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mondo granata
di Giacomo Serafinelli
Buongiorno Toro...in questi anni difficili, in cui non si riesce a gioire né a provare qualche piccola soddisfazione, ci si attacca a tutto per mantenere viva la speranza in un futuro più roseo.
Io stesso, da questa rubrica, rievoco spesso il glorioso passato granata, non solo perché sono un nostalgico del Toro vero e di ciò che ad esso è legato (il Tremendismo, il Quarto d'ora granata, gli Invincibili, Superga, il Filadelfia e tutto quanto vi viene in mente), ma anche per evitare l'effetto rassegnazione o, peggio ancora, l'abitudine. Il Toro, quello con la testa alta e la “t” maiuscola, non ha niente a che vedere con questa squadra. Davanti ai nostri occhi ne abbiamo un'immagine sbiadita e appannata, che sta facendo svanire nell'opinione pubblica, lentamente ma inesorabilmente, l'equazione “Torino uguale grande squadra”; un' equazione che solo fino a pochi anni fa era automatica per tutti, granata e non.
Dunque parlerò sempre di Pulici, Mazzola e Baloncieri, scusandomi anticipatamente con i lettori per la ripetitività. Del resto, per guardare al futuro (soprattutto quando è nebuloso), occorre essere sorretti da un robusto passato. Ed è giusto parlarne.
Ma a volte alcune comete hanno attraversato l'olimpo granata anche in tempi non troppo lontani.
Pur non potendo entrare nell' Olimpo dei grandissimi granata, Marco Ferrante merita sicuramente un posto d'onore per quanto ci ha fatto vedere tra il '96 ed il 2004.
Ricordo ancora il suo esordio, l' 8 settembre del '96, in un Toro-Cesena. Non riuscì a convincere, ed anche successivamente stentò a mettersi in luce. Tre giorni prima di Natale dello stesso anno, però, contro il Castel di Sangro (ahimé, abbiamo giocato anche contro di loro...) segnò il primo gol in granata, decisivo per la vittoria. Tuttavia né quell'anno, con tredici gol, né quello successivo con
diciotto, riuscì a portare il Toro in serie A. La stagione '98-'99 fu quella della consacrazione: segnò ventisette gol in tutti i modi possibili (destro, sinistro, testa e rovesciata) e ci trascinò letteralmente nella massima serie. Non era robusto, Marco-gol, ma era un vero uomo d'area di rigore: quando si trovava nei pressi del portiere, difficilmente perdonava. L'anno successivo segnò diciotto gol in A, risultando, tra l'altro, il miglior cannoniere italiano. Gli sono molto affezionato, e ricordo con gioia ogni sua rete.
A lui dobbiamo l'invenzione del segno delle corna, dopo un gol in un derby, segno che ancora oggi è rimasto nei cuori di tutti i tifosi del Toro.
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