mondo granata

L’estate dei Prati

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

Cari amici,da tempo ormai non vi propongo un racconto.Sfrutto l’occasione pasquale per farlo.Purtroppo ne sono dipendente, ho un bisogno quasi fisico di scrivere racconti, e di condividerli con voi, pochi o tanti che siate.E poco importa se il Toro, quello vero, tarderà a mostrarsi.Un augurio a tutti voi. Stiamo per entrare nell’universo mezzo magico e mezzo maledetto di un’estate indimenticabile.

 Sono trascorsi quasi trent’anni dall’estate dei Prati, forse la più bella della mia vita.Curioso come la tecnologia ci riporti a portata di dito, molti di noi si sono incontrai di nuovo proprio in questi giorni, grazie a Facebook.Ma è pur sempre un qualcosa di alieno, trascorso il primo momento di esaltazione generale.Ci siamo tutti, tranne quelli che ovviamente non ci possono più essere.Questa sera però non ho acceso il computer.Ho spento tutte le luci di casa e mi sono sdraiato per terra, vicino alla grande finestra di questo piano alto.Avevo sempre sognato vivere in una casa dalle grandi superfici vetrate, con una parete ricoperta di moquette, sulla quale sedersi e guardare i movimenti lontani della città, accompagnati dal lento tintinnare del bicchiere di brandy.Oppure sdraiarsi come ora e guardare lassù, la volta semistellata, che per una volta trafigge le nuvole biancastre di questa città, e non pensare più a nulla.Ma, per quanto mi senta al sicuro dal mondo, per quanto quei lumini mi rasserenino, la loro emozione non è paragonabile a quel milione di stelle che si apriva su di noi in quella lontana estate, nel 1982.

 

- Credete davvero che siamo soli nell’universo?- Io direi di no…- Neanche io…- Io non lo so…- Io ho letto una cosa interessante… diceva che anche prendendo come spunto le basi più scettiche, le possibilità sono talmente tante, che davvero è difficile che ci siamo soltanto noi.- Ragazzi… facciamo cambio? Non mi va di stare per ultima qui… di fianco al bosco…- Ah ah, ma di che hai paura? Che salti fuori il Maniaco?La volta stellata ci avvolgeva spesso, nei momenti che precedevano il sonno, durante l’estate dei prati.Il profilo della piccola collina sulla quale sorgevano le due case che fecero da sottofondo a questa avventura, scendeva scuro per una ottantina di metri, fino alla strada provinciale, lungo la quale coppie di fari si facevano sempre più rari col passare delle ore.Poco oltre, il lago, o laghetto che fosse, non era che una macchia scura, quasi estranea all’immagine che ne avevamo di giorno, quando i bambini schiamazzavano lungo le sue rive, tenuti sotto controllo da madri e passeggini.E ancora più a sinistra, la chiesetta aveva da poco emesso gli inesorabili rintocchi delle 23 nel buio, che si erano dispersi lungo l’oscurità del campo da calcio, oltre l’erba dei nostri prati.In alto, spettacolari dal nostro punto di osservazione, le montagne chiudevano l’anfiteatro della nostra estate col loro profilo nitido, abituale, indispensabile, scendendo da sinistra a destra, verso una Torino mai così lontana, dimenticata e chiusa dal bosco alla nostra destra.

 

E’ difficile raccontare l’estate dei Prati, e gli avvenimenti incredibili di quegli anni, partendo dall’oscurità.In quanti eravamo nell’estate 1982? In dieci? Undici? Dodici? Chi può ricordare, con precisione?Noi eravamo quelli dei “Prati”, dal nome della nostra borgata, la più a Nord del paese. Eravamo quelli che arrivavano da Torino, e occupavano le loro case da villeggianti per tre mesi l’anno, godendo i frutti dell’estate, ignorando il gelo che durante l’inverno doveva avvolgere quelle vecchie case munite soltanto di antiquati poutagé.Ero solo un ragazzo diciassettenne, allora, che trascorreva le vacanze estive in quel luogo da quando era nato e non poteva desiderare altro. Il mare era una cosa lontana e aliena. Tutto ciò di cui avevo bisogno era lì, in quell’anfiteatro di serenità, che dava su montagne che un giorno, ne eravamo certi, avremmo scalato per scoprire che cosa ci fosse dall’altra parte.Le case dei Prati erano due e dovevano essere state costruite all’inizio del secolo, disposte perpendicolarmente l’una rispetto all’altra, sulla collina che univa la Provinciale alla strada del Santuario. Abitavo nella costruzione superiore, nell’alloggio all’estremità destra, che si affacciava sull’enorme bosco. Un balcone, sul quale eravamo soliti ritrovarci la sera, che girava attorno alla casa per metà, dal quale nelle giornate più terse sembrava quasi di poter affacciarsi e specchiarsi sul laghetto, oppure udire il rumore del pallone che veniva calciato nel campo sportivo, a più di trecento metri di distanza.Nella mia casa abitava il Pirata, nell’appartamento centrale sulla sinistra, anche se lui non seppe mai di quel nome crudele. Lui e la sua famiglia affittavano l’appartamento da qualche anno, ma solo da poco tempo lui, ragazzo di strada a Torino, era diventato veramente mio amico, nonostante i due anni di età che ci dividevano.Il Pirata non vedeva da un occhio. Era una storia triste, una brutta infezione mal curata da una famiglia problematica, in cui i bastoni volavano con la frequenza delle rondini. Non avevo voluto sapere che cosa fosse capitato e perché quell’estate fosse solo con sua madre, ero molto timido e di lui conservavo un briciolo di paura, considerandolo imprevedibile.Aveva abbandonato gli studi e viveva di occupazioni saltuarie, ma sapevo che gli sarebbe piaciuto studiare. Sono convinto che già allora stesse guardando la realtà con la disillusione del suo sguardo monco, e vedesse molto più lontano di tutti noi. In ogni compagnia c’è sempre qualcuno che nella vita desidera diventare scrittore. In quella compagnia ero io, e quando lui lo venne a sapere, invece di sfottermi, come avevano fatto molti altri, mi propose di scrivere la loro storia.- In che senso? – gli avevo chiesto.- Un diario. Perché non scrivi giorno per giorno quello che facciamo? Un giorno potrebbe tornare utile… Vado ora, c’è mia madre che si lamenta….Lo sentii scendere arrembante per le scale di legno e sbattere la porta di casa. Lui e la madre abitavano in uno degli alloggi più umili della casa, ma erano anni diversi ed era facile adattarsi.Anni in cui si partiva ancora da Torino per andare in montagna a prendere l’acqua buona. Figuriamoci il resto.

 

Quanti eravamo nelle case dei Prati? C’era il Violinista, che abitava al piano terreno di quella che chiamavamo la Casa gemella. Occupava le ore centrali della giornata esercitandosi con il suo strumento, facendoci rimpiangere il silenzio. Poi c’erano le due gemelle, Marta e Luciana. Luciana, come posso dimenticarmi di lei? Sedici anni, identiche nel vestire e nel modo di parlare, boccioli di donna. Franco il ciclista, che sferragliava sui pedali di una Graziella pesante quanto un bue. Me lo ricordo ancora ora, mentre cercava di colpire il pallone di testa, tirando fuori buffamente la lingua, rischiando di mozzarsela ogni volta, tra le risate irrefrenabili.C’era il Piccolo Lord, un ragazzino di dieci anni, pestifero come la gramigna ma intelligente come la luce, che finimmo col prendere in simpatia ed accettare tra di noi, benché immensamente più giovane.C’era Jenny, il maschiaccio, che giocava in una squadra di calcio femminile che si stava preparando per il torneo di Settembre, forse l’unica a possedere un motorino, Roberto l’Ultras, Fabrizio e Gabriella, che occupavano il piano superiore della Casa gemella, che, vigliacca la miseria, erano gobbi marci.Eravamo proprio in tanti, in quello che fu il nostro anno.E’ per questo che dico che non fu un caso.Non fu un caso che per combinazione ci trovassimo a trascorrere parte dell’estate quasi tutti con i genitori distanti, chi per qualche giorno, chi momentaneamente.O in quello che ci sembrò un momentaneo assopimento.Un fatto strano, con la paura che c’era in giro, per i fatti che erano appena capitati.No, anche a distanza di anni, sono convinto che non sia stato un caso.

 

Due mesi prima il cadavere di una ragazza, stuprata e violentata, era stato trovato in un bosco poco a monte dell’abitato. Era la seconda vittima di quella che in molti consideravano “Il Maniaco” la stessa mano, la prima risaliva a due anni prima, ritrovata lungo il fiume, a poca distanza dalla polisportiva del sud del paese.Ne parlavano tutti, compresi noi.Ma quel pericolo ci sembrava troppo distante, nonostante gli avvertimenti di adulti sempre estranei alla nostra storia.Dov’erano finiti? Perché non li ricordo? Furono attirati fuori da quella rete che ci stava avvolgendo? E’ questa la verità?

 

Trascorrevamo le nostre giornate, noi compagnia così eterogenea, a lasciar trascorrere il tempo.Fino all’anno precedente noi ragazzi occupavamo i pomeriggi estivi inseguendo il pallone, ma quell’anno forse la presenza delle ragazze aveva sviato la nostra attenzione verso altro.Spesso trascorrevamo le ore del tardo pomeriggio sdraiati lungo le rive del laghetto, impegnati a programmare la serata, più spesso facendo scherzi. Ricordo che una volta buttammo l’orribile Graziella di Franco il ciclista nel lago, facendone emergere soltanto uno specchietto. Scherzo che quasi ci costò la sua paziente amicizia.Oppure ascoltavamo musica a volume moderato. Le madri con i piccoli su una sponda, noi sereni e neanche troppo chiassosi dall’altra. Le ragazze a voler ascoltare alla nausea Miguel Bosé, noi ragazzi concentrati su qualcosa di più pratico, come le curve di Phoepe Cates, al di là della sua Paradise. Oppure aggrappati al rock casalingo e un po’ barocco di Alberto Camerini.Perdonatemi. Ancora adesso, se chiudo gli occhi e respiro profondamente, sento il cuore di un ragazzo che non si rassegnerà mai.

 

Quando poi la luce del pomeriggio ci avvolgeva nel tepore delle sei, introverso com’ero, mi piaceva scrivere il resoconto della giornata sul diario, come avevo promesso al mio amico Pirata.Ricordo tutto di allora. La luce giallastra del sole, le montagne riflesse nel laghetto, Luciana che scherza con la sorella e la brezza leggera sulla pelle. Sempre che qui brividi fossero stati portati da essa.Alle volte si danno per scontate certe sensazioni. Sono contento di aver cercato di fermarle, per quanto la mia giovane età me lo permettesse, su quelle pagine, perdute dai mille eventi della vita.

 

Il Pirata c’era, ma spesso scompariva.Credo, e temo, che avesse un qualche intrallazzo con i ragazzi di Little Italy, il ghetto del paese vecchio, se così si può definire. Era una zona umida e sporca, dove circolava un po’ di tutto, e dove ci azzardavamo ad affacciarci soltanto nei giorni di mercato.Nel paese imperversava la banda Donega, un gruppo di ragazzi attaccabrighe e per giunta con qualche problema (chiamalo problema) di furti alle spalle.Spesso occupavano il campo sportivo e quell’anno avevano messo gli occhi sulle due gemelle, sbocciate prepotentemente come ragazze non più acerbe.Negli anni passati avevano spesso imperversato sulla nostra innata bontà.Ma quell’anno avevamo un angelo custode chiamato Pirata.Lo rivedo mentre solleva per le orecchie il più giovane dei Donega. Che aveva tentato di travolgere i nostri asciugamani con il suo motorino, sulle rive del laghetto.Amico mio, sapessi quanto ti ho cercato, quanto ho sentito la tua mancanza lungo questo tunnel di anni…

 

A sera, come detto, spesso ci ritrovavamo sui balconi delle nostre case. Non ci stavamo tutti sul mio, e spesso ci dividevamo. Un po’ da me, un po’ sul balcone di Fabrizio e Gabriella, i gobbastri, a fare giochi di luce, a scherzare fino alle ore più assurde, a leggere il resoconto della giornata.Oppure a guardare le stelle.- Sai cos’è che mi affascina più di tutto? – mi chiese una sera il Pirata, mentre osservavamo la volta stellata, dopo una appagante giornata trascorsa lungo la valle – Che… mi sembra di aver letto da qualche parte che la luce delle stelle… quella che vediamo… non è quella di adesso. Cioè… è quella del passato, una cosa del genere.- E’ vero! – intervenne il Piccolo Lord, alla nostra estrema sinistra – La luce impiega migliaia, alle volte anche miliardi di anni a percorrere la distanza dalle stelle fino a noi. Persino il sole non è quello che vediamo, ma è quello di otto minuti fa. In pratica noi vediamo cose che forse non esistono più e sono scomparse da chissà quanto tempo…Ci fu un attimo di silenzio. Sentii il respiro di Luciana, sulla sdraio alla mia destra, che quasi si zittiva.- Ma tu non vai mai a dormire ragazzino? – disse il Pirata. Il Piccolo Lord ne aveva una paura dannata, e mise la coda tra le gambe.- Ohu. questo ne sa sempre una più del Diavolo? Quando ero bambino io, si giocava col Piccolo Chimico, al limite. Adesso cosa c’è Il piccolo rompicoglioni? – disse Roberto, l’Ultras. Che almeno si spacciava per tale.- Non capite un accidente e non volete migliorarvi… - provocò il Piccolo Lord e tutti riseroIl ragazzino sapeva tutto. Sarebbe stato insopportabile per più di dieci minuti, ma quel periodo di tempo valeva il prezzo del biglietto.Una voce gracchiò nel Walkie Talkie che tenevamo acceso. Era il Violinista, dal balcone della Casa gemella, una ventina di metri più in là.- Cosa avete da ridere, pagliacci?- Ci serve un servizio di baby-sitting per il Piccolo Lord. Avete voglia di venire a riprendervelo?- No, grazie, tenetevelo pure, passo e chiudo! – Udimmo le risa dal gruppetto che occupava il balcone poco distante.- Non sto scherzando – proseguì il genietto – Voi sapete riconoscere le costellazioni? Guardate, quella è Zamiahi della costellazione della Vergine,a 204 anni luce da noi, e quell’altro invece è il grande Carro…- Sì, il Grande caz. – bofonchiò il Pirata stiracchiandosi.Terminate le risa, non potei non fare a meno, rimanendo in silenzio, di ammirare l’universo che ci si apriva davanti. Era inquietante pensare di essere di fronte al tempo passato.Luciana, di fianco a me, doveva aver interpretato i miei pensieri. E non era la prima volta che la cosa si verificava.- Che bello sarebbe poter puntare un cannocchiale su ognuna di quelle stelle e sui loro pianeti... e scoprire che ci sono cose da raccontare… sarebbe bello, per te, vero?Mi irrigidii. Nonostante non volessi ammetterlo. Entrai in quella dannata situazione in cui si diventava iceberg di fianco ad una ragazza. Nell’oscurità sentivo gli occhi di Marta, poco più in là, piantati addosso.Lei aveva capito da tempo. Ovvio che mi piacesse. Sapeva che mi piaceva perché mi piaceva Luciana. E tra due gemelle non si può farsi piacere soltanto una persona. Mi concentrai sulle stelle, tornando a rilassarmi, evitando quella situazione ambigua, sentendo che lo sguardo di Marta incombeva più del bosco scuro alla sua destra.

 

Era il bosco delle ville abbandonate.Una tenuta che era stata abitata fino agli anni Sessanta, con tre ville all’interno del bosco, una dependance disabitata che dava sulla provinciale e più in basso, vicino a noi, la casa del custode della tenuta, ad un solo piano più fienile. Mi chiedo quanto dovesse essere stata umida, nascosta dal sole quasi per tutta la durata del giorno. Era completamente abbandonata, da quando nel 1969, si diceva, fosse stato compiuto un omicidio al suo interno.La storia ci spaventava e spesso ne parlavamo come di un fatto ormai passato.Ma la sera, rincasando, quando dovevamo percorrere la lunga e buia stradina in salita che ci portava al cancello di casa, allora i pensieri tornavano sì a quel luogo, il cui cancello si apriva proprio in prossimità del nostro.Ricordavo la vegetazione della tenuta, nei primi anni d’infanzia, avere la meglio sull’ordine di una piccola aia. Fin quando avevo saputo.Una fucilata in una notte di alcool, una storia di ubriachezza, ed il padre aveva tolto la vita al figlio, dopo una lite.Poi più nessuno all’interno e la tenuta rimasta abbandonata.Quel luogo, così sereno mi affascinava e terrorizzava per le sue continue contraddizioni.Un’altra notte se ne andava, e presto o tardi il calore del sole e dei miei amici, avrebbe aiutato a spazzare i fantasmi della notte, di quei giorni indimenticabili.

 

Dormivo da solo durante quell’estate.Una casa può essere un rifugio, investita dal sole. Ma di notte, una casa di legno si poteva trasformare in un involucro di terrore.Il buio, insieme al bosco impenetrabile, amplificavano ogni minimo scricchiolio e rendevano lo spazio all’interno delle coperte sempre più rifugio disperato.Quanto era rassicurante sapere di non essere soli all’interno del piano o dell’edificio. E quanto poteva essere lunga una notte trascorsa da soli, quando si cadeva sfiniti in preda al sonno. Con la luce accesa che alle prime luci della mattina rendeva le proprie paure notturne una ridicola vergogna.

 

Spesso indugiavamo in lunghe passeggiate, accompagnati dalla nostra radio inseparabile, spesso incontrando il nostro amico postino che arrancava per la stradina che conduceva alle nostre case.Era un ragazzone dalla carnagione olivastra, sudato fino all’osso sacro.- Voi mi dovete spiegare, ragazzi, perché i numeri delle vostre case sono tutti sballati! Dovrebbero essere il 46 e il 48, ma sotto c’è scritto 52 e 55!Non si accorgeva, il poverino, di quanto lo prendessimo in giro, facendone la spietata imitazione mentre spingeva la pesantissima bici per la stretta stradina.Consumammo inoltre letteralmente la facciata B del nastro che avevo comprato mesi prima, quello di Franco Battiato, emerito sconosciuto fino a pochi mesi prima, star e mito improvvisa di una estate.Non tardai a scoprire cos’è che tenesse legati per la prima volta un gruppo di ragazzi e ragazze, separati fino all’anno prima.Il Pirata, nonostante la vista massacrata, era nell’immaginario di Gabriella, la sorella di Fabrizio, i due gobbi marci.Lei stessa, la ragazzina rossa e disinvolta era sicuramente finita nel mirino di qualcuno. Di chi? di Franco il ciclista, nonostante la sua goffaggine? O del Violinista?E Jenny? Davo per scontato che le cose non fossero normali con lei e che la sua rabbia mascolina nascondesse una frustrazione che aveva origini nascoste e indicibili.E io stesso non potevo negare che Luciana, così simile, così differente alla sua gemella, non fosse presente nelle mie giornate.Annotavo con cura ogni dettaglio delle nostre attività, giorno per giorno, lungo un estate che non finiva mai. E forse non lo faceva perché il tempo non ti aveva ancora insegnato ad aver paura delle belle sensazioni, per paura di perderle.Ma la nostra vita, così semplice, così raccolta intorno al nostro essere noi stessi, stava per essere spazzata via.Quello fu l’anno in cui scoprimmo i passaggi.E’ per questo che vi dico che quello che accadde, non fu un caso.

 

Doveva essere l’inizio di luglio. I ricordi si fanno confusi e se avessi ancora quel diario sotto mano, forse potrei essere più preciso. Dai miei ricordi spariscono i genitori degli altri, io ero già solo in partenza, e gli altri, come già vi ho detto, sparirono nell’ombra.Tutto si fa onirico e ovattato, come i nostri passi sull’erba dei prati dei nostri pomeriggi.Avevo sempre notato una certa stranezza nelle nostre case gemelle. Forse uno spessore delle mura esterne che non corrispondeva a quello delle stanze, forse soltanto una sensazione.Era il giorno di Italia-Brasile, lo ricorderete, la tripletta di Paolo Rossi. Ci stavamo attardando sulle rive del laghetto, in attesa di tornare a casa per assistere all’incontro pomeridiano, quando il Piccolo Lord, aveva cominciato a parlare.- Ho aperto una porta in casa mia...Lì per lì nessuno gli aveva dato retta, raramente i suoi discorsi venivano catturati da noi, ameno che non si parlasse di stelle.- ...Era sempre stata chiusa. Ho trovato un corridoio, ma ho paura...- Che cavolo dici? - avevo colto il suo discorso con la punta delle orecchie.- C’è un corridoio... ma non so dove porti, ho... ho paura... Era la porta che è sempre stata chiusa, E mi fa sentire… “strano”.Soltanto io avevo ascoltato, ma qualcosa aveva fatto “tic” nella mia mente.Qualcosa che aveva cominciato a stuzzicare un ricordo, finché esso non si presentò nitido e inesorabile.Anche nella mia stanza c’era una porta chiusa da tempo. Piazzata dietro un armadio, da sempre. C’erano troppe porte in quelle case, costruite senza forse pensare ai mobili e ogni stanza ne aveva almeno una seminascosta da uno scaffale o da un armadio.La curiosità mi stuzzicò, in quegli indimenticabili istanti nei quali Paolo Rossi infilzava Valdir Peres, e poi anche più tardi, quando ci recammo a festeggiare in paese.Erano state soltanto le parole di un bambino, ma non di un bambino qualunque.

 

Non ricordo se sognai. Se devo parlarvi di quanto accadde, mi torna solo in mente il muro che trovai di fronte quando aprii la porta della camera, dopo aver spostato con fatica l’armadio.Non avevo detto nulla agli altri. Avevo aspettato di essere solo a casa, nel cuore della notte, prima di dedicarmi a quella follia fantastica.Avevamo bevuto molto, dopo la vittoria e tutto tremolava.Rammento la mia mano sulla maniglia, che si apriva. Avevo sempre pensato che quella porta conducesse al corridoio retrostante, quello dove passavo così tante volte al giorno, quello sul quale si affacciava a sua volta una porta…E invece no. Forse sognai, forse no. Mi ritrovai di fronte a un corridoio intermedio, di fronte a me la porta che si affacciava presumibilmente sull’altro corridoio.Tutto tremava. Cos’era quel corridoio, chiuso sulla destra? Dove conduceva? Come in trance l’avevo percorso incurante della paura che portavano con sé gli spazi lunghi e in penombra, benché illuminati dalla luce elettrica installata da chissà chi.Dovevo aver vagato, chissà dove e per quanto.Poi mi ero risvegliato, al mattino nel mio letto, cacciando un urlo spaventoso.Tremante, avevo buttato lo sguardo alla mia sinistra. L’armadio era contro la porta, come se non si fosse mai mosso.Nella mente confusa ricordavo soltanto lunghi corridoi, scale e porte. Porte chiuse, porte che avevo aperto. Altre rimaste serrate. Poi la sensazione dell’aria della notte. E tanti graffiti sui muri, mentre le scale portavano verso il basso.

 

Confusione, grande confusione in testa, che non mi aveva abbandonato per tutta la mattinata. Parlarne con chi? Per paura di essere scambiato per pazzo?Soltanto una persona poteva aiutarmi, il Piccolo Lord, che aveva scatenato in me una sorta di fantasia morbosa latente.- Davvero, hai visto un corridoio? – lo affrontai.Mi rispose stupito, come se fosse strano che un ragazzo più grande lo considerasse.- Sì… il corridoio c’è davvero. Ma non ci sono entrato…- C’è la luce in quel corridoio?- Sì… ma perché…- Come mai non ci sei entrato?- Perché mi… mi sono sentito strano…Era la prima volta che lo vedevo così spaventato. Ma lo stato di stordimento e paura incombente che mi aveva lasciato la fantomatica visita notturna oltre una porta, non se ne andò e mi tenne compagnia per tutta la giornata.Alla fine ne parlai con la persona che forse, meno di tutti, aveva voglia di misteri.

 

- Sì, c’è una porta sempre chiusa da noi… – aveva detto il pirata.Avevamo atteso che sua madre, che non vidi mai quel giorno, si addormentasse, per entrare nel suo appartamento. Avevamo spostato una vecchia cassettiera che copriva per metà una delle due porte che davano sul corridoio del primo piano, cercando di fare meno rumore possibile.La maniglia però, non aveva fatto scattare la serratura.- Mi ricordo di una chiave di ferro in uno di questi cassetti… - aveva brontolato il mio amico, mentre io cercavo di non badare al disordine del suo appartamento, che andava molto più lontano del disagio – Eccola! Proviamo… Anche se tutta questa mi sa di grande cazzata…La chiave scura aveva fatto scattare la serratura. La porta si era aperta.Avevo voluto affacciarmi per primo. No, non avevo sognato la notte precedente. Non c’era il corridoio del primo piano, oltre la porta. C’era un muro giallastro, e la luce elettrica che correva, con un paio di lampadine bruciate, all’interno del passaggio che si apriva alla destra.Fui investito da una morsa alla testa, fastidiosa e aggressiva, come un’onda magnetica che mi stesse respingendo.Feci due passi all’interno del corridoio. Parlai, ma non udii il suono delle parole. Mi voltai verso il Pirata. Aveva fatto un solo passo all’interno del corridoio e ora stava vomitando semi accasciato.Qui finiscono i miei ricordi per quella notte. So per certo che camminammo all’interno di quella diabolica diavoleria che ci eravamo trovati di fronte. Un gioco di scatole cinesi nascosto all’interno di una casa.Lo ricordo, alla luce di quanto avvenne poi. Ma, durante tutti i nostri viaggi che seguirono, all’interno dei corridoi, la nostra memoria non riuscì mai a registrare pienamente quello che avvenne, se non nei momenti troppo importanti, ricordati più dal sentire comune, che dalle fotografie del pensiero.Posso parlarvi di scale che salivano e scendevano, di tante porte, di un luogo etereo, scansato anche dalle ragnatele. Di un pericolo incombente e di un vero e proprio labirinto spaventoso… con frasi scritte sui muri. E pagine e pagine di un qualcosa di scritto molto tempo prima.Quando incontrai il Pirata, il giorno seguente, lessi nella sua poca vista, la convinzione non detta che non si fosse trattato di un sogno.

 

Scomparve per tutta la giornata. Lo capivo, sentivo che la nostra amicizia così diversa era in grado di superare le differenze che ci separavano. Non poteva concepire l’irrazionale, se il razionale era stato così ingrato e traballante per lui. Così se ne stette a Little Italy con i suoi amici poco di buono per tutto il giorno, e fui io a prendermi l’incarico di dirlo agli altri, sentendomi ancora avvolto da quella strana ipnosi magnetica, che non mi lasciava più.- Non vi chiedo di credermi, vi chiedo di controllare le porte chiuse che avete in casa.Ma stai scherzando? – mi domandò LucianaNon potevo essere più serio – Nelle nostre case ci sono troppe porte. Ogni appartamento ne ha almeno una in disuso. Non vi chiedo di forzarle. Vi chiedo soltanto di aprirle, se potete. E guardare che cosa c’è al di là. Fate attenzione. Potreste essere preda di nausee, vomito o un senso di mancamento. In questo caso, dopo aver dato un’occhiata, tornate indietro. Se potete aspettate che tutti dormano in casa… sempre che non siate soli.Sentii il loro sguardo più raggelato del ghiaccio. A nulla bastava il sole delle 18. Tranne quello del Piccolo Lord, che sembrava ringraziarmi.Se ne andarono tutti scuotendo la testa, ma io lo trattenni per un braccio.- Tu… sei entrato, vero? – gli domandai guardandolo fisso negli occhi.- Sì… - mi rispose smarrito.- Quando? Che cosa hai visto?Scosse forte la testa… - Ieri notte… io… vi ho visto. Tu e il Pirata. Poi si liberò dalla mia stretta e scappò verso casa.Quella fu una notte senza stelle.Mi ritirai presto e da sotto le coperte non potevo non sentire la vecchia casa riempirsi di cigolii.Cos’era quello che sentivo? Il mio inconscio che scricchiolava?O forse i miei amici che, ognuno per quanto fosse possibile stava aprendo le porte dell’ignoto?

 

Quando ci incontrammo, tutti sembravano più vecchi di dieci anni.Pioveva, pioveva a dirotto ed approfittammo della tettoia del campo sportivo per la nostra riunione di folli spiritati.Due giorni. Erano passati due giorni, dei quali nessuno ricordava con esattezza lo scorrere del tempo. Occhiaie, sguardi torvi, capelli scomposti.Ricordo quell’immagine e basta. Ma sapevo di essere tornato là dentro e, benché non riuscissi a portarne fuori i ricordi, la mia visita era stata meno disagevole, rispetto al primo timido tentativo.Mi era sembrato di poter accedere alla porta anche senza spostare l’armadio. Avevo abbandonato la paura degli angoli buiNon parlammo, ma condividemmo l’esperienza che andava oltre la sensorialità.Tutti, chi prima, chi dopo, avevano varcato le soglie.Era innegabile, e io potevo testimoniarlo, durante i miei viaggi non più preda di nausee, ma sempre onirici.I nostri appartamenti erano tutti collegati da un gioco di sale e corridoi, le case gemelle erano collegate da passaggi segreti, disegno folle e visionario di chi aveva costruito quel complesso, quasi un secolo prima.C’eravamo incontrati, all’interno di quei corridoi, anche se non lo ricordavamo.Avevamo visto strani passaggi, graffiti sui muri, pagine di un diario vergato con ordinata calligrafia da qualche mano ignota, molti anni prima.Non lo sapevamo, non potevamo rendercene conto, ma questo era quello che avremmo scoperto nei nostri viaggi successivi a quella riunione quasi onirica. Passaggi segreti, scritte, graffiti.Qualcuno era già stato in quei passaggi.Molto prima di noi.Ma chi?E perché noi li avevamo scoperti, porta sulle ombre di un’estate che faceva piangere per la sua romantica serenità?

 

Che cosa sono questi passaggi?Che cosa rappresentano i fogli sparsi di un diario?Chi ha vissuto in quelle case, prima dei protagonisti della nostra storia?Quale terribile pericolo si sta per abbattere sui protagonisti?Lo sapremo, sotto il cielo di mille stelle cadenti, la prossima settimana, nella seconda puntata de L'estate dei Prati.

Mauro Saglietti