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Lazio provincia, Torino capitale

Redazione Toro News

Guida al granata in trasferta / Piemontesi a Roma...

"«Roma provincia / Torino capitale» è uno slogan che mi cantò nelle orecchie un ragazzo torinese durante un viaggio studio all'estero, più di una decina di anni fa. Uno slogan che ho ancora sentito qua e là, non proprio spessissimo, frequentando stadi e piazze. A ben guardare, oltre all'orgoglio campanilistico, lo slogan richiama nella mente del frequentatore di libri di storia quel vero e proprio disagio (ormai ampiamente digerito) che fu lo spostamento della capitale. Più o meno tutti, a scuola abbiamo imparato che con l'unificazione italiana la capitale, dopo qualche anno di rodaggio, venne spostata prima a Firenze e poi a Roma, con conseguente letargo del capoluogo piemontese. La realtà, come sempre, fu più complessa e nel settembre 1864 la città di Torino rispose con imponenti manifestazioni antitrasferimento. Come costume dell'epoca, le forze dell'ordine spararono: furono in cinquantadue a morire in piazza San Carlo. Ancora oggi il basamento del monumento a Emanuele Filiberto porta i segni delle fucilate.

"Con lo spostamento della Capitale iniziò anche l'epoca dei travèt, un esercito di impiegati ministeriali torinesissimi che – seguendo le carovane governative – si trasferirono in centro Italia scrivendone peste e corna. Assolutamente incapaci di comprendersi con chiunque fosse nato oltre il Sesia e per nulla propensi ad aprirsi a stili di vita differenti, i travèt cercarono di replicare le abitudini piemontesi ovunque andassero: Roma, in questo senso, non fece eccezione. Così dal vermouth rilassante dopo l'ufficio ai nuovi cantieri urbanistici (delle oltre quarantamila stanze richieste dai piemontesi, il Comune riuscì a trovarne solo cinquecento) i “buzzurri” (come li chiamarono i romani) provarono a lasciare il proprio segno a Roma. La voglia di sport, già vissuta dalla borghesia e dai nobili in riva al Po, si unì e accrebbe il numero delle società ginniche romane: un momento ricordato anche da Paolo Villaggio, nel film Superfantozzi, quando immaginò il nuovo capoufficio piemontese obbligare il suo ragioniere a darsi al canottaggio sul Tevere, subito dopo la breccia di Porta Pia.

"Negli anni umbertini Roma divenne capitale moderna ed elegante, dove i nobili e i ricchi potevano spassarsela a teatro, alle corse, nei caffè, partecipando a balli e mondanità e dandosi anche allo sport, attività sempre più diffusa in Europa e in Italia. Fu da questo mondo di fine ottocento che presero vita molte società sportive tra cui anche la Società Podistica Lazio, fondata il 9 gennaio 1900 in piazza della Libertà. Un'infanzia difficile quella della sezione calcistica biancoceleste, costretta a giocare contro seminaristi scozzesi per assenza di avversari ufficiali, mentre al nord i campionati già si succedevano con scansione quasi regolare. Un rodaggio che durò fino al 1908 quando l'iscrizione alla Federazione fece della Lazio una delle prime protagoniste calcistiche del centro sud.Il Torino affrontò la Lazio per la prima volta nella sua storia il 21 maggio 1925. Un'amichevole di prestigio: il club biancoceleste festeggiava quel giorno i suoi venticinque anni d'età e dalle tribune parlò Paolo Boselli, un uomo che mescolava in sé entrambe le città. Già studente all'Università torinese, Boselli fu presidente del Consiglio provinciale di Torino, nonché capo del Governo nei giorni di Caporetto e presidente onorario della Lazio: chi meglio di lui, insomma, per presentare un match tra biancocelesti e granata. Davanti a una “folla elegantissima” (come ricordano i giornali dell'epoca) la partita terminò 1-1, tra gli applausi dello stadio dello Rondinella.

"Quello stadio, oggi scomparso, fu la casa storica del club biancoceleste: un tempio che vide tra gli altri le parate di Sclavi e il genio duttile di Fulvio Bernardini. Un impianto che dal 1931 i laziali usarono solo per gli allenamenti, giocando le partite nel vicinissimo stadio Nazionale, condiviso con la Roma e teatro della finale dei mondiali 1934. Proprio in quell'impianto, quindici anni dopo la finale, accadde qualcosa che tocca da vicino la storia del Toro. Infatti il 15 maggio 1949 Giampiero Boniperti, con la maglia azzurra della Nazionale, salì in tribuna d'onore e consegnò ad Alcide De Gasperi una foto del Grande Torino, caduto a Superga meno di due settimane prima. A fianco del Presidente del Consiglio italiano sedeva Rimet, presidente Fifa: quel giorno le due autorità intitolarono alla memoria del Grande Torino lo stadio Nazionale. Lo “stadio Torino” di Roma ebbe però vita breve: abbandonato dal grande calcio dopo l'erezione dello stadio Olimpico (1953) venne abbattuto, nel 1957, per essere ricostruito da Nervi con l'attuale denominazione di stadio Flaminio.

"Se può stupire – dato l'avvio di questo articolo – che uno stadio romano potesse essere intitolato a una squadra piemontese (in realtà ci dà l'idea di quanto la tragedia di Superga avesse colpito profondamente tutta Italia) è da ricordare come un altro piemontese divenne idolo indiscusso della sponda biancoceleste del Tevere: Silvio Piola. Quando la Pro Vercelli dovette venderlo la Lazio, grazie anche alle pressioni provenienti direttamente dal partito fascista, riuscì a soffiarlo a tutti. Lì Piola segnò qualcosa come 149 gol (record assoluto per i biancocelesti) per poi vestire, nel 1944, la maglia granata e segnare 27 gol in 23 presenze nel campionato Alta Italia. Sessant'anni dopo i travèt Silvio Piola, trasferito dal Sesia al Tevere, non visse i suoi anni romani come un esule o uno straniero: anche questo, esattamente come lo Stadio Torino, può essere un segno di quanto il calcio abbia contribuito a fare gli italiani.