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Le Loro storie, Fabio Galante: “Le ragazze, come gli allenatori, cambiavano idea su di me solo conoscendomi”

Marco Parella
Esclusiva / L'ex difensore di Torino e Genoa, tra le altre, oggi osservatore per l'Inter si sfoga: "Una vita in copertina, ma ho una carriera seria alle spalle"

Un nuovo modo di raccontare il calcio: quello dei protagonisti. Calciatori, allenatori, dirigenti. Sempre sotto la luce dei riflettori, ma mai veramente compresi o comprensibili. Noi li vogliamo avvicinare ai tifosi e ribaltare il meccanismo delle interviste. Non saremo noi a chiedere, saranno loro a raccontarci un aspetto del mondo in cui vivono. Un tema libero, potremmo dire. Sono i protagonisti stessi della nostra passione a condividere con noi “Le Loro storie”. Senza filtri, senza meta.

Playboy, belloccio da rotocalco, prezzemolino delle feste vip. È sempre stato il perfetto uomo copertina per i settimanali scandalistici. Nonostante questo ha anche trovato il tempo per costruirsi una carriera da protagonista in grandi squadre. Lo ripetiamo perchè magari qualcuno, abbagliato da lustrini e foto di belle donne, si dimentica di chi stiamo parlando: di un calciatore. L'altra faccia della vita di Fabio Galante la lasciamo raccontare a lui, ché di parole al vento ne sono già state scritte troppe.

Quanti giocatori avrà allenato Mazzone? Centinaia, forse un migliaio. E un giorno mi disse: “Fabio, tu sei una delle più belle sorprese tra tutti i giocatori che ho avuto”. “Perché mister?” “Perché quando mi hanno chiamato ad allenare il Livorno, io ho guardato la rosa, ho visto che c’eri pure tu e subito ho pensato ‘Madonna mia, Galante. Questo mi scappa di notte’. Invece se tutto il contrario, sei un professionista come pochi ne ho visti”. Sono queste le soddisfazioni che mi porto dietro. A me interessava l’opinione del mio allenatore, dei miei compagni, del mio presidente e basta. Di cosa scrivevano i giornalisti mi fregava poco.

Nell’ambiente calcistico tutti sapevano quanto ero serio, ma non nego che l’etichetta del farfallone mondano mi abbia un po’ danneggiato nella mia carriera perché faceva passare il messaggio che io fossi superficiale e non mettessi il giusto impegno in quello che facevo. La gente mi vedeva su Novella 2000, su Chi, su Striscia la Notizia e il commento era: “Sai che gliene frega a Galante del calcio, quello è sempre in giro, esce con le Veline”. Di sicuro questa fama mi ha portato più svantaggi che vantaggi, perché bastava sbagliare un passaggio e tutti pensavano che fosse perché la sera prima ero andato a ballare. Se ho avuto la fortuna di uscire con due o tre ragazze famose o più belle rispetto ad altre che ci posso fare? Ne sono contento, ma vent’anni esatti di carriera, dall’esordio in C1 a 17 anni con l’Empoli, all’ultima partita in A con il Livorno a 37, non sono un caso. Se non fai vita da atleta dopo due o tre anni sei solo più in copertina dei giornaletti di gossip invece che sulla Gazzetta dello Sport.

Ci sono passati Vieri, Borriello, Inzaghi e tutti quelli che finivano paparazzati. In Italia alla gente piace parlare e ai giornalisti piace scrivere titoli per vendere i giornali. Mi hanno appioppato storie con Veline, ragazze e donne bellissime, ma fa parte del gioco e, da buon toscano, ho sempre preso queste cose sul ridere. Non mi ha mai dato troppa noia allora, figuriamoci adesso. I mal di pancia semmai li ha creati a mia madre che quando parlava di me con qualcuno si sentiva sempre dire: “Ah il tuo figliolo, quello bello che esce con le belle donne”. A lei e a mio padre invece avrebbe fatto piacere sentirsi dire: “Ah Fabio, quello bravo che ha giocato nel Torino, nell’Inter, nel Genoa…”. Anche lei però si faceva una gran risata e rispondeva “secondo me è più forte che bello”. Ma, alla fine, sia il “forte” che il “bello” sono merito dei miei genitori, per cui a me vanno bene entrambi.

Coi giornalisti, comunque, sono sempre andato d’accordo, anche se con qualcuno ho anche litigato perché aveva scritto cose brutte e non vere. Perché se mi dai un 5 in pagella giudichi la mia prestazione e lo accetto, ma se tiri in ballo la mia vita privata inventando o riportando cose per sentito dire, allora no. Vi faccio un esempio: nei sei anni che ho giocato a Livorno andavo a Milano due volte al mese, a dir tanto. Però quando qualcuno mi vedeva in qualche locale poi usciva l’articolo “Galante tutte le sere a Milano”. Capite?

Io sono una persona estremamente disponibile, forse troppo. In passato ho dato una mano a tantissimi miei compagni che in quel momento non giocavano. Ho chiamato mezzo mondo per trovare loro una squadra. Tutt’ora quando mi chiedono un biglietto per una partita, un video, un autografo non sono capace a dire di no, non mi riesce. Preferisco essere a posto con la coscienza, poi se qualcuno se ne approfitta, cavoli suoi.

Tante ragazze, così come gli allenatori, sono partite con una certa idea di me, poi, dopo avermi conosciuto, hanno capito che persona sono. Hanno finalmente visto il ragazzo simpatico, educato, rispettoso. Quando incontro una ragazza lei sa che alle spalle ho la mia storia calcistica e le mie storie personali, come anche lei d’altronde, e in maniera molto trasparente e naturale ci si prova a conoscersi. Con la mia attuale compagna ci siamo frequentati, abbiamo capito di stare bene insieme e ora conviviamo da tre anni, felici e contenti. Non c’è nulla di strano, non è che solo Galante fa così, ma ogni coppia che vuole avere un rapporto duraturo, sposarsi, avere dei figli.

Io che parlo di matrimonio, Vieri con un figlio. È la fine della classe del ’73: io, Bobo, Inzaghi, Panucci, Cannavaro, che in realtà è l’unico a essersi accasato molto prima. La nostra è stata un’annata di grandi campioni, poi molti di loro sono riusciti a vincere anche un Mondiale, io mi sono fermato a due Europei Under21. Ogni domenica dovevo marcare gente Baggio, Batistuta, Totti, Del Piero, Inzaghi, Montella, Vialli, Signori, Shevchenko, Kakà. Erano forti gli attaccanti e di conseguenza eravamo molto forti anche noi difensori. Oggi il livello si è abbassato perché per un Higuain o un Icardi ce ne sono altri dieci non di quel calibro. Se avessi giocato nell’ultimo decennio qualche partita in Nazionale non me l’avrebbe tolta nessuno.

Il mio unico rimpianto a livello sportivo è di aver smesso a 37 anni. Avrei voluto giocare ancora altri due o tre anni, stavo bene, sarei potuto essere utile a tante squadre, magari anche in B. Invece in quel momento non sono riuscito a trovare nulla e, voglio specificare, non per colpa mia. So che molti potranno subito pensare “chissà quanto chiedeva” e invece no: a molte squadre avevo proposto di darmi quello che potevano. Duemila al mese? Mille? Tremila? Fate voi. A qualcuno dissi anche che sarei andato gratis, di più cosa potevo fare? Pagare per giocare? Certi dissero che nel mio ruolo volevano valorizzare un giovane, altri avevano paura che a 37 anni andassi lì a svernare. Qualche allenatore mise il veto perché non mi conosceva e aveva paura della mia fama. Era un ragionamento che potevo accettare prima di arrivare al Toro o all’Inter, ma dopo una carriera intera in cui ho sempre giocato 35 partite a stagione, pensavo di meritare un po’ di credito in più. Non avevano davvero capito nulla di me.

Però non mi lamento affatto della mia vita perché dei tanti ragazzi con cui ho iniziato a giocare a pallone, molti non sono arrivati nemmeno in Lega Pro pur avendo fatto gli stessi miei sacrifici. Io sono stato premiato, loro no, quindi mi ritengo fortunato ad aver potuto realizzare il sogno che avevo da bambino. Forse anche quello di mio padre, calciatore anche lui fino alla Serie D, attaccante fortissimo, a sentire i suoi amici.

Sono bello, famoso, ricco, simpatico e ho giocato in A. Vuol dire che il Signore mi è stato molto vicino in questi anni, per cui se adesso mi lamentassi di qualcosa il Signore mi farebbe cascare un palo in testa: “Ti ho dato tutto e tu sei pure triste?!?”.

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