Policano. Anche Lentini, dopo un anno di prestito all’Ancona, è tornato nella squadra che lo ha fatto crescere e lo ha lanciato. Secondo me è un grande giocatore, anche se è un po’ indisciplinato e temo che questo potrebbe causargli qualche difficoltà con Fascetti. Già, perché quest’anno il Toro sarà affidato al burbero tecnico toscano che si è subito detto onorato di guidare anche in B una squadra con la nostra storia. Il Mister è sicuro che questo Toro non avrà problemi a risalire subito in A. E in effetti, sulla carta, non abbiamo rivali. Nessuna squadra può vantare un organico che si avvicini al nostro. Ma non si sa mai. E poi ci sono tanti sedicenti esperti che dicono che per far bene in serie B ci vogliono dei giocatori di categoria. Non ho mai creduto molto a questa teoria: a mio avviso, se hai un organico competitivo, vinci comunque in serie A come in B. Questo Toro ha una rosa da metà classifica in A e, secondo me, dovrà mangiarsi il prossimo campionato. Almeno io ci credo ciecamente e non ho indugiato un attimo, quando si è trattato di fare l’abbonamento.L’estate sta per finire. A luglio, qualche giorno dopo l’orale della maturità, sono stato per la prima volta a vedere una tappa del Tour de France sull’Izoard: un Tour vinto dall’americano Lemond per soli otto secondi sul malcapitato Fignon (sarà mica del Toro?); è stato uno spettacolo inimmaginabile e vorrei ancora continuare a viverlo in futuro. Poi, ad agosto, sono stato in Sardegna con i miei zii: dovevo rimanerci per due settimane, ma dopo una ero talmente stufo da decidere di prendere da solo il traghetto e scappare su a Fenils dai miei amici . Purtroppo, come sempre, sono arrivato tardi: tutte le ragazze francesi avevano già un accompagnatore. E non c’è stato verso di trovare una fidanzata dopo che lo scorso anno Francesca mi aveva lasciato. Peccato. Pazienza.Mercoledì siamo tristemente usciti dalla Coppa Italia perdendo male per 2 a 1 a Messina. Ma speriamo che da domenica, a Reggio Emilia, suoni un'altra musica. Pazienza se staremo fuori dal grande calcio. In fondo sarà per un anno solo. E poi sono certo che ci divertiremo lo stesso.
Anno 2009. Sempre verso fine agosto. Pensieri di un non più giovanissimo malato di Toro.
Anche quest’anno non ci potevo credere. Anche questa volta ci abbiamo sperato fino all’ultimo e invece… Le nostre speranze si sono arenate sul pareggio di Di Vaio nel match di maggio col Bologna. Poi, il Genoa ci ha dato il colpo di grazia due domeniche dopo. Maledetti genoani! Alla faccia di chi ancora li credeva amici. Finalmente hanno capito tutti di che pasta sono fatti! E’ stata dura, durissima. Anche perché da qualche anno vivo proprio a Genova e mi tocca aver a che fare tutti i giorni con quegli esaltati che si credono chissà chi. In questi vent’anni ne abbiamo viste un po’ di tutti i colori: alcune piccole grandi gioie come il raggiungimento della finale Uefa (poi persa alla nostra maniera, cioè per sfiga) e la vittoria in Coppa Italia (anche quella alla nostra maniera, cioè soffrendo come cani). Abbiamo visto tanta, troppa serie B. Abbiamo conosciuto l’onta del fallimento ed abbiamo rischiato di sparire. Poi è giunto Cairo e, la notte dello spareggio sofferto e vittorioso col Mantova, pensavamo davvero che i dolori fossero finiti. Tornavamo in A e credevamo che non avremmo mai più conosciuto la retrocessione, se mai avremmo goduto nel veder sbattuti in B i gobbi. Che anno, che anno quel 2006!E invece, eccoci di nuovo qui al punto di partenza. Qui a parlare di Sassuolo e Gallipoli. Dopo Licata, Barletta e Castel di Sangro, pensavamo di aver già dato abbastanza. Invece non sarà così.Se ne sono andati Rosina e Natali e forse partirà anche Dzemaili. Come Mister è arrivato Colantuono che, se non altro, ha il pregio di averci voluti sin da subito.Sulla carta, la squadra non è male ed ha un attacco indubbiamente da serie A. Sulla carta non dovremmo avere problemi a vincere questo campionato con pochi nomi e poca qualità. Ma non è affatto detto che i nomi siano sufficienti. Lo sappiamo bene, ormai.Dopo un estate trascorsa a rinfrescare le idee in Islanda e poi a seguire per l’ennesima volta il Tour da Monaco, alle Alpi, al Ventoux (una passione che non mi abbandona da quel 1989), siamo pronti a cominciare.E sarà subito complicata, visto che il Grosseto ha dimostrato l’anno scorso di essere una buona squadra. Inoltre, in maremma il Toro non ha mai giocato, e ci aspetteranno tutti come se dovesse scendere in campo il Real Madrid. D’altra parte, quest’anno siamo l’unica squadra in B ad aver vinto lo scudetto. Per ben sette volte, aggiungo io. Ma in tempi così lontani che, anche chi già vent’anni fa viveva di pane e Toro, non riesce a ricordare più. Torneranno mai quei tempi là? Forse sono pazzo a chiedermi una cosa del genere proprio ora che stiamo per iniziare l’ennesimo campionato di B. Vent’anni fa passammo in due anni dal campo di Licata a quello del Bernabeu. Non voglio sperare tanto. Mi auguro solo che si possa tornare subito in A per rimanervi finalmente in maniera dignitosa e senza le sofferenze incredibili che hanno caratterizzato le ultime nostre stagioni. Per questo, malgrado tutto, anche quest’anno sia io che mia moglie abbiamo sottoscritto l’abbonamento. Anche se abitiamo da anni a duecento chilometri da Torino. Anche se sarà difficile, a volte impossibile, vedere le partite del lunedì o del martedì. Anche se Cairo non è il Presidente miliardario che tutti sogneremmo. Anche se a Livorno, in Coppa Italia, abbiamo rimediato una figuraccia. Anche se (o proprio perché) sono tempi duri. Anche se (o proprio perché) allo stadio saremo quattro gatti. Dobbiamo tornare su immediatamente, perché altrimenti rischieremmo davvero di scomparire. Per questo noi saremo sempre là, come vent’anni fa, a sostenere il nostro Toro. Verso la risalita. Verso la rinascita.
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