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Alla fine, ieri sera, per un solo minuto ho provato ad immedesimarmi in Franco Lerda e devo dire che mi è dispiaciuto pensare che in quello stesso istante il nostro ex allenatore fosse senza lavoro, sebbene ben retribuito, e alle prese con una cocente delusione. Il suo allontanamento dalla panchina del Torino non è esclusivamente responsabilità sua, o meglio, fosse stato più esperto, più intelligente, più ravveduto, avrebbe potuto evitare questo esonero, ma è soprattutto responsabilità di tutti gli altri, dai giornalisti ai critici di calcio in genere, dalla dirigenza ai tifosi. Ho sempre pensato che su Lerda si fosse creato un fenomeno mediatico senza nessun valido presupposto. L’anno scorso si è gridato al miracolo per l’ottavo posto che aveva raggiunto con il Crotone, senza considerare che la mediocrità degli ultimi due campionati di serie B poteva agevolare delle squadre neopromosse dalla Lega Pro, proprio come quella calabrese. Quest’anno ne sono la conferma Varese, Novara e Pescara che stazionano quasi stabilmente ormai nelle prime sei posizioni. Ma chi tra tutti i critici osservava realmente le partite del Crotone dello scorso anno? Nulla da eccepire sul gioco d’attacco che poteva vantare calciatori interessanti come Ginestra, Gabionetta e Bonvissuto, sebbene tra andata e ritorno con il Torino quella calabrese mi sia sembrata la squadra più scarsa della serie B assieme alla Triestina, ma erano impressionanti le voragini che la difesa lasciava agli avversari. I rossoblu di Lerda lo scorso anno colpivano anche squadre blasonate come il Torino e riuscivano ad espugnare campi come quello del Cesena e del Grosseto fuori dalle mura amiche, ma poi cadevano inopinatamente alla partita successiva quando era necessario dare continuità al colpaccio. Proprio dopo la roboante vittoria in terra toscana contro un Grosseto privo di Pinilla (senza di lui i biancorossi incorrevano spesso in sconfitte), il Crotone perse poi di schianto in casa con l’Albinoleffe. L’idea era quella di una squadra spregiudicata, arrembante, senza pensieri e pressioni che così come si poteva esprimere al meglio in una partita, poteva sprofondare in quella successiva. Nello scorso campionato il Crotone riuscì a perdere 4-1 contro una derelitta Salernitana e al tempo stesso non perdere mai contro il Lecce capolista. Frutto di un atteggiamento spensierato e sereno che calza a pennello in una piazza senza pressioni in cui spicca una discreta organizzazione societaria che ha permesso l’anno prima di raggiungere un’insperata promozione con Francesco Moriero in panchina e quest’anno di proseguire il trend positivo con Leonardo Menichini sino a quando sciaguratamente non è stato esonerato per far spazio al debuttante Eugenio Corini. Insomma, recuperando il filo del discorso, non c’erano i presupposti per gridare al miracolo lerdiano. Se poi, andiamo a ripercorrere il curriculum di Franco Lerda, non si poteva non notare che le sue esperienze precedenti fossero state su panchine di squadre dilettantistiche o al massimo di serie C con società quasi inesistenti alle spalle (fattore che può essere spesso penalizzante, ma in alcuni casi anche un vantaggio soprattutto per una persona che ama portare avanti il suo credo senza toppe ingerenze). Tralasciando le sue esperienze di Saluzzo e Casale, che, per quanto positive sono sempre state con squadre di campionati di dilettanti e dalla durata mai superiore ad un anno, l’occhio della critica non poteva non accorgersi che il Pescara nel 2008 sotto la sua guida abbia sì raggiunto un sesto posto in serie C1 con una società in difficoltà finanziarie, ma che si sia comunque trattato del peggior piazzamento sportivo del Pescara dal 1971-72. Per non parlare dei play-off che Lerda ha perso l’anno dopo con la Pro Patria a favore del Padova quando sembrava ormai cosa fatta la promozione in serie B. Sicuramente da attribuire al tecnico di Fossano il grande merito di essere giunto agli spareggi promozione in mezzo ad un disastro societario (anche se era sfumata all’ultimo una promozione diretta che sembrava ormai acquisita), ma doveva far riflettere lo spirito tattico con cui Franco Lerda li aveva affrontati. A Reggio Emilia contro la Reggiana, nella partita d’andata della semifinale la Pro perdeva 3-0, poi vinse con un’incredibile rimonta per 4-3. Al ritorno, i bustocchi di Lerda riuscirono ad andare sotto di due reti in casa con la Reggiana (a quel punto quasi miracolosamente qualificata alla finale) salvo poi recuperare la qualificazione vincendo 3-2. Ma che rischi e che follie, quando bastava amministrare il risultato con giocatori a disposizione comunque molto forti per la categoria come Do Prado, Fofana e Toledo o esperti come Music. La finale con il Padova, poi, la Pro Patria riuscì a perderla in casa nei dieci minuti finali della partita esponendosi al contropiede dei veneti che erano addirittura ridotti in dieci per l’espulsione di Di Venanzio, quando bastava portare a casa lo 0-0 in virtù del pareggio dell’andata a reti bianche.Tutto ciò per spiegare che ci poteva stare il tentativo di affidare quest’anno la panchina del Torino ad un emergente allenatore come Franco Lerda, ma che bisognava anche tenere conto degli imprevisti a cui si poteva andare incontro con un tecnico spregiudicato, inesperto e poco strategico, con il rischio di bruciarlo in un ambiente che ha fatto vittime più illustri. Per non parlare della solita illusione che la ricetta giusta sia quella di tentare un nuovo progetto con un vecchio cuore granata. Basta, cari compagni di tifo. Intanto qualcuno mi spieghi cosa significhi essere un vecchio cuore granata, quando in prima squadra Lerda non disputò più di due anni da riserva dopo la trafila nelle giovanili, esperienza comune a tanti altri giocatori degli ultimi 30 anni. E soprattutto questa non è la conditio sine qua non per essere bravi condottieri, una volta diventati adulti, del Torino Fc. A questo punto, per paradosso, la società poteva anche puntare su Paolo Beruatto, lui sì vecchio cuore granata degli anni ’80, che si è meritato la panchina Primavera del Palermo (alle dipendenze di un vero mangia-allenatori come Maurizio Zamparini), dopo tanti anni di gavetta nelle serie minori, ma che non è mai stato sponsorizzato dai media. Ed infine, concludo facendo notare che di allenatori con dei veri risultati (leggasi vittoria di campionati) da annoverare sul curriculum ce ne sono e ce n’è uno a nemmeno 200 km di distanza da Torino che si chiama Giuseppe Sannino che, con 11 sconosciuti, a Varese, sta facendo veramente dei miracoli, giocando un calcio concreto e pratico, aggressivo e cinico senza tanti fronzoli e schemi innovativi, ma con tanta determinazione e capacità di motivazione verso i suoi giocatori, quella che forse è mancata al nostro ex Franco Lerda, troppo frettolosamente portato agli onori delle cronache.
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