Un nuovo modo di raccontare il calcio: quello dei protagonisti. Calciatori, allenatori, dirigenti. Sempre sotto la luce dei riflettori, ma mai veramente compresi o comprensibili. Noi li vogliamo avvicinare ai tifosi e ribaltare il meccanismo delle interviste. Non saremo noi a chiedere, saranno loro a raccontarci un aspetto del mondo in cui vivono. Un tema libero, potremmo dire. Sono i protagonisti stessi della nostra passione a condividere con noi “Le Loro storie”. Senza filtri, senza meta.
mondo granata
Le Loro storie, Alex Manninger: “Finalmente sono libero dal calcio”
Dieci campionati in Italia e qui lo citiamo per le sue esperienze "express": appena 243 minuti con il Toro (due pareggi con Lazio e Modena e la chicca dei 63' contro il Milan per partita sospesa a causa degli incidenti al Delle Alpi), addirittura zero con la maglia dell'Udinese, che nella stessa sessione di mercato lo acquistò dal Salisburgo (via Siena) e lo girò alla - sigh - Juventus. Alex Manninger ora ha smesso con il calcio e lo dice con il sorriso, il sorriso di un veterano che dopo due decenni al servizio di una passione tiranna ora riscopre la vita vera. La vita, come ripete più volte lui stesso, normale.
No, non mi manca. Negli ultimi sedici mesi non ci ho pensato un solo giorno e non ho più toccato una palla. Quella da golf sì, o quella da tennis, ma non un pallone da calcio. Vado a pescare, vado in montagna, faccio di tutto tranne giocare a calcio. E no, lo confermo: non mi manca.
Non mi sto lamentando, sia chiaro. Il calcio ti dà tantissimo e io ho vissuto ventidue anni bellissimi. Però non ho mai avuto un weekend libero, gli amici e la famiglia devi incastrarli tra una partita e l’altra. Ci sono sempre nuove partite, hai l’allenamento, hai il viaggio, hai il volo, hai il ritiro. È questo il tuo mondo, è questo ciò che ti è concesso di fare, non c’è un’altra opzione e, se ci pensi bene, non è normale. Ora io ce l’ho quell’altra opzione. Ora mi alzo alla mattina e posso pensare “ok, oggi che faccio?”. Oppure posso arrivare al venerdì e organizzare una grigliata con gli amici o una gita in montagna, senza il pensiero di una partita in arrivo. Ho riscoperto il significato del weekend e riesco a fare tutto quello che prima avrei voluto fare, ma non potevo. Vivo giorni normali, settimane normali scandite da programmi normali. Oggi mi sento libero e mi sto riprendendo tutto quello che il calcio mi ha tolto.
È iniziato tutto tanti anni fa: mancava un portiere e l’allenatore ha chiesto “chi ha meno paura di andare in porta?”. “Posso provare io”, ho risposto. Avevo undici anni e quella partita tra i pali mi è piaciuta e credo di non aver fatto poi così male. Ero abbastanza alto, abbastanza agile e ho capito che quello poteva essere il mio ruolo. Sono rimasto in porta, sono rimasto lì per tanto tempo, fino a maggio di un anno e mezzo fa quando ho capito che il mio corpo e la mia testa mi stavano chiedendo di smettere. Troppi problemini fisici, avevo quarant’anni e il calcio era diventato troppo veloce.
Ho alzato la mano e ho detto “basta, non posso più continuare a questo livello. Il momento giusto per smettere è ora”.
L’ultima stagione al Liverpool è stato il modo perfetto per andarsene al top del calcio mondiale, ma coi Reds ho giocato solo nel precampionato, mai in gare ufficiali, per cui la mia ultima partita è stata l’anno prima con l’Augusta. Non sapevo che poi avrei trovato ancora un contratto con il Liverpool, ma avevo già annunciato che a fine campionato avrei salutato l’Augusta, per cui nell’ultima giornata l’allenatore mi fece entrare a pochi minuti dal termine come tributo. Mentre mi infilavo i guanti ho avvertito una sensazione nuova, mai provata prima. Mi è venuta un po’ di ansia, poi una scossa e subito la pelle d’oca. “Questa potrebbe essere la mia ultima partita”, ho pensato per la prima volta in 39 anni. E così è stato.
La mia carriera è stata un insegnamento continuo per la vita, ho vissuto esperienze bellissime in Premier League, a Siena, alla Juventus, in Germania e altre più difficili, ad esempio al Toro e alla Fiorentina con tutto quel caos. In granata con tanti cambi di allenatore (il 2002/’03 è l’anno di Camolese-Zaccarelli-Ulivieri-Zaccarelli-Ferri, ndr), con la Viola per la questione societaria (la Fiorentina di Cecchi Gori prima retrocessa e poi dichiarata fallita, ndr). Fu difficile da affrontare perché io mi lasciavo coinvolgere dalle situazioni al 100%, mettevo tutto me stesso e quelle cose ti tagliano le gambe. Tu lavori, vai all’estero, riesci a crearti un bell’ambiente intorno, anche con la gente, immagini già di poter restare qualche anno e poi le cose precipitano. Peccato, ma io mi prendo tutto, nel bene e nel male perché gli aspetti positivi sono utili ad avvicinarti ai problemi della vita vera.
Al giorno d’oggi ci sono ragazzini che a 18, 19 o 20 anni sono già dei professionisti, si sentono i migliori di tutti e invece non hanno ancora fatto due parate o due tiri in porta. Gente che non ha mai sporcato le scarpe, che non ha mai avuto una verruca. Il calcio è diventato mercato, la professione vale meno, il ruolo vale meno. Contano le foto, il taglio di capelli, le auto. Avrei potuto continuare ancora un po’, ma questo non è il mio calcio, non mi riguarda, per cui a quarant’anni la decisione di mollare tutto è stata semplice e non me ne pento di certo. Forse per questo non faccio l’allenatore, perché troverei difficile convivere ogni giorno con queste nuove generazioni. Noi, quando perdevamo, tornavamo in campo a correre. Ci portavano anche nei boschi a correre per punizione. Oggi se provi a far correre una squadra per due volte a settimana, i giocatori non vengono più ad allenarsi, fanno sciopero. È pazzesco.
Prima di diventare calciatore ero un falegname. Quando ho smesso col pallone ho ricominciato da lì: ho traslocato con la mia compagna, ho costruito i mobili della casa nuova, mesi e mesi di fatica e non abbiamo ancora finito. Mi sono divertito tantissimo e quando ora mi chiedono se non mi annoio senza giocare, io dico “proprio no, le cose da fare non mi mancano”.
È bello avere più tempo per me e per lei. Il calcio mi ha fatto lasciare da parte molte cose, ma adesso la mia prossima gara sarà la partita della famiglia: costruirci un nido, trovare soddisfazione dalle giornate normali, fare un figlio o più di uno.
Sto girando pagina, anzi, sto cambiando proprio libro.
E sono davvero molto curioso.
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