mondo granata

L’uomo delle carte

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

Continuiamo, amici, il nostro viaggio tra le Istantanee, racconti secondo me importanti, scritti da tifosi e amici. Non so se sia mai stato scritto un racconto sulle ore che seguirono la fondazione del Toro, nel 1906. Lo ha fatto Massimo Ellena, scrittore giànoto nel panorama letterario torinese, che ha all'attivo due romanzi pubblicati negli ultimi anni. L'idea risulta avvincente. Vi invito a perdervi per cinque minuti in questo universo, che Massimo ha saputo sapientemente creare. Ciao!

L'UOMO DELLE CARTE di Massimo Ellena«No. Preferisco prima ascoltare cos’ha da riferirmi il signor Dick» si disse da solo.Era il 5 dicembre del 1906, si trovava al primo piano della Birreria Voigt e fuori faceva un freddo cane. I vetri delle finestre erano appannati mentre la spessa coltre di neve si stava sciogliendo sotto una pioggia che durava da quand’era sceso dal treno. Poche ore prima.«Questa è proprio una serata poco invitante per passeggiare sotto i portici, vero?» mormorò all’indirizzo dell’unica persona ch’era seduta in un angolo del locale.L’uomo abbassò il giornale, annuì sorridendo e poi risollevò il giornale. Aveva un bel farfallino sgargiante al collo e sul tavolo, nel posacenere, lui sì, un bel sigaro fumante. Comunque, ad Hans Schoenbrod il fatto di essere stato convocato quella sera non gli dava affatto fastidio. Anzi, era curioso anche se un po’ intimorito da quello che sarebbe venuto a sapere.«Buona sera signor Schoenbrod» fece una voce alle sue spalle. Era una voce calda e decisa.Lui si alzò lentamente, si aggiustò la giacca e voltandosi fece scivolare tra le dita la catenella dell’orologio da taschino: «Le otto e quarantacinque minuti esatti. Non c’è persona più puntuale di lei signor Dick…»«Dovere.. dovere… Ci mancherebbe ancora» rispose l’uomo che era appena arrivato. Era lunghissimo, l’uomo più alto che avesse mai visto. E insieme massiccio. Lo conosceva bene, erano amici, ma ogni volta che lo vedeva non riusciva a non stupirsi di quanto fosse imponente Alfredo Dick.«Come va amico mio? Riesci sempre ad arrivare prima di me… anche quando sono puntuale» fece  abbracciando fraternamente Hans.«Il treno è arrivato prima del previsto dalla Svizzera » tentò di rispondere Schoenbrod, con la faccia schiacciata contro il petto del signor Dick. Si liberò della stretta e tornò a sedersi al tavolo.  I lunghi baffi neri seguirono il movimento delle labbra in un sorriso: «Anche la nostra famosa precisione svizzera talvolta può andarsene per conto suo.»«Già. Ma sempre in anticipo però. Sempre in anticipo! Anche qui è la nostra grandezza di svizzeri, no?» rispose Dick prendendo una sedia e sedendosi con le braccia incrociate sullo schienale.Indossava un lungo cappotto grigio sotto cui si intravedeva un gilet e una camicia bianca dal colletto inamidato. La cravatta era stranamente slacciata. Sorrise: «Hans, sei il presidente di una nuova squadra» sentenziò dopo un buon minuto di silenzio.Hans Schoenberg non si scompose: «Dov’è la novità, Dick? Io sono già presidente di una squadra…»«No. Di una nuova squadra, intendo.»«Dalla fusione di Juventus e F.C. Torinese?»«No. E qui è il bello.»Schoenbrod alzò gli occhi sull’amico con aria interrogativa. Cercò nel taschino la scatola dei sigari, ne prese uno e dopo avergli staccata l’estremità, l’accese. «Non capisco» tentennò dietro la parete di fumo denso.«Hans. Hans!» fece Dick trattenendo in gola l’euforia della voce, «siamo una nuova squadra! L’altra squadra di Torino e questa volta non dobbiamo temere rivali: siamo i più forti!»Schoenberg si alzò, si avvicinò alla finestra appannata e scosse la testa. Aspirò una lunga boccata di fumo:«Mio caro amico, bisogna unirsi per diventare forti! Non separarsi. Io non sono d’accordo su quello che avete fatto…» ribadì scuotendo la testa. «Sei stato il solito ingenuo… Dick. Il solito ingenuo.» Guardò fuori dalla finestra e trovò una strana similitudine tra la pioggia che cadeva e le speranze che nutriva in quel nuovo sport in cui si era lanciato.«No. Questa volta sei tu a non capire, Hans. Il football è lo sport più bello che ci sia. È nato da poco ma diventerà sempre più importante  e questa città non può non avere due squadre.» Alfredo Dick indicò i posti vuoti al fondo del locale, quelli che di solito erano occupati dai dirigenti e dai giocatori della juve, poi allargò le braccia guardando l’amico appoggiato al davanzale della finestra: «Quelli non potranno mai rappresentare questo sport…»Schoenbrod scrollò le spalle e si risedette scotendo la testa: «Ma se fino a due giorni fa eri uno di loro, Dick. Cosa stai dicendo?»«Voglio dire che questo è un momento importate per noi. Ancora non lo sappiamo ma stiamo facendo la storia.» «Sciocchezze… La storia la stanno facendo gli austriaci. Anzi, dobbiamo guardarci le spalle da quel paese e fare attenzione! Sport e storia sono cose molto diverse Dick. Apprezzo l’euforia ma non condivido le tue parole.»Alfredo Dick si diede un colpo sulla gamba con la mano e sbuffò: «Sei sempre stato difficile da convincere sulle cose nuove… ma ti garantisco che questa sarà la cosa più bella della nostra vita…» sorrise ancora una volta, alzò la mano verso la cameriera e ordinò due Pernod. Poi si avvicinò all’amico e lo fece voltare prendendolo per le spalle:«Vedi quell’uomo seduto nell’angolo? Quello che sta leggendo?»Schoenbrod annuì scrutando Dick con la coda dell’occhio: «Sì…  amico mio, ed è anche l’unico che c’è.»«Non hai idea di cosa mi ha detto l’altro ieri…»Schoenbrod continuò a scrutarlo con la coda dell’occhio.«Tu mi conosci. Sai che non sono superstizioso. Eppure quell’uomo ha fatto e detto delle cose che mi hanno convinto…»«Ti hanno convinto a fare cosa…» domandò Hans dietro una cortina di fumo. Si interruppe e osservò la cameriera posare sul tavolo i due Pernod e poi allontanarsi impettita con il vassoio posato su una mano. Proseguì: «Le parole di uno sconosciuto ti hanno fatto prendere una decisione del genere? Quella di lasciare una squadra per fondarne un’altra e mettere me come presidente?»Alfredo Dick non rispose. Puntò semplicemente il dito verso l’uomo che era seduto nell’angolo e lui, senza dire una parola, come se  avesse percepito il dito che lo puntava, abbassò il giornale e li guardò con curiosità spostando gli occhi lentamente da uno all’altro. Alla fine infilò due dita nel taschino di sinistra della giacca, estrasse una custodia di cuoio e da questa un mazzo di carte.«L’altra sera» cominciò a raccontare a bassa voce Dick appoggiato allo schienale della sedia «mentre noi della juve eravamo qui per decidere chi avrebbe dovuto essere il nuovo presidente, ho provato a candidarmi… tu sai che era già da un po’ che ci provavo…»Schoenbrod annuì: «Sì, lo so.»«Ebbene: si è scatenato il pandemonio. Non riuscivo a crederci. Tutti volevano fare i presidenti. Uno che urlava di qua, l’altro che urlava di là… Ci mancava poco che si mettessero le mani addosso. Allora mi sono allontanato e in quel momento ho visto lui» e Dick indicò l’uomo delle carte nell’angolo. «Mi ha fatto cenno d’avvicinarmi. Non sapevo chi fosse né cosa volesse ma l’ho fatto. E poi…»«E poi…?» chiese Schoenbrod con il tono di chi cominciava ad irritarsi.«E poi mi ha detto nel modo più pacato: “Lei è fortunato. Ho le carte giuste del destino tra le mani.” Mi indica il mazzo di carte francesi aperto sul tavolo e prosegue: “Se vuole, prenda il mazzo, lo controlli, mescoli le carte come meglio crede e poi ne estragga quattro a caso.”»Dick tornò a sedersi di fronte a Schoenbrod, le braccia di nuovo poggiate sullo schienale e il tono di voce ancora più tenue: «Non so perché ma gli ho dato ascolto. Ho preso le carte e dopo averle controllate una a una le ho mescolate e ne ho estratte quattro a caso senza  guardarle. Le ho posate sul tavolo ancora voltate e poi…»«Insomma Dick, vuoi farla breve e dirmi cos’è successo?» domandò spazientito Schoenbrod aspirando nervosamente dal sigaro.«Va bene. Vieni a vedere» ordinò Dick all’amico.Schoenbrod si alzò controvoglia ma obbedì. Seduto al tavolo, con il sigaro tra le dita, quell’uomo salutò entrambi con un cenno della mano senza guardarli. Non disse nulla: indicò solo il mazzo aperto a ventaglio sul tavolo. Erano tutte carte francesi, proprio come aveva detto Dick.«Dunque?» abbozzò Schoenbrod fissando con aria interrogativa il mazzo e i due uomini.«Questa è una città strana signor Schoenbrod, non è vero?» esordì quell’uomo ripiegando con cura il giornale davanti a sé.«In un certo senso…»«È una città strana, ricca di una gioia che non si vede ma che c’è. È sotto la pelle.» Indossava una giacca appena posata sulle spalle. Con un gesto misurato delle mani la fece scivolare sulla spalliera. «Qui tutto è nascosto. Qualsiasi cosa va scoperta e portata alla luce. Qui, in questa città, tutto è possibile ma bisogna credere e soltanto allora la poesia può diventare realtà e la realtà può diventare poesia...»Dick non stava più nella pelle mentre Schoenbrod non sapeva cosa ribattere: «Non capisco…»«Se vuole giocare con me come ha già fatto il signor Dick, darete una possibilità in più a voi e a questa città» allungò il mazzo verso Schoenbrod. «Le prime quattro carte che lei estrarrà» riprese l’uomo dopo aver spento il sigaro nel posacenere «saranno queste: un re, un dieci, un asso e un jack. Tutte carte di cuori e in questa esatta sequenza.»«Manca la donna e la scala è completa…» esclamò con un sorriso sarcastico Schoenbrod.L’uomo seduto al tavolo non si mosse. «Già la donna…» mormorò, poi sollevò impercettibilmente le sopracciglia, inforcò un paio di occhialini tondi e cominciò:«Il re di cuori è un futuro di cui non si vede la fine: duro e affascinante, drammatico ed esaltante. Unico perché considerato impossibile. Il dieci è come un jolly: ovunque lo metti vince. Niente e nessuno può essere meglio di lui. L’asso purtroppo predice una grande tragedia figlia della poesia e madre di una leggenda. Il jack è una farfalla solitaria. La più bella. Forse l’ultima.» Indicò il mazzo aperto sul tavolo: «Bisogna avere coraggio per aprire porte nuove… lei è un imprenditore di successo, dovrebbe saperlo» insistè.Schoenbrod sorrise compiaciuto sotto gli occhi entusiasti di Dick. «Qualsiasi cosa io faccia usciranno le carte che lei ha detto?» chiese arricciandosi i baffi.«È il destino. Ma lo deve sfidare, se no non vale» sorrise, «e poi con me è tutto ancora più facile: è sufficiente credere in un mazzo di carte e… nei sogni impossibili.»«Ma qual è questo sogno impossibile?» chiese Schoenbrod dubbioso «non l’ho ancora capito.»«Una quadra di calcio può essere molto di più di un semplice gruppo di sportivi. Può essere la vera anima di una città. Può essere l’ultima speranza per chi crede di non averne più. Può essere… può essere la vita intera di un uomo. Sarete ricordati per sempre per questo. Ma dovete avere coraggio. Il signor Dick ha già dimostrato di averlo sfidando le mie carte. Manca solo lei signor Schoenbrod…»Hans Schonbrod vide il mazzo di carte avvicinarsi ancora di più alle sue dita. Scosse la testa e guardò Dick, gli occhi accesi e il volto luminoso.Sospirando non gli rimase che allungare la mano. Prese le carte mescolandole con calma e ogni volta che inseriva un piccolo mazzo dentro l’altro sollevava un occhio verso Dick e uno verso quell’uomo. Le loro espressioni erano quelle di chi sa che stava facendo la cosa giusta. Lui invece non lo sapeva ancora. Ma forse da qualche parte dentro di lui…Posò il mazzo sul tavolo e iniziò a estrarre le carte in modo del tutto casuale. E in modo del tutto casuale le distribuì sul tavolo di fronte a sé. Le guardò con ammirazione, soddisfatto e nel momento in cui fece per dire qualcosa, Alfredo Dick gli diede una pacca sulla spalla che per poco non lo fece cadere:«Bravo amico mio!» grido esultante. «Adesso guardiamo le carte, Hans. So già che sarà tutto come ha detto questo signore…» concluse sedendosi al tavolo, con le braccia incrociate sullo schienale.L’odore acre del fumo aveva riempito tutto il locale ma non era cattivo. C’era un profumo come di miele  e di castagne. Fuori invece la neve aveva ripreso a scendere copiosa con fiocchi di neve morbidi e larghi come medaglie. In un attimo i comignoli del palazzo di fronte si ritrovarono coperti da alti cappelli bianchissimi. Non si sentiva nulla.«Cominci pure» lo incitò l’uomo delle carte.Schoenbrod fece per girare la prima quando una voce allo loro spalle li fece voltare: «Altra riunione anche occi?»L’accento era inconfondibile. Era di Basilea e si trovava in Italia da più tempo di loro eppure in quegli anni non era ancora riuscito a perdere la parlata filo-tedesca.«Ciao Bollinger!» lo salutò entusiasta Dick alzandosi e andando verso di lui con la mano tesa. «Come mai qua?»Schoenbrod lo salutò sollevandosi la bombetta.Fritz Bollinger, fedele amico di Dick tanto da seguirlo, insieme ad altri ventuno sportivi, fuori dalla Juventus anche in quella nuova avventura,  si tolse il cappello e annuì in direzione di Schoenbrod. Poi strinse la mano al gigantesco Dick facendogli cenno di non disturbarsi e di tornare a sedere. Fritz Bollinger, a differenza di Dick e Schoenbrod, il calcio lo giocava sul serio: giovane, alto e snello, era insuperabile sulle palle alte in difesa e in campo non c’era giocatore che non seguisse le sue indicazioni urlate a gran voce ma con quella calma di chi sa sempre cosa è meglio fare. «Caro Dick, non riuscifo a stare a casa senza sapere cosa afrebbe detto il signor Schoenbrod questa sera…» disse prendendo una sedia e portandola accanto a loro.«Posso sedere? Non foglio disturbare» chiese ancora con la sedia in mano. Aveva il tono di voce caldo e profondamente garbato che gli era solito.Tutti annuirono. Lui posò sulla sedia il bastone da passeggio, appese cappotto, cappello e sciarpa al porta-abiti e si accomodò accanto a loro sbottonandosi i primi due bottoni del gilet: «Scusate, ho manciato da poco e mi sento un poco gonfio…» spiegò. «Oh, fedo che il Football Club Torino è difentato una squadra di ciocatori di carte» esclamò sorridendo e proseguì «ma non è sport olimpico. Non ci conviene… il mondo non rimarrà a cuardarci incantato allo stesso modo!»«Stai tranquillo Fritz» lo rincuorò Dick prendendolo per una spalla «stiamo solo decidendo il nostro destino. Non appena il signor Schoenbrod avrà voltato le sue carte sapremo se due giorni fa abbiamo fatto la scelta giusta.»«Oh, bene. Allora sono arrifato al momento giusto» rispose Bollinger e non appena ebbe terminato di parlare, Schonbrod allungò la mano e prese tra le dita una delle quattro carte.La tenne sospesa per qualche secondo poi la posò sul tavolo. L’uomo delle carte lo guardò annuendo; il suo farfallino sgargiante brillò alla luce tenue della stanza.Schoenbrod prese la carta a fianco e la voltò: era il re di cuori, la carta giusta, quella che era stata prevista dovesse uscire. La carta che stando alla parole di quell’uomo avrebbe aperto un nuovo futuro per tutti loro. Sportivo ma non solo.Voltò la seconda carta: il dieci di cuori. Un uomo al comando.Ora toccava alla terza. Ne aveva ancora due di fronte posate sul tavolo di legno. Intorno non sentiva più nulla. L’uomo delle carte, Bollinger, Alfredo Dick: pareva quasi che più nessuno respirasse. Prese una carta, la stessa che aveva afferrato prima e poi posato. La prese e rimase a osservarla per un po’ indeciso. Non sapeva se era quella giusta da girare. Ma d’altronde come avrebbe mai potuto saperlo… Era un gioco. La mano gli tremò per un istante, poi si decise, la voltò di scatto e sentì il fiato bloccarsi in gola: aveva voltato il Jack di cuori. Non l’asso ma il Jack.Schoenbrod sentì il cuore martellargli nel petto e vide la propria mano bloccarsi in aria, sospesa tra la carta sbagliata e l’altra che ancora doveva essere scoperta. Si lasciò andare contro lo schienale chinando la testa senza sapere cosa fare: forse a questo punto era meglio che si fermasse. Oppure doveva continuare? Avrebbe voluto alzare gli occhi perché sapeva che guardare le persone che aveva attorno sarebbe stato il modo migliore per capire quello che doveva fare. Ma non lo fece. Voleva e doveva decidere da solo. Diamine… era un imprenditore di successo sia in Svizzera che a Torino, questo voleva pur significare qualcosa!Prese l’ultima carta, la quarta,  la strinse tra le dita passandosela da un polpastrello all’altro come se questo potesse conferirle una forza particolare. La voltò: era l’asso. L’undici di cuori. La carta della gloria e della tragedia… Schoenbrod guardò l’uomo delle carte con timore: «Lo sapevo che non avrei dovuto giocare» mormorò in un rantolo.«Signor Schoenbrod, non è successo niente di male» lo rincuorò con pazienza l’altro, «sono uscite le carte giuste ed è questo ciò che importa.»«Ma non ha detto che era importante anche la successione?»L’uomo delle carte sorrise, mentre ricomponeva il mazzo:«Il destino non è unico, signor Schoenbrod, può avere tanti modi di evolvere. Ma… tutto quello che deve succedere succederà comunque. O prima o dopo.»Fritz Bollinger e Alfredo Dick si scambiarono un’occhiata e strinsero con affetto le spalle di Hans. Erano sorridenti ed entusiasti. Dick era consapevole che la sua idea di lasciare la Juve per fondare una squadra che doveva rappresentare l’altra faccia di Torino era vincente. Anche Schoenbrod se ne sarebbe reso conto, ne era più che sicuro. E poi non nascondeva il sogno di poter diventare anche lui presidente dopo il suo amico.Per Bollinger invece c’era la possibilità di continuare a giocare, da capitano, in una squadra nuova. E una squadra che nasceva sotto l’auspicio delle carte, in una sera d’inverno tra bicchieri di pernod e sigari, nella birreria più bella di Torino possedeva qualcosa di magico.«L’asso è portatore di tragedie» sussurrò Hans «io questo lo volevo evitare… mi sento responsabile.»L’uomo delle carte scrollò le spalle: «Le tragedie fanno parte della vita come dello sport, amico mio.» Si fermò per un attimo, poi riprese:«Lei ha fatto una cosa encomiabile mettendo in gioco se stesso. Ma il fatto più importante è che ha dato inizio a  una nuova avventura. Questa è la sua unica e vera responsabilità. Accettando di girare quelle carte, caro signor Schoenbrod, ha aperto una nuova via al destino.» Poi guardando tutti quelli che erano seduti al tavolo: «Saranno molte le persone negli anni a venire che vi ringrazieranno e vi ricorderanno per quello che avete fatto in queste due serate…» In quel momento, una giovane ragazza con una lunga pelliccia e un cappellino verde da cui spuntavano ai lati due ciuffi di capelli nerissimi, comparve al fondo del locale. «Papà è ora di andare… si è fatto tardi» fece lei sfregandosi le mani e soffiandoci sopra. Gli abiti erano spruzzati di bianco.L’uomo delle carte guardò l’orologio che aveva nel taschino, si alzò e cominciò ad infilarsi il cappotto.«Lo so, è ora… ma vieni avanti Susan» disse sfilandosi dalle tasche un paio di guanti di pelle «ti voglio presentare questi signori prima di andare.»Susan si tolse il cappello e dopo essersi avvicinata salutò tutti con un gran inchino: «É un vero piacere per me fare la vostra conoscenza.» Il nero profondo degli occhi e il rosso delle labbra, le labbra di una piccola bocca morbida, spiccarono sulla pelle bianca.Fritz Bollinger, si alzò in piedi a sua volta e le ricambiò l’inchino baciandole il dorso della mano. Bollinger aveva quel tipico modo di fare galante e fanciullesco che piaceva alle donne. E viceversa… Ma quella volta, affascinato dal volto di lei, rimase in silenzio per un tempo che non avrebbe saputo calcolare prima di rivolgerle la parola:«Lieto di fare la sua conoscenza, signorina Susan» esordì prendendole di nuova la mano e cercando di correggere al meglio la sua pronuncia non perfetta. «Credo di non afer mai visto una donna più bella di lei…» scandì le parole una a una.« Quello di piacere è il dono di mia figlia» ribatté l’uomo delle carte dietro un largo sorriso.Bollinger si volse di lui: «Lei è un uomo fortunato ad avere una figlia così incantevole…»«Certo. Ma sarà ancora più fortunato l’uomo che vivrà con lei» rispose.Bollinger tornò a guardarle il volto e rimase sorpreso nell’incrociare il suo sguardo vivace.«Signor Bollinger» fece Susan «lei è un uomo che sa come prendere le donne. E in più io la conosco molto bene: l’ho vista giocare molte volte al calcio. È bravissimo!»Bollinger sgranò gli occhi dalla felicità: «Sono in imbarazzo… le donne che seguono lo sport del calcio sono così poche qui. Le sue parole mi lusingano e mi spinceranno a ciocare ancora meglio nella nuova squadra!» Non stava più nella pelle. «Mi farebbe molto piacere se venisse a federe la nostra prima partita.»Susan sorrise mentre prendeva suo padre sottobraccio. «Di che colore sarà la vostra squadra?» chiese fissando dolcemente Bollinger.Dick e Schoenbrod, in quel momento, si guardarono con aria interrogativa: non ci avevano ancora pensato. E cominciarono a tergiversare finché non fu Bollinger a prendere in mano la situazione: «Lo tobbiamo ancora scegliere, Susan. In fondo siamo nati appena due ciorni fa! Perché non ci suggerisce qualcosa?»Susan fece scivolare uno sguardo poco convinto attorno a sé. Poi d’un tratto si sbottonò la pelliccia nella quale era ancora stretta e si sfilò il lungo foulard di seta che aveva attorno al collo. Lo legò in vita a Bollinger e si raccomandò: «Questo le porterà fortuna signor Bollinger. Lo porti sempre con sé.»Bollinger lo sciolse e se lo portò al volto. Era profumato di miele e di fiori e il colore… «Non so come ringraziarla signorina Susan. Lo porterò sempre con me. E poi questo colore…»Il foulard, anche se nella mezza luce del locale, possedeva un colore scuro, una miscela di rosso invecchiato, bordeaux, terra bagnata, foglie d’autunno, sole al tramonto. Era ben diverso dal colore delle maglie del Footbal Club Torinese: giallo-nere. Per non parlare di quelle a strisce bianche e nere della Juventus.«Forse abbiamo trovato il colore che fa per noi» sbottò entusiasta Alfredo Dick con gli occhi fissi sul foulard.Schoenbrod annuì e calzandosi in testa la bombetta: «Sì: il colore è granata, amici miei! Granata!» urlò come non gli capitava da bambino.«Bene» interruppe l’uomo delle carte «adesso io e mia figlia dobbiamo proprio andare.» Strinse la mano a tutti e quando toccò a Susan salutare, il suo inchino fu preceduto da quello contemporaneo di Dick, Schoenbrod e Bollinger.Sorrise imbarazzata e un filo di rossore le tinse il viso.«È stato un onore per noi potervi incontrare» fece Dick a cui seguirono subito le parole di Schoenbrod: «Non avrei mai creduto che questa serata potesse trascorrere in un modo così strano. Ma sono soddisfatto. A questo punto saranno solo gli anni a dire se tutti quanti abbiamo avuto ragione…»«Nessuno ha ragione» rispose Susan «e nessuno ha torto. Come ha già detto mio padre: una quadra di calcio può essere molto di più di un semplice gruppo di sportivi. Può essere la vera anima di una città. Voi siete destinati a diventare questo…» Poi rivolgendosi a Bollinger che non aveva distolto gli occhi da lei: «Arrivederci signor Bollinger. Credo che ci rivedremo presto.»«Me lo auguro signorina. Sarei l’uomo più felice del mondo.»Si voltarono e raggiunto il fondo del locale si avviarono giù per la scala.Bollinger soddisfatto si legò di nuovo il foulard attorno ai fianchi. Quello sarebbe stato per sempre il suo portafortuna e l’avrebbe indossato anche giocando. Era una promessa che faceva a se stesso.«Allora?» domandò Dick a Schoenbrod «accetti di diventare presidente del nuovo F. C. Torino?»«Certo, Dick. Certamente… ehi» si interruppe indicando qualcosa sul tavolo «hanno dimenticato le carte da gioco!»Il mazzo, perfettamente ricomposto, era rimasto sul bordo del tavolo vicino alla sua piccola custodia di cuoio.Dick, anche se pesante e corpulento, afferrò tutto quanto di slancio e con due balzi si proiettò al fondo del locale. Scese le scale di corsa e arrivato di fronte alla porta di uscita della birreria si fermò. Non c’era più nessuno. Uscì fuori. La neve aveva ricoperto la strada e tutt’intorno era un unico manto bianco. Il freddo lo fece rabbrividire. Ma rabbrividì ancora di più quando si accorse che anche lì fuori non c’era più nessuno.Scosse la testa incredulo, rientrò e appena si fu riscaldato, raggiunse il bancone di fianco all’ingresso. Il proprietario posò il boccale che stava sciacquando e lo guardò con trepidazione.«Dove sono andati l’uomo e la donna che sono appena scesi?» gli chiese Dick«Questa sera, signor Dick, a parte voi tre non è mai entrato né uscito nessuno…» rispose scrollando le spalle. E tornando a sciacquare il boccale: 'Questo è un periodo davvero brutto. Per fortuna che ci siete almeno voi. Se no potrei anche chiudere il locale'.