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Le Loro storie, Maxi Lopez: “Non ho rimpianti, faccio sacrifici per i miei figli lontani”

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Esclusiva / Tremendismi a confronto: "Radice simbolo da cui ripartire. Al Toro ho litigato con gli allenatori, ma ho tanti amici veri"
Marco Parella

Un nuovo modo di raccontare il calcio: quello dei protagonisti. Calciatori, allenatori, dirigenti. Sempre sotto la luce dei riflettori, ma mai veramente compresi o comprensibili. Noi li vogliamo avvicinare ai tifosi e ribaltare il meccanismo delle interviste. Non saremo noi a chiedere, saranno loro a raccontarci un aspetto del mondo in cui vivono. Un tema libero, potremmo dire. Sono i protagonisti stessi della nostra passione a condividere con noi “Le Loro storie”. Senza filtri, senza meta.

Nell'era moderna è stato probabilmente uno dei giocatori più amato dai tifosi granata quanto osteggiato dai suoi allenatori al Toro. Prima di innamorarsi di un Gallo dalla faccia pulita da bravo ragazzo c'è stato El Galina, talentuoso, spigoloso, mai filtrato. Maxi Lopez non rinnega nulla della sua vita e anzi ce la racconta vista in prima persona. Dagli occhi fieri di chi non ha rimpianti né paura di litigare, ma anche un po' umidi per gli affetti da cui deve stare lontano. Grazie Maxi.

Mi ricordo perfettamente quel gol di Marcos Alonso e la sua esultanza sotto la Maratona.

I giovani di oggi vivono molto il presente e quando arrivano in una società che ha una certa storia, una certa mistica, non sanno cosa rappresenta. Quando uno sposa un progetto e va da qualche parte, dovrebbe sapere di cosa sta diventando parte, cosa quella società ha fatto nella storia del calcio. Io a Torino credo di aver capito subito cosa significasse indossare quella maglia, per cui in quel momento è partito qualcosa dentro di me, non sono stato a pensarci. E quando sono entrato in campo gli ho fatto capire cosa significasse giocare davanti al nostro pubblico.

Sono sempre stato me stesso in tutti i momenti della mia esperienza al Toro, positivi e negativi. Sono stato istintivo, vero e se la gente mi ha apprezzato, lo ha fatto al di là del giocatore o di quanto abbiamo fatto in quegli anni. Mi hanno apprezzato perché io lasciavo sempre l’anima in campo ed è ciò che il tifoso del Toro si aspetta dai giocatori. Pochi giorni fa ero in Brasile, ho incontrato un ragazzo italiano che si è inginocchiato e mi ha detto “grazie per Bilbao”. Ero sorpreso, gli ho chiesto “che cazzo ci fa a Rio de Janeiro uno che mi ringrazia per Bilbao?”. Era un tifoso del Toro ed è stato bellissimo rendersi conto che a distanza di anni certe emozioni rimangono nel cuore.

La notte di Bilbao è stata la gioia più grande di tutti i miei otto anni in Italia, poi certamente mi porto dentro il trionfo nella finale di Champions con il Barcellona, il primo campionato vinto con il River, momenti che mi hanno segnato a fuoco. Potevo vincere più trofei nella mia carriera? Forse sì, è vero. Quand’ero al Barcellona ero al top, ma scelsi di trasferirmi in un calcio meno competitivo come quello russo e ne ho pagato le conseguenze. Se fossi rimasto in Europa avrei potuto avere un altro tipo di carriera, ma non ci sono rimpianti. Io mi prendo le mie responsabilità. In Italia sono state dette tante cose su di me perché alla gente non piace quando uno dice quello che pensa e magari litiga con qualche allenatore. A Torino ho litigato anche pesantemente, ma fa parte del calcio. Non ho mai saltato un allenamento in nessuna delle squadre in cui ho giocato, quindi della lavatrice non mi è mai interessato granchè… Ventura invece aveva un modo molto particolare di confrontarsi, per quello che ho visto io, mi è parso che parlasse molto più con la stampa che con i giocatori. Invece certe cose andrebbero sistemate all’interno dello spogliatoio. Ognuno si comporta come gli pare, pazienza, ma i fatti dicono che io e lui potevamo discutere e avere divergenze, ma quando entravo facevo la differenza. Dal primo minuto o a partita in corso a Torino ho sempre fatto la differenza. Alla fine della fiera, il momento migliore della sua carriera Ventura lo ha avuto con Maxi Lopez in campo.

In tutta la mia carriera ho trovato tanto rispetto dai miei colleghi e avversari, ho stretto amicizie in tutte le squadre in cui sono stato e anche ora che sono lontano dall’Italia mi sento con tanti dei mie ex compagni. Sento spesso Iago, De Silvestri, Dani Baselli, un altro ex Toro come Benassi. Poi gli amici del Barcellona: Ronaldinho, Deco, Thiago Motta, Rafa Marquez. Siamo calciatori, ma per me è più importante l’aspetto umano che c’è quando si esce dal campo. Io sono per le relazioni vere, che nel mondo del calcio sono difficili da portare avanti. Si cambia squadra in continuazione, io ne ho girate parecchie, ma io voglio continuare a essere così, vero, leale. Preferisco essere così nel bene e nel male perché quando un giorno smetterò di giocare, gli amici veri saranno ancora lì. Di recente ho incontrato Messi e Mascherano, non li vedevo da dieci anni ed è stato come se non fosse passato un giorno, c’era la stessa complicità.

I valori umani sono importanti. Io ho giocato con Messi, con Ronaldinho, con Zlatan, gente di un altro pianeta, fuoriclasse. Sono dei ragazzi per bene, con dei principi importanti. Qualcuno magari appare più aggressivo tipo Ibra, ma quando parli con lui capisci che persona è e che le sue idee sono molto chiare. Il fatto che siano dei campioni è una conseguenza di quello che sono in quanto uomini. A proposito di uomini e di valori, so bene cosa rappresentava Radice per tutto il mondo granata. Quando vengono a mancare questi personaggi è un momento importante per capire chi si è davvero. Un affetto così grande in questo frangente dimostra quanto lui sia stato grande. Adesso bisogna ripartire dai personaggi che come lui hanno fatto la storia del Toro.

Io sono ripartito dal Brasile e mi trovo molto bene. La squadra era in difficoltà, aveva solo l’obiettivo di salvarsi e invece adesso gira tutto meglio. Ho fatto qualche gol e qualche assist, sto bene. Però non è facile vivere a migliaia di chilometri dai miei figli, è la prima volta che sto così lontano. Io devo andare avanti con la mia carriera, ma i miei cuccioli sono in Italia ed è dura. Ora in Brasile è festa e io invece che starmene a 40 gradi sono corso a passare questi giorni con il bel freddo che c’è in Italia. Sto coi miei figli tutto il tempo che posso, li porto a scuola, vengo a seguire le loro partite di calcio. Sono tutti e tre appassionati: il più grande gioca nel Como, il più piccolo nell’Inter e quello di mezzo si sta allenando in una scuola calcio. Ce l’hanno nel sangue, qualcosa ho lasciato evidentemente.

Non è facile nemmeno per loro sapere che sono lontano. Hanno i cellulari e ci videochiamiamo su FaceTime, tutte le settimane mi raccontano quello che fanno e io cerco di essere un padre molto presente. Però dal telefonino non li puoi abbracciare, mancano le coccole. Per fortuna abbiamo un rapporto splendido e l’altro giorno quando ci siamo rivisti sembrava non ci fossimo mai lasciati. La prossima volta che li vedrò probabilmente sarà a giugno. È un sacrificio che sto facendo per loro.

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