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La testa tra le mani

La testa tra le mani - immagine 1
di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

Immaginate una città di notte, vista dall’alto.Immaginate di essere su di un satellite, che per qualche motivo sta scendendo, o che ne so, su una mongolfiera sulla quale è stata posta una telecamera che sta riprendendo la scena.Si intravede una ragnatela illuminata, formata dalle strade lontane.Si sente un lontanissimo ronzio provenire dalle case, ancora molto in basso.La telecamera scende molto lentamente verso i quartieri. E’ quasi estate, le finestre sono aperte, e le luci creano un mosaico suggestivo di lumini.L’inquadratura scende ancora. Il ronzio lontano diventa un vociare appena percepibile, ma che sa di concitato.Ancora più in basso.I tetti delle case di quello che un tempo doveva essere un quartiere periferico, i lumini diventano lucciole, i fili della ragnatela diventano strade deserte, il vociare diventa frenetico, metallico, concitato.Ancora più in bassoLe strade sono pressoché deserte, qualche lontano faro proietta il suo cono di luce sul nulla.Ora il vociare è distinto e arriva dalle finestre aperte, nelle quali si intravede la luce bluastra dei televisori.- L’arbitro non fischia ancora… siamo già a sei minuti di recupero… - cantano le finestre in coro.Sullo scalino di un marciapiede di una strada deserta, si intravede un ragazzo seduto di fianco ad una macchina scura.La telecamera vola ravvicinata.Si scorge distintamente la macchina incidentata e lui seduto con la testa tra le mani.- L’arbitro non fischia ancora… siamo già a sei minuti di recupero… - rimbombano le finestre in un canto raggelante – L’arbitro non fischia…

 

Le finali di Coppa Italia, per noi granata hanno un sapore sinistro.Quante ne abbiamo perse, negli ultimi trenta anni?Dunque, vediamo… Cominciamo con quella del 1979-80, finale unica all’Olimpico contro la Roma, ne abbiamo parlato un po’ di tempo fa. Quella terminata ai rigori, quando sarebbe bastato segnare solo uno degli ultimi due penalties per conquistare il trofeo...Perdemmo.Perdemmo male, sbagliando tutto, ma si replicò l’anno seguente, questa volta con doppia finale.Uno a uno a Roma, con buona prospettive per il ritorno.Quella volta però capitò qualcosa di strano.Nei giorni precedenti la finale di ritorno, i media cominciarono a “vociferare” che la “geografia calcistica” italiana sarebbe stata meglio rappresentata se la Roma fosse riuscita a vincere la Coppa.Traduco dal mafioso all’Italiano: la squadra vincente della Coppa Italia, si sarebbe qualificata di diritto alla Coppa delle Coppe. A Torino, purtroppo, c’era già una squadra qualificata per le coppe Europee.A Roma no, questa la traduzione del messaggio trasversale.Per l’arbitraggio della gara di ritorno fu designato Michelotti, alla sua gara d’addio.Teniamo in mente questo.Non Michelotti, ma le parole “alla sua gara d’addio”. Ci torneremo più tardi.Nella finale di ritorno, dunque, si passò in vantaggio grazie a una staffilata di Cuttone, ma nella ripresa Michelotti giudicò da rigore una leggera spallata di Zaccarelli che difendeva un pallone destinato comunque ad uscire.Te pareva. Tiro di Di Bartolomei e gol.Si andò ai rigori anche quella volta.E come finì? Il solo fatto che si sia andati ai rigori dovrebbe dirla lunga.Per gli altri sbagliò proprio Di Bartolomei. Per noi Graziani e Pecci, in procinto di passare alla Viola.E due.Ancora l’anno dopo (tre di fila), perdemmo la finale di andata contro l’Inter, a San Siro.Nella gara di ritorno Cuttone (destino), ci portò in vantaggio e pareggiò il conto dei gol.Dopo soli nove minuti però, il povero Copparoni, sostituto di Terraneo (infortunatosi a Milano) uscì malauguratamente a vuoto e permise ad Altobelli di siglare l’1-1 finale.E tre.Finita qui? Figuriamoci.Qualche anno più tardi un gagliardo Toro fu beffato da arbitri, sorte e Sampdoria nella consueta doppia finale.Era il 1987-1988. A Marassi Briegel, con un tiro tutt’altro che irresistibile, e Vialli, siglarono il doppio vantaggio blucerchiato.Cravero nella ripresa portò la squadra sul 2-1 ma Casarin, alla sua gara di addio…. ALLA SUA GARA DI ADDIO… annullò, su indicazione dell’arbitro Magni di Bergamo, in quella occasione guardialinee.Al ritorno il Cuore Toro non bastò. Due autoreti su nostro insistente forcing ristabilirono la situazione, ma un tiro di Salsano con Lorieri fuori porta chiuse il discorso ai supplementari.E con questa fanno quattro.Ce ne sono altre? No, ma possiamo sottolineare la nostra cronica tendenza a perdere finali, aggiungendo a questa amara conta anche la triste conclusione della cavalcata europea del 1992.

 

Lo spirito col quale affrontammo la Roma, guarda chi si rivede, nella finale della Coppa Italia 1992-1993, fu quella dei grandi numeri, al grido “Non può sempre andare male”.Giusto il ragionamento che, qualunque cosa tu stia facendo, te lo fa fare con una mano sola.Arrivammo all’ennesima finale, sull’ultimo vagone del convoglio Borsano, partito quattro anni prima, e deragliato da un annetto, convoglio condotto da Goveani, che avrebbe presto imboccato il binario per la Stazione delle Disgrazie.Quell’anno eliminammo nell’ordine: Monza, Bari, Lazio (dopo un rocambolesco ritorno nella nebbia) e soprattutto i gobbi, strozzando loro in gola, con Aguilera, l’urlo per il gol di Ravanelli, che aveva segnato un attimo prima.In finale dunque ecco la Roma, che arrivava dall’esaltante semifinale contro il Milan stellare.Non ricordo più il come e il perché, ma i giallorossi commisero un grossolano passo falso prima di quella finale. Sia il portiere titolare (Cervone) che quello di riserva (Zinetti), si fecero squalificare, forse dopo un battibecco negli spogliatoi con un arbitro.Non chiedetemi, non ricordo i dettagli.Il dettaglio vero e proprio fu che i capitolini dovettero schierare come titolare, il portiere della Primavera Fimiani, scelta obbligata che si rivelò in qualche modo decisiva.

 

Il 12 giugno del 1993, il Toro si impose nella finale di andata con un sonante 3-0.Segnarono Silenzi (tiro deviato dall’ex Benedetti), Cois e Fortunato, che ribadì in rete dopo un’avventata uscita del portierino giallorosso.3 a 0 e chi ci pensa più. E’ fatta.Giusto?Immagino la vostra risposta.Giusto un accidenti.Cominciò così una settimana di scongiuri, nell’attesa della finale della domenica sera, 19 giugno.Una settimana in cui veramente, qualsiasi cosa si faccesse, era sempre fatto con una mano sola, poiché l’altra era impegnata.Perdonatemi. Così andò.

 

Non mi fido, non mi fido, non mi fido, e non c’entrano i cani.I giorni che precedono la finale sono un escalation di terrore e di mani che diventano via via gelide.Qualcuno degli amici va a Roma, altri vogliono andare in Piazza San Carlo, dove c’è un Maxischermo.Io no, sono troppo teso. Deciso. Si guarderà la partita col mio amico Danilo e la sua ragazza, che abita a Santa Rita.E poi dopo… se… Se niente.Ricordo ancora cosa dissi a mia madre prima di partire per Toro-Samp 1988.- Se vinciamo torno tardi, perché vado a festeggiare in centro…Già, bravo fesso. Col cavolo che tornai tardi, nonostante i supplementari.

 

Parto di casa un’ora e mezza prima del match, senza mangiare perché ho lo stomaco chiuso, ovviamente. Se partecipazione deve essere, che sia totale.Lungo la strada mi carico di negatività in un processo di preoccupazione che peggiora con i minuti.Continuo a pensare che a Roma non abbiamo fatto che perdere per anni e anni e, come buona abitudine, c’è spesso stato fischiato qualche rigore contro.Già, i rigori mi tormentano.Non riesco a non pensarci.

 

Rigori! Come se la storia nostra e dei giallorossi non fosse passata già fin troppo per i penalties.Le vie scorrono oltre i vetri della mia macchina, mentre guido tesissimo verso casa del mio amico.Rigori – rigori – rigori la parola mi assilla.Mentre le vie scorrono, mi appello a tutte le mie facoltà mentali e soprattutto medianiche, che non possiedo e mai possiederò, affinché non finisca 3-0 e non si vada ai rigori.Prego, prego, prego anche santi che non conosco e che probabilmente non esistono.- Beh, anche se si andasse ai rigori, non può sempre andargli bene, non può!!! – urlo come un indemoniato, richiamando l’attenzione della gente ferma al semaforo, presumo terrorizzata. Già, alla Roma non può andare sempre bene, penso, però i miei calcoli sono sbagliati, perché mi dimentico che la Roma ha già pagato pegno nella finale del 1984 contro il Liverpool.Pensieri terribili.

 

Ma non è solo questo a tormentarmi.C’è un altro concetto, che fa il suo giretto nel subconscio ed è nato qualche anno prima.E’ fatto da poche parole e ha a che fare con un arbitro.Gara d’addio…Arbitro alla sua gara d’addio.Tutto combacia e diventa nitido come una lama di ghiaccio.Arbitrerà Sguizzato di Verona, alla sua gara di addio…Come lo era stata per Michelotti.E poi per Casarin.Un bel commiato, una bella uscita dal palcoscenico.Saranno anche solo coincidenze, ma certo!Mi rassegno. Un rigore ci sarà, è inevitabile.Se solo sapessi che nello stesso istante, all’Olimpico di Roma, le hostess della tribuna stanno distribuendo gli inviti per la festa che si terrà dopo la gara per celebrare la vittoria della Roma, allora mi fermerei, cambierei strada e manderei tutti a stendere.Forse farei bene, con quello che capiterà tra pochi incroci.

 

Non dovrei caricarmi di negatività.Invece me ne carico eccome.Ma sono quasi arrivato a casa del mio amico.Un semaforo, scatta il verde e poi via.Attraverso l’incrocio.Forse ho pregato troppo, forse per i santi sbagliati.Forse non mi aspetto che arrivi chi sta arrivando.Da destra, una sagoma scura.Ma la vedo tardi, quando è già dentro la fiancata.

 

Non faccio in tempo a realizzare che qualcuno possa passare col rosso pieno.Lo capisco dal colpo, una di quelle terribili situazioni nelle quali un attimo dopo è troppo tardi per tornare indietro a un attimo prima.Tutto passa in secondo piano. La Coppa, le maglie granata, Sguizzato, i rigori.Non c’è più nulla. Tutto è sparito. In un rumore che assomiglia tanto a CRASH.

 

Sono intero, la macchina No.Lo capisco già da dentro. Ho paura di quello che vedrò quando uscirò tremante dalla vettura, o da quello che ne resta.Non so cosa sia passato per la testa al tipo della Lancia Prisma, a cosa stesse pensando, se a sua sorella, alla professione della medesima, al Sudoku che non esiste ancora o a Sguizzato pure lui.Non lo so.Ho la netta sensazione che il Toro vincerà la Coppa da quel momento.Ho pagato pegno.

 

Arrivano in un attimo i Falchi, quelli che corrono sui carri attrezzi.Ma non ne voglio sapere, esaurite le formalità delle quali avrei fatto volentieri a meno, prendo quello che resta della mia povera macchina e mi trascino ai 15/h circa fino a casa del mio amico, abbandonando la vettura sotto casa sua.Non ci credo.Cavoli, veramente non ci credo.

 

Entro in casa, stipata di amici, quando la partita è già iniziata da quindici minuti. Ancora 0-0, ma in quel momento ho altro per la testa.Telefono a casa per far sapere la novità a mia madre, ma non termino la frase.- Ciao… brutte nuove… volevo dirti che… Rigore, maledizione!- Eh ?- Rigore porca... di quella…- Mi hai telefonato per dire parolacce?- Ma no... è che ho bocciato e che… si è tuffato! Guarda come si è tuffato quel…- Hai bocciato o si è tuffato?- Ti chiamo dopo ciao.

 

Poche storie. Il momento atteso è arrivato inevitabile.Carnevale plana in area e Sguizzato fischia solerte.Gol di Giannini. 1-0.Mi siedo finalmente sul divano.Sono allegro quanto un tedesco morto da due giorni.

 

Devono farne altri due, ma ci difendiamo con ordine e io non so se soffro di più per la partita o se è meglio distrarsi guardando i rottami quattro piani sotto.Come una luce nel buio, arriva la rasoiata di Silenzi all’ultimo minuto del primo tempo, deviata da una gamba di Benedetti.E’ un boato. Urlo anch’io dalla finestra.Poi guardo in strada e non urlo più.

 

Sembra fatta, ancora una volta.Soltanto una banda di pazzi potrebbe prendere quattro gol nella ripresa, tanti ne servono agli undici capitolini.Ma dimentico il dodicesimo.

E’ una Roma disperata, ma determinata quella che torna in campo nella ripresa.La Roma degli Hässler, dei Giannini, Aldair, Mihajlovic e Carnevale. Ma anche una Roma che si incrocia e stranamente col granata, con Garzja, Benedetti e Rizzitelli.E con Comi e Muzzi, che entreranno più avanti.Si ricomincia dunque. Tempo due minuti e ne abbiamo già preso uno.Corner e Rizzitelli di testa fa 2-1.No, no, no, no…. Ho bisogno di tranquillità, non di cominciare in questo modo.Tempo altri due minuti e Hassler plana in area.Rigore, Sguizzato non si fa pregare.Boccheggio. Peggio di quanto pensassi.Giannini, rete. 3-1.Ora alla Roma mancano due gol. Questa è la sceneggiatura di un dramma, che mi ha intrappolato nella sua rete.Basta, me ne vado.

 

- Ma che fai, dove vai?- Lasciatemi stare…!- Ma dove…- Vado via, in giro, lasciatemi stare!Il mio sistema nervoso si è frullato in pieno e ora ho mollato gli ormeggi.Non ce la faccio più a stare di fronte a quel televisore.Comincia il mio personalissimo balletto con l’ascensore di quella casa.Primo viaggio, dunque, da su a giù.

Arrivo in strada, non faccio a tempo a vedere il povero rottame, che un boato mi fa sobbalzare.- Torna su!!! Ha segnato Silenzi! – urlano dalle finestre.Mi catapulto quasi felice nuovamente nel palazzo. Ora la Roma dovrebbe fare altri tre gol, un’enormità.Secondo viaggio, dunque, da giù a su.

Entro in casa e gli altri sono raggelati.Rigore per la Roma, ridicolo.Mi appoggio alla parete sperando che crolli.Giannini, gol ancora. 4-2.Me ne vado di nuovo.

Terzo viaggio, dunque. Di nuovo da su a giù.Ho perso completamente il lume della ragione, semmai ne ho avuto uno.

 

La scena è surreale.Cammino disperato e non so più dove buttare la testa.Santa Rita è un quartiere che non conosco e non so dove andare.Ho solo voglia di allontanarmi da quella follia mafiosa che a Roma sta spazzando il mio Toro via dalla logica.Marciapiedi grigi che scorrono veloci sotto i miei passi.La testa bassa, parlo da solo.Nell’aria ronzano le finestre con la telecronaca che arriva da tutte le parti.Non vanno ancora di moda le telecronache-ansiose-per-forza, e quella partita non ne ha certo bisogno.Ogni contrasto è un urlo che sembra un gol, ogni volta che la palla è in area ti sembra di essere da solo di fronte alla Curva Sud che urla.Quanti dovrebbero ancora farcene? Due?Ci sono troppi televisori, voglio fuggire da questa eco.C’è una vecchia cascina abbandonata nei paraggi, mi allontano lungo i suoi contorni, dove l’audio non possa raggiungermi.Quanto manca? Mi ripeto che, comunque vada, tra mezz’ora sarà tutto finito, tutto finito.

 

Chi ha vissuto quella sera, all’olimpico, in Piazza san Carlo dove si trovava il maxi schermo, in casa, o dovunque si trovasse, ricorda spesso quelle ore come una tragedia.Chi aveva voglia di piangere, chi mandava a stendere tutto e tutti, chi ancora assisteva impotente ad un anticipo di calcio moderno, e si chiedeva se valesse veramente la pena di essere onesti al mondo.

 

Scorrono i minuti.Un boato!Ho sentito un boato! Ho sentito gente che urlava…! Dai che se abbiamo fatto il 4-3 è finita, hai voglia a farcene altri tre…!Sono distante dalle finestre, distante dalla casa del mio amico, così mi metto a correre verso il fondo di una via, dove vedo l’unica insegna illuminata.E’ un bar, sento l’audio di una radio.Entro e riesco a trattenermi, riesco addirittura ad ordinare un cappuccino al volo, mentre cerco di afferrare la radiocronaca concitata.- Cosa è successo? Chi ha segnato? – chiedo.Dovrei capirlo, ho tutti gli elementi per comprendere quello che è successo.Ma sono un ingenuo, un terribile ingenuo. Dovrei intuirlo dalla faccia del barista e da quel suo mezzo sorriso, mezzo ghigno, oppure dal volto delle altre persone lì presenti.Quelle non sono facce da Toro. Quelle proprio no.Ma me ne accorgo troppo tardi.E nello stesso istante mi rendo anche conto che il luogo dal quale sono partite le urla, è quello lì.- Ha segnato la Roma. Siamo 5-2!!!

 Non so voi, di fronte a una situazione imprevista come quella, che ti porta al limite.Come avreste reagito?Con un balzo salto sul bancone del bar, afferro un rasoio e recido con un taglio preciso e netto la giugulare del gobbo, che comincia a sprizzare sangue da tutte le parti.- Ridi adesso, se ti riesce… - urlo, mentre le pareti si macchiano del suo… del suo…STOP! Mi dice il regista della storia che vi sto raccontando. Me stesso in pratica.- Non è andata così… raccontala giusta. Dai, giriamone un’altra…Ok, ok, ok, lascio cadere il rasoio insanguinato con molto rammarico.

 

- Ha segnato la Roma. Siamo 5-2!!!Avessi avuto davvero un rasoio tra le mani, o una bella motosega, forse oggi non sarei qui a parlarvi di quella sera. O magari scriverei “Istantanee da Alcatraz”. O Alcatruz, la prigione per gobbi.Ricordo quel sorrisetto arrogante, già visto mille volte, di chi traveste una vita banale con il tifo per la squadra del branco.Rimango impassibile senza dire nulla, fingendo addirittura di interessarmi all’espositore delle caramelle, dando un’occhiata al giornale e guardando oltre la vetrina, come in attesa di un amico che non arriva.So che il barista mi sta guardando. Lui ha la faccia da gobbo, ma io ho la faccia da Toro e sono riconoscibile… Sa che sto soffrendo, ma non voglio dargli la soddisfazione di battere ciglio. Dentro il mondo muore, ma l’esterno deve sembrare di ghiaccio.Bevo il mio cappuccino indigesto e me ne vado.Non dimenticherò mai quegli attimi.Quando torno, più tardi, a vicenda conclusa, per sghignazzare in faccia a quel tomo, il bar è già chiuso.Conigli.

 

Cammino lentamente, le mani in tasca, lo sguardo sbarrato.Non ho più pensieri, e neanche improperi che possano inclinare il campanile di Santa Rita.Cammino, cammino e cammino ancora, fino a ritrovarmi quasi inconsapevolmente di fronte alla mia vettura, sotto casa del mio amico.Prego solo che finisca tutto in fretta.Se la Roma deve fare il sesto gol, allora che lo faccia e stop.Non voglio nessun pensiero che possa legarmi alla parola speranza, per poi vedermela soffiare via agli ultimi istanti.Mi siedo sul marciapiede, accanto alla mia macchina.O a quello che ne resta.

 

Ho la testa tra le mani.Non voglio sentire, ma l’audio arriva ovunque, mi fa impazzire.E’ un arrembaggio, mischie furibonde.La parola PALO rimbomberà a lungo nella mia memoria.- L’arbitro non fischia ancora… siamo già a sei minuti di recupero… - cantano le finestre in coro.Ascolto il mondo con l’attesa dell’inevitabile, sulle onde di quella buffonata.Undici minuti di recupero, oltre a tre rigori, gran performance, complimenti.Io non so se qualcuno da lassù ha avuto pena di noi, fratelli.Ovunque noi fossimo, chi allo stadio, chi alla tv, chi disperato in mezzo a una strada.Forse fummo tutti insieme.

 

Gli istanti finali della nostra storia, sono semplici, amici.Di una semplicità disarmante.Un altro urlo e poi la voce di Danilo dalla finestra.- Vieni a brindare! E’ finita!Mollo gli ormeggi delle lacrime, tanto nessuno mi vede, forse neanche quel satellite lì, o quella mongolfiera che sia.Aspetto un paio di minuti prima di tornare su.Il quarto viaggio, da giù a su, sarà quello per vedere alzare la Coppa.In centro andrò con la macchina di Danilo.Forse c’è un prezzo da pagare per certe cose.

 

I danni alla mia vettura furono calcolati i 5.250.000 di lire. Niente male per il 1993. Le assicurazioni però esistono per questo, sempre che paghino. Quella volta per fortuna lo fecero.Molti mi consigliarono di rottamare la vettura, ma tendo ad affezionarmi alle cose, oltre che alle persone, così la feci riparare e negli anni ne vide ancora parecchie.…Avventure, sciocchi!

 

Dopo anni ho localizzato quel bar, diventato con poi ritrovo di attaccabrighe.Ora ha chiuso, dopo che la polizia era ferma lì davanti una sera sì e l’altra anche.Non ho mai dimenticato l’espressione di quel barista, mentre sperava, sperava e sperava.Peccato per lui, quella sera gli andò male.E anche nella vita, a giudicare dalla squadra per la quale probabilmente faceva il tifo.

 

La testa tra le mani.Quante volte l’abbiamo avuta, seduti su un marciapiede, tra i rottami.Poi il Toro, alle volte ti aiuta a rialzarti e c’è un ascensore da prendere.Qualche volta è stato lui, altre volte siamo stati noi a dargli una mano perché si rialzasse.Sarà. Forse in fondo in fondo, questa è una storia di amicizia.

 

Immaginate una strada inquadrata dall’alto.Da un satellite, da una telecamera su una mongolfiera, da quello che volete.Un ragazzo è seduto su di un marciapiede, di fianco ad una macchina incidentata, con la testa tra le mani.Si sente un vociare frenetico dalle finestre, che sono punti azzurri luminosi.Il vociare è frenetico, sempre più frenetico.Poi si sente un boato liberatorio.Il ragazzo resta un po’ lì a testa china, poi si alza lentamente ed entra nel palazzo di fronte.C’è un ascensore che lo aspetta, e poi l’abbraccio degli amici.L’inquadratura risale lentamente Le strade sono ancora quasi deserte, ma qualche faro comincia a muoversi e pare quasi di udire il suono insistente di clacson che si accavallano.E mentre la nostra mongolfiera si alza ancora, e torna lentamente a inquadrare la ragnatela di luci, che ora si sono trasformate in fari diretti verso il centro, questa storia si confonde con le mille altre che non sono ancora state raccontate. 

Che quella notte si incrociarono e spinsero, con la loro disperata energia, il Toro a non mollare e a vincere quella Coppa. Mauro Saglietti

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