mondo granata

Lasciate che i pargoli vengano al Toro

Redazione Toro News

Circa 2000 anni fa un signore con la tunica e la barba -anche se sarebbe meglio dire “Il Signore”- predicava alle masse dicendo “lasciate che i pargoli vengano a me”.
L’altro ieri, un altro signore con la...

Circa 2000 anni fa un signore con la tunica e la barba -anche se sarebbe meglio dire “Il Signore”- predicava alle masse dicendo “lasciate che i pargoli vengano a me”. L’altro ieri, un altro signore con la maglia Granata ed il numero 9 sulla schiena diceva “lasciate che i bambini vengano al Toro”.Lo so, queste due citazioni ravvicinate potrebbero pure suonare un po’ blasfeme, anche perché il risultato della equazione che ne scaturisce è: Rolando Bianchi = Messia Granata, ma sono sicuro che la leggerezza con cui ne parlo eviterà qualsiasi rimescolamento tra “sacro” e “profano”. E comunque, nel linguaggio sportivo spesso si sono utilizzate espressioni ibride di matrice calcistico-religiosa che sono rimaste nell’immaginario collettivo: Maradona, per esempio, dopo il gol di pugno all’Inghilterra nei mondiali messicani è noto come la “mano di Dio”, e Madjer, l’algerino che fece vincere la Coppa Campioni al Porto 22 anni fa con un colpo di tacco, è noto come il “tacco di Allah”. Quindi, se dico che il nostro Rolando è il nuovo Messia Granata, nessuno farà obiezioni. Avevo ancora nelle orecchie il suono dolce delle parole di Bianchi di qualche settimana fa, in piena bufera calciomercatesca, allorquando il nostro centravanti ebbe a dichiarare di voler restare in B, così fissando il punto fermo attorno al quale sarebbe ruotato tutto il nuovo “progetto Toro”. Dicevo, avevo ancora nelle orecchie queste belle parole, che il nostro Rolando se ne esce con una nuova frase:“Voglio un Toro che conquisti i bambini”. Accidenti! Leggere queste parole mi ha toccato proprio sul vivo, nella mia sensibilità di Cuore Granata. A dire la verità, non sono neanche stato lì a guardare troppo per il sottile se quella frase fosse virgolettata come detta proprio dal Nostro (lo era…), o se fosse invece una rilettura furbesca dell’articolista che cercava il titolo buono per vendere meglio il suo giornale. Sì, quelle parole mi hanno emozionato. Per due motivi. Il primo è che, d’un tratto, mi sono rivisto bambino allo stadio, a tifare Toro. Un bambino fortunato, che era lì, con la sua sciarpa Granata nuova, quando Torrisi piegava le mani a Zoff in semi-rovesciata, ed era lì anche quando Serena incornava nel sette l’angolo di Junior, all’ultimo minuto. Un bambino fortunato. E felice. Che piangeva allora di contentezza e che si emoziona, oggi, a rivivere quei frammenti di storia. Il secondo motivo è la prossima imminente nascita del mio terzogenito, il primomaschietto dopo due adorabili femminucce. Quando mia moglie è rimasta incinta, il mio caro amico di Roma, laziale, saputo del prossimo lieto evento ed essendo ben a conoscenza del mio tifo Granata e della mia voglia di trasmettere al pupo la mia fede calcistica, mi ha scritto un sms: “Da oggi comincia il grande bluff. Tu, da adesso, tifi per il Celtic Glasgow, la squadra che ha vinto 42 scudetti e 49 coppe. Il bimbo si merita un po’ di felicità sportiva”. Eh sì, chi non è Granata non può capire cosa intendiamo noi, tifosi del Toro, per “felicità sportiva”, e nemmeno lo si può illustrare a parole cosa vuol dire essere “del Toro”. E’ come spiegare cosa vuol dire essere innamorati. Semplicemente, non si può.Ti svegli alla mattina, e sai di essere innamorato di tua moglie e dei tuoi figli. E di tifare Toro.Per gli scudetti c’è tempo.Andrea Ferrua