Quando Giancarlo e Stella, i due fratelli miei amici, tornarono dal mare, erano ormai trascorsi più di tre mesi dall’avventura che avevamo vissuto e che ci aveva portato ad esplorare la casa abbandonata sul lago. Quella che per noi era diventata “la villa dei misteri”.Durante la loro assenza avevo cercato di dimenticare la storia inquietante dei giornali che avevamo trovato là dentro. Riviste sportive che riportavano cronache e risultati di partite del Toro che si sarebbero disputate di lì a poco. Giornali vecchi che parlavano del futuro. Inutile che lo nasconda però. Quelle mura continuavano a tormentare le mie notti di adolescente. Chi era la ragazza in quella foto strappata? A cosa si riferivano i ricordi scritti nelle pagine di diario stracciate, che giacevano nella camera dalla moquette azzurra? Quando rividi Giancarlo e Stella lessi immediatamente nei loro occhi la mia stessa inquietudine per essere tornati nei luoghi dove la logica era andata a farsi benedire.
mondo granata
La villa dei misteri – 2) La Porsche del gobbo
Un sabato sera di fine agosto di quell’estate 1976, pochi giorni dopo il loro ritorno, stavamo camminando lungo l’affollata passeggiata che andava dal paese al lago. E viceversa, come facevamo spesso.Avevamo ancora un paio di settimane da trascorrere insieme, prima di tornare in città, e in paese si stavano montando i capannoni e le bancarelle dell’annuale Fiera estiva, che sarebbe durata fino alla fine del mese.Non pensavamo più alla villa e ai suoi misteri. Ci deliziavamo con l’immancabile cono gelato, mentre parlavamo di motorini e di ragazze. Stella, come al solito pensierosa, fingeva di non ascoltare.Fu in quella confusione di gente, in quella serata ancora calda, che improvvisamente vidi qualcosa.Un volto tra la folla.Stavo parlando di non so più che cosa, quando improvvisamente mi fermai e sbiancai.- Che succede? Che ti prende?- Stai male, cosa hai visto?Non sapevo neanche io cosa avevo visto. Un qualcosa, un volto che era comparso tra la gente e che era subito scomparso, che mi aveva gelato le vene. Chi era? Qualcuno che conoscevo? Non riuscivo a ricordare….- Ho visto… ho visto…- Chi hai visto?- Non lo so… venite!Scattai come un automa tra la folla, facendomi largo, inseguito dai miei due amici, alla ricerca di ciò che pochi istanti prima mi aveva fatto trasalire.Scansai persone, scrutai visi.Niente.Forse avevo visto un fantasma.- Si può sapere che cosa è successo? – chiese Giancarlo con molta ansia.- Ho visto qualcosa, ragazzi. Un volto che conoscevo… Lasciamo perdere… Torniamo indietro.I due fratelli mi guardarono molto perplessi, Stella in particolar modo, perché tremavo. Pochi istanti più tardi avrei tremato ancor di più.
Mi voltai, ma lo feci goffamente e senza guardare.Andai ad incocciare violentemente contro una persona tra la folla che marciava in senso opposto.- Ehi, fai attenzione, cretino! Dove credi di essere?Maledissi il destino. Era una ragazza molto bella. Bella ma vistosa; decisamente troppo appariscente. In paese la chiamavano la “Bionda”, ma tra di noi la si chiamava “la Gallina” per il suo modo di atteggiarsi e per il cervello ridotto alle minime funzioni elementari.
Il mio gelato si era sbergnaccato sulla sua camicetta. Accidenti a me.Diamine, la piazza quella sera era piena di gente, proprio contro quella lì dovevo andare a sbattere?Non era sola purtroppo.C’era il “Bandito” con lei. Il suo ragazzo, di cui tutti avevano paura.La Bionda e il Bandito. Due moderni Bonnie & Clyde? No, due deficienti. L’intero paese li odiava e avrebbe volentieri legato loro un masso attorno al collo, per poi lasciarli affondare in fondo al lago.Lui era il prototipo del modello di macho che purtroppo non sarebbe mai passato di moda. Rozzo, grande e grosso, ma soprattutto violento e arrogante con i deboli. Sempre a spararla grossa, sempre a dare fastidio. Si vantava di essere amico di un titolare della gobba. Affermava che lei e la “Bionda” lo avevano conosciuto agli allenamenti.Il ras del quartiere insomma, attorniato come al solito dalla corte di compari adulanti, usciti da poco da Oxford.La “Gallina”, apparteneva invece al genere peggiore di ragazza. Quella che sapeva di essere bella e quando era col fidanzato non faceva che guardare maliziosamente gli altri per sentirsi in primo piano.Salvo poi avvisarlo perché qualcuno la stava fissando, scatenando così l’immancabile rissa.Noi ce ne eravamo sempre rimasti in disparte. Fino a quel momento.Il Bandito era qualcuno nel quale era meglio non incappare insomma. Figuriamoci rovesciare un cono gelato sulla camicetta della sua “proprietà”.
Capitò tutto in un attimo.Prima che potessi anche solo mormorare la parola “Scusa”, il Bandito mi fu addosso e mi afferrò per la parte superiore della maglietta. Non aspettava altro, a ben pensarci.Non so cosa sarebbe successo, se avrei reagito o se, molto più probabilmente mi sarei preso una raffica di legnate. Ricordo solo di aver sentito in quell’istante il suo alito maleodorante vicino al mio viso. Poi avvenne l’imprevisto. Giancarlo, che era un ragazzo semplice ma leale, corse in mio soccorso.- Lascialo stare! – disse afferrandolo per un braccio.Sul viso disordinato del Bandito (un gran pasticcio della natura) si dipinse la sorpresa e gli occhi gli si illuminarono. Gli si presentava l’occasione suprema di una sfida, per dimostrare ai suoi adepti quanto lui fosse figo, forte e capobranco. E gobbo, ovvio. Poco importava che se la prendesse con un ragazzo di gran lunga più piccolo, ance se molto coraggioso. Sorrise ai suoi discepoli, che contraccambiarono beoti. L’allegro ciarlare della piazza si trasformò in un silenzio irreale e in un attimo si formò un capannello di gente.E’ inutile che la faccia tanto lunga ragazzi, sono momenti che preferirei non ricordare. Il Bandito, maciste com’era, sollevò Giancarlo per le orecchie, lo portò alla sua altezza e, lasciando che la poesia sgorgasse dalle sue labbra, gli mormorò - Che ca… vuoi, tu, cogl…? – prima di scaraventarlo a terra.Tutti risero, pecore, maledette pecore, mentre il mio amico tentava di trattenere la smorfia del pianto.Cosa feci io? Avrei dovuto fare tutto, lo so. Non feci nulla, questa è la nuda e triste verità. Temo che a molti sarà capitato di vivere una situazione simile, un momento nel quale ci si disprezza per la propria codardia. Un istante da cancellare per sempre nell’archivio dei ricordi.Il gruppetto se ne andò ridendo e la Bionda ci rivolse un sorriso malizioso e beffardo.Ci sono situazioni nella vita nelle quali benedici di non avere tra le mani una mazza da baseball, perché finiresti in galera.Da quel momento provai una stima ancora più grande per il mio amico e per la sua lealtà.E un grande disprezzo per me, che tardò a passare.Ce la saremmo legata al dito, qualora, opportunità più unica che rara, avessimo avuto la possibilità di interferire col destino.
- Mi devi scusare per quello che è successo… - parlavo a fatica ancora dopo pochi giorni, per la rabbia e l’umiliazione e provavo una grande vergogna nei confronti del mio amico.- Non ci pensare. Cosa potevi fare? Certo che ho una rabbia addosso…Non avevamo praticamente più messo piede in paese, dopo quanto capitato quella sera. Trascorrevamo le nostre giornate o a leggere gialli ai giardinetti, nostra antica abitudine, oppure a giocare a Monopoli nel capanno vicino al campetto sul lago, proprio come quel giorno. Per tutto il pomeriggio avevamo udito dei tuoni in lontananza, certo, ma non ci avevamo fatto caso più di tanto, presi come eravamo dalla partita.Fino a quando la luce che proveniva dall’esterno non divenne davvero fioca.Guardammo fuori e capimmo di essere in un bel pasticcio.
Mai vista una cosa anche solo simile a quello che si scatenò quel giorno.Ne parlarono anche i giornali e sono sicuro che i meno giovani tra voi ricorderanno quel pomeriggio.Il cielo era diventato nero di tempesta e stavano cominciando a cadere i primi goccioloni.Il tetto del piccolo capanno del campetto sembrava un groviera, era impensabile rimanere lì. Sbaraccammo il Monopoli alla meglio e saltammo in sella alle nostre bici.Ma non ci fu tempo. Fummo investiti da scrosci d’acqua improvvisi, annunciati da un vento impetuoso.Prima l’acqua a secchiate. Poi fulmini e grandine. Ve l’ho detto, mai vista una cosa del genere.Non riuscivamo a vederci sebbene fossimo vicini poche decine di centimetri. Non riuscivamo neanche a sentirci l’un l’altro. Non potevamo neanche più pedalare.E il paese era troppo, troppo distante.C’era un solo posto nelle vicinanze nel quale avremmo, forse, potuto ripararci.
Questa è una storia di strane coincidenze, forse reali, forse capitate ad hoc. Non capivo all’epoca chi avesse il potere di attirarci verso quella casa, pronta ad accoglierci.Ricordo solo il momento in cui la intravedemmo da vicino, tra la grandine che ci ammaccava. Un attimo prima di scavalcare il muretto pensai che quello era il nostro destino.
Era buio e faceva freddo dentro la villa. Eravamo peggio che fradici e non avevamo torce per aiutare la fioca luce che giungeva da fuori. Rimanemmo a lungo nel piccolo vestibolo, mentre la casa veniva martellata dai chicchi e la furia della tempesta non accennava a placarsi, ma quando fu chiaro che non si trattava di un semplice temporale, decidemmo di salire verso quella stanza che ci attraeva inesorabilmente, l’unico posto della casa che conoscessimo.Come dite? Una decisione da pazzi? Sono d’accordo con voi. Col senno di poi non lo farei più. Ma allora la nostra curiosità, l’incoscienza e la voglia di scoprire l’ignoto vinsero la paura.- Io non voglio… – disse Stella mentre saliva i gradini con noi – Andiamocene via appena smette, vi prego.Il suo sesto senso ci aveva sorpreso più volte e mi rese irrequieto.Quando fummo al piano superiore la vidi irrigidirsi di fronte al lungo corridoio scuro. C’erano altre porte oltre a quella della stanza dalla moquette azzurra ed erano tutte chiuse. Ma la più lontana, sul fondo era inquietante. Non chiedetemi perché.- C’è qualcosa nella camera laggiù in fondo. Qualcosa che mi fa paura. Sono sicura che sia là dentro…- Stai tranquilla, non c’è niente… - dissi per nulla convinto. Mi accorsi con imbarazzo che la mia voce stava tremando.
Nella stanza azzurra trovammo tutto esattamente come avevamo lasciato dopo le nostre prime visite di qualche mese prima. Giancarlo diede un’occhiata attraverso i vetri polverosi. Non avevamo mai visto il lago così alto e minaccioso. Il nubifragio non accennava a placarsi.Ci guardammo indecisi sul da farsi. Quasi per sfidare il destino mi misi a ficcanasare tra le centinaia di fogli che occupavano il pavimento. Molte erano pagine di un diario. Sarebbe stato bello ricomporlo, ma ci sarebbe voluto del tempo. Troppo tempo. Stella si accovacciò accanto a me senza parlare, potevo avvertire la sua tensione. Teneva d’occhio la porta che dava sul corridoio.Già sapevamo che in quella casa stanza aveva abitato qualcuno del Toro. Lessi ad alta voce una pagina a caso di quel diario sparso.
Hanno segnato all’ultimo secondo.Non è giusto, non è giusto.Avevo spento la radio un minuto prima, per non sentire più, per riaccenderla a partita finita.Invece quando l’ho riaccesa avevano appena segnato.Non riesco a scrivere, ho pianto questa sera.La vedrò domani? Almeno questo? Spero che quei due ci lascino in pace…
- Di che partita starà parlando? - Chiesi a Giancarlo.Non mi sentiva. Si era ricordato dei dischi ritrovati all’interno dell’armadione, pochi mesi prima.- Chiunque abbia vissuto qui, si intendeva di musica. Mi chiedo cosa possa averlo spinto ad andarsene senza prendere tutti questi LP.Un pensiero sinistro mi attraversò la mente. Non prestai troppa attenzione ai dischi che il mio amico stava esaminando. Riconobbi Tubular bells, la cui musica non avrebbe sfigurato in quel luogo, Led Zeppelin IV, e un vecchio disco di Elton John. Li possedevo tutti.- Conosci questo? Ce ne sono tanti che non ho mai visto…Mi mostrò un disco dalla copertina completamente rossa un po’ usurata, forse per l’uso ripetuto, con una banda azzurra in alto.- No, e non conosco quel gruppo. Di che anno è?- Non so… non si legge, è strappato proprio qui. Magari me lo porto via e me lo ascolto a casa…Non lo seguii con attenzione. Mi era tornata tra le mani la foto di quella ragazza. Una ragazza affascinante, una foto strappata a metà perché non si vedesse chi era con lei. Fui preso da una strana sensazione. Dove avevo già…- Leggi questa… - disse Stella, porgendomi un’altra pagina.
Sono felice.Ci siamo baciati per la prima volta!All’uscita da scuola, alla fermata del tram…
Le sorrisi. Chissà se quella pagina parlava della ragazza della foto?A me invece era capitato tra le mani uno strano biglietto ingiallito e spiegazzato, che lessi ad alta voce, per quanto fosse possibile.
Appunti/idee… 20/08, 23/08, 27/08, Vicolo Santa Lucia… ore 1:00, Porsche grigia.
Strano, pensai. Vicolo Santa Lucia si affacciava proprio sulla piazza principale del paese, poco distante da dove abitavamo noi tre. Non feci tempo a pensare, la voce di Stella mi fece tornare alla realtà: - Sta smettendo, andiamo via per favore… mi sento male dopo un po’ qui dentro.Mi infilai il foglietto in tasca e ce la battemmo di gran carriera.L’aria fuori sapeva di fresco. E forse già di autunno.
Mi sembrava di non riuscire a dormire quella notte. Continuavo a ripensare ai mille misteri della casa.Fissavo il soffitto confuso e molte immagini si dipinsero su quello sfondo bianco, mentre mi sembrava di partire per mondi lontani.Vedevo il disco dalla copertina rossa che girava sul piatto senza suonare, la ragazza della foto che sorrideva e la sua immagine tremolava sul soffitto, abbracciata a una persona della quale non riuscivo a distinguere il viso, noi nella stanza dalla moquette azzurra, mentre la casa si riempiva di bisbigli, il lungo corridoio con la porta in fondo semiaperta, oltre la quale si intravedeva una luce bluastra. Volevo camminare, volevo avvicinarmi ma non ci riuscivo. Stella che cercava di gridare, indicando qualcosa o qualcuno, pagine di diario che svolazzavano per la stanza azzurra e si posavano in un’unica pila di fogli. E poi tre libri con la copertina bianca, dei quali non riuscivo a scorgere i titoli. Le parole si componevano e le lettere si mescolavano. E intorno a me c’era una voce che rimbombava “Come faccio a farlo finire… Come faccio a farlo finire… Come faccio a FARLO FINIRE?”Fui svegliato dal rumore di un motore.Ero tutto sudato e confuso, come se stessi ancora sognando.Quasi d’istinto mi alzai e sbirciai fuori dalla finestra, per quanto la serranda potesse permettermelo.Non avrei potuto giurarlo, ma mi sembrò di intravedere una vettura che si infilava nel vicolo lì vicino. Vicolo santa Lucia.Trascorse qualche istante, poi proprio mentre mi stavo per coricare nuovamente, vidi distintamente la macchina uscire dal vicolo in retromarcia.Era una Porsche. Una Porsche grigia.
Fui tentato di battere sul termosifone con un ombrello per svegliare Giancarlo e Stella. La loro camera era proprio sotto la mia, ma cosa avrei ottenuto? Era l’una passata e il rombo del motore si stava perdendo in lontananza.Frugai nei miei jeans e trovai immediatamente il bigliettino di carta ingiallito che avevo trovato nella villa.
Appunti/idee… 20/08, 23/08, 27/08, Vicolo Santa Lucia… ore 1:00, Porsche grigia.
Mi vennero i brividi Era il 20/08.
Dopo circa un’ora, nella quale la testa vorticò come se fosse in un frullatore, mi parve di udire di nuovo il rombo del motore in lontananza. Scattai in piedi e misi a soqquadro la casa per trovare un ombrello. Cominciai a battere seccamente sul termosifone, sperando che da sotto sentissero.La Porsche superò la piazza con uno scatto e scomparve nuovamente nel vicolo, oltre la visuale della mia finestra. Tempo pochi secondi e la vidi sbucare di nuovo in retromarcia, per poi scomparire nella notte.
Non ero stato l’unico spettatore di quella scena. I colpi dell’ombrello avevano svegliato i miei amici al piano di sotto. Discutemmo a lungo di quell’avvenimento, predetta dal bigliettino trovato nella villa. Era un’altra coincidenza? Quando erano state scritte quelle parole? Cosa ci volevano suggerire?Era il 21/08 e il foglietto parlava chiaro. C’erano altre due date, il 23 e il 27, entrambe associate al Vicolo Santa Lucia.Vicolo Santa Lucia… la Bionda abitava proprio lì.Cosa ci faceva una Porsche sotto casa sua?Eravamo tanto curiosi. E avevamo un conto aperto con quella Gallina.
La notte del 23 Giancarlo ed io sgattaiolammo fuori da casa, lasciando socchiuso l’uscio. Stella era rimasta in casa ad osservare dalla finestra, casomai si fossero presentati dei pericoli.Assistemmo alla scena accovacciati dietro una fioriera che si trovava nel vicolo, quasi di fronte al civico numero 7, dove abitava la Bionda.La notte sul lago era fresca. Trascorse quasi un’ora.Poi la Porsche arrivò.La macchina restò immobile rombando sommessamente per qualche decina di secondi.Vedemmo tutto. La Bionda in un abitino attillato che usciva di casa e saliva su quella macchina, scambiando dolci effusioni col guidatore.Per un attimo, prima che la porta si richiudesse intravedemmo anche lui.Giancarlo ed io ci guardammo a bocca spalancata restando muti, mentre la macchina se ne andava in retromarcia.- Ma era…! Era proprio lui!
- Potreste giurare che fosse lui?- Ne siamo sicuri, Stella, una faccia così antipatica non si dimentica facilmente.Eravamo nuovamente ai giardinetti, la mattina seguente. La villa poco più a sinistra, il lago di fronte a noi. Le ampie vetrate della casa parevano un ghigno sempre più beffardo quel giorno.Della sera prima era rimasto impresso nella mia memoria soltanto un flash, la porta della Porsche che si apre, la Bionda che ne esce… e il guidatore che se la ride beato.Facciamola breve, era un giocatore della gobba.Non uno qualsiasi, uno famoso. Uno antipatico, uno di quelli che non ci piacevano a pelle, prima ancora di sapere che indossano la maglia bianconera.Non c’erano dubbi, qualche tempo prima un quotidiano sportivo aveva pubblicato una foto sua e della sua fuoriserie scintillante.Una Porsche.- Ma che ci fa qui? Non dovrebbero essere in ritiro? – chiese la ragazza.- Appunto Stella. Appunto… Non è un caso che arrivi all’una di notte…- Vuoi dire – si intromise Giancarlo – che quel bel tomo se ne va via dal ritiro in piena notte e viene qua a…- Voglio dire che il gobbo ha una tresca segreta con la Bionda! Tra l’altro è sposato, mi sembra… - Chissà cosa ne direbbe il Bandito… se sapesse.- Ancora una volta torniamo alla villa… – sospirò Stella scuotendo la testa – Chi vive lì, o chi ci viveva sapeva che sarebbe successo… - - A proposito della villa! – Giancarlo la interruppe improvvisamente rivolgendosi a me – Ti ricordi quel disco dalla copertina rossa? Quello che ho preso laggiù? Assieme a quello dei Led Zeppelin?- Sì, che cos’ha? Non suona? Gira a vuoto? – lo vidi sbiancare- Solo quello rosso… ma tu come fai a saperlo?Raccontai loro del mio sogno, poi sprofondammo per un po’ nel silenzio.Non volevamo ammetterlo, ma eravamo spaventati. Molto spaventati. Lasciammo cadere il discorso, ma la nostra razionalità gia precaria di adolescenti aveva crepe sempre più estese.- Che facciamo la notte del 27? – chiese il mio amico?- Non lo so amici – risposi - Non lo so, non ci capisco più nulla. So solo che quel gobbo mi sta sul cavolo, la Bionda merita una lezione e col Bandito abbiamo un conto in sospeso.
Forse ricorderete anche voi quello che capitò.Ne venne fuori un pandemonio che neppure noi credevamo di poter scatenare. Al limite pensavamo di fare un po’ di chiasso, tutto qui.Invece la cosa ci scappò di mano, essendoci di mezzo un personaggio pubblico.Fu più forte di noi. Fu Stella a procurare il materiale. Occorse solo spostarsi nel paese vicino, in un negozio di giocattoli aperto durante il mese di agosto.Il copione era già scritto, noi ne eravamo soltanto gli esecutori involontari.Al limite ci mettemmo un po’ di fantasia.
Sembrava incredibile che i miei genitori avessero deciso di allontanarsi proprio quella sera, un altro tassello di quella che mi parve una serie infinita di coincidenze. Era la prima notte della mia vita che avrei trascorso da solo. Del resto ero abbastanza grande per farlo. Pur tra mille raccomandazioni “Dormi”, “Chiudi il gas”, “Non aprire a nessuno”.Per tranquillizzare i miei, ci si era accordati sul fatto che Giancarlo e Stella sarebbero saliti a dormire da me.Piuttosto che io da loro.Fatto! Due piccioni con una fava. Liberi!
Feci un gesto con la mano a Stella. La sua posizione all’interno dell’androne di casa era la più riparata. Al momento buono sarebbe dovuta scattare fuori in mezzo alla piazza, per mettere la ciliegina sulla torta alla nostra operazione.Io mi trovavo in un angolo della piazza, immerso nell’oscurità della notte, in una posizione dalla quale potevo fungere da palo e avvisare Giancarlo, via walkie talkie, dell’arrivo della vettura grigia.A lui era toccato il compito più pericoloso. Ma non aveva voluto sentire ragioni. Era una cosa personale. L’occasione di vendicarsi, seppur indirettamente, di chi lo aveva umiliato di fronte a tante persone. E anch’io avevo un’opportunità per farmi parzialmente perdonare la mia vigliaccheria.Il mio amico era appostato in una rientranza del vicolo e poteva solo sperare di non essere illuminato dai fari della Porsche, una volta che fosse arrivata.Poteva capitare di tutto quella notte di fine estate.Potevamo essere scoperti, magari da qualcuno di ritorno dalla Fiera.La Porsche del gobbo poteva benissimo non presentarsi.O poteva benissimo, che ne so, cadere un meteorite e fare andare le cose in maniera diversa.Invece no.Tutto capito in meno di un minuto.Giancarlo, come poi mi raccontò in seguito, udì la porta del civico numero 7 aprirsi. Ne vide uscire la Bionda, più svestita che vestita, con un paio di larghi occhiali scuri, come quelli che si usavano in quegli anni, nonostante fosse notte.Quasi nello stesso istante il walkie talkie si mise a gracchiare debolmente.Ero io, che avevo riconosciuto il rombo del motore in avvicinamento.Furono istanti.Feci un cenno a Stella, affinché si tenesse pronta.La Porsche attraversò la piazza deserta, e quella volta spense i fari, forse per essere meno riconoscibile.Fu un’autentica fortuna.Si infilò nel vicolo e la Bionda si affrettò a salire.Come un lampo vidi Giancarlo uscire dal vicolo, la montatura degli occhiali che gli ballava sul naso. Si acquattò contro un muro e attese che la macchina uscisse in retromarcia.
Reperire quella trombetta era stato più facile del previsto.All’epoca andavano molto di moda gli “scherzi di carnevale”, aggeggi che davano la scossa quando stringevi la mano a qualcuno, fialette puzzolenti, polvere che faceva prudere o starnutire, petofoni assordanti da nascondere sotto i cuscini, bicchieri bucati che ti facevano sbrodolare addosso quello che stavi bevendo. E poi c’era la trombetta per auto. Era stato strano trovarne una in pieno agosto, lontano da un posto ben fornito come la città, ma all’epoca, come vi dicevo, credevo ancora alle coincidenze.Era un piccolo aggeggio conico che, se infilato nello scappamento di una vettura accesa, provocava il finimondo.Giancarlo fu lesto, preciso e spietato. Si infilò dietro la Porsche proprio mentre questa terminava la retromarcia ed introdusse la trombetta nello scarico. Quasi contemporaneamente la vettura grigia accese i fari e scattò in avanti. Si udì un suono devastante e stridulo, quasi stessero scuoiando un animale, un fischio acuto e terribile che trapassava le orecchie trapanandole.La Porsche si arrestò quasi subito. Anche col motore minimo il suono devastante non accennava a placarsi.Intravidi nell’ombra Giancarlo scattare verso il portone di casa.Il gobbo uscì dalla vettura sibilando un “Ma che caz…”, mentre le luci degli appartamenti tutti intorno cominciavano ad accendersi.Qualcuno, svegliato nel sonno aprì le persiane per vedere cosa stesse capitando.Stella fu esaltante nella sua rapidità.Scattò fuori dal portone con la Polaroid che aveva avuto in regalo per il compleanno.Un flash, un altro ancora, uno dopo l’altro, di fronte al gobbo, che si era bloccato stupito e accecato, di fronte alla macchina e alla sua “passeggera”.Cinque flash, l’ultimo proprio di fronte al volto del gobbo, che si protesse gli occhi con una mano.Che scena ragazzi! Ricordo i lampi di luce, il sibilo terrificante della trombetta, mentre anche io scappavo ghignando verso il portone, raggiunto un attimo dopo dalla sorella del mio amico.Scappammo per le scale tentando di non farci sentire, mentre dall’esterno provenivano voci concitate:- Ma che succede?- Ehi, ma quello è…!- E’ proprio lui!Immediatamente tornati in casa ci sfilammo di corsa gli abiti, rimanendo in pigiama, che avevamo opportunamente lasciato sotto i vestiti.Neanche venti secondi più tardi bussarono alla porta.Temevamo fosse il gobbo, ma era il papà di Stella e Giancarlo. Pure lui allarmato e in pigiama.Finsi un’aria confusa e assonnata.- Ragazzi tutto bene? Sta capitando qualcosa giù in strada, avete sentito?- Sì… ma cosa… c’era un rumore…- Può darsi sia una rissa. Ho sentito qualcuno correre per le scale…Voi non muovetevi, ok? E non aprite a nessuno!- Certo Papà… ma che succede? – anche Stella era comparsa nella stanza, coi capelli scompigliati.Che genio di ragazza, pensai.Lo sguardo del padre si posò all’interno della stanza, sul tavolino dove avevamo poggiato la Polaroid e le fotografie che stavano prendendo forma.Ci guardò sospirando.- Siete sicuri di non c’entrare nulla?Dalla piazza giungevano voci concitate e la trombetta strombettava.- State lontano dai guai – ci disse, con uno sguardo che la diceva lunga - E non aprite! Neanche bussasse il Papa!Tornò giù e quando la porta fu richiusa scoppiammo a ridere e a fare gesti di esultanza.La cagnara in strada andò avanti ancora a lungo, sempre col sottofondo della nostra trombetta.Dio solo sa quanto ci divertimmo quella notte!Sicuri al buio, protetti in quello che era il nostro rifugio.E quanto sghignazzammo rivedendo le cinque foto, in particolare quella del gobbo sorpreso dal flash, una vera comica!Passammo tutta la notte così. Che ridere, ragazzi, se devo ripensare a un momento gioioso di quelle vacanze, ripenso a quella notte, quando ci addormentammo praticamente all’alba.
Noi non avevamo assistito alla scena, ma tutto ci fu raccontato il giorno seguente, in paese non si parlava d’altro.La trombetta aveva svegliato mezzo paese e qualcuno, di ritorno dalla Fiera, aveva riconosciuto il gobbo.Gli avevano chiesto addirittura l’autografo, mentre lui era stato preso dal panico. Invece di andare a staccare la trombetta aveva cercato di far scendere a forza la Bionda dalla macchina.Lei non ne voleva sapere perché così tutti l’avrebbero riconosciuta e aveva resistito, urlando e cercando di difendersi a calci e pugni.Era accorsa altra gente e alla fine lui l’aveva presa di peso, letteralmente gettata fuori dalla macchina ed era scappato via, ormai tra due ali di folla, ma soprattutto sempre con la trombetta urlante.Un vero gentleman!Doveva essere stato uno spasso.Il resto è storia nota.Se non ricordo male ci fu anche qualche strano titolo sui giornali, prima che la cosa fosse messa a tacere dalla lunga mano bianconera.Di sicuro il gobbo non se la passò molto bene in famiglia, a quanto si disse. E neanche in prima squadra. Quando ricomparve in video, qualche tempo dopo, aveva i capelli tagliati molto corti, in stile punitivo, proprio lui che portava un’abbondante chioma.Del resto il taglio dei capelli era abitudine conclamata della gobba di quegli anni.Il bello di tutta questa storia e che nessuno raccontò di avere visto dei flash, o di aver fatto caso alla nostra presenza. Una discreta fortuna, non c’è che dire.La vicenda ebbe però un risvolto pericoloso, che non avevamo previsto.La storia non piacque al Bandito. Per nulla.Certo, anche lui lo venne a sapere.Il suo orgoglio smisurato ne uscì sfracellato, non tanto per il gesto in sé, quanto perché tutto il paese stava ridendo (giustamente alle sue spalle).Scovò la Bionda, nonostante i tentativi di depistaggio di quest’ultima e, per farla breve, gentleman com’era anche lui, la spedì all’ospedale con la mandibola fratturata.E che diamine, il suo onore era salvo, dopotutto. La fedina penale, già macchiata, invece no. Lo presero quasi subito e, oltre alla denuncia si fece un po’ di galera, naturale sbocco per un eroe della sua risma.Cornuto e mazziato si disse. Soprattutto il primo aggettivo calzava a pennello.
- Che ne facciamo di queste foto?Ci stavamo godendo il nostro trionfo, passeggiando con l’immancabile gelato, in mezzo alla folla della serata finale della Fiera.Mancava mezz’ora ai fuochi artificiali, che come ogni anno si sarebbero specchiati nel lago. E nelle finestre mute della villa, ovviamente.Un paio di giorni e saremmo tornati a Torino, archiviando così la folle estate del 1976, piena di dubbi ai quali non eravamo riusciti a dare una risposta.Un po’ ci spiaceva, ma personalmente mi sentivo sollevato al pensiero che quelle mura sarebbero state distanti per un po’.Guardavamo ridendo le cinque foto: il gobbo sorpreso, la macchina, la Bionda…- Teniamole come ricordo… un giorno le riguarderemo e… ma che hai?Giancarlo mi parlava, ma io non lo ascoltavo più.Avevo di nuovo visto il volto tra la folla.- Ho visto… - feci per parlare ma non ci riuscivo…- Chi hai visto? – chiese ansioso Giancarlo.- Chi hai visto? Diccelo! - mi incalzò StellaEcco chi avevo visto quella sera. Come avevo fatto a non capirlo prima?- La ragazza…- Quale ragazza?- Quella della villa. Ho visto la ragazza della foto nella villa…!
Ci lanciammo all’inseguimento, senza più gelati questa volta.L’avevo intravista in un gruppetto di amiche, ma anche questa volta sembrava essersi volatilizzata.- Un giubbino di jeans… - dissi – cercate una col giubbino in jeans…Una parola. Mezzo mondo indossava jeans.Scartammo persone, fermammo ragazze sbagliate.Fino a quando non vidi i suoi capelli mossi pochi metri più avanti.Mi lanciai e la fermai toccandole la spalla.Si voltò lentamente, con sguardo interrogativo ma dolce.Rimasi bloccato a guardarla con sguardo probabilmente inebetito.- Bè? – disse mentre le amichette ridacchiavano. Credo che abbia pensato che volessi baccagliarla.Non so quanto tempo passò in quello stato di paralisi, nel quale ci fissammo. Mi parvero minuti ma furono secondi.Sarebbe diventata probabilmente una bella ragazza. Davvero una splendida ragazza.Era lei e non era lei.La foto nella villa mostrava una ragazza.Io di fronte avevo una ragazzina con qualche anno di meno.Ma era lei, per la miseria! Ne ero sicuro.- Vieni andiamo, non è lei… - Stella mi prese sottobraccio e mi portò via.La ragazzina mi sorrise dispiaciuta e divertita allo stesso tempo.Poi non la vidi più
- Era lei… vi dico che era lei… ne sono sicuro.- Era troppo giovane. La foto nella villa era di una ragazza vera e propria. E poi era una foto un po’ ingiallita. Chissà quanti anni avrà ora…I fuochi artificiali esplodevano in un crescendo di riflessi sul lago, e i dubbi si scatenavano nella mia testa.Eravamo seduti nel solito posto. Non potei fare a meno di guardare la villa e le sue finestre illuminate dal riflesso delle luci.- Magari ha una sorella più grande… - obiettò dubbiosa Stella.- Quella villa è senza tempo. Lo avevamo già capito con i giornali… Io non ho dimenticato… Potessi andrei di persona a controllare quella foto, così vediamo chi ha ragione…I fuochi mitragliarono il loro addio a quell’estate.
Fu così che tornammo alla villa un’ultima volta, il giorno seguente, poco prima di partire.Stella venne con noi a malincuore, dopo la passata esperienza. Le promettemmo che saremmo rimasti soltanto una decina di minuti.Quando fummo dentro non potei non notare il suo sguardo angosciato verso il fondo del corridoio. Anch’io avevo sognato quella porta e quando la guardavo temevo di trovarla aperta.Il freddo si era fatto più intenso, approssimandosi settembre, così Giancarlo ed io ci mettemmo immediatamente alla ricerca della foto.La ricordavamo vicino a un mucchio di fogli, ma la memoria fece cilecca. Occorse qualche minuto prima di individuarla, scivolata sotto la libreria.- Eccola! – disse, mostrandomi la foto strappata.Mi guardò senza parlare e disse – Forse avevi ragione… -Era lei, lo stesso taglio di capelli, il medesimo sorriso. Soltanto che in quella vecchia foto appariva più vecchia di almeno cinque anni.- Guarda qui! – mi disse. Aveva trovato un piccolo volumetto, proprio sotto la libreria.Altre foto.Altre sue foto. Tutte strappate a metà ad eliminare la persona che era con lei.Foto lì sul lago, la villa splendida, foto nel giardino, curato, che rivelava una piscina, oramai nascosta dalle erbacce.Foto di lei pensierosa che guarda il tramonto. Doveva essere quella ragazzina… cresciuta.- Quanto tempo fa è successo? Che tempo è questo? – dissi, riflettendo sulle foto ingiallite.- Perché ora lei è più giovane…?Poi mi decisi. – Andiamocene… Questa casa ha troppi misteri. Cercai Stella con lo sguardo ma non la vidi. – Ehi, dov’è tua sorella? – esclamai.Ci voltammo verso la porta e la vedemmo comparire dal corridoio.Era bianca, tremava e si appoggiava allo stipite della porta.- Andiamocene, vi prego… andiamo via! C’è… c’è un uomo in questa casa. Io… io l’ho visto!
MAURO SAGLIETTI
Cari amici, tra 14 giorni sarà pubblicato l’episodio finale della serie La villa dei misteri: La resa dei conti.
Mauro Saglietti
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