mondo granata

La villa dei misteri – 1) La tripletta di Pulici

La villa dei misteri – 1) La tripletta di Pulici - immagine 1
di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

Ricordo ancora quando entrammo per la prima volta nella Villa dei misteri.Allora non la chiamavamo ancora così, naturalmente.Era semplicemente la “villa abbandonata sul lago”, situata curiosamente vicino ai giardinetti e al campetto da calcio, dove trascorrevamo le nostre giornate.A quindici anni si comincia a scoprire l’altro sesso, oppure ci si dedica al motorino. O forse alla musica e allo sport.Noi niente di tutto questo.La nostra passione erano le case abbandonate. Forse per qualche strano motivo legato all’attrattiva magnetica del mistero, o forse semplicemente per incoscienza.O forse ancora perché era già tutto stabilito, in quella lunga e bizzarra marcia di avvicinamento verso il destino.Avevamo cominciato l’estate precedente, quella del ’75, entrando nella vecchia villa Squalleri sulle colline poco distanti dal lago, quindi penetrando nell’ex ospedale psichiatrico, quello chiuso da qualche anno, forse ne avrete sentito parlare anche voi.Non cercavamo nulla, se non forse vincere noi stessi e farci forza a vicenda.Non sapevamo neanche di commettere un reato, forzando porte chiuse su stanze dimenticate.Con quelle due visite pensavamo di aver terminato la nostra esperienza con le case abbandonate, ma non avevamo fatto i conti con la “Villa dei misteri”.

Da anni vedevamo i suoi finestroni che si affacciavano sul lago, talvolta inondati di sole, altre volte occhi sinistri, quando le giornate erano grigie e le ombre si allungavano.Ah, quasi mi dimenticavo di presentare i protagonisti di quei giorni.Eravamo in tre. Oltre al sottoscritto c’erano anche i miei due amici estivi: Giancarlo e sua sorella Stella. Abitavano nell’appartamento sottostante a quello della mia famiglia. La nostra casa in campagna, nei pressi del lago, nella quale non trascorrevamo soltanto buona parte dell’estate, ma anche molti week-end durante l’anno. La villa, dicevo, sembrava attenderci da tempo. Era sempre stata lì eppure la curiosità nei suoi confronti era cresciuta lentamente. Eravamo tutti e tre appassionati giallisti e nei mesi estivi del 1975 trascorrevamo le ore nei pressi del canneto, lungo i giardini, a leggere ad alta voce i libri di Agata Christie. Che momenti ragazzi, pensando agli istanti finali di quei gialli, con la voce che tremava, mentre improvvisamente la persona meno sospettabile si rivelava un astuto assassino! E i lunghi momenti trascorsi sui teli nell’erba, a riflettere stupiti su quanto avevamo letto, con la villa che incombeva poco lontano.- Pensate se lì dentro fosse stato commesso un omicidio…Tutto cominciò così, con quella frase. Da lì a provare curiosità il passo fu breve.Ci incuriosiva in particolare sapere perché una casa così moderna fosse completamente disabitata da tempo. Doveva essere stata costruita nei primi anni ’60 ed era circondata da un ampio giardino, ormai invaso dalla vegetazione.Anche se frequentavamo quel luogo dall’infanzia, l’avevamo sempre vista chiusa e non avevamo memoria di un proprietario o abitanti.Occorse però un anno prima che le nostre strade incrociassero la Villa dei misteri.

Quando ci ritrovammo, in una domenica di primavera del 1976, il lago non era ancora ospitale come lo sarebbe stato nelle giornate estive, tuttavia lungo le rive si erano radunati molti cittadini in fuga anche solo per un pomeriggio dalla città sovraffollata.Non avevamo idea di quello che stava per capitare e di quanto le nostre vite potessero essere modificate da un evento apparentemente esterno.Il paese era in fermento.Erano spariti due bambini il sabato sera. Fratello e sorella.Ne parlavano tutti, la voce si era sparsa. Erano stati rapiti? Erano caduti nel lago? Qualcuno gli aveva fatto del male?Io, Giancarlo e Stella avevamo mille cose da raccontarci, ma la preoccupazione per i bambini scomparsi prese il sopravvento.Li conoscevamo appena, un maschietto e una femminuccia di sette e otto anni.La mamma li aveva persi di vista per pochi minuti il pomeriggio precedente, mentre si era attardata a parlare con un’amica, ed i figlioletti stavano giocando con le piccole giostrine dei giardinetti.Un attimo prima c’erano, un istante dopo non c’erano più.Spariti, nessun segnale, nonostante le urla della madre e dei passanti accorsi.Si era pensato subito al lago.Passata la notte, le ricerche si erano indirizzate subito in quella direzione.A casa per noi furono preoccupazioni e raccomandazioni a non finire.Ma eravamo giovani e incoscienti. Se eravamo entrati nell’ospedale psichiatrico l’anno passato, quale pericolo poteva esistere che minacciasse le nostre giovani vite? Quella domenica pomeriggio uscimmo di casa quasi di nascosto e ci dirigemmo, radiolina alla mano, verso il campetto vicino al lago.Il Toro giocava a Como ed era primo in classifica. Arrivammo a spron battuto, sempre in sella ai nostri destrieri a pedali, ma nessuno stava giocando a pallone.Quando posammo le bici contro il piccolo capanno, la radiolina agganciata al manubrio ci segnalò che Graziani, dopo appena dieci minuti aveva portato il Toro in vantaggio.Giancarlo ed io esultammo in solitudine, sua sorella era più distaccata dalla nostra comune passione.Era una tranquilla ragazza dai capelli neri, che talvolta ci stupiva con quello che chiamava “sesto senso”Spesso giocavamo a nascondere una carta da gioco e a fargliela indovinare. Se non azzeccava sempre, quanto meno era difficile che si sbagliasse sul seme della carta stessa. E non indovinava solo questo, molte volte aveva intuizioni su fatti o avvenimenti che ci riguardavano, con nostra grande sorpresa.Le giornate erano già lunghe, ma l’atmosfera era sinistra. Sentivamo i motori della barche, che cercavano i bambinI; un elicottero volteggiava poco più in là. Sapevamo che un gruppo di sommozzatori stava scandagliando il fondo del lago e molte persone si erano radunate per setacciare le campagne tutto attorno.Cominciammo a tirare due calci al pallone di cuoio, nella porta che dava sulla riva, col sottofondo della radiolina, immaginando a turno di essere Pulici e Castellini.Stella invece, da quando eravamo arrivati, continuava a rimanere immobile fissando la villa poco distante.- Che hai? Non giochi con noi? Ti è presa una paralisi?- Cosa c’è? Cosa hai visto?- Sono lì… penso che siano lì…- Chi? I…?- I bambini. Credo che siano lì dentro…

Era pallida e rigida come un baccalà.– Come fai a dire che sono lì? Figurati se non avranno cercato anche lì dentro…- No… non hanno cercato proprio nel posto più ovvio. Ho visto un’immagine, netta. Non ho capito nulla per due secondi e ho visto come… una diapositiva…boh, non so… non era mai capitato prima…Quando parlava così seria non era più la ragazzina che conoscevamo, quella che giocava a pallone con i maschi. Restammo a guardarla indecisi sul da farsi.Nelle nostre menti balenò lo stesso pensiero.- Proviamo a dare un’occhiata, disse Giancarlo - Era più giovane della sorella di un anno, grande, grosso, goffo nel muoversi ma deciso e soprattutto sempre di buon umore.Ci incamminammo lentamente, spingendo le bici a mano. Le voci di Ameri e Ciotti si perdevano nel silenzio irreale di quella giornata. Anche l’elicottero si era allontanato verso l’altra sponda del lago.Per giungere alla villa occorreva percorrere una cinquantina di metri su una strada sterrata che si staccava dalla strada.Appoggiammo le bici alla cancellata della villa e spegnemmo malvolentieri la radio. Non l’avevamo mai vista così da vicino. Una casa moderna, ad un piano, che portava però sulle proprie mura i segni della manutenzione mai eseguita.Tutto attorno avrebbe dovuto esserci uno splendido prato che scendeva verso il lago, ma il pendio era stato invaso da erbacce e canneti. Mi chiesi ancora il motivo per cui una casa così recente, situata in una posizione suggestiva, fosse stata abbandonata.- Qui non c’è niente… se vogliamo entrare dobbiamo essere attrezzati, l’erba è altissima… - dissi guardando la lontana porta di ingresso, una macchia scura e misteriosa.- Aspetta un momento! – disse Giancarlo. Era bravo a cogliere i dettagli. Indicò un punto poco oltre il cancello - Qui è passato qualcuno di recente. L’erba è schiacciata… guardate… -Una piccola striscia di vegetazione era inclinata come se qualcuno vi avesse recentemente camminato sopra. La traccia partiva dal cancello e si perdeva in direzione della casa.- Avete sentito anche voi? – ci interruppe Stella in maniera agitata. Guardai Giancarlo dubbioso. Io non avevo sentito nulla.- Che cosa?- Zitti… Gian, non muovere i piedi…! - trascorse qualche istante di assoluto silenzio.E poi udimmo.Un pianto sommesso. Un pianto di un bambino.Raggelai. Il pianto proveniva dalla villa.

 

- Sono lì dentro! I bambini sono lì dentro! – disse freneticamente Stella. – Dobbiamo andare a prenderli.Cominciammo a gridare “Ehi!”, “C’è nessuno lì dentro?”, più per farci coraggio vicendevolmente e per fare rumore che per reale volontà di fare qualcosa.Il piantò aumentò di intensità. Sentimmo delle voci.- Dobbiamo entrare – insistette Stella.Il cancello era scostato dal battente per una decina di centimetri. Spingemmo in avanti, ma la sterpaglia bloccava ogni ulteriore movimento. Per due bambini poteva essere stato facile strisciare lì dentro. Faticammo non poco a non graffiarci contro il metallo arrugginito. Giancarlo, che era il più grosso, si strappò malamente la camicia.- Questi saranno tutti cavoli miei a casa…Seguimmo la traccia nell’erba alta e arrivammo al portico, invaso di foglie secche.La porta di ingresso, era aperta, spalancata.Una macchia sul nero.Dall’interno un pianto soffocato.Non so come fu possibile. Per me fu una cosa innaturale.In condizioni normali avrei avuto paura e non mi sarei avvicinato.Poteva esserci chiunque all’interno.Mi diressi verso l’ingresso.Vidi delle scale che salivano verso il piano superiore.Della luce filtrava da una finestra in alto.Sulle scale intravidi due figure nere.Erano i bambini.

 

Avrebbero benissimo potuto essere due mostri, non riuscivo a distinguerli.Entrai, ignorai le macchie nere ai lati, porte su stanze buie, e salii le scale.Non ero solo. Giancarlo mi aveva seguito.Il maschietto si ritrasse impaurito piangendo, vedendoci. Aveva quello che credevo fosse un giornalino tra le mani.- Siamo amici, vi portiamo dalla mamma.Udii la mia voce rimbombare tra le stanze. C’era un’aria strana su quelle scale di marmo polveroso.Stella entrò e si prese cura della bimba, noi sollevammo il maschietto, che lasciò cadere il giornalino e scappammo fuori.

 

La luce del giorno, all’esterno del cancello sembrò calmare il bambino. Il viso nero per la polvere rigato di lacrime.- Come siete finiti lì? Cosa è successo? –  chiese dolcemente Stella.- …Un signore ci ha portato via… ci ha rubato… - disse la femminuccia poco turbata, cercando con gli occhi lo sguardo timoroso del fratellino.Ci guardammo un po’ spaventati.- Dobbiamo riportarli in paese, ragazzi – disse Stella.Caricai il bambino sulla mia bici, Giancarlo fece lo stesso con la bimba e partimmo il più in fretta possibile.

 

Pedalai con fatica, il peso del passeggero che sbilanciava la bici a destra e sinistra.Avevamo in mente soltanto di riportarli a casa il più presto possibile e certo non immaginavamo ancora che avremmo scatenato un vespaio di domande e sospetti al nostro ritorno.Le partite erano agli sgoccioli e la radiolina cantava le note vocali di “Tutto il calcio minuto per minuto”, sbatacchiando da una parte all’altra del manubrio.- Ha vinto il Toro? – mi chiese il bimbo, improvvisamente calmatosi, aggrappato con le mani sudice alla mia maglia.- …Sta vincendo 1-0… - risposi sbuffando per le pedalate. Udivo il rumore delle bici di Giancarlo e Stella poco dietro.- Ha segnato Pulici?- No, Graziani…- Pulici ha fatto tre gol con la Fiorentina! Abbiamo vinto quattro a tre!Non lo stavo praticamente ascoltando. Avevo in mente soltanto la mia fatica.- Cosa dici?- Pulici ha fatto tre gol con la Fiorentina…- Ma quando? Guarda che stiamo giocando contro il Como… – il bimbo stava straparlando, noi con la Fiorentina avremmo giocato solo la settimana seguente e all’andata avevamo vinto 1-0.- Ho letto tutto in quella casa… ha fatto tre gol. Nell’ultimo ha scartato anche il portiere!- Sì, va bè…- Poi il Toro ha fatto 1-1 con la Lazio, 5-1 col Cagliari e 0-0 col Verona… L’ho letto sui giornali…Guardai Stella che aveva ascoltato la parte finale del discorso e alzai gli occhi al cielo.I due bimbi ci avevano già causato tanti problemi e altri se ne sarebbero presentati di lì a poco. E in più la partita non era ancora finita, non era il caso di stare a concentrarsi sulle loro fantasie.Pulici era a secco da qualche domenica. Magari avesse segnato una tripletta!

 

Ci misero in croce e trascorremmo il resto della giornata a spiegare ai Carabinieri il perché ed il percome si erano svolti i fatti. Credo addirittura che sospettassero di noi. Pensavano avessimo trascinato i bimbi nella villa il giorno precedente.La verità tuttavia non tardò a venire a galla. Fu la bambina a crollare, sotto il peso delle contraddizioni del suo racconto. Si erano allontanati per gioco dai giardinetti e si erano diretti verso la villa, dove si erano introdotti all’interno. Avevano raccontato di aver trovato dei giornalini e di non aver più pensato né al tempo né alla mamma. Resisi conto di quello che avevano fatto e temendo una sonora sgridata, avevano deciso di inventare la scusa del rapimento. Fin quando non erano stati sopraffatti dalla paura per una notte trascorsa in una casa abbandonata, ed eravamo arrivati noi.Nessuno lo diceva, ma gran parte dell’idea fantasiosa sembrava fosse venuta dalla bimba.Una bella bravata per la quale suppongo siano poi volati molti scapaccioni.Ci saremmo aspettati almeno un “grazie” da parte della mamma, invece fummo congedati dalla caserma del paese con frettoloso malgarbo.E a casa non sarebbe stato certo meglio.Mi chiesi a lungo come avesse fatto Stella a capire che i due bimbi si trovavano lì dentro.Ma lei non fu mai in grado di spiegarlo se non con un’alzata di spalle.

 

Dopo quanto era successo, le nostre famiglie decisero che sarebbe stato utile stare lontani dal paese il week-end successivo. In fondo Il Toro era primo in classifica e il padre dei miei due amici si offrì di portarci allo stadio.Di quel giorno è rimasto il ricordo dello stadio stracolmo di gente granata, di Giancarlo e Stella al mio fianco, del boato al primo gol di Pulici. Poi in successione il pareggio di Desolati, il nuovo gol di Pupi, questa volta di testa, il 2-2 di Casarsa su rigore e la rasoiata di Zaccarelli per il momentaneo 3-2, mentre la gobba pareggiava a Napoli e rimaneva indietro in classifica.E poi il contropiede di Pupi. Poco sopra di noi c’era un signore con la radiolina a tutto volume. Ricordo la voce di Ameri che parlava di Pulici mentre vedevamo il nostro eroe in fuga verso la Maratona.Nel tempo di un lampo incastrai i pezzi, tra ricordi, immagini e suoni.

Pulici… Pulici… supera anche il portiere…Pulici…rete!

Pulici ha fatto tre gol con la Fiorentina! Abbiamo vinto quattro a tre! L’ho letto nella Villa

Un boato spaventoso salutò la terza rete di Pupi, la quarta del Toro.Mi voltai nella confusione verso Giancarlo e lo vidi saltare con le braccia verso l’alto.Stella non stava esultando e mi guardava con gli occhi spalancati.Stava pensando a ciò che stavo pensando io, inutile chiederglielo.Però eravamo ancora 4-2… Da lì in avanti fu un susseguirsi di timori, fino a quando, a otto minuti dalla fine, Caso segnò ancora per la Fiorentina.Anche Giancarlo non parlava più. Stella gli aveva ricordato l’episodio.Tutto lo stadio tremava per gli attacchi viola e noi speravamo nel quinto gol, magari ancora di Pulici.La partita terminò 4-3 con tre gol del nostro idolo, come aveva detto quel bimbo.Tornammo a casa felici, però senza parlare.

 

Demmo la colpa ad una coincidenza. O a un caso fortuito del destino.Però quando ci ritrovammo al paese, il week-end successivo, decidemmo di andare a chiedere qualche spiegazione ai due bambini su quello strano fatto.Non li trovammo più, ed era lecito aspettarselo.Dopo la bravata, pensammo che non li avremmo più rivisti per un bel pezzo.Il giorno seguente, domenica, ci incontrammo al campetto. Oramai si era in primavera inoltrata. Uno sparuto gruppetto di ragazzini giocava nella porta opposta al lago. Ancora pochi rispetto al solito frenetico viavai di bici e motorini.Non avevamo voglia di giocare a calcio e non avevamo neanche un giallo da leggere tutti insieme. La temperatura era troppo mite perché non godersela sdraiati sul pendio del lago a guardare le barche, mentre la solita radiolina gracchiava le tappe di un’altra giornata fondamentale, con i granata impegnati a Roma contro la Lazio. Eravamo tesi e curiosi allo stesso tempo.- Cosa aveva detto il bambino? “Ho letto i risultati in quella casa”?- Proprio così…Fummo interrotti dalla radio. Disastro, Lazio in vantaggio, autorete del Poeta.Sprofondammo nel nostro telo. Non era possibile. Sperammo nel pareggio con tutto il cuore, ma il nostro destino sembrava segnato.- Beh – tentai di smorzare la delusione. Almeno ci siamo tolti il pensiero. Il pronostico del bimbo era sbagliato e ci siamo fasciati la…Mi fermai ad ascoltare il tono crescente della voce del radiocronista. Parlava di “disperati attacchi”.. e poi sentì solo “…e c’è il pareggio del Torino!!! Scattammo in piedi urlando increduli per il gol insperato a tempo scaduto.Ma la nostra fu una gioia amara, che sfiorì sul nascere. 1-1, Era il risultato che il bambino diceva di aver letto nella villa.Lasciammo che la giornata si affievolisse lentamente guardando il lago, senza dire più nulla.I miei passarono a prendermi direttamente al campetto con la macchina, per tornare in città.- Penso che dovremmo andare a dare un’occhiata... – dissi ai miei amici prima di andarmene.- Pensateci.

 

Non feci che pensare a quello tutta la settimana. In qualsiasi momento, anche e soprattutto a scuola.Mi chiedevo se Torino-Cagliari, la terz’ultima del campionato sarebbe veramente finita 5-1 e mi augurai con tutto il cuore un risultato diverso, sempre di vittoria ma diverso.Anche gli altri non avevano pensato ad altro.La domenica pomeriggio eravamo di fronte alla villa, armati di stivali e torce e la radio aveva appena annunciato la fine dei primi tempi.Torino 1 – Cagliari 0, gol di Pecci.Ragazzi, dissi… siamo 1-0, possibile che ci saranno tutti questi gol nel secondo tempo? Io non ci credo…Gli altri sorrisero nervosamente.La villa ci guardò, lì di fronte a noi.Spegnemmo la radiolina ed entrammo.

 

La bravata dei bimbi aveva fatto comparire un bel catenaccio al cancello. L’erba era stata calpestata più volte. Qualcuno del paese doveva essere andato a controllare che nella villa non fosse nascosto veramente qualche malintenzionato.Ma noi eravamo molto giovani e soprattutto incoscienti.Non fu un problema scavalcare il muretto di recinzione, neanche per il goffo Giancarlo.Camminammo in silenzio tra l’erba alta, fino al portico e alla porta d’ingresso.Non c’era più la serratura. Giancarlo appoggiò coraggiosamente la mano e spinse. La porta rivelò l’interno.

 

Tutto mi sembrò molto più in disordine del giorno in cui avevamo recuperato i bimbi. Qualcuno doveva aver frugato e spostato delle cose. Le scale erano invase di carte e cartacce, una sedia era rovesciata poco sulla sinistra. Le macchie scure che ricordavo ai lati della porta di ingresso erano ora porte chiuse. L’aria aveva un sapore ignoto. Polvere e ragnatele inondavano il piccolo vestibolo nel quale ci trovavamo, tempestato dal fascio di luce delle nostre torce.- Il bimbo era per le scale… andiamo su…Mi seguirono lentamente come automi sulle scale di marmo, svoltammo sul pianerottolo e facemmo un’altra rampa di scale, curiosamente inondata dal sole che filtrava dai finestroni polverosi.C ritrovammo impauriti e timorosi in un lungo corridoio, sul quale si affacciavano alcune stanze. Tutte le porte erano chiuse tranne una. Era una stanza inondata dal sole, poco oltre sulla destra.Ci tenemmo per mano come bimbi e lentamente, ci avvicinammo alla stanza, temendo di vedere chissà cosa all’interno.

 

Era una stanza che sembrava fuori dal mondo. Inondata dal disordine, ma viva, come se fosse stata abbandonata solo cinque minuti prima. Doveva essere stata la camera di un ragazzo. Una grande finestra lasciava intravedere la vegetazione e il lago. Sulla destra un armadione divano-letto occupava tutta la lunghezza della camera. Altri mobili erano coperti da teli.Per terra tutto era confuso, carte, libri, cartacce.Il bambino diceva di aver letto qualcosa nella casa… qualcosa sui risultati delle partite ancora da disputare. Era assurdo ma cominciammo a cercare, quasi dimenticandoci di essere all’interno di una casa abbandonata.

 

Stella aveva raccolto una foto da terra. Era un’immagine strappata, di cui era rimasta soltanto la parte sinistra.Una bella ragazza con un ciuffo di capelli neri sulla fronte, sorrideva, abbracciata a qualcuno, mentre guardava l’obbiettivo.- Chissà perché questa foto è stata strappata? – si domandò – Qui c’era un’altra persona…Lo strappo era frastagliato come se fosse stata lacerata in un momento di rabbia. Osservai la ragazza della foto. Era un viso conosciuto che dovevo aver già intravisto. Ma non ricordavo dove.- Sarà stata la ragazza di chi abitava in questa stanza… - mormorai, guardando in giro, in tutta quella confusione alla vana ricerca dell’altra metà della foto.- Questi sono dischi… guardate! Qui c’è una collezione incredibile! – disse Giancarlo dopo aver aperto uno scomparto del grande armadione. I dischi erano disposti in orizzontale, coperti da fogli di giornali. Giancarlo si sporse in avanti e riuscì ad afferrare soltanto il primo in cima. Sulla copertina c’era una faccia spaventosa disegnata in rosso.- Cos’è questo? Lo conoscete?- Sì… sono i King Crimson… dissi io. Ero precoce in fatto di gusti musicali.- Ma che roba è? Che significa?- E’ un disco vecchio. Ce l’ho anch’io e non fa per te – tagliai corto – Guarda piuttosto se c’è qualcos’al…- Ehi, date un’occhiata...! – ci interruppe Stella, che aveva rimosso un telo dal mobile lungo la parete opposta, scoprendo così un’enorme libreria. - Alla faccia! – disse il mio amico – Ci vorrebbero cent’anni per leggere tutto questo.Titoli noti, titoli sconosciuti, pagine volanti, tutto disposto senza ordine e alla rinfusa.Giancarlo raccolse una pagina volante - Sembra un diario. - Ne lesse una ad alta voce.

7/12E’ un disonore che il Toro perda in casa.Non capitava dalla partita col Borussia.Arrivo ora dallo stadio. La sfortuna non ci abbandona mai. Si sono fatti male in tre, gli altri hanno picchiato dall’inizio alla fine.Mi sento svuotato.Sarà una lunga notte.E domani ci saranno i Donega a scuola.

- Borussia? Ma che partita è? Chissà chi sono i “Donega”, poi? Ti ricordi che il Toro abbia mai giocato col Borussia? Cosa sono, tedeschi, vero?- Scossi la testa sospirando. Magari è una partita delle giovanili…- Sette di dicembre… queste pagine sono ingiallite da morire. Deve riferirsi a una partita del passato…- Ho trovato questo…La voce di Stella ci fece trasalire. Ci eravamo dimenticati di lei, distratti dalla nostra discussione su quella strana pagina di diario.Conoscevo bene il giornale che stringeva nella mano. Era una copia di “Calciofilm”, la rivista che usciva solitamente pochi giorni dopo la giornata di campionato, con foto e commenti sulla partita del Torino. Stella me la porse e poi continuò a cercare tra i giornali nel corridoio. - E’ la copia di Torino-Fiorentina, di due settimane fa – disse Giancarlo, è datata venti aprile… vuol dire che qualcuno viene qui! Questo giornale è troppo recente…Ma c’era qualcosa che non quadrava. E lo sapevamo bene.Sfogliai le pagine. Rividi le foto di Pulici che scartava il portiere viola e infilava in diagonale. Le immagini che avevamo visto di persona allo stadio.- Giancarlo… - dissi tremando - …guarda le pagine… guarda le foto… - La copertina aveva i colori sbiaditi, le pagine interne erano ingiallite. Le mani mi tremavano- Questo giornale è uscito da dieci giorni eppure sembra che abbia trent’anni.Lessi il terrore negli occhi del mio giovane amico.Pensammo la stessa cosa in quei drammatici momenti.L’ho letto nella villaDa quanto tempo quel giornale era in quella villa?Da molto tempo prima che la partita venisse giocata?Era quello che aveva letto il bambino?- Cerchiamo… ci devono essere gli altri numeri allora… - Mi sento male, ragazzi… sto male qui dentro… ho la nausea.- Ci voltammo. Stella, bianca come un cadavere si appoggiava allo stipite della porta.La sorressi tremante tra le braccia: - Andiamocene, abbiamo visto anche troppo. Torneremo quando avremo più tempo.Fuggimmo sconvolti e di gran carriera. Stella riprese fiato soltanto quando fummo al di là del muretto.Pedalammo via in silenzio. Fino al campetto, fino a quando la villa fu distante.- Cosa è successo, Stella, cosa ti è preso?- Io… io non voglio più tornare lì dentro… ci sono cose strane e…Abbassò il capo e si inginocchiò sull’erba.- E…?- E sono sicura che lì dentro ci sia… ci sia qualcuno.

 

Volle tornare a casa subito e così facemmo.Nonostante le nostre pressanti richieste, lei non volle dire altro né rivelare perché aveva detto quella frase.Lungo il tragitto accesi la radio quasi come un automa.Il Toro aveva sconfitto il Cagliari per 5-1.

 

I misteri di quella villa che si affacciava sul lago aumentavano, pensai mentre camminavamo in silenzio.Chi aveva abitato in quella casa?Chi era quella persona che aveva lasciato tutte quelle testimonianze della propria vita?Che fine aveva fatto?Chi era la ragazza nella foto strappata?Come mai c’erano dei Calciofilm sgualciti e logori nonostante fossero usciti da pochi giorni?E soprattutto c’era davvero un uomo che viveva lì, nascosto da qualche parte, come aveva detto la bambina e come affermava Stella?

 

Tentai di scacciare quei ricordi, ma cancellarli avrebbe significato dimenticare i miei amici.Fui tentato di parlarne in casa durante la settimana, ma mi avrebbero dato del matto.Come risultato mi ammalai e trascorsi diversi giorni a letto. In seguito alla mia malattia non ci recammo al lago nel week-end. Comunicai brevemente per telefono a Giancarlo la notizia.- Ci stai pensando anche tu, vero? – mi chieseLo salutai con un tono di voce triste, senza rispondergli.Il pomeriggio della domenica accolsi con rassegnazione il pareggio del Toro a Verona per 0-0.Era terribile. La mia squadra stava per vincere il campionato e io non potevo gioirne perché ero coinvolto in un’avventura dove la logica era andata persa. Sarebbe stato un bel libro da scrivere, pensai ironicamente.Rimaneva solo Torino-Cesena, della quale, per fortuna, non sapevamo nulla.Quel giorno mi addormentai così, contento di essere lontano dalla villa.

 

- Quanto daresti per essere allo stadio in questo momento?- Un milione!- Ma se non ce l’hai?- Lo ruberei e poi ti pagherei…Trascorremmo il caldissimo sedici di maggio nei pressi della riva erbosa che scendeva nel lago, poco oltre il campetto. Avevamo i piedi a bagno e nell’aria si fondevano curiosamente la primavera e il suono delle radioline provenienti dalle barche.Né mio padre, né quello di Giancarlo e Stella avevano voluto portarci allo stadio per via della confusione. Il Toro stava per vincere lo scudetto e noi eravamo lì, distanti decine di chilometri, forse ancora troppo ragazzini per prendere la nostra vita tra le mani.Giancarlo ed io eravamo tesissimi, non parlavamo d’altro. Nessuno di noi due pensava più alla villa e a quella stranissima storia dei bambini e delle riviste. Stella invece, dopo la visita alla villa, era diventata strana, triste. Guardava il lago e non parlava. Non c’era traccia di tensione in lei, solo qualche frase un po’ equivoca.- Andiamo a Torino a festeggiare dopo?- Festeggiare… - dissi stupito – Non vendiamo la pelle dell’orso prima di averlo preso, esclamai... dobbiamo vincere lo scudetto prima…- Ah già – si tirò un piccolo colpo sulla fronte con la mano aperta…Sorrise in modo strano quando Ameri annunciò al mondo che Pupi di testa aveva infilato Boranga.Io e Giancarlo saltavamo felici a piedi nudi nell’acqua sollevando spruzzi e cerchi di piccole onde e lei stava lì a guardarci.La vidi mettere la testa tra le braccia e piangere sommessamente alla notizia dell’autogol di Mozzini. Noi eravamo raggelati, lei piangeva. Il suo non era un pianto per la possibilità che lo scudetto ci sfuggisse, però. Era un pianto di disperazione, ma mi occorsero diverse ore prima di riuscire a intuirlo.Quando fummo campioni aveva ancora gli occhi rigati di lacrime. Ci abbracciammo tutti quanti, mentre le barche facevano suonare i loro avvisatori acustici.Il Toro quel giorno divenne campione anche sulle rive di quel lago, in quel giorno ormai lontano, eppure così vicino.

 

Corsi a casa di corsa per chiedere se saremmo tornati a Torino.Mio padre, commosso per lo scudetto, acconsentì.Tornai alla riva del lago per chiedere agli amici se volessero venire con me.Trovai solo Stella. Giancarlo aveva avuto la mia stessa idea.Era voltata verso il lago. Mi avvicinai lentamente. Quando fui abbastanza vicino mi accorsi che stava ancora piangendo.- E’ colpa mia… non saremmo mai dovuti entrare nella villa quel giorno, quando abbiamo trovato i bambini. Sono stata io a insistere…- Stella, ma che hai…Guardava qualcosa che galleggiava nel lago poco distante. Sembravano, anzi erano, dei giornali, delle riviste. Il sangue mi si gelò nelle vene. Non so se io sia mai diventato grande, ma se l’ho fatto è stato in quel momento.- Mio Dio… - esclamai, intravedendo le immagini di quella riviste che mi pareva di conoscere. Una verità incredibile, che faceva crollare tutte le certezze, si stampò nella mia mente.Quel giorno intravidi il gol di Pulici in tuffo contro il Cesena sulle acque del lago, ben prima che la televisione lo mandasse in onda.- Tu… tu sapevi… Tu sapevi già tutto… Quando hai trovato i giornali nella villa… c’erano anche gli altri… Li hai nascosti…Vidi la scena nella mia mente. Non aveva solo trovato il Calciofilm di Toro-Fiorentina. Aveva anche trovato quelli delle rimanenti partite. Giornali che dovevano ancora uscire, partite che dovevano ancora essere disputate. Lei sapeva già il risultato. Non aveva detto nulla per non… per non rovinare una festa che aspettavamo da sempre.O per non farci sprofondare in un abisso senza logica.- Perché non l’hai detto? – dissi incredulo.- Ma che dici…? Cosa hai capito? Sono solo un po’ emozionata… Si voltò e tentò di sorridermiSenza dire una parola mi abbracciò stretto stretto.Era la prima volta che stavo così a contatto con una ragazza. Non provai mai nulla per lei e credo lei per me, il nostro fu un abbraccio disperato. Sentivo il profumo dei suoi capelli contro la mia guancia e vedevo quel giornale galleggiare sempre più distante, mentre la sentivo singhiozzare contro la mia spalla.Sapevo che aveva mentito. - Non torniamo più in quella villa, ti prego…- No, non ci torneremo… - dissi guardando il lago accarezzandole i capelli.Sapevo che forse stavo mentendo anch’io.

 

Arrivò l’estate, l’estate del 1976.Trascorremmo, prima che i miei amici partissero per il mare, giornate pensierose, camminando per le coline, tenendoci lontano da quel luogo che ora ci appariva pieno di insidie, senza più menzionare quanto capitato in quei giorni.Anche Giancarlo aveva intuito qualcosa. Avevamo la testa piena di confusione e ci sentivamo sconfitti. Credevamo che non avremmo mai avuto una risposta a tutte le nostre domande.Eppure, quando ci congedammo al campetto, l’ultima domenica, sapevo già fin troppo bene che al loro ritorno di quella casa e dei suoi misteri avremmo sentito parlare ancora.

MAURO SAGLIETTI

 

Fatemi sapere, cari amici, se per caso vi è piaciuto questo racconto.Avrei intenzione saltuariamente di proseguire la vicenda dei tre amici granata e dei misteri tuttora insoluti di questa strana villa. Ma non voglio neanche annoiarvi.Ditemi voi. Ciao, alla prossima. Mauro Saglietti

tutte le notizie di