mondo granata

La villa dei misteri – 3) La resa dei conti

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

Passò un anno. Un anno intero dagli avvenimenti che avevano segnato l’estate 1976. Un anno dalle nostre esplorazioni nella villa abbandonata sul lago che, partite come un gioco, avevano rivelato un universo che ci aveva attratto e terrorizzato allo stesso tempo. In quella camera azzurra avevamo scoperto giornali che parlavano di partite ancora da giocare, appunti su vicende che si dovevano ancora verificare, pagine di diario che parlavano di una vita misteriosa.Avremmo dovuto tenerci lontani e dimenticare tutto quanto.Invece no, per la miseria, non ne fummo capaci.Solo ora posso affermare che tutto era già stabilito, che una volontà superiore aveva già deciso per noi.Questa è la storia di come noi tre tornammo in quella villa.E scoprimmo l’agghiacciante verità

 

Trascorse un anno dunque.Un anno dalla nostra ultima visita, quando Stella, la sorella del mio amico Giancarlo aveva detto di aver visto un uomo all’interno di quelle stanze.Eravamo scappati in preda al panico e ancora mi sembra di ricordare il rumore dei nostri passi per le scale. Avevamo corso fino alle bici, dopo aver scavalcato il muretto di recinzione e solo allora le avevamo domandato, col cuore in gola e annaspando in cerca di fiato, che cosa avesse visto.- Chi era?- Io… non- Chi era? Chi è che hai visto? Dov’era…?- C’era un uomo... ma non sono… non sono sicura…- Come non sei sicura? Hai detto di aver visto un uomo…!- Era… era come se ci fosse. Ero nel corridoio… ho visto la porta in fondo aperta. C’era… c’era una scatola con una luce azzurra e un uomo seduto di fronte alla luce. Mi ha sorriso… Un attimo dopo la porta era chiusa e… io sono scappata da voi. Ho voglia di andare a casa, non so neanche io cosa ho visto…Sapevamo che potevamo fidarci di Stella. Oggi si direbbe che era una “sensitiva”, all’epoca chiamavamo le sue premonizioni soltanto “sesto senso”.Vera o non vera la sua storia ci terrorizzò.I nostri quindici anni non avevano bisogno di altri fantasmi.Partimmo dal lago quella sera stessa e tentammo di soffocare il ricordo di quella presenza.Reale o immaginaria che fosse stata.

 

Il passare del tempo cambia le cose, ovvio e non sempre in meglio.Stella aveva un anno più di noi e a diciassette anni le ragazze non hanno più voglia di giocare a fare i maschiacci o pedalare come forsennate sulle bici assieme a due ragazzini.Aveva sempre dimostrato una maturità maggiore della sua età, come il fuoco che cova sotto la cenere. Quel fuoco doveva essere esploso durante l’inverno.Avevo incontrato Giancarlo un paio di volte allo stadio durante la stagione invernale, in occasione di un rocambolesco Toro-Lazio terminato 3-3 e di una partita sotto l’acqua, Torino-Perugia vinta 2-1. Mi aveva raccontato con un certo fastidio che la sorella adesso frequentava un ragazzo, il “suo fidanzato”, come era solita dire, ma non avevo fatto caso più di tanto alla notizia.Invece quando rividi entrambi per la prima volta al lago, nella primavera del 1977, mi resi conto che era tutto vero.Stella era cambiata, più curata, un filo di trucco le addolciva gli occhi. Era diventata una donna insomma. E non era sola quel giorno.

 

Mi sono spesso chiesto una cosa. Conosci una ragazza che ti sembra speciale, che pare avere una marcia in più, non solo fisicamente ma anche per il suo modo di pensare tutt’altro che banale.Poi la vedi insieme a certi cefali e ti cascano veramente le braccia.Il suo Cefalo si chiamava Antonio, aveva un paio d’anni più di lei, portava lunghi capelli neri, guidava una sgangheratissima Ford Capri, che emetteva più fumo di una ciminiera. E nella sfida di intelligenza tra lui e un paracarro, il paracarro avrebbe vinto alla grande e su un piede solo.Ebbi la sfortuna di conoscerlo nel giorno sbagliato, anche se credo che qualsiasi giorno non sarebbe stato quello giusto.Era il 22 di maggio del 1977. Il giorno in cui perdemmo il campionato a 50 punti. Nonostante la nostra vittoria sul Genoa per 5-1, i gobbi vinsero con la Sampdoria e conquistarono il campionato.Il Cefalo era venuto a trovare Stella portandosi dietro gli amici, attaccabrighe come lui. Fecero il giro del paese innumerevoli volte, facendo sventolare una sozzissima bandiera bianconera.Credo che Giancarlo lo odiasse già prima. Per me fu antipatia a pelle.Non potevo credere che Stella si fosse messa con un tipo così banalmente zotico, che ricordava neppure troppo alla lontana un gorilla.Guai a parlare però. Conoscevamo la solfa per averla già provata l’anno precedente. Lui era spesso accompagnato da tre o quattro amici oxfordiani, grandi, grossi e sempre pronti alla lite. Ci sono momenti terribilmente frustranti nell’adolescenza.

 

Una sera di fine giugno stavamo sostando lungo la passeggiata sul lago. Eravamo di cattivo umore, il Cefalo, con la sua immancabile arroganza, era tra noi. Si parlava in generale del paese, dove ormai da tanti anni trascorrevamo le nostre estati.- E così voi coglioncelli credete che quella casa sia infestata dai fantasmi, eh? – disse lui improvvisamenteScambiai uno sguardo tra il sorpreso e l’atterrito con Giancarlo. Ci voltammo immediatamente verso Stella e leggemmo la sua colpevolezza nell’abbassare lo sguardo.Ne aveva parlato con il Cefalo. Gli aveva raccontato tutto quanto ci era capitato in quella casa.- Ah ah! Che scemi che siete. Siete proprio dei granata cacasotto. E che faccia avrebbero questi fantasmi? Siete ridicoli. E tu poi sei peggio di loro! La stanza con la porta chiusa! Ah ah ah! Che scema che sei!- Io ti… - vidi Giancarlo scattare verso di lui come un razzo, prima di trattenersi a stento.La rabbia ribolliva nelle sue vene. Lo conoscevo oramai. La stessa espressione che gli avevo vista dipinta in viso l’anno precedente, quando era intervenuto in mia difesa contro il Bandito.- Ehi, ragazzino, vuoi fare l’eroe? Stella, lo sai che hai un fratello proprio cretino?Tobia ringhiò.Il Cefalo non era l’unica novità nella vita di Stella.La seconda si chiamava Tobia.Era un cagnolino, di lontana origine Pincher e le era stato regalato pochi mesi prima, per il suo compleanno. Era un insieme d’affetto e birbanteria, ma soprattutto provava una antipatia quasi viscerale verso il fidanzato di Stella.Un altro, direte voi.- Ehi, cane bastardo, via da qui!E mollò una scarpata verso Tobia, che si sottrasse appena in tempo.- Guai a te! Guai a te se lo fai ancora! Guai se tocchi questo cane!!!- Ehi! Ma che ti credi? Vuoi fare la furba anche tu, smorfiosa?Quella sera tutto si risolse in un litigio, ma quello che avevamo visto diceva abbastanza su quelli che sarebbero stati gli sviluppi futuri.

 

Il paese andò pian piano riempiendosi con l’arrivo delle calde giornate di Luglio.Un sabato mattina mi trovavo da solo, come raramente capitava, senza i miei due amici.Ricordo che ero appena uscito dal giornalaio, dove avevo acquistato il solito quotidiano sportivo. Pensavo al Toro, mi chiedevo se nel campionato seguente avremmo saputo prendere la rivincita sugli odiati bianconeri.Una mano, appoggiata sul braccio mi riscosse dai miei pensieri.- Tu sei il ragazzo che mi ha fermato l’anno scorso, vero?Mi voltai e rimasi imbambolato.Per lungo tempo mi ero completamente dimenticato di lei.Era cresciuta e stava diventando ancora più carina rispetto alla ragazza che conoscevo.Era la ragazza delle foto. Quelle che avevamo trovato nella villa. Quelle strappate, che non mostravano chi fosse con lei.La ragazza di cui si parlava nelle pagine di diario sparse per la stanza dalla moquette azzurra. Un amore infelice o qualunque cosa fosse stata.Erano foto sue, con certezza. Ma erano foto che la mostravano più vecchia. Più vecchia di qualche anno.Eravamo impazziti su quella storia. Un altro dei misteri senza soluzione di quella casa, nella quale la prima volta eravamo entrati quasi per gioco.- Allora, sei tu, vero? Volevo sapere… perché l’hai fatto… Te ne eri andato senza parlare…Mi sorrise e mi sentii mancare. Mancare controvoglia. Era davvero bella e semplice.Mi sentii confuso e sottosopra.Che cosa avrei potuto raccontarle? La verità? Avrei dovuto dirle - Guarda, tra qualche anno avrai a che fare con un personaggio misterioso… e tutto finirà male?No, non potevo. Mormorai qualche parola imbarazzata e diventammo amici, fino a incontrarci sovente, alle volte quasi per caso.Le feci conoscere Stella e Giancarlo e cominciai a chiamarla Ragazzina, affezionandomi inconsapevolmente al suo sorriso. Benché non passasse tutti i giorni con noi, divenne anche lei protagonista di quella indimenticabile estate dei misteri.

 

Quell’estate andò avanti così per un po’.Giancarlo ed io facevamo coppia come al solito al campetto di pallone e ogni tanto Stella ci seguiva. Non giocava spesso però con noi, come gli anni passati. Trascorreva il tempo a far saltellare Tobia o a leggere per i cavoli suoi, ma mi sembrava aver perso qualcosa dell’entusiasmo iniziale per il Cefalo. A mano a mano che i giorni scorrevano, leggevo nei suoi occhi insofferenza per il fidanzato, che quasi ogni sera arrivava rombando in paese dopo il lavoro.Lei era solo un trofeo da esporre con gli amici, o da trattare pubblicamente a pesci in faccia.Così la storia tra loro due non durò molto, penso che lei stessa avesse già in mente da qualche tempo di liberarsi di quel tipo invadente e barbaro. Non credo però che lui avrebbe mollato gli ormeggi tanto facilmente se non fosse capitato quello che capitò.

 

Una sera di luglio, credo fosse molto tardi, udii un pianto disperato provenire dal piano sotto al mio appartamento, dove i due fratelli abitavano.Il pianto apparteneva a Stella, non c’erano dubbi. Non feci in tempo a chiedermi che cosa avesse scatenato una reazione così estrema in una ragazza tanto quieta e riflessiva, che il campanello della porta suonò.Era Giancarlo, non l’avevo mai visto così. Aveva i pugni contratti e una mano era gonfia. Aveva tirato un pugno contro un tavolo, mi disse.La storia era terribile nella sua lucidità.Un paio di sere prima Stella, stanca di essere un oggetto a passeggio, aveva lasciato il Cefalo. Finalmente.Ne era nata una discussione ai giardinetti, con l’energumeno che aveva urlato e minacciato le cose peggiori. Ovvio, un vero macho non può permettere queste cose.E fin qui la storia era nota anche a me.Avevo tirato un respiro di sollievo quando avevo saputo.Quella sera invece, Stella era scesa con Tobia per la consueta passeggiatina serale.Durante la passeggiata si era trovata di fronte il Cefalo, tornato di nascosto in paese.Le aveva strappato il cane dalle mani e le aveva urlato che lo avrebbe portato “in un posto dove lei non sarebbe mai andata a riprenderlo”.Ed era sparito sulla Ford.Stella era distrutta. Piangeva come solo per un animale indifeso si può piangere.Avrei voluto spaccare il mondo, scesi con Giancarlo da lei e tentai di consolarla, per quanto me lo permettesse la mia goffaggine. I loro genitori erano furibondi, il padre ci caricò in macchina e girammo in lungo e in largo nel paese, alla ricerca del gobbo malefico. Non ci venne in mente di cercare nel posto più ovvio e forse fu una fortuna.Facemmo denuncia dell’accaduto ai Carabinieri. Dissero molto chiaramente che fino al giorno successivo non si sarebbero mossi.Le lacrime di Stella quella notte mi parvero cazzotti nello stomaco.

 

Dormii male, il mio sonno popolato da incubi.Ero nella villa e sognavo qualcosa di spaventoso. Tutto era preda di ombre nere e lunghe. Sentivo delle urla, gente che scappava, bisbigli. E la porta al fondo del corridoio, semi aperta con la luce azzurra che ne fuoriusciva.Il sogno divenne ancora più confuso. Ero con la Ragazzina nella stanza della moquette azzurra. Guardava le proprie foto e diceva - Questa sono io… sono proprio io – sorridendo.E poi mi ritrovai di fronte tre libri bianchi. Quelli che avevo sognato l’anno precedente.Lessi i titoli, sobbalzai e mi svegliai tutto sudato e spaventato, senza ricordare più quali fossero.

Lo trovarono la mattina seguente. Il Cefalo, non il cane purtroppo.Io non assistetti alla scena, ma quando Giancarlo mi avvisò, corsi alla villa e feci in tempo a vederlo.L’ambulanza si era fermata lungo il vialetto sterrato e, oltre a me, Giancarlo, Stella e agli infermieri che armeggiavano di fianco a lui, erano accorse persone dalle case nelle vicinanze.Aveva la schiena appoggiata lungo la staccionata di una delle ville, che correva lungo il vialetto sterrato. Lo sguardo era fisso nel vuoto, ansimava e... ve lo giuro. Vi giuro che è la verità.I suoi capelli erano diventati bianchi. Dio solo sapeva cosa avesse visto lì dentro.Non tutti, per carità, ma molti ciuffi presentavano un’imbiancatura improvvisa.Aveva i vestiti laceri e sporchi, doveva essersi trascinato fino a lì attraversando i rovi. A quanto si apprese in seguito, non presentava peraltro ferite o contusioni serie.Soltanto un inspiegabile stato di shock e amnesia, dovuto probabilmente a un grande spavento.Non disse mai che cosa fosse successo quella notte nella villa, né menzionò ciò che lo aveva ridotto in quello stato.A quanto ne so, restò due giorni nell’ospedale del paese vicino e poi se ne andò, girando bene alla larga da Stella.Di Tobia invece non c’era traccia. Dovevamo ritrovarlo, al più presto.C’era un solo posto dove poteva essere.

 

Forse era destino.Un anno prima ci eravamo mossi per ritrovare un bambino, questa volta era il turno di un cagnolino.Stella non ne volle sapere di tornare lì dentro, dopo la visione dell’anno passato e ci supplicò di capirla. Partimmo terrorizzati e avremmo voluto volentieri farne a meno. Le lasciammo uno dei fidi walkie talkie, fuori dalla villa, e un altro lo portammo con noi, in modo da poter dare prontamente l’allarme nel caso ci fossero stati dei problemi.Ci aspettavamo di tutto, dopo quanto capitato al Cefalo e, per dirla tutta, temevamo di trovarci di fronte a eventi soprannaturali di ogni tipo.Invece la nostra visita si rivelò tranquilla quanto una gita turistica in Vaticano.Tutto era uguale alle volte precedenti, soltanto le infiltrazioni d’acqua stavano lasciando degli evidenti aloni sui muri.Salimmo le scale molto velocemente, in direzione del piano superiore, senza chiamare il cagnolino, ammesso che ci fosse, per non sentire l’eco delle nostre parole. O la risposta di un estraneo.Il lungo corridoio, illuminato dalle nostre torce era sinistro come sempre e la porta in fondo, quella dietro la quale Stella sosteneva di aver visto un uomo, continuava ad essere ben chiusa, grazie al cielo.Gettammo con timore lo sguardo nella stanza che conoscevamo bene, quella dalla moquette azzurra, che si apriva sulla destra del corridoio.Tobia ci vide e scodinzolò.Il suo Bau si disperse nelle stanze.Doveva aver dormito tutto il tempo, poverino. Ci fece le feste che solo un cagnolino fedele e disinteressato può fare e bastò la sua presenza a rasserenarci.- Qui è tutto a posto. Tobia ritrovato, sta bene. – sussurrai nel walkie talkie.Udimmo la gioiosa risposta di Stella che ci invitava ad uscire alla svelta.Non so cosa mi prese a quel punto. Non era la prima volta che entravamo in quella casa e in quella stanza dove il disordine regnava sovrano. - Ancora cinque minuti… - dissi all’amica che ci attendeva.Prima di andare via volli dare un’ultima occhiata alla stanza che ormai conoscevamo così bene, poiché quella probabilmente sarebbe stata la nostra ultima visita.- E’ un peccato che questa storia non possa essere raccontata… - dissi guardando le innumerevoli pagine di diario o appunti sparsi per il pavimento. Mi spiaceva soprattutto perché quelle pagine, e soprattutto le foto che avevamo trovato, parlavano della Ragazzina. - Per quanto fosse illogico, cominciai a raccogliere quanti più fogli potevo da terra.Tobia abbaiò in segno di disapprovazione.Raccolsi moltissime pagine. Troppe però restarono sul pavimento. Avevo le braccia a cestino e il raggio di luce della torcia vagava verso il soffitto.Lasciammo la stanza e ci avviammo per le scale.Giancarlo di fronte a me con Tobia sottobraccio.Scesi pochi scalini però, intravidi un luccichio.- Fermati! – urlai.L’urlo rimbombò al piano superiore, in un’eco sinistra.- Ma che…?- Fermati, non ti muovere! – intimai al mio amico. Tobia ringhiò debolmente - Punta la luce in basso, sugli scalini!Quello che vedemmo per poco non ci fece ribaltare per lo spavento.Le scale erano piene di siringhe. Siringhe insanguinate. Dovevano essere decine…- Ma… ma prima non c’erano…! - Dobbiamo andarcene – dissi – Via, subito!Scendemmo le scale facendo attenzione a non pestarle, anche se, forse per suggestione, mi parve che il loro numero stesse aumentando.E poi via, fuori da lì, fuori dalla villa.Credevo per sempre.

 

- Questa storia è davvero strana, ragazzi. – dissi con calma.Era trascorso qualche giorno dal recupero di Tobia e le giornate erano caldissime.Eravamo come sempre in riva al lago, con i piedi a bagno e il tenero cagnolino che sguazzava felice nell’acqua.Non avevamo saputo giustificare a Stella la vicenda delle siringhe se non con la nostra autosuggestione.Sapevamo bene però che era una scusa che non reggeva.Avevo letto qualcosa dalle pagine raccolte in quella stanza. Era come comporre un puzzle, le pagine non erano datate e bisognava rimettere in ordine fatti e aneddoti.- Dicevo che questa storia è davvero strana… - amavo relazionare con fare professorale e tenere l’uditorio in sospeso.- E’ fondamentalmente una storia d’amore. Il protagonista, quello che scrive queste pagine di diario, deve essere la persona che viveva laggiù… in quella stanza. Immagino dovesse avere tra i 17 e i 19 anni… - i due ragazzi ascoltavano interessati, anche se Stella non staccava gli occhi da Tobia.- C’è un amore che nasce sulle rive di questo lago, tra lui e… la ragazza delle foto, suppongo. Lui non la chiama mai per nome. Si riferisce sempre a “Lei”. Ci sono sentimenti molto profondi… - osservai con fare sicuro, neanche me ne intendessi – Non ci sono smancerie. I due frequentano anche la stessa scuola, in città. Fanno le cose che fanno i ragazzi… - arrossii. Anche quelli erano anni di liberi costumi, non riuscivo a parlarne in modo disinvolto…- Non sono riuscito a capire quanto duri questa storia… ad un certo punto capita qualcosa. Di brutto… del resto quelle foto strappate la dicono lunga.Piombò il silenzio. Non ero ancora andato abbastanza a fondo nelle mie ricostruzioni. - Una storia che finisce… Un grande amore che finisce – rifletté Stella muovendo i piedi nel lago… - Inoltre ci sono cose strane…- Quali cose strane? – mi incalzò Giancarlo.- Cose strane…. Il protagonista è tifoso acceso del Toro. Tanto tifoso. Le pagine parlano di ricordi, di partite. Ecco… - non sapevo come dirlo.– Ci sono partite che conosciamo e altre no. Si parla di una partita contro una squadra che si chiama “Stoccarda”. Un’altra contro lo Sporting di Gijon… Ragazzi, credo di conoscere bene la storia del Toro… Non abbiamo mai giocato contro queste squadre… ricordate la storia dei Calciofilm che abbiamo trovato lì, vero…?Nessuno rispose. Conoscevano fin troppo bene la verità.- Quindi questo significa che… o queste pagine di diario parlano di cose inventate… o di cose che devono ancora succedere.Non feci in tempo a cogliere i loro sguardi impauriti.Poco oltre il pendio erboso sul quale ci trovavamo, vidi che stava arrivando la Ragazzina. Mi sorrise come faceva sempre.- Sta arrivando… - dissi – meglio cambiare discorso.Lei non doveva sapere.

 

Questi sono i miei ricordi dell’estate 1977, un’estate che vivemmo in quattro più Tobia.Un’estate passata a gustarci il sole come se fosse l’ultimo della nostra vita, trascorsa a guardare le ombre per paura che si allungassero troppo. Trascorsa a sperare che quella casa non fosse la porta sul futuro o su un mondo parallelo, quale ormai eravamo quasi sicuri che fosse.Per quanto la razionalità traballi a quell’età, il tempo delle fiabe non è così distante e noi forse ci illudemmo di vivere una fiaba. Una fiaba strana, sinistra, incosciente dove temevi non soltanto per te, ma anche per quelli che stavano diventando amici inseparabili.A mano a mano che i giorni trascorrevano, nuovi particolari si rivelavano nella storia tra Lui e Lei.Il loro amore doveva essere durato almeno tre anni. C’erano ricordi dei regali aperti a Natale, di vacanze, di pomeriggi di studio nella stanza azzurra, di baci, tenerezze… e poi l’arrivo dei Donega.A quanto ero riuscito a capire, i Donega erano una coppia di fratelli terribili e delinquenti, che provenivano da un’altra zona della città. Dovevano aver cominciato a prendere di mira la vita di Lui e Lei.Era difficile ricostruire quello che era successo, probabilmente troppe pagine di quel diario erano rimaste all’interno della villa… Forse Lei si era invaghita di uno dei due. Oppure era successo qualcos’altro. Chissà cosa.

 

Quanti ricordi in quell’estate, amici.Non rivelammo mai quella storia alla Ragazzina, anche se lei più volte cercò di capire, con una delicatezza particolare perché il nostro sguardo fosse spesso triste.Il mio in particolare.Per quanto stessi tentando di nasconderlo anche a me stesso, avevo piacere ogni qual volta la vedevo. Mi sembrava di aver il suo futuro di fronte a me, dipinto in quelle foto. Se quella follia era vera, era destinata ad andare incontro ad una storia dal finale forse drammatico… e io non volevo che questo succedesse. Non volevo.Così come facevo finta di non voler vedere le attenzioni che mi rivolgeva, in maniera timida, che io rifiutavo con la scusa della mia sbadataggine.Non volevo vedere e non potevo fare nulla. Non era giusto. Lei si stava cominciando ad insinuare nei miei pensieri facendoli spesso impazzire… e non era giusto. Non era questo il destino. Non ero io il predestinato. Già, ma chi era? Chi era il protagonista di quella storia? Che fine aveva fatto? Da dove doveva comparire? Se solo avessi potuto risolvere quel rebus, allora sarei stato in grado di aiutarla.Ma come?

 

Una notte, dopo la metà d’agosto, ebbi uno strano incubo riguardante la villa.L’incubo si ripeté la notte dopo. E la notte dopo ancora.Quando un pomeriggio ne parlai con Giancarlo e Stella, venni a sapere che anche loro avevano fatto lo stesso sogno. Senza mai confessarselo.

Nel sogno eravamo nella stanza della moquette azzurra. Nella libreria erano rimasti solo tre libri bianchi, quelli che avevo già sognato.Parlavamo tra noi, credo degli argomenti più disparati, ma tutto quanto usciva dalla nostra bocca era “Sono solo un personaggio”. Avremmo potuto parlare di calcio, astronomia o ciclismo e le parole sarebbero sempre state “Sono solo un personaggio”.Il sogno finiva quando ci voltavamo verso una parete e scorgevamo la scritta:Laggiù saprete tutto. Questo è il vostro destino, così è stato deciso. Anche tu, tu che sai già tutto.Tutti e tre lo stesso sogno.Tutti e tre.

 

- Laggiù saprete tutto. Questo è il vostro destino, così è stato deciso. Anche tu, tu che sai già tutto. Cosa avrà voluto dire quella scritta? A chi si riferiva?Eravamo terrorizzati. Avevamo la testa piena di confusione e una volta tanto, non vedevamo l’ora che l’estate finisse.- Uno di noi sa la verità? – disse Giancarlo – Sa già tutto? E chi è? Se sono io forse mi è sfuggito qualcosa. Stella non dici nulla?La ragazza prese tempo prima di parlare, come sempre.- Non mi piace quello che sta capitando. Non voglio tornare laggiù. Non mi piacciono questi sogni. Non mi piace questa storia. E’ tutto sbagliato. Voglio andarmene da qui.Camminammo per il lungolago, mentre il pomeriggio scivolava via.Un’altra giornata se ne andava, un'altra estate scivolava via.- Ragazzi, meglio che io vada a casa a studiare… - disse Giancarlo – non manca molto e tra una settimana ci sono gli esami… Questi sono reali sul serio.- Ti seguo. Tobia ha bisogno del suo giretto quotidiano – aggiunse la sorella.Ci salutammo con un sorriso forzato.- Non ti lasciamo da solo. C’è la tua “amichetta” che sta arrivando… - disse Stella

 

Forse avrei dovuto trovare una scusa e andarmene con gli altri.Invece non seppi resistere quel giorno. Era bellissimo vedere qualcuno che ti veniva incontro e desiderava vederti, e sapevo bene che anche io non desideravo altro.Quel giorno ci sedemmo su una panchina della lunga passeggiata, un po’ discosti dalla strada.Era più bella che mai nella sua semplicità.Lei parlava in modo dolce e rassicurante e mi guardava, seduta a cavalcioni della panchina, voltata verso di me, mentre io fissavo goffamente il lago con la volontà a pezzetti.- Sei taciturno in questi giorni. Perché non mi dici cosa c’è che non va? Perché non mi confidi il tuo segreto? So che non vuoi dirmi qualcosa… non ti trovi bene con me?Il cuore batteva anche nelle tempie. Non mi era mai capitata una cosa simile. Avrei voluto abbandonarmi a quell’esplosione che non conoscevo... ma non potevo… non potevo!Mi accarezzò il viso.- Mi sono innamorata di te… - mi sussurrò quasi impercettibilmente all’orecchio.Mi voltai verso di lei, sopraffatto da quel lembo di paradiso che mi si stava aprendo di fronte.La accarezzai tremando, mentre si protendeva verso di me.Ci abbracciamo come fosse la cosa più naturale del mondo e credo che per un attimo le nostre labbra si sfiorarono.Poi mi ritrassi improvvisamente e mi alzai dalla panchina. Non doveva andare così. Non era giusto.- Ma perché? – disse lei smarrita e implorante- Perdonami – dissi col cuore in gola – Io non… non posso. Non sono io che… Non è il nostro destino. Oddio, tutto questo non è giusto…!Scappai via così, lasciandola sola su quella panchina, probabilmente tra le lacrime, lontano da quel paradiso tanto meraviglioso che mi era stato concesso di vivere solo per un secondo.

 

Sapevamo troppo bene che non sarebbe finita così.Sapevo che c’era da scrivere l’ultimo capitolo.La villa ci attirò come luogo inesorabile, un paio di giorni prima di andarcene via e di tornare in città.Mentre passeggiavamo nelle vicinanze del lago, nostra consueta abitudine, scorgemmo una Renault rossa al fondo del vialetto sterrato della villa.Ci avvicinammo con cautela, ma già da una certa distanza potemmo notare la scritta “VENDESI” che campeggiava a caratteri cubitali sul cartello che un ragazzo dai capelli rossi, curiosa combinazione col colore Renault, stava affiggendo alla sinistra del cancello.- Che fate qui? – ci apostrofò quando ci vide – Andatevene, questa è proprietà privata! Non avevate per caso intenzione di entrare, vero?Scuotemmo la testa, colpevolmente menzogneri.La villa incombeva sopra di noi. Mi sentii osservato attraverso quelle vetrate.- Lunedì arriveranno gli operai, l’Agenzia ha comprato questo “coso” all’asta. C’è un bel lavoro da fare lì dentro. Brrr, mi vengono i brividi in questo posto. Io me ne vado ragazzi. Mi raccomando, non entrate! Saltò sulla Renault e scappò via da quel luogo.

 

- Fine della corsa, ragazzi - disse Giancarlo - Questo è il capolinea. Doveva finire prima o poi.- Significa che non leggeremo mai le altre pagine del diario… Non scopriremo mai i misteri di questo posto… - mi sorpresi delle mie parole.- Sei così pazzo che saresti capace di tornarci ancora… comunque l’ultima parola spetta a Stella. Anche a me un po’ spiace che non ci siano risposte in fondo…Stella si voltò verso di noi.Era ovvio che avrebbe risposto con un No.Ma era tutto già scritto, ve l’ho già detto.

 

Poche ore dopo.Per l’ultima volta. Sostammo di fronte al cancello un’ultima volta. Ormai avevamo deciso. Anche Stella era con noi.Ci abbracciammo tutti e tre.Scavalcammo il muretto ed entrammo.Per l’ultima volta.Avevamo paura. La soluzione era lì dentro e se la realtà e il tempo scricchiolavano, tanto valeva affrontare quello che la casa ci avrebbe riservato.

 

Non c’erano più siringhe per le scale, ma non dissi nulla e salii lentamente le scale. Ci tenevamo per mano, lungo gli scalini. Io per primo, Stella in mezzo e suo fratello dietro.Stringevo uno dei walkie talkie per eventuali emergenze, Stella aveva il secondo.Giungemmo al corridoio.Sentii Stella ansimare guardando la porta in fondo.Mi strinse la mano fino a farmi male.Quasi la trascinai via, fino alla stanza dalla moquette azzurra.L’aria era strana, immobile, il silenzio profondo era interrotto soltanto dal ronzio dei nostri walkie.Il pavimento era ancora pieno di fogli. Cominciai a raccoglierli velocemente, sperando di trovare la soluzione che dovevamo scoprire. Con la coda dell’occhio vidi Giancarlo un po’ più in là e Stella che continuava a guardare verso il corridoio.Non so quanto tempo trascorse.Cercai, frugai a lungo. Alla fine mi capitò in mano una pagina.E i tasselli andarono a posto.Lessi incredulo quello che era capitato.Si parlava di corsie di ospedale, di una storia finita su un marciapiede, vicino a una fontana.Era terribile, ora era chiaro che…- Ehi ragazzi... qui dice tutto, dice che Lei è… E’ stata una storia di… Ehi, ragazzi?  Ma dove siete finiti?Mi guardai attorno nel panico, mi affacciai sul corridoio.Giancarlo e Stella non c’erano più.Ero rimasto da solo.

 

Il walkie, che avevo lasciato nella stanza cominciò a gracchiare.- La porta… la porta… – Era la voce di Stella, sentivo il suo respiro ansimare nel ricevitore.- Stella! Giancarlo!Dove siete? Non vi sento!!! Non vi vedo!!! – tentai di chiamarli attraverso il walkie. Ma non ottenni risposta.- La porta… la porta… - Continuò la voce di Stella. Udii i suoi passi nel walkie.Poi ancora dal ricevitore provenne un rumore metallico e un cigolio.Come se una porta venisse aperta.Proprio in quel momento vidi. Davanti ai miei occhi, nella libreria. I tre libri bianchi.

 

La luce azzurra del mio portatile inonda la penombra di questa stanza.Sono stanco a forza di scrivere e di battere su questi tasti e scrivere questa storia mi fa ricordare cose che pensavo di avere dimenticato.Un antico e profondo dolore. Quanti anni sono passati? Dio mio quanto tempo...!Non credevo che avrei scritto questo passaggio.Il personaggio di Stella ha assunto una personalità propria. Credo di aver riassunto bene la mia figura, di quando ero giovane e anche quella di Giancarlo.Stella invece è andata oltre, nel corso dello sviluppo della trama.E ora non so come farlo finire…Quando ho cominciato non pensavo che le avrei fatto aprire la porta di questa stanza.Alle volte mi sembra che i personaggi sfuggano quasi e prendano vita propria… forse è solo una sensazione…Mi sembra di sentire i suoi passi qui nel corridoio.La maniglia che gira.La porta che si apre.Immagino di vederla di fronte a me.Quasi mi spiace che debba capire la verità vedendomi. Vedendomi ormai così invecchiato.Cercherò di sorriderle…

 

I libri erano di fronte a me.Li afferrai ma mi sfuggirono e caddero a terra.Mi chinai e raccolsi il primo. Si intitolava “La villa dei misteri – 1) la tripletta di Pulici”.Cominciava così:Ricordo ancora quando entrammo per la prima volta nella Villa dei misteri.Allora non la chiamavamo ancora così, naturalmente.Era semplicemente la “villa abbandonata sul lago”, situata curiosamente vicino ai giardinetti e al campetto da calcio, dove trascorrevamo le nostre giornate.A quindici anni si comincia a scoprire l’altro sesso, oppure ci si dedica al motorino. O forse alla musica e allo sport.Noi niente di tutto questo.La nostra passione erano le case abbandonate. 

 

La voce di Stella dal walkie sussurrò - Mio Dio… Sei tu…

Scagliai lontano il primo libro e presi il secondo.Si intitolava: “La villa dei misteri – 2) La Porsche del gobbo”:Quando Giancarlo e Stella, i due fratelli miei amici, tornarono dal mare, erano ormai trascorsi più di tre mesi dall’avventura che avevamo vissuto e che ci aveva portato ad esplorare la casa abbandonata sul lago. Quella che per noi era diventata “la villa dei misteri”.Durante la loro assenza avevo cercato di dimenticare la storia inquietante dei giornali che avevamo trovato là dentro. Riviste sportive che riportavano cronache e risultati di partite del Toro che si sarebbero disputate di lì a poco. Giornali vecchi che parlavano del futuro.

 

- Mio Dio! Sei tu… Sei tu! – gridava Stella nel walkie.

Tutto intorno i fogli presero a svolazzare, mossi da un vento invisibile. Pagine di ricordi e le foto della Ragazzina fluttuavano di fronte a me.Scagliai via anche il secondo libro e afferrai il terzo.Il titolo era “La villa dei misteri – 3) La resa dei conti”:Passò un anno.Un anno intero dagli avvenimenti che avevano segnato l’estate 1976.Un anno dalle nostre esplorazioni nella villa abbandonata sul lago che, partite come un gioco, avevano portato un universo che ci aveva attratto e terrorizzato allo stesso tempo.In quella camera azzurra avevamo scoperto, giornali che parlavano di partite ancora da giocare, appunti su vicende che si dovevano ancora verificare, pagine di diario che parlavano di una vita misteriosa. Foto e oggetti che sembravano appartenere ad un altro tempo o forse al futuro.

 

Il terribile sospetto si insinuò nel cervello come una pugnalata. Cercai disperatamente l’ultima pagina per vedere cosa ci fosse scritto.Il terribile sospetto si insinuò nel cervello come una pugnalata. Cercai disperatamente l’ultima pagina per vedere cosa ci fosse scritto.

 

Fui scosso freneticamente da brividi che mi raggelarono e caddi in ginocchio.Vedevo le parole mentre si componevano riga per riga.Fui scosso freneticamente da brividi che mi raggelarono e caddi in ginocchio.Vedevo le parole mentre si componevano riga per riga.

 

Il libro mi scivolò dalle mani.I miei ricordi presero a volare nella stanza, mentre mi portavo le mani al viso trafitto dalla verità, mentre il walkie gracchiava la soluzione.

- Sei tu che stai scrivendo un libro!!! Noooo! La stanza è la stanza dei tuoi ricordi! E noi… Noi siamo personaggi di un libroooo Noi… non esistiamo…Non era il futuro… siamo noi ad essere il passato! Noi… non esistiamo!

La voce di Stella divenne acuta e penetrò nel cervello.Forse avevo sempre saputo. Forse una parte di me lo sapeva. Anche se ero solo un personaggio.Cercai di urlare disperato, mentre la mente si schiariva.Io sono solo un personaggioCentinaia di siringhe si radunarono nell’aria e trafissero una foto della Ragazza, a illuminarmi su quello che era stato un grande amore ucciso dalla droga.Poi urlai. Urlai quanto potevo di rabbia e disperazione. Anche se ero solo il personaggio di una storia.

 

Mi trovavo sulla riva del lago. Su quel pendio erboso dove avevamo trascorso tante giornate a leggere gialli e a scherzare.Ero seduto sull’erba e doveva essere pomeriggio inoltrato.Guardavo l’acqua di fronte a me.Un paio di metri sulla sinistra c’erano Stella e Giancarlo. Erano abbracciati e lei doveva aver pianto.Tobia era accoccolato di fianco alla sua padrona e faceva roteare la coda nella speranza di ottenere l’attenzione della padrona.I due ragazzi mi guardarono con rancore.La brezza scavò fessure dorate nell’erba e ci mosse lentamente i capelli.- Io… - cominciai a dire. Poi mi resi conto che tutto era assurdo e inutile.- Mi spiace... Mi dispiace – fui soltanto capace di ripetere sottovoce.- Perché non è finito tutto? Perché sta... stai continuando ancora a scrivere? – chiese Stella con un filo di rabbia. - Che bisogno c’è di continuare? Di andare avanti? – deglutì – E’ tutto finto. Questi abbracci, questo lago, tutto quello che abbiamo vissuto… anche ora è tutto finto… Dio, credo che siano pensieri miei e invece c’è un altro che li sta scrivendo per me… ci sei tu che li stai scrivendo! – aggiunse con rabbia. – Queste non sono neanche parole mie… Siamo solo personaggi di un libro…chissà se siamo davvero esistiti? Chi sono i veri Giancarlo e Stella… Se eravamo... se siamo veramente così… se siamo dei ricordi o delle invenzioni? – chinò il capo – Neanche queste sono mie parole.Mi sentivo come sdoppiato. Anche in quel momento, mentre probabilmente stavo scrivendo quella scena. Mi rimbombavano nella testa rimpianto e commozione che sembravano venire da lontano, un istante prima di viverli.Perché stavo continuando? Perché la storia non finiva? Cosa volevo ancora?Girai il volto, là, da qualche parte doveva esserci la villa, ma non importava più adesso, provavo un’indifferenza assoluta.Seduta sulle panchine, laggiù da sola, vidi la Ragazzina. Mi guardava timorosa. Forse avrebbe voluto avvicinarsi, ma temeva un nuovo rifiuto.Le sorrisi inconsapevolmente. Lei mi rispose da lontano.Guardai la scena che era dipinta di fronte ai miei occhi.Il lago, i riflessi dorati del sole, i miei migliori amici con il loro cagnolino, l’erba solcata dal vento e da lontano il sorriso di chi mi voleva bene.Non c’entrava il passato. Non c’entrava il futuro.C’era solo il presente.Alle volte mi sembra che i personaggi sfuggano quasi e prendano vita propria… forse è solo una sensazione, sentii arrivare da lontano, da molto lontano.Guardai il sorriso della ragazzina, mentre si avvicinava felice.Era la cosa più bella del mondo. Mauro Saglietti