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Le Loro storie, Giovanni Margaro: “Perchè noi del Toro siamo diversi da quelli là? Troppo facile”

Marco Parella
Esclusiva / Speciale derby. Amarcord di una leggenda del tifo granata: "Li scacciammo e ci sedemmo davanti alla loro curva"

Un nuovo modo di raccontare il calcio: quello dei protagonisti. Calciatori, allenatori, dirigenti. Sempre sotto la luce dei riflettori, ma mai veramente compresi o comprensibili. Noi li vogliamo avvicinare ai tifosi e ribaltare il meccanismo delle interviste. Non saremo noi a chiedere, saranno loro a raccontarci un aspetto del mondo in cui vivono. Un tema libero, potremmo dire. Sono i protagonisti stessi della nostra passione a condividere con noi “Le Loro storie”. Senza filtri, senza meta.

Comunque vogliano raccontarcela, il derby non è una partita come le altre. Meglio di quasi tutti noi lo sa Giovanni "Margaro", uno che ancora nominano sottovoce negli stadi di tutta Italia e mezza Europa. L'epopea del tifo granata dagli anni '70 ai '90, il mondo che gira veloce e i derby di oggi. Tutto diverso, tutto perso? In questa puntata de "Le Loro storie" non ci sono calciatori. C'è solo un uomo.

L’episodio più bello che mi ricordo legato a un derby non sono gli scontri prima o dopo le partite contro quelli là. È invece la volta, non mi ricordo l’anno, in cui prima di un derby siamo andati davanti a loro, siamo riusciti a farli scappare tutti e a sederci davanti alla loro curva. È stata un’umiliazione storica per loro, una soddisfazione enorme per noi, meglio delle botte e tutto il resto. E noi non eravamo neanche in tanti…

Dal punto di vista della mia generazione, i ragazzini che si sono avvicinati al Toro negli anni ’90 sono da ammirare, perché quello è stato il periodo più buio della nostra storia. Dopo Mondonico e il derby del 3-3, abbiamo toccato il fondo con un presidente imposto dalla Fiat e un proprietario della Juve. Il Delle Alpi era uno stadio freddo, dove non si vedeva nulla e anche se eri in 30.000 sembravi in quattro gatti a tifare. La squadra ha giocato più partite in B che in A ed è in quegli anni che è iniziato anche il declino della nostra tifoseria. È un miracolo che qualcuno sia diventato del Toro in quel periodo.

Mio padre mi portò in Maratona a sei anni, ero come uno di quei bimbi che oggi vedi giocare a pallone durante le partite. Questa è un’altra cosa che vedi solo da noi, incredibile. La mia generazione è cresciuta nel piazzale del Fila, passavamo i pomeriggi sotto le tribune, tra i commenti dei vecchietti che avevano visto giocare il Grande Torino e i ragazzini della Primavera che venivano allo stadio di nascosto in mezzo agli ultras e poi te li ritrovavi a giocare in prima squadra. Comi e Benedetti, per esempio. I giocatori passavano in mezzo a noi tifosi per andare ad allenarsi, tutti i tecnici delle giovanili erano figli del Fila: Ussello, Marchetto, Vatta. C’era una continuità di valori e sensazioni che tu vivevi quotidianamente. Per questo, spiegare perché noi del Toro siamo diversi da quegli altri, per me è troppo facile.

Essere del Toro non era banale in una città dove esisteva solo la Fiat, il potere, i giornali, tutto ricondotto alla Fiat. Invece noi ci sentivamo fieri di essere granata e anche in campo ce la giocavamo sempre. Nei derby non ce n’era, né sul prato, né sugli spalti. Riuscivamo davvero a trasmettere qualcosa ai giocatori e non ci rifugiavamo dietro la scusa della distanza degli spalti dal terreno di gioco, la pista di atletica, ecc…. Cazzate. Al vecchio Comunale la pista c’era, ma i ragazzi avrebbero potuto giocare anche a 300 metri dalle tribune e noi saremmo riusciti a caricarli lo stesso.

Pulici diceva che i tifosi gli davano energia, lui immagazzinava e poi sprigionava tutto in campo. Voi pensate che i giocatori di oggi sentano questo stesso tipo di trasmissione di pensieri ed emozioni?

Mancano tanto i personaggi di un tempo. Il “Pittore” è stato il primo a inventarsi lo striscione copri curva, studiava a realizzava le coreografie con arte e ironia. Aveva l’inventiva. Ma era la tifoseria granata nell’insieme a essere più coesa e partecipe. Adesso il tifo si è radicalizzato nei gruppi estremisti, negli ultras. Prima invece, in curva come nei distinti e in tribuna c’era gente che aveva le palle, eravamo tutti più viscerali. E vincevamo in campo, sugli spalti e fuori dallo stadio. Una volta lo striscione dei “Fighters” è stato esposto in Maratona. Non lo avevamo rubato direttamente noi, ma quelli del Pisa che poi, per vie traverse, ce l’avevano portato. Fu un gesto clamoroso perché per riuscire a prendere lo striscione avversario deve succedere proprio qualcosa di devastante, considerando che a fine partita solitamente gli ultras escono fuori dallo stadio, ma una parte rimane dentro e si occupa di ritirare insegne e striscioni.

Quel mondo lì, rapportato ai giorni nostri sembra lontano anni luce. Oggi è il mondo di Sky, della Digos, è il mondo dove è più difficile entrare in uno stadio che girare l’Europa. Il nostro era un mondo magico, ma, con gli occhi del 2018, forse era facile essere magici ai nostri tempi. È cambiato tutto. Una volta essere del Toro voleva dire essere qualcosa di diverso e qualcosa di magico. Ora puoi sentirti ancora qualcosa di diverso, ma di magico non è rimasto più niente.

La storia del Toro è unica, ma certi tifosi granata si portano dietro una negatività e un pessimismo insopportabili. Mi fanno incazzare peggio dei gobbi. Basta fare le vittime. Tutti quelli delle altre squadre quando parlano di Toro - calciatori, allenatori, giornalisti - usano parole speciali e non mi sembrano discorsi di circostanza. È curioso che chiunque bazzichi il mondo del calcio veda il Toro come un qualcosa di eccezionale , con una storia e un alone irripetibili.

Sarà un caso, ma io amici veri che siano gobbi non ne ho; mi bastano i conoscenti con cui ho a che fare per lavoro e che sono già troppi. Tutto questo per dire che, più di ciò che sentiamo noi, è importante, secondo me, ascoltare cosa percepiscono le persone all’esterno. Lì sta, forse, la nostra vera grandezza.

Il derby ha perso molto del suo significato per colpa degli stadi e delle nuove regole assurde. Ha senso vivere un derby chiusi in un settore ospiti? Per come sono cresciuto io, no. Era bellissimo avere una curva intera a disposizione e vedere quelli là di fronte a te. Ora ti lasciano solo uno spicchio quando vai in trasferta, anche nelle stracittadine. Hanno snaturato la partecipazione della gente. Io sono favorevole: diamogli tutta una curva quando vengono in casa nostra, prendiamocene una tutta per noi quando andiamo là.

Bisogna ammettere comunque che, in generale, le curve non sono più le stesse. È cambiato il mondo, è cambiata la società e diventa difficile fare paragoni tra generazioni diverse. Diciamo che la curva è un po’ come una squadra di calcio: metti in campo gli uomini che hai. Sugli spalti è uguale, “giocano” quelli che hai a disposizione e gli uomini oggi sono quello che sono.