Nelle ore precedenti al derby tra Juventus e Torino, riproponiamo il seguente articolo che tratta proprio della stracittadina torinese. Una vecchia intervista ad un tifoso speciale datata 2018 che però, per certi versi, rimane sempre attuale. Buona lettura.
mondo granata
Le Loro storie, Giovanni Margaro: “Perchè noi del Toro siamo diversi da quelli là? Troppo facile”
Un nuovo modo di raccontare il calcio: quello dei protagonisti. Calciatori, allenatori, dirigenti. Sempre sotto la luce dei riflettori, ma mai veramente compresi o comprensibili. Noi li vogliamo avvicinare ai tifosi e ribaltare il meccanismo delle interviste. Non saremo noi a chiedere, saranno loro a raccontarci un aspetto del mondo in cui vivono. Un tema libero, potremmo dire. Sono i protagonisti stessi della nostra passione a condividere con noi “Le Loro storie”. Senza filtri, senza meta.
Comunque vogliano raccontarcela, il derby non è una partita come le altre. Meglio di quasi tutti noi lo sa Giovanni "Margaro", uno che ancora nominano sottovoce negli stadi di tutta Italia e mezza Europa. L'epopea del tifo granata dagli anni '70 ai '90, il mondo che gira veloce e i derby di oggi. Tutto diverso, tutto perso? In questa puntata de "Le Loro storie" non ci sono calciatori. C'è solo un uomo.
L’episodio più bello che mi ricordo legato a un derby non sono gli scontri prima o dopo le partite contro quelli là. È invece la volta, non mi ricordo l’anno, in cui prima di un derby siamo andati davanti a loro, siamo riusciti a farli scappare tutti e a sederci davanti alla loro curva. È stata un’umiliazione storica per loro, una soddisfazione enorme per noi, meglio delle botte e tutto il resto. E noi non eravamo neanche in tanti…
Dal punto di vista della mia generazione, i ragazzini che si sono avvicinati al Toro negli anni ’90 sono da ammirare, perché quello è stato il periodo più buio della nostra storia. Dopo Mondonico e il derby del 3-3, abbiamo toccato il fondo con un presidente imposto dalla Fiat e un proprietario della Juve. Il Delle Alpi era uno stadio freddo, dove non si vedeva nulla e anche se eri in 30.000 sembravi in quattro gatti a tifare. La squadra ha giocato più partite in B che in A ed è in quegli anni che è iniziato anche il declino della nostra tifoseria. È un miracolo che qualcuno sia diventato del Toro in quel periodo.
Mio padre mi portò in Maratona a sei anni, ero come uno di quei bimbi che oggi vedi giocare a pallone durante le partite. Questa è un’altra cosa che vedi solo da noi, incredibile. La mia generazione è cresciuta nel piazzale del Fila, passavamo i pomeriggi sotto le tribune, tra i commenti dei vecchietti che avevano visto giocare il Grande Torino e i ragazzini della Primavera che venivano allo stadio di nascosto in mezzo agli ultras e poi te li ritrovavi a giocare in prima squadra. Comi e Benedetti, per esempio. I giocatori passavano in mezzo a noi tifosi per andare ad allenarsi, tutti i tecnici delle giovanili erano figli del Fila: Ussello, Marchetto, Vatta. C’era una continuità di valori e sensazioni che tu vivevi quotidianamente. Per questo, spiegare perché noi del Toro siamo diversi da quegli altri, per me è troppo facile.
Essere del Toro non era banale in una città dove esisteva solo la Fiat, il potere, i giornali, tutto ricondotto alla Fiat. Invece noi ci sentivamo fieri di essere granata e anche in campo ce la giocavamo sempre. Nei derby non ce n’era, né sul prato, né sugli spalti. Riuscivamo davvero a trasmettere qualcosa ai giocatori e non ci rifugiavamo dietro la scusa della distanza degli spalti dal terreno di gioco, la pista di atletica, ecc…. Cazzate. Al vecchio Comunale la pista c’era, ma i ragazzi avrebbero potuto giocare anche a 300 metri dalle tribune e noi saremmo riusciti a caricarli lo stesso.
Pulici diceva che i tifosi gli davano energia, lui immagazzinava e poi sprigionava tutto in campo. Voi pensate che i giocatori di oggi sentano questo stesso tipo di trasmissione di pensieri ed emozioni?
Mancano tanto i personaggi di un tempo. Il “Pittore” è stato il primo a inventarsi lo striscione copri curva, studiava a realizzava le coreografie con arte e ironia. Aveva l’inventiva. Ma era la tifoseria granata nell’insieme a essere più coesa e partecipe. Adesso il tifo si è radicalizzato nei gruppi estremisti, negli ultras. Prima invece, in curva come nei distinti e in tribuna c’era gente che aveva le palle, eravamo tutti più viscerali. E vincevamo in campo, sugli spalti e fuori dallo stadio. Una volta lo striscione dei “Fighters” è stato esposto in Maratona. Non lo avevamo rubato direttamente noi, ma quelli del Pisa che poi, per vie traverse, ce l’avevano portato. Fu un gesto clamoroso perché per riuscire a prendere lo striscione avversario deve succedere proprio qualcosa di devastante, considerando che a fine partita solitamente gli ultras escono fuori dallo stadio, ma una parte rimane dentro e si occupa di ritirare insegne e striscioni.
Quel mondo lì, rapportato ai giorni nostri sembra lontano anni luce. Oggi è il mondo di Sky, della Digos, è il mondo dove è più difficile entrare in uno stadio che girare l’Europa. Il nostro era un mondo magico, ma, con gli occhi del 2018, forse era facile essere magici ai nostri tempi. È cambiato tutto. Una volta essere del Toro voleva dire essere qualcosa di diverso e qualcosa di magico. Ora puoi sentirti ancora qualcosa di diverso, ma di magico non è rimasto più niente.
La storia del Toro è unica, ma certi tifosi granata si portano dietro una negatività e un pessimismo insopportabili. Mi fanno incazzare peggio dei gobbi. Basta fare le vittime. Tutti quelli delle altre squadre quando parlano di Toro - calciatori, allenatori, giornalisti - usano parole speciali e non mi sembrano discorsi di circostanza. È curioso che chiunque bazzichi il mondo del calcio veda il Toro come un qualcosa di eccezionale , con una storia e un alone irripetibili.
Sarà un caso, ma io amici veri che siano gobbi non ne ho; mi bastano i conoscenti con cui ho a che fare per lavoro e che sono già troppi. Tutto questo per dire che, più di ciò che sentiamo noi, è importante, secondo me, ascoltare cosa percepiscono le persone all’esterno. Lì sta, forse, la nostra vera grandezza.
Il derby ha perso molto del suo significato per colpa degli stadi e delle nuove regole assurde. Ha senso vivere un derby chiusi in un settore ospiti? Per come sono cresciuto io, no. Era bellissimo avere una curva intera a disposizione e vedere quelli là di fronte a te. Ora ti lasciano solo uno spicchio quando vai in trasferta, anche nelle stracittadine. Hanno snaturato la partecipazione della gente. Io sono favorevole: diamogli tutta una curva quando vengono in casa nostra, prendiamocene una tutta per noi quando andiamo là.
Bisogna ammettere comunque che, in generale, le curve non sono più le stesse. È cambiato il mondo, è cambiata la società e diventa difficile fare paragoni tra generazioni diverse. Diciamo che la curva è un po’ come una squadra di calcio: metti in campo gli uomini che hai. Sugli spalti è uguale, “giocano” quelli che hai a disposizione e gli uomini oggi sono quello che sono.
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