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L’Europa che non c’è più

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di Andrea Ciprandi
Redazione Toro News

Stavo meditando sui Club più o meno grandi del passato che non hanno praticamente più un ruolo di prim’ordine nelle Coppe europee. Lasciando perdere le squadre italiane, mi chiedo cosa sia capitato al temibile Anderlecht, al furioso Borussia Moenchengladbach e al formidabile Nottingham Forest, e poi cosa ci sia dietro il crollo del Saint-Etienne, dello Sporting Lisbona, della Stella Rossa, della Steaua Bucarest e del Bruges; mi domando anche cos’abbia affossato Dinamo Dresda, Magdeburgo, IFK Göteborg, Dundee United, Ipswich Town, Aberdeen, Mechelen, Slovan Bratislava, Dinamo Zagabria, Austria Vienna, Carl Zeiss Jena, Ilves Tampere, Magdeburgo e Dinamo Tbilisi, che senza essere mai stati ricchi erano spesso riusciti a dire la loro nel corso di alcuni decenni.Molti di questi nomi, soprattutto gli ultimi, fanno sicuramente correre un brivido giù per la schiena ai meno giovani di noi mentre forse non dicono quasi niente ai ragazzi, che li collegheranno tutt’al più al calcio europeo minore, quello relegato ai preliminari di Champions o all’Europa League. Dirò subito che considero questa competizione un vero e proprio girone dantesco che non riuscirà mai a ereditare il fascino e il prestigio delle due competizioni che vi sono confluite, vale a dire le bellissime Coppa UEFA e Coppa delle Coppe. Parteciparvi, ormai, è un finto stimolo per gli ultimi mesi di campionato quando in molti legano alla qualificazione europea il successo stagionale, perché poi bastano un paio di mesi l’anno dopo per scoprire che è meglio uscirne il prima possibile viste le briciole di soldi che dà in cambio di un massacro psico-fisico che non è richiesto nemmeno ai priviegiati della Champions League, quelli che la gloria vera sembrano volere e dovrebbero meritarsi. E se agli ultimi turni dell’Europa League continuano ad approdare alcuni dei Club sulla cui sorte m’interrogavo è solo perché quelli affiliati alle Federazioni più ricche di oggi spesso mollano il colpo. Col risultato che il tenore dell’intera manifestazione risulta alterato da scelte prese a tavolino piuttosto che da risultati effettivamente maturati sul campo. Arriviamo così ad alcuni dati che ho raccolto.Prendendo in esame la sola Champions League e la sua meno ricca ma molto più nobile antenata, la Coppa dei Campioni, emergono dati a prima vista contraddittori ma in verità, ho scoperto, decisamente e tristemente illuminanti. Per chi crede che i soldi della Champions abbiano limitato il numero di squadre vincitrici e finaliste della competizione a una ristretta élite, valga sapere che a trionfare sono stati in totale 21 Club in 55 edizioni, ma che mentre nell’era della Coppa dei Campioni ce n’erano stati 18 in 37 stagioni, in quella della Champions a oggi ce ne sono 12 in appena 19 anni. Questo indica chiaramente che una forte oligarchia, se di questo si tratta, c’era con la vecchia formula. Ma scorrendo i dati che seguono si capirà come si trattasse di una supremazia di scuole calcistiche (non di portafogli) che in ogni caso non arrivava a fagocitare l’intero movimento.Ho infatti controllato quanti dei 18 Club capaci di vincere la Coppa dei Campioni abbiano saputo ripetersi anche in Champions, vale a dire dal 95’-96’ in qua. Sono stati la metà. In rigoroso ordine alfabetico: Ajax, Bayern Monaco, Inter, Juventus, Liverpool, Manchester United, Milan, Porto e Real Madrid. A non farcela, invece, Amburgo, Aston Villa, Benfica, Celtic, Feyenoord, Nottingham Forest, Steaua Bucarest, Stella Rossa Belgrado e PSV Eindhoven. Salterà forse all’occhio anche a voi come queste ultime siano Società rimaste ai margini dal calcio milionario, alcune delle quali passate di mano in mano a causa di guai finanziari, oppure appartenenti a Federazioni di secondo piano. Ed ecco che arriviamo al dato più impressionante.Credo che sia corretto partire dal presupposto che per vincere ci vogliano qualità e stimoli ma che questi siano comunque destinati a non bastare di fronte a enormi investimenti altrui con quel che ne consegue. L’esito di molte edizioni recenti della rinominata Europa League è dipeso da un mix fra questi due elementi, e la dimostrazione sta nel fatto che degli ultimi sei successi tre sono stati di Club ex sovietici (di cui due mai stati protagonisti prima) e altrettanti di Club spagnoli (attrezzati ma troppo lontani dai due giganti della Liga e da quelli europei per poter ambire ad altro). Intanto, nella ricchissima Champions League che rende sempre più ricchi i Club che vi partecipano (che già godono di un enorme vantaggio in Patria grazie all’iniqua assegnazione dei diritti televisivi) è avvenuto quanto segue. Le sue ultime 15 stagioni sono state vinte solo da squadre spagnole, italiane, inglesi e tedesche, con l’unica eccezione del Porto nel 2004 (che però si affermò in un’edizione anomala battendo in Finale il Monaco). Se poi guardiamo ai finalisti, anche in questo caso si tratta esclusivamente di Club affiliati alle quattro Federazioni più ricche e potenti d’Europa, a parte il Monaco, come detto, e l’Ajax che nel ’96 perse contro la Juventus ma da campione uscente ed essendo comunque una Società da sempre capace di mantenersi nell’élite continentale. Con questo chiudo il confronto con le edizioni della vecchia Coppa, nella cui piazza d’onore avevano terminato rappresentanti di 12 Nazioni, quasi il doppio di quelle approdate senza fortuna alle Finali di Champions. E non credo proprio che nei prossimi anni ci sarà un’inversione di tendenza al di là della possibile affermazione a medio termine dei ricchi russi e ucraini.Ma torniamo ai Club che ho menzionato in apertura. Fra essi, pensate, ci sono i vincitori di ben 26 edizioni dei quattro principali trofei europei e i finalisti di 14. Se però vogliamo tornare a vederli protagonisti ormai ci tocca guardare all’Europa League. Anche qui, comunque, non è detto che la storia andrà avanti ancora per molto perché, come dimostrato, sembra che si stia andando verso un unico tipo di vincitore: quello ricco di un Paese in ascesa economica e, solo in alternativa, uno iscritto a un campionato maggiore che rinunci già in autunno a vincere il titolo nazionale. Bella roba, dico io… alla faccia della competizione… In quanto alla Champions League delle luci, dei colori e dei soldi, questa Las Vegas del pallone, temo invece che si sia già andati oltre i maneggi dei padroni del calcio e che una certa mentalità si sia radicata anche nei cronisti, cioè in chi ci presenta le cose e influenza i nostri giudizi. Recentemente ho sentito un commentatore televisivo auspicare il taglio da questa Coppa di formazioni come il Bursaspor e lo Zilina, a sua detta colpevoli di subire troppe e troppo nette sconfitte. Da amante dello sport inorridisco di fronte a una tale manifestazione di ignoranza. In primo luogo perché non ho sentito fare lo stesso discorso al che la Roma ne prese sette in una botta sola dal Manchester United e il Milan altrettanti anche se fra andata e ritorno (e parlo delle ultime tre stagioni). Ma soprattutto perché se si fosse agito in base a questo ragionamento quando le italiane le pigliavano dall’Anderlecht e dal Moenchengladbach, ma anche dal Waregem e dall’Ipswich, insomma un po’ da tutti, il nostro calcio non avrebbe poi avuto l’opportunità di rafforzarsi e benché nel deserto dipendente dalla squalifica delle squadre inglesi non avrebbe potuto guadagnarsi il rispetto di cui gode oggi.  Più che dei deboli, io mi preoccuperei dei forti. A partire dai vari campionati nazionali, ove una distriubuzione iniqua dei soldi e accordi corporativi fra chi è già ricco e ha tutto l’interesse a tenere a debita distanza tutti gli altri hanno posto le basi per una spartizione mafiosa dell’Europa. Non a caso le cossiddette Big o comunque gli stessi Club (tre o quattro al massimo in tornei come minimo a 18 squadre) vincono da un numero impressionante di anni i campionati da cui escono i futuri campioni d’Europa. In Germania se ne sono aggiudicati 24 degli ultimi 27, in Italia 18 degli ultimi 19, in Inghiltrerra 17 degli ultimi 18 e in Spagna 25 degli ultimi 26. Che contino i soldi? Li avesse, vincerebbe pure lo Zilina.