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Le Loro storie, Alessandro Conticchio: “Dopo una sconfitta mi incazzavo troppo per fare festa”

Marco Parella
Esclusiva / Prima di Inter-Toro le passioni musicali e i valori umani di un doppio ex "heavy metal": "Mi piace ancora Marilyn Manson come quando ero giovane. Ora alleno a Livorno con il mio amico Lucarelli, ma sogno una panchina con i ragazzini"

Un nuovo modo di raccontare il calcio: quello dei protagonisti. Calciatori, allenatori, dirigenti. Sempre sotto la luce dei riflettori, ma mai veramente compresi o comprensibili. Noi li vogliamo avvicinare ai tifosi e ribaltare il meccanismo delle interviste. Non saremo noi a chiedere, saranno loro a raccontarci un aspetto del mondo in cui vivono. Un tema libero, potremmo dire. Sono i protagonisti stessi della nostra passione a condividere con noi “Le Loro storie”. Senza filtri, senza meta.

Ritorna l'appuntamento con la normalità. La normalità degli uomini che esistono dentro (e prima) che i calciatori diventino modelli irraggiungibili, esseri composti da triangolazioni tra social, Billionaire e riflettori.

Solo su queste pagine, infatti, capita che qualcuno come Alessandro Conticchio, cresciuto nell'Inter, diventato "Sindaco" a Lecce, passato al Toro lasciando il segno e "da grande" diventato collaboratore di Cristiano Lucarelli, racconti di concerti metal, di suore che lo sgridano, di rispetto per i tifosi e persino di un figlio di nome Tommaso da educare musicalmente (bene) e di un certo biondo Federico (male).

Roba da persona normale, in fondo. Finalmente.

 

Negli spogliatoi si mette sempre la musica latino-americana o da discoteca, perché è quella che piace un po’ a tutti. Io ho sempre ascoltato rock, metallo pesante, per cui diciamo che non le facevano mai scegliere a me le canzoni della playlist.

Sono partito dai Metallica, poi ho avuto il periodo del grunge con i Nirvana, gli Alice in Chains, i Pearl Jam. Sono curioso e vado a cercarmi anche i gruppi più estremi, tipo gli Slipknot. Il rock mi fa bene, mi carica o forse sono io che ho sempre avuto questa grinta dentro e in qualche modo devo sfogarla. Ogni tanto ne sento proprio il bisogno e devo buttarmi in qualche concerto heavy metal. Ci vado anche con la camicia adesso, non è un problema.  Ho sempre ascoltato questo tipo di musica, ma lo faccio magari a casa o mentre guido. Non voglio obbligare nessuno, però non mi ci vedo ad ascoltare Gianni Morandi…

01:44 min

Da giocatore sentivo tanto l’avvicinarsi delle partite. Iniziavo dal venerdì a concentrarmi sugli avversari, a visualizzare mentalmente le azioni. Mangiavo sempre le stesse cose, ripetevo i gesti fatti la settimana precedente, se avevano portato fortuna, per esempio allacciarsi le scarpe in un determinato modo. Non sono scaramantico, né uno esaurito o ossessionato. Era la mia routine. Mi caricavo durante tutta la settimana, ma la domenica era la quiete prima della tempesta: la sera prima telefonavo ai miei, poi staccavo il cellulare e non volevo più avere contatti con nessuno. Mi creavo la mia bolla per isolarmi completamente, non dovevano rompermi le scatole. Ora quasi tutti in spogliatoio chattano o giocano col telefonino fino all’ultimo, io invece prima di entrare in campo mi estraniavo con le cuffie e facevo partire i Guns N’ Roses o gli Ac/Dc.

Quand’ero a Lecce mi ero appassionato di Marilyn Manson. Avevo tirato dentro in questa passione anche il mio compagno Davide Balleri e passavamo ore in auto ad ascoltarci le canzoni dell’ultimo album (ancora oggi ogni tanto mi manda i testi dei pezzi che sta ascoltando). Un giorno Davide mi sfida: “Non ce l’hai il coraggio di metterti la t-shirt di Manson sotto la maglia e mostrarla a tutti se segni”. Figurati. Indossata subito e quel giorno ho anche fatto gol, per cui poi l’ho tenuta per mesi. Era l’anno in cui feci 4 gol in Serie A (stagione 200/’01, ndr) per cui quella maglietta diventò la mia esultanza. Dopo un po' qualcuno iniziò a storcere il naso, mi arrivò addirittura una lettera da parte delle suore di un convento. Scrivevano che Marilyn Manson era l'anticristo, che era diseducativo, spingeva alla violenza. In quel periodo i giornali gli davano la colpa di tutto, anche di alcune sparatorie negli Usa. Cazzate. La prima volta che sono andato a vedere Marilyn Manson, a Roma, ero in compagnia della mia futura moglie e sua cugina ed è stato il concerto più tranquillo a cui sono stato. Ho rischiato di più la vita a quello di Vasco Rossi, volavano bottigliate!

Uno totalmente all’opposto a livello di approccio alla partita era Balzaretti. Federico rideva, sempre e comunque. Un giorno un nostro compagno appena arrivato lo vide così spensierato e giocoso anche durante il riscaldamento e gli urlò “adesso basta ridere, c’è la partita”. Lo fermai subito: “No, guarda, lascialo stare. Lui può scherzare quanto vuole, perché poi in campo corre per tre. È fatto così, preoccupati quando è serio”.

Dopo una sconfitta invece io pativo tanto. Non ce la facevo a uscire con la squadra dopo aver perso, ero troppo incazzato. Certo, può capitare di perdere contro una squadra più forte, Milan, Juve, Roma. Ma se avevamo perso per un episodio, un errore arbitrale o per aver commesso una leggerezza dopo una buona prestazione, ecco, in quei casi avevo un’incazzatura dentro… Le ho sempre vissute male le sconfitte, me ne andavo subito a casa, avevo bisogno di sbollire fino al giorno successivo.

Non concepisco chi invece si presenta in un locale e fa festa. È poco furbo da parte dei giocatori perché anche ai tifosi girano le palle se la squadra ha perso e se ti vedono così poi è normale che ti bersaglino. Fai passare almeno ventiquattr’ore e esci la sera dopo, cosa ti costa?. Molti miei colleghi non ci ragionano su questi piccoli dettagli, non hanno la sensibilità di capire la situazione. È una forma di rispetto verso i tuoi tifosi.

Da allenatore cerco di dare anche questo tipo di consigli ai calciatori, ma se nello spogliatoio hai la fortuna di avere due o tre “vecchi” non ce n’è nemmeno bisogno. L’input molte volte parte dal capitano o dai senatori che alla fine della partita si raccomandano: “Ragazzi stasera andiamo tutti a casa. Non vi fate vedere in giro, non è il caso”. Sono figure importanti perché, come dice sempre anche Cristiano (Lucarelli, ndr), noi allenatori in spogliatoio ci dobbiamo entrare poco, quello è territorio dei giocatori, tocca a loro crearsi un habitat su misura, tocca a loro sbrigarsela. Purtroppo di gente con determinati valori ce n’è sempre meno. Qui a Livorno c’è Mazzoni, il portiere, che pur non essendo capitano si fa rispettare. L’altro giorno un paio di giovani sono arrivati in ritardo all'allenamento e ho sentito che li ha subito rimessi in riga. Per fortuna c’è ancora qualcuno che si incavola su determinati comportamenti…

Con Cri ormai lavoriamo in simbiosi dal 2012, ma il nostro legame arriva da lontano. Precisamente dal fatto di avere le case al mare vicine. Io e lui abbiamo giocato insieme anche al Toro, ma comprammo quei due appartamenti in Sardegna già ai tempi del Lecce. Per cui negli anni successivi, pur giocando in squadre diverse, d’estate ci vedevamo sempre. Quando abbiamo appeso gli scarpini al chiodo, Cristiano mi chiamò con lui al Viareggio e da lì abbiamo fatto insieme la gavetta in C, facendo molto bene a Messina e poi a Catania e ora iniziamo questa esperienza in B. Dagli anni con la maglia giallorossa a oggi Cristiano è maturato tanto, si è appassionato al mestiere di allenatore ed è diventato molto più riflessivo, a differenza di quando giocava. Io invece ero già vecchio dentro a 20 anni per cui forse sono cambiato di meno.

Sono contento di questa nuova vita (anche se ho dovuto rallentare un po’ con i concerti), ma una cosa la cambierei. Io non ho mai avuto in testa di diventare allenatore di prima squadra, ho sempre voluto lavorare con i giovani e lo voglio ancora. A Viterbo avevo iniziato così, poi mi spostarono nei senior, ma oggi mi piacerebbe molto provare un’esperienza in un settore giovanile importante. Non la Primavera, sono già troppo grandi e prime donne. Giovanissimi e Allievi, secondo me è quella la fascia d’età in cui un allenatore può davvero metterci del proprio e incidere. I ragazzi sono delle spugne, li vedi crescere giorno dopo giorno, ti ascoltano. Ci fosse in futuro un’occasione del genere non ci penserei due volte, ma non sono uno che va in giro a proporsi. In vita mia non ho mai chiesto nulla a nessuno, faccio fatica e forse sbaglio perché in questo mondo è importante sapersi vendere bene.

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