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El atan no ubEl aiam Ob-bog!El atan no ubEl aiam Ob-bog!
Ogni tanto qualche buona radio trasmette ancora la nostra canzone.Non tutte le stazioni sono asservite alle mode imperanti, e c’è ancora qualcuno che ha voglia di assaporare un po’ di rock vecchio stile.Che cosa fa un uomo seduto su una panchina sulla riva del fiume con una chitarra in mano?Suona, direte voi. Bravi, giusto.E se l’uomo in questione ha 58 anni, indossa un paio di occhialazzi scuri, un giubbotto di pelle nera e ha i capelli grigi raccolti in una coda? Fermi tutti, vi anticipo la risposta: si fa compatire dai passanti. Che il più delle volte passano e scuotono la testa, o ridono sfottendo, come quei due insulsi ragazzotti che sono appena passati.Se solo sapessero chi sono, forse cambierebbero atteggiamento.Mi fa ridere tutto questo. Non sono qui per farmi compatire, tutt’altro.Ad uno come me resta solo più una cosa da fare, qui, di fronte a questo fiume. Tra l’altro, tanto vale che mi presenti. Se vi dicessi il mio vero nome, assai banale, non fareste una piega. Alle volte non me lo ricordo neanche io. Già, perché per il mondo io sono James “Long” Swinkey. Un bel nome del cavolo. No, vi prego, non cascate dalle sedie.Sono proprio io, il cantante degli Humpbacked Swines. No, non è uno scherzo.Sì, proprio quelli degli anni ’70... Quelli di El’aiam obbog, o magari quelli di There in the valley, uno dei nostri lavori migliori.No-ne, non è una balla, ci sono poche nostre fotografie in giro, se non quelle scattate in concerto. E’ difficile riconoscerci.Cosa faccio su questa panchina di fronte al fiume? Ve l’ho detto, non mi rimane che una cosa da fare. Aspetto il momento giusto.Si sono dette tante cose su di noi, sapete? Mentre aspetto forse è meglio fare un po’ di ordine.
La “Summer of love” era appena agli inizi quando io e Fede, due dei futuri Humpbacked Swines, avevamo ultimato il quarto anno delle superiori qui a Torino. Fede? Se vi parlo di Eddie Meadows, detto “Slim”, vi dice di più? Non sgranate gli occhi, vi ho detto che non è una balla. Uno dei più grandi chitarristi rock, secondo qualche rivista musicale. Già, proprio lui, il mito.In molti non sanno ancora oggi che eravamo italiani. Riuscimmo a nasconderlo per moltissimo tempo.Dicevo, avevamo terminato da poco l’anno scolastico, ma in quell’estate fantastica avevamo deciso già tutto del nostro futuro. Ricordo ancora quel caldo pomeriggio nel quale il mio amico mi mostrò un pacco fatto da carta di giornali, in camera sua.Sulle prime non avevo notato che i giornali fossero in inglese. Ma quando Slim (chiamiamolo così d’ora in avanti) svolse la carta, le nostre vite cambiarono.Erano un plico di LP, che suo fratello aveva appena portato da Londra.Mitico fratello di Slim! Viaggiava per l’Europa con Pén, la sua ragazza olandese, facendo per metà l’hippie, per metà lavori strani. In quel plico c’era tutto il meglio della musica internazionale, che da noi avrebbe impiegato molto più tempo per arrivare.C’era Sgt. Pepper’s, il capolavoro appena uscito dei Beatles, Are you experienced di Jimi Hendrix, Younger than yesterday dei Birds, l'album dei Doors, dal titolo omonimo, Parsley, Sage, Rosemary and Thyme di Simon and Garfunkel e tanti altri Restammo ad ascoltare quella musica fin quasi a notte fonda, con le note che uscivano dalla puntina e si perdevano alte oltre la finestra aperta.Avevo abbandonato il Conservatorio l’anno precedente, con dolore inesorabile di mio padre, che tuttavia aveva ancora le mani di mia sorella su cui riporre le speranze. Slim invece aveva continuato, grazie alla sua dote innata per la chitarra classica, ma per entrambi la musica era qualcosa di diverso. Erano le notizie che arrivavano dall’estero, era lo spirito di un cambiamento che intuivamo benché lontani, sotto la spinta dei nostri diciassette anni.Suonavamo già insieme, certo, anche se pianoforte e chitarra classica facevano a pugni con la musica che avevamo in mente. Scrivemmo anche un paio di canzoni, Woman from the west e Another rainy night. Non conoscendo l’inglese le facemmo tradurre da suo fratello sghignazzante, e decidemmo di presentarci come Gaudens, nelle rarissime esibizioni di fronte a parenti amici.Poca roba. Gli Humpbacked Swines erano ancora lontani. Ma la Summer of love era vicina. E noi non avevamo la benché minima idea del fatto che stavamo per farne parte.
- Ci sono tantissime persone che stanno andando a San Francisco… è il mondo che cambia, ragazzi. Voi non avete idea… gente da tutte le parti del mondo. E’ un’occasione unica e io non voglio perderla. Io e Pén andremo di sicuro. Anzi… perché non venite anche voi? Se aspettate che la vita prima o poi passi anche da qui, vi ritroverete vecchi. Il momento è ora.Slim annuì entusiasta. – L’America… sarebbe fantastico! Perché non andiamo! Dai!! – mi propose.Sì, facile a dirsi. L’America negli anni ’60 era veramente l’America.La famiglia di Slim però poteva permettersi questo e altro.Io no, si viveva dignitosamente, ma non avrei neanche potuto accennare la questione a mio padre ferroviere, ancora inferocito per la vicenda Conservatorio.- Forza, venite con noi a San Francisco… i soldi non sono un problema – disse il fratello di Slim con un’alzata di spalle e un’occhiata complice.Le parole rimbalzarono nella mia mente per giorni. Poi cedetti.Certi treni passano una volta sola nella vita. E poi Slim per me era come un fratello, avevamo condiviso tante cose in quegli anni unici.Ovvio, avevo messo qualcosa da parte lavoricchiando l’estate precedente, ma la cifra, allora veramente cospicua fu messa a disposizione da suo fratello.Mi sentii veramente in colpa. Sì sì, dieci minuti buoni.Credo che se avessi perso quel treno non starei ancora imbracciando questa chitarra e la storia sarebbe finita qui.
A San Francisco vivemmo giorni meravigliosi. Il vento che soffiava, senza mai placarsi, lungo i suoi saliscendi, pieni di giovani vestiti in modo strano, che si salutavano pur non conoscendosi. Pén, un’olandese che definire bona sarebbe stato sminuirla, e il fratello di Slim si incontravano spesso con altri amici giunti anche loro a Frisco per quei giorni di festa. Così io e Slim eravamo liberi di girare per la città, facendo amicizia con quei giovani colorati, fermandoci a cantare e suonare agli angoli delle strade.Ho un’immagine mentale di quei giorni: io e il mio amico su uno di quei tram, con due ragazzine che avevamo appena conosciuto, i loro capelli scolpiti dal vento.Dio mio, neanche ricordo il loro nome e da dove venissero.Eppure i colori erano così belli, il futuro nostro e noi due inseparabili amici diciassettenni alla scoperta del mondo.
Fu durante un ritrovo di fronte a un Free Store nel sobborgo di Haight-Ashbury, che conoscemmo Marco 1 e Marco 2, due amici di Genova, di un anno più vecchi, tra i pochi italiani a far parte di quei giorni di avventura in quella città. Sì, Marco 1 e Marco 2, che volete farci? Si chiamavano entrambi così, anche se voi li conoscete come Mike Zurham e Steve Seymour. Proprio loro. Proprio lo Steve Seymour di cui si è parlato tanto nel mondo rock. Finito di sgranare gli occhi? Loro due, batterista e bassista degli Humpbacked Swines. E’ incredibile quanto sia facile fare amicizia attorno a una chitarra, una canzone come San Francisco e… sì, ovvio, c’era anche dell'altro che circolava, ma io non ho mai fumato neanche una sigaretta in tutta la mia vita. So che è difficile da credere, ma è così. Legammo subito con i due ragazzi, uniti dalla passione per la musica e trascorremmo insieme i giorni della nostra vacanza.Ogni tanto pensavo a mio padre che sferragliava dietro al treno, mentre io parlavo di musica, poesia, politica e nuovo ordine sociale. Quanto sarebbe stato facile cambiare quel modo di vivere, mi dicevo. Eravamo giovani e avevamo le idee, la voglia e la possibilità. Chi avrebbe potuto fermarci?Un pomeriggio, durante un concerto improvvisato tra gente di ogni nazione, conoscemmo Hardy, un irlandese che sosteneva di lavorare in una casa discografica e di abitare in Svizzera.Diceva di seguire l’onda lunga del Rock e di essere alla ricerca di nuovi talenti. Difficile da credere che quel giovane stempiato, dai radi capelli rossicci, a torso nudo e per giunta ubriaco, fosse veramente un produttore, ma noi gli facemmo sentire la nostra Another rainy night un po’ per gioco, con due chitarre, io alla voce e Mike che ritmava sul retro di una chitarra.Cambiò espressione, blaterò qualche parola probabilmente in gaelico, ci chiese i nostri nomi e sparì tra la folla, ondeggiando con la sua birra in mano.Pensavamo non l’avremmo più rivisto. Ma la storia andò diversamente.
Vi chiederete se nella Summer of love anche noi fummo catturati dall’atmosfera di amore libero che circolava. La risposta è No, ahimé. Credo fummo gli unici due in tutta Frisco. Avemmo le nostre brave occasioni, ma eravamo tutto spirito e ci limitammo a qualche bacetto con le due ragazze con le quali ci si tenne compagnia. Con loro grande delusione, temo. Forse Slim andò leggermente oltre, ma non molto.Lasciammo la città dell’amore e ancora rivedo le ultime immagini della città, dall’aereo che si alzava in volo.Fu un’esperienza grandiosa. Come ha detto qualcuno, sixty-seven was heaven.
Avevamo le idee abbastanza chiare, il rock sarebbe stato il nostro futuro.Restammo in contatto con i due "Marchi" genovesi (chiamiamoli Mike e Steve e che sia finita lì).A settimane alterne ci incontravamo, o in casa di Slim, o a Genova da loro, dove prendevamo in affitto una sgangherata sala prove con strumenti ante-diluvio.Durante i viaggi di ritorno io e Slim componevamo le canzoni, sulla base dei nostri progetti, delle suggestioni, dei concept album che avevamo in mente. Lui la musica, io i testi, che immaginavo come poesie.
- Dovete crederci, ragazzi. Dovete provarci fino in fondo. Avete la passione, avete anche talento. Il mondo sta cambiando, ma non durerà per sempre. Questo è un ciclo positivo, però presto tutto questo potrebbe essere un ricordo. Dovete farlo ora. –- Che uomo saggio era il fratello di Slim. Era sempre pronto ad incoraggiarci e voleva essere il primo a sentire i nuovi pezzi che componevamo.Mi accompagnavo con Agnese all’epoca, una ragazza che avevo conosciuto nei paraggi dello stadio, dopo una partita del Toro contro il Lanerossi Vicenza. La chiamavo Agnesina, tanto era minuta. Ci seguiva e ci incoraggiava nei nostri sogni. A ripensarci col senno di poi fu una delle persone che mi volle più bene.Lei fu la prima e benché a San Francisco avessi conosciuto il mondo, fu lei la mia Summer of Love.Mamma mia, Agnesina, quanto tempo…
Nell’autunno del 1970 il miracolo si avverò e ottenemmo il nostro primo contratto con una casa discografica, dopo innumerevoli peregrinazioni.Forse ricorderete anche voi la Glory Days Records, la GDR di Genova. Ora non esiste più, ma ha sfornato qualche talento. Ci scritturarono per un solo disco, non potevano permettersi un passo falso. O la va’ o la spacca, insomma. Pensavamo di avercela fatta, di essere arrivati.Ingenui che eravamo.
La casa discografica però, mise mano a tutto quello che eravamo. Il nome prima di tutto. Non più Gaudens ma Scotch (che nome ridicolo, chissà poi perché? Tanto valeva chiamarsi I Nastri Isolanti). Il manager era un grassone, lestofante di quarta categoria, che accantonò tutti i pezzi in inglese e pretese che cantassimo in Italiano, cosa che non avevamo mai fatto. Via tutte le lunghe composizioni, via il concept album, via il nostro look da figli dei fiori. Ci venne imposto un abbigliamento informale ma più educato e la metà delle canzoni furono composte dagli autori della scuderia, qualcosa di dozzinale che più dozzinale non si può, stile amore-cuore. E noi li lasciammo fare, pur di pubblicare il nostro disco, sbagliando.Il grassone, che conosceva a malapena Elvis e che idolatrava Celentano, volle metter mano anche agli arrangiamenti.Risultato: “Elementi”, questo il titolo del disco, manco a dirlo imposto, odorava di sconfitta a partire dalla ridicola copertina, con noi quattro in bella posa da scemi.
Un disastro. Ci credevamo dei fenomeni ma ci vendemmo per trenta denari. Tutte le nostre idee sul mondo rock, sulla voglia di cambiare il mondo, sui concept album, furono svendute per un pugno di canzonette e per la nostra incapacità di imporci.Il disco venne completamente e giustamente ignorato e la casa discografica si rivelò carente sia a livello promozionale che distributivo. Come venimmo poi a sapere, in alcune città l’lp non venne neanche distribuito.Tenemmo i nostri primi concerti, una decina di date nel nord Italia, solitamente come apripista di cantanti comunque poco conosciuti, oppure all’interno di Festival o, peggio ancora, sagre paesane. Il più delle volte trovammo giovani che volevano ascoltare tutt’altro e che ci lanciarono di tutto, ortaggi in primis.Se non altro fu l’occasione per suonare dal vivo, fare un po’ di esperienza e soprattutto per includere Another rainy night nel repertorio.Oggi “Elementi” è una rarità assoluta. Quando purtroppo però si venne sapere che gli Scotch erano in realtà gli Humpbacked Swines, divenne quasi oggetto di culto e non dico che valga una fortuna. Ma quasi.Fortunati voi se ne possedete una copia e non l’avete ancora frantumata per la rabbia.
Come risultato abbandonammo quasi del tutto le velleità artistiche.Con gran gioia di mio padre trovai un impiego alle Poste, mentre Slim tentò la strada dell’insegnamento musicale. Mike lavorava con buona lena al porto, mentre Steve si arrabattava come poteva, dovendo badare alla madre malata. Brutta storia quella.Furono tempi tristi, il nostro crollo delle illusioni.Con Slim e altri amici ci si incontrava allo stadio, nella parte inferiore della Curva, se non altro il Toro di Giagnoni ci lasciava sperare.Incontravamo ancora i nostri amici, ma avevamo smesso quasi del tutto di suonare. E le trasferte in treno erano state sostituite dai viaggi su una 850 di seconda mano, frutto del poco che l’esperienza Scotch aveva fruttato.Eravamo a Genova in quel giorno di pioggia famoso. Mike e Steve erano genoani incalliti e ci accompagnarono a Marassi per tifare contro la Sampdoria.Un giorno orrendo. Ci recammo lì sopraffatti dal peso della nostra recente sconfitta commerciale ed io in particolare ancora ferito per aver perso Agnesina. Un distacco che era sembrato inevitabile, ma che mi faceva trascorrere le notti insonni, altro che profeta etereo del rock.Avevamo il Toro come unica fonte di speranza, ma sappiamo tutti come andò a finire e perché.Ho a lungo pensato che quello che capito subito dopo fu una sorta di contrappasso, di parziale risarcimento del destino per quanto combinato da Barbaresco.Ricordo i nostri passi silenziosi sul selciato bagnato, all’uscita dello stadio, la testa bassa per la rabbiosa rassegnazione. La rialzammo solo quando scorgemmo un uomo stempiato e strano sotto casa di Mike, con una bottiglia in mano.Era Hardy.Aveva impiegato cinque anni a ricordarsi di noi. - Hey boys, do you still play music? – ci chiese, come se non ci vedesse da dieci minuti.Sembrava incredibile. Ricordava tutto di noi. Persino di Another rainy night.Mentimmo spudoratamente, gli raccontammo che suonavamo ancora con frequenza, che avevamo progetti e idee grandiose.- Humpbacked Swines - dissi lì per lì, tra lo stupore generale. - Ci chiamiamo Humpbaked Swines.Conoscevo poche parole di inglese, ma sapevo bene cosa significassero quelle due. E quel giorno avevano un sapore particolare.Hardy sghignazzò come lo avevamo già visto fare anni prima e scosse la testa mormorando “You Italians…”. Trascorremmo la serata insieme e lo vedemmo ubriacarsi con estrema facilità. Ci invitò per un provino. Fino in Svizzera, a Lugano, alla casa discografica. Accettammo pensando a uno scherzo, al limite sarebbe stata una gita.Sghignazzammo mentre andare via, ripensando alla scena di San Francisco.Ma quella volta andò diversamente.Quanto sono stati importanti i treni nella nostra vita. Dovevamo prenderne uno alla sera, per tornare a casa. Ma prendemmo quello che ci capitò sotto casa di Mike, inaspettato.Quattro mesi più tardi eravamo nella top ten della classifica BBC.
Hardy, nonostante le goffe apparenze, era un pezzo grosso di quella che fu a lungo la nostra casa discografica, qualcosa di internazionale, come ricorderete.Ci fece effetto vederlo nel suo ufficio di Lugano, serio e compito, quasi impassibile.Io e Slim blaterammo le nostre idee per ore, mentre Mike tamburellava il ritmo sui braccioli di una sedia e Steve si guardava attorno con aria assente, come spesso faceva.Ne avevo parlato a lungo con Slim. Avevamo idee ben precise alle quali non avremmo rinunciato. Nessuna foto, nessuno spazio a noi stessi, largo alla musica e alle nostre composizioni, alle quali spesso anche Mike aveva fornito il prezioso lavoro di arrangiatore. Lunghe suite con assoli di chitarra in crescendo da brivido e improvvise ballate acustiche piene di nostalgia.Hardy rimase ad ascoltarci per più di un’ora senza battere ciglio, tant’è che pensammo si fosse addormentato. Poi, senza dire una parola ci portò in sala d’incisione e ci disse di suonare “Another rainy night”. Che sala, ragazzi, che strumenti, non avevamo mai visto nulla di simile.Ci lanciammo improvvisando galvanizzati, dopo qualche momento di emozione, sulle ali di una cavalcata di undici minuti, durante la quale Hardy si sgolò due whisky senza mai cambiare espressione. Al termine ci chiese con indifferenza quante canzoni avessimo pronte.Riflettemmo con imbarazzo. Oltre ad Another rainy night avevamo le altre quattro canzoni scartate dall’esperienza Scotch. Hardy ci riportò negli uffici senza dire una parola. Blaterò poche parole nel suo solito misto di inglese e gaelico. Poi ci allungò un assegno, in franchi svizzeri.Slim era l’unico che capisse l’inglese. Sbiancò improvvisamente.Quello era l’anticipo per il nostro primo lavoro. Avevamo due settimane di tempo per terminarlo, settimane durante le quali saremmo stati ospiti di un lussuoso albergo della zona. Avevamo carta bianca su tutto. Non riuscimmo a capire il motivo, ma era la seconda volta che qualcuno scommetteva su di noi a scatola chiusa.Credo ci vollero dieci minuti buoni prima di potercene rendere conto tutti quanti.
Telefonammo a casa d’urgenza, fummo costretti a sospendere il lavoro o addirittura a lasciarlo, con relativo salto nel vuoto. Ma erano gli anni ’70 e le opportunità non mancavano. La somma anticipata poi era di tutto rispetto.Ci gettammo nel progetto come degli autentici professionisti e sviluppammo l’idea originale che avevamo in mente prima del periodo Scotch. Slim ed io scrivevamo anche di notte, lui studiando intervalli musicali di passione ed estetica, io componendo versi che si adattassero e collaborando alle musiche.Quando poi la struttura del pezzo era pronta, toccava a Mike metterci le mani arrangiandolo. Steve invece si limitava a dare il meglio di sé in sala di registrazione. Era un virtuoso del basso, forse il più dotato di tutti noi e credo non se ne rendesse neanche conto, tra un silenzio e un “Belin”. Non amava parlare e ogni tanto si assentava, girovagando chissà dove per la città. In breve sviluppammo cinque nuovi pezzi.Furono giorni gloriosi. Furono giorni di amicizia. Ci sentivamo davvero speciali e non vedevamo l’ora che il lavoro fosse completo.
Fu così che nacque “There in the valley”, il primo lavoro degli Humpbacked Swines, un concept album che usava metafore rock per denunciare l’ipocrisia del potere costituito.Ricorderete anche voi qualche passaggio, preso dalla title-track. Chissà quante volte l’avrete cantata, magari molti anni fa.
There in the valley, there’s a blade of grass…, con relativa rima.
Oppure la ballata che richiamava le note dolenti del vecchio West, Cavariacity. Ancora oggi credo siano tra i versi più poetici che abbia mai scritto:
In Cavariacity there are,there are hunchbacks in the bottom washer,pull the water and take a look…then you will find them no more!
Tornammo in Italia con una copia del disco e il fratello di Slim ne fu entusiasta. Disse che era un lavoro che avrebbe sfondato, che eravamo finalmente noi stessi. Era fiero di noi.Vivemmo per qualche giorno in un’atmosfera di limbo, con un po’ di soldi in tasca, aspettando da un momento all’altro che potesse succedere qualcosa. Non esistevano ancora le radio libere, ma sapevamo che il disco era disponibile anche da noi.Poi un giorno, quando ormai eravamo quasi preparati a un altro insuccesso, ricevetti una telefonata da Slim.Another Rainy night era ottava in classifica in Germania.
La nostra vita cambiò così, come un fulmine.Ci ritrovammo Rock Star senza quasi rendercene conto, in classifica tra Pink Floyd, Genesis e Led Zeppelin, che fino al giorno prima erano stati i nostri idoli.Ci trasferimmo d’urgenza in Svizzera dove la casa discografica ci fece firmare un contratto faraonico. Nonostante cominciassero a circolare parecchi soldi, riuscimmo a far fronte comune alle richieste dei superiori di Hardy. Niente fotografie in studio, rarissime interviste, niente comparsate nelle televisioni. Sembrava una scelta da pazzi, ma che alla lunga si rivelò vincente. Volevamo far parlare la musica al posto nostro, e la gente provò curiosità nei confronti di questo gruppo, del quale non si sapeva nulla.Riuscimmo anche a frenare quella voglia irrefrenabile che avevamo e a non farci travolgere, come era capitato a tanti altri. Non eravamo i precursori del rock, la strada era già stata aperta dai mostri sacri alla cui tavola ora stavamo banchettando, e avevamo un discorso da portare avanti, non volevamo essere stritolati dal mercato discografico.In breve gli Humpbacked Swines furono avvolti da un’aura misteriosa, proprio quello che avevamo cercato.Sulla base di queste premesse, There in the valley schizzò al numero uno in Germania, Svizzera e Austria, arrivò al sesto posto in Inghilterra e in Francia, mentre in Italia arrivò a ridosso dei dieci, per poi entrare prepotentemente tra i primi cinque dopo diversi mesi di anticamera.Era curioso sentire le note di Cavariacity uscire da un Juke Box di un bar di Torino e sapere che quella voce era proprio la tua.Con buona pace di mio padre, che non capì e ignorò il figlio improvvisamente milionario, concentrandosi sui progressi pianistici della sorella, che si stava rivelando più irrequieta del fratello. Quanto a mia madre, accettò di buon grado il figlio capellone e dai vestiti sgargianti. Credo le bastasse vedermi felice e suppongo ne fosse orgogliosa.Ho ricordi confusi di quei primi mesi. Andai a vivere da solo e comprai un’abitazione in collina, nella quale non andavo praticamente mai, una vettura sportiva come da copione, e spesi il tempo cercando di comprendere le lettere dei fans, quasi tutte rigorosamente in Inglese. Tentai anche di rispondere, e dopo un po’ presi dimestichezza con la lingua, nella quale cantavo a memoria. Ma nessuno doveva saperlo.Ovviamente fu organizzato un Tour per l’estate seguente.Nel frattempo, nella primavera del 1974, la casa discografica premette perché incidessimo immediatamente un nuovo album.Ci prendemmo il nostro tempo e ci mettemmo all’opera.Nessuno di noi era mai stato in Norvegia. Ci trasferimmo lì per un paio di mesi, potevamo farlo, in uno splendido studio di registrazione da cui si ammirava un fiordo mozzafiato.
Fu così che andòTre Lp in quattro anni, inframmezzati da tour sempre più massacranti, con la nostra fama di musicisti maledetti che andava crescendo.Niente foto, se non quelle scattate dai fan in concerto, rare interviste, rilasciate perlopiù alle radio.Ci pensava la casa discografica a rilasciare notizie contrastanti su di noi. Anche quello era marketing.Eravamo francesi? Svizzeri? Tedeschi? Americani? Si diceva un po’ di tutto. Durante i concerti era Slim a parlare col pubblico, l’unico che conoscesse l’inglese alla perfezione. Il mistero si infittiva.Tre lavori in quegli anni intensi, dicevamo.Prima fu Baron, Baron (go back to the South) nel 1974, dal quale fu tratta It will be always this way (down with hunchbacks, tbc) il nostro primo numero uno, poi fu la volta di What a fine thing nel 1975, con la title track che divenne quasi una sorta di inno da stadio e fu subito un classico.
Oh, it’s so nice, what a really lovely thingto go to the field with a pink shirt,oh hunchback rabbit, you’re a peas sucker…
quindi di Rabbit with stripes nel 1977 dalla quale venne estratta Who doesn’t jump
Who doesn’t jump is a black and white supporterWho doesn’t jump, go and see the hunchbacks,who doesn’t jump stays at home,why the hell does he keep on coming here?
Quanti tour in quegli anni.Non avevamo una grande esperienza dal vivo, ma anni e anni di gavetta ci avevano temprato.Ci accompagnavamo a effetti di luce e versioni più lunghe e profondamente riarrangiate rispetto agli originali su vinile. Chiudevamo con la lunga cavalcata di chitarra di Another rainy night, che la folla ci chiedeva insistentemente e che prolungavamo oltremisura. Sotto questo punto di vista gli arrangiamenti di Mike erano stratosferici.Partimmo il primo anno come apripista per David Bowie, quindi volammo per conto nostro.I tour erano a base di eccessi e sarei un bugiardo a dirvi di non averne fatto parte. Ho detto di non aver mai toccato una sigaretta, ma non di aver disdegnato le groupie che si presentavano numerose e ansiose dopo i concerti. La security di allora faceva opportuna selezione. Diciamo che ci si spartiva la torta, mi capirete. Groupie che alle volte ci accompagnavano addirittura in tour. Certo, loro sapevano che eravamo italiani, ma che problema c’era per un passaparola circoscritto? Mica c’era Youtube per pubblicare video rubati, all’epoca.Che dire, ragazzi? Eravamo in giro per il mondo, in pochi anni passati dal lavoro alle Poste o al porto, agli alberghi di lusso. Quello era il nostro tempo e quello dovevamo prendere, pensavamo. C’era tempo per cambiare il mondo.Cominciò a girare anche altra roba tra un concerto e l’altro o nelle pause lavorative, inutile negare anche questo. Anche se fui l’unico a tenermene alla larga, per naturale diffidenza, più che per superiorità morale. Ma credevo che anche questo facesse parte del gioco.A Monaco, credo che fosse il 1976 conobbi una ragazza italiana. Una splendida ragazza di nome Sandra che si presentò nei camerini dopo un concerto. Non voglio vantarmi, conoscemmo diverse ragazze. Ma, credete a quello che vi dico, quella era veramente spettacolare. Slim era il bello del gruppo, con i suoi boccoli biondi, ma faceva da tempo coppia fissa con Helén, una graziosa e disinibita francesina.Così le attenzioni di Sandra si rivolsero a me.E non solo a me, diciamo che era difficile capire “chi stesse con chi” in quegli anni.Dunque Sandra era la fine del mondo e ne ero attratto da paura. C’era sempre un qualcosa però in lei che non mi convinceva, come un doppio fondo, il desiderio plateale di sentirsi glorificata per il fatto di stare con una rock star.La imbarcammo nel nostro tour e lei la notte faceva coppia con chi capitava. Un po’ però mi rodeva saperlo, amore libero o non amore libero.In Austria tenemmo tre date, sempre nel 1976, credo fosse luglio, una delle quali nell’autodromo dell’ Österreichring.Sul palco ero a stretto contatto col pubblico, cercando di farlo scatenare, quando non mi sedevo all’Hammond organ. In tutte quelle tre date individuai in prima fila una ragazza, molto giovane, che non mi staccava gli occhi di dosso. Tutti i riflettori erano puntati su di noi, il pubblico era immerso nel buio. Eppure gli occhi di quella ragazza sembravano due piccole gemme sorridenti in quell’oscurità.Ne fui attratto sin dalla seconda sera. Trascorsi il giorno seguente a domandarmi di chi fossero quegli occhi dispersi nel buio, con un po' di rammarico perché probabilmente per me sarebbero rimasti tali.La terza sera però le gemme si ripresentarono, a distanza di oltre cento chilometri. Sempre in prima fila. Sempre puntati su di me. Persino Slim se ne accorse e mi fece l’occhiolino indicando la ragazza, durante un assolo. Quasi attratto da una forza magica, decisi di muovermi. Tra un bis e l’altro incaricai uno dei roadie di recuperarla e di portarla in camerino. Non fu facile. Non credeva che il cantante degli Humpbacked Swines volesse conoscere proprio lei.Rammento ancora la sua strana emozione, quando ci incontrammo, tra un viavai continuo di roadies. Aveva i capelli legati in una coda di cavallo e gli occhi visti da vicino erano spettacolari. Potevano essere freddi come il ghiaccio, ma non per me. Come posso spiegare? Ci sono persone con le quali non c’è bisogno di parlare. E la giovane ragazza austriaca faceva parte di quella categoria.Due sere dopo era previsto un concerto ad Amburgo. Comunicai agli altri che li avrei raggiunti all’ultimo momento e mi fermai due giorni con lei lì in Austria, tentando di farmi capire dai suoi occhi col mio inglese stentato.Era una ragazza semplice, trascorremmo due giorni a tenerci per mano, facendo cose semplici. Forse non mi crederete, ma i due giorni che passai con lei furono forse i più belli della mia vita, anche se impiegai molto tempo a capirlo.Ma ero un egoista, convinto di essere eterno, questa fu la verità.Raggiunsi gli altri giusto in tempo per il concerto. Le avevo promesso di ritornare, per portarla con me. Le avevo dato anche appuntamento. Ma quella sera stessa Sandra, sentendosi mancare il terreno da sotto i piedi, mi coinvolse in una spirale di sesso da far paura. E gli uomini ci cascano, maledizione.Sandra disse di voler fare coppia fissa, mi disse che aveva dei progetti in mente con noi due. E io, che non seppi dirle di no, non tornai più dalla ragazza austriaca.Una decisione che ho rimpianto per tutta la vita.Qualche tempo più tardi, tra le tante lettere dei fan, ne ricevetti una da lei. Diceva di aver capito la mia scelta e di rispettarla. Mi ringraziava per averle dedicato due giorni della mia importante vita. Disse che non mi avrebbe mai dimenticato. Era una lettera stupenda, la conservo ancora oggi.Anni dopo, quando finalmente compresi le cose importanti, rivoltai mari e monti per scovare la ragazza austriaca.Ma non la trovai più.
Girammo il mondo dunque, acquistammo uno studio di registrazione a Montreux, sempre in Svizzera, dove anni dopo Freddie Mercury avrebbe trovato un’oasi di pace. Come spesso avveniva, ci crogiolammo nei capricci da rock star. Personalmente feci saltare un’intera sessione di registrazione, nel 1976, perché volli andare a tutti i costi a vedere Torino-Cesena il 16 maggio. Costasse quello che costasse.Facevamo ancora abbastanza vita comune, ma ognuno di noi aveva acquistato proprietà in giro per il mondo.Nel corso della lavorazione di Rabbit with stripes, nel 1977, tuttavia, sorsero molti problemi.Io e Slim litigammo sovente, cosa che non era mai capitata, mentre stavamo componendo alcuni pezzi. Credo che ognuno non fosse soddisfatto del lavoro dell’altro, tutti avevano le proprie idee sulla strada futura della band e io cominciavo a non sopportare il modo di Slim di atteggiarsi a leader indiscusso del gruppo. Rafforzai invece l’amicizia con Mike, che spesso faceva da paciere. Aveva da poco sposato una Groupie e preso casa a Montecarlo e, man mano che il tempo trascorreva, assomigliava sempre più ad un impiegato di banca con i capelli lunghi, piuttosto che allo scatenato batterista di una rock band di fama internazionale.Steve, il bassista, si era fatto sempre più assente. Alle volte non lo vedevamo per giornate intere e lo aspettavamo invano in sala di registrazione. Credevamo che fosse preoccupato per la madre, ma il problema era tutt’altro.Un giorno nel quale non si presentò in studio, persi la pazienza e andai a stanarlo in albergo con Mike. Lo salvammo per il rotto della cuffia, dopo aver fatto forzare la porta. Il suo problema non era la madre malata. Erano alcool e soprattutto droga, come avevamo tenuto.Fu un casino, lui e la groupie con la quale si stava divertendo, entrambi in overdose.Hardy lo fece entrare in clinica di nascosto dalla casa discografica. Anche se comparve a tutti gli effetti nel nome della band, sul disco, Steve suonò soltanto poche note di quel lp e venne rimpiazzato di volta in volta da vari session-men. Fu a mala pena in grado di suonare con noi quell’estate, benché con musicisti di supporto, ma la sua attenzione e il suo modo di suonare erano diventati quelli di una persona confusa e assente.
Alla fine del 1977 e del Rabbit with stripes tour, decidemmo di prenderci un lungo periodo di pausa. Avevamo soldi in abbondanza, ma i nostri nervi erano a pezzi, dovevamo stare un po’ lontani.Partii con Sandra per l’America.Ci sposammo nell’estate del 1978.Un ricevimento faraonico pieno di celebrità rock e luci stroboscopiche.Gran boiata a ripensarci ora.Pochi giorni dopo Hardy ebbe un gravissimo incidente d’auto.Lo trovarono contro una staccionata, tra rottami e bottiglie di whisky.Si salvò per miracolo, ma dovette stare lontano dal lavoro per anni.Credo che questo ebbe parte rilevante in quello che capitò di lì a poco.
Ci ritrovammo a Montreux nell’autunno del 1979, per incidere il nostro lavoro più controverso You will never forget the first tyre, concept album un po’ pretenzioso avente come metafora la vita di un ladro di gomme.Credevamo che il periodo di separazione fosse servito a mitigare le tensioni nascenti, ma bastarono pochi giorni per far esplodere la situazione.Tanto per cominciare Steve non si presentò. Occorsero due giorni per rintracciarlo. Lo avevamo tenuto d’occhio durante quei due anni, credevamo si fosse disintossicato, ma non era così. Perdemmo tempo prezioso e denaro. Alla fine dovemmo affrontare la realtà. Il nostro amico più talentuoso non era più neanche in grado di reggere il basso e di capire dove si trovasse. Lo ricoverammo a nostre spese ancora una volta, ma il prezzo da pagare fu altissimo. Steve fu messo alla porta, fuori dalla band. Saremmo andati avanti in tre, nonostante il feroce parere contrario di Mike, che era stato il suo primo grande amico.Io mi presentai a quell’appuntamento sotto il peso della relazione fallimentare con Sandra.Pagai alla svelta il prezzo del mio errore, lei aveva rivelato il suo carattere molto in fretta. Si era lanciata in spese folli e, come se non bastasse aveva preso l’abitudine di incipriarsi il naso. Sapevo che mi tradiva, anche se facevo di tutto per non ammetterlo a me stesso.Avevo trovato rifugio nella musica ed ero arrivato a Montreux carico di progetti, ma distrutto psicologicamente.Lo stesso aveva fatto anche Slim, dopo che anche il matrimonio con la bella Helén era andato in frantumi in pochi mesi.Ci scontrammo quasi subito. Quasi faticavo a riconoscere in lui lo stesso ragazzo col quale avevo scritto i primi brani, sul treno che correva nella notte da Genova. Io volevo un disco di rock forte, con pezzi importanti. Lui voleva contaminarlo con influenze afro-qualcosa, con mio grande orrore. Rivendicava la paternità del gruppo e se ne riteneva il leader. Stentavo davvero a riconoscerlo.Passammo il tempo a litigare. Arrivammo quasi alle mani. Un mattino me ne andai dalla sala di incisione in preda alla rabbia. Dissi che avrei preso la macchina e sarei stato via tutto il giorno.A metà strada però cambiai idea e tornai alla sala per affrontare la situazione in modo definitivo.Trovai solo Mike, in sala di registrazione Slim era tornato in albergo. Andai a cercarlo laggiù.Non lo trovai solo. A quel punto almeno capii.Lo trovai a letto con Sandra.
Lì terminò la storia degli Humpbacked Swines, oltre che quella del mio matrimonio, con relativo divorzio che mi portò via gran parte di quello che avevo guadagnato in quegli anni.Completammo il disco per contratto senza più parlarci, scegliemmo gran parte del suo materiale, con la supervisione di Mike.I fans sembrarono accorgersi di quanto stava accadendo. L’lp non andò bene quanto era lecito aspettarsi e i proventi del faticosissimo tour che affrontammo da perfetti estranei, riuscirono solo in parte in parte a coprire le perdite.Curiosamente ma neanche troppo, il pezzo più famoso del disco diventò Damned blu-circled, che venne scritto proprio da Mike, forse l’unico brano che non risentì del clima di tensione di quei giorni:
Yes we can smell your fish stench,you also have a polluted sea,you damned blu-circledyou damned blu-circled
Si dibatte ancora adesso tra i critici se la lunga onda degli anni ’70 sia finita con Breakfast in America dei Supertramp o con You will never forget the first tyre degli Humpbacked Swines.Non so dare una risposta. So solo che per me fu la fine di una grande amicizia.Una sera, pochi mesi dopo la fine del tour, venni a sapere che Slim e Sandra si erano sposati.Sembrava curioso che piovesse quella sera e non potei fare a meno di pensare con ironia alla nostra Rainy night. Another rainy night.
Tra le clausole del contratto capestro con la casa discografica c’era l’obbligo di incidere un brano da inserire una compilation natalizia. Proprio noi che avevamo sempre detestato le cose scontate! Un cavillo che ci era sfuggito. Ne parlai con Mike, con il quale avevo mantenuto buoni rapporti durante quei due anni. Avevo un pezzo nel cassetto, uno stile completamente diverso, che avevo scritto dopo una sconfitta in un derby. Si chiamava El’Aiam ob-bog e tutto sembrava meno che un pezzo sul Natale, tant’è che dal titolo e dal ritornello apparentemente astruso. Molti pensarono fosse un pezzo in arabo.
El atan no ubEl aiam ob-bogEl atan no ub!El aiam ob-bogHappy Christmas, you pig hunchback.
Ci presentammo a Montreux con l’entusiasmo dei condannati a morte.Tutti erano d’accordo sul fatto di fare in fretta e di andarsene lontano il più in fretta possibile nessuno aveva obiettato alla scelta di quella canzone.Slim si presentò in studio con Sandra. Entrambi molto glam, altezzosi e snob. Lei non faceva altro che guardarmi e ridere.Feci la mia parte, cantai e me ne andai, promettendo a me stesso che non avrei più visto quella gentaglia. E invece, per assurdo, El’aiam Ob-bog, il nostro canto del cigno, divenne un successo planetario il più venduto tra tutti i nostri 45.Non so spiegarvi come mai. Forse fu lo stile diverso, involontariamente a cavallo dei tempi. Proprio mentre gli anni ’80 spazzavano via artisti storici, noi diventavamo i numeri uno.Ci fecero offerte astronomiche per un nuovo lp e per un tour.Ma noi rifiutammo. Ci odiavamo e non tolleravamo più lo star vicini l’un l’altro.Di lì a poco, nel 1983, ci sciogliemmo definitivamente.Senza rimpianti
Pochi mesi dopo esplose il bubboneLa fama di artisti maledetti, che noi stessi avevamo contribuito a creare, doveva pur venire fuori.La gente cercava un significato nelle voci di droga alcol e di musicisti maledetti.Così scoprirono i nostri messaggi nascosti tra le parole, in particolare nell’ultimo disco.Messaggi subliminali, qualcuno parlò addirittura di messaggi satanici.Ne venne fuori un putiferio.Grazie al cielo avemmo il buon senso di tacere tutti e di chiuderci nelle nostre vite.
Cominciò una nuova parte della mia esistenza.Mi misi a girare il mondo, da solo o con compagne occasionali.Ormai si sapeva chi fossi e facevo fatica a vivere nell’anonimato.Acquistai una casa in Norvegia, vicino al fiordo dove avevamo registrato il nostro primo album, e un'altra in Irlanda, dove avevo sempre desiderato vivere. C’è una strada vicino a Clifden, nel Connemara, che si chiama Sky Road. Ogni tanto trascorro lì qualche mese, se passate di lì, provate a suonare, magari sono in casa.
Feci quel tipo di vita solitaria per qualche anno, dimenticandomi completamente della musica e dei miei ex amici. I nostri dischi vendettero alla grande per tutti gli anni ’80. Il fatto che ci fossimo separati fece bene alla nostra reputazione.Continuai a vagabondare per terre lontane, piantai addirittura la barca nel Mar Egeo quasi per tre mesi, prima di chiedermi che cosa stessi facendo veramente lì e stancarmi di quei rapporti occasionali e senz’anima della gente che aveva gravitato attorno al nostro mondo.Fui preso da una sorta di frenesia. Qualcosa mi mancava, qualcosa di importante.Mi misi in testa di ritrovare la ragazza austriaca, una delle poche persone che forse aveva scelto l’uomo prima che il divo, ma come vi ho detto non la trovai più. Ero destinato a scontare quegli anni di egoismo e i suoi occhi luminosi sarebbero rimasti per me solo un dolce ricordo.
Alla metà degli anni ’80 venni a sapere, da una telefonata concitata di Mike, col quale ero rimasto in contatto, che Slim stava rimettendo in piedi gli Humpbacked Swines, ma senza di noi.Ebbe inizio una delle più famose battaglie legali della storia del Rock, lui da una parte, noi due dall’altra, per il possesso del nome della band.Fu una battaglia di corsi e ricorsi che durò un paio d’anni.Alla fine la società venne dichiarata sciolta e a Slim fu proibito di usare il nome della band.Tutti i suoi progetti vennero ridimensionati. Pubblicò un paio di dischi a nome Eddie “Slim” Meadows, che ottennero successo contenuto.Buona musica, niente da dire sotto questo punto.
Alla fine degli anni ’80 cominciai l’attività di produttore, tentando anche la carriera solista, ma senza fortuna. La magia erano gli Humpbacked Swines. Noi da soli non valevamo nulla.Nel corso degli anni venni a sapere che Steve aveva miracolosamente superato tutti i suoi problemi, grazie all’aiuto di Mike, che non rinnegò mai la sua amicizia. Fece parte di piccoli gruppi che suonavano nei circoli. Gente in gamba, forse era davvero quello il suo mondo.Non tornai più a Torino, e non pensai più ai miei amici, fino a quando un giorno, non ricevetti una telefonata.
C’era tanta gente al funerale del fratello di Slim, veramente tanta gente. L’uomo che ci aveva portato a san Francisco se ne era andato improvvisamente a soli 46 anni. Conoscevo Slim da tanto tempo e non l’avevo mai visto piangere in quel modo disperato. Lo trovai sciupato, molto sciupato. Sandra non era con lui ed io immaginavo il perché. Mi abbracciò commosso, non si aspettava che fossi lì. Credo che avrebbe voluto dirmi tante cose, ma la vita alle volte deve fare il suo corso.Ricambiai l’abbraccio l’anno seguente, quando me lo ritrovai di fronte ai funerali di mio padre.Povero il mio vecchio. Credo che alla fine abbia capito che anche i miei treni valevano qualcosa. Me lo disse con gli sguardi degli ultimi istanti.Spero che stia sferragliando lassù nel cielo. E che mi guardi.
L’anno dopo ancora, si era ormai ai primi ’90, uscì un libro dal titolo “A letto con gli Humpbacked Swines”. Autrice una certa Sandra. Vi dice niente? Una delle donne più chiacchierate del mondo dello spettacolo. Sapevo che aveva divorziato anche da Slim. C’era una bambina di mezzo, un libro del genere era una vaccata. Sentii Slim per telefono. Rinunciammo a querelarla, ma la storia era triste.A quanto ne so attualmente Sandra se la passa davvero male di salute. Il destino non è stato generoso. Spero davvero che ce la possa fare. Davvero.
Era solo questione di tempo, lo sapevamo bene. Ma dovettero trascorrere altri dieci anni perché io e Slim ci incontrassimo nuovamente. Il nostro incontro fu banale nella sua semplicità. Su un treno, ancora una volta, nonostante avremmo potuto permetterci ben altri veicoli. Non fu un treno da Genova, fu un treno per Roma, ma poco importa.Quali parole ci scambiammo?Ha poca importanza, quando sei disposto a buttare il passato alle spalle.
Tre mesi fa è uscito “Relegated to serie B (after the scandal)” il nuovo album degli Humpbacked Swines, qualcosa come ventotto anni dopo l’ultimo lavoro in studio.Sembra strano, ma la gente si ricorda ancora di noi e le vendite, legali e non, stanno andando benone. E’ stato strano scrivere e comporre di nuovo con Slim, ma credo che entrambi si abbia ancora qualcosa da dire.Qual è il pezzo forte? Beh, una canzone che si chiama Waiting in the weeds, che parla del ciclo delle cose, della natura, della vita.Credo che questa canzone aspettasse da anni di essere scritta.
I’ve been waiting in the weeds, waiting for my time to come around againhope is floating on the breeze,carrying my soul high up above the groundI’ve been keeping to myself,Knowing that the seasons are slowly changing youAnd though you’re with somebody else,He’ll never love you like I do.
Che ridere, è successo un bel casino alla conferenza di presentazione del disco.Qualche giornalista si è ricordato di El’Aiam Ob-bog e ci ha chiesto se davvero si nascondesse qualche messaggio in quella canzone.- Certo!- Abbiamo risposto in coro io e Slim – Noi proprio non sopportiamo i gobbi!- E neanche la Sampdoria! Ci hanno fatto coro Mike e Steve.
Nell’incredulità generale abbiamo imbracciato le chitarre e, benché vecchietti abbiamo accennato a “Damned spring” una canzone dell’ultimo album:
Yes, all the Italy knowsHow he made plans to steal matchesHe used his mobile phone,Mtoday called, then Karraro answered:“There’s no problem, we are the ones who command
E’ successo davvero un gran macello.Poco male, al limite i gobbi non ci ascolteranno.Del resto, non abbiamo mai fatto musica per quella gente lì.Hardy, il povero Hardy, si teneva la testa pelata tra le mani.E’ sempre lui il nostro manager, sapete?
Ed eccomi qui, sulla riva del fiume. Prima ho visto mia sorella, siamo andati insieme dove sono sepolti mamma e papà. Insegna al conservatorio, io continuo a chiamarla ragazza, ma ha due figli grandi.Dunque sono qui. Non credo di avere più nulla da chiedere, ho avuto una vita fortunata, ho fatto a lungo quello che mi piaceva fare.Già, nulla tra me e il fiume.Dovrebbe essere quasi ora.Oh, ecco, infatti. Ecco il clacson. I fan hanno ripreso a scriverci, sapete? Sono quasi gli stessi di allora, più invecchiati, come noi. E’ sempre bello leggere le loro lettere.Tra l’altro, è arrivata anche la lettera di una signora austriaca, che parla di un tempo lontano.Tempo nel quale aveva conosciuto il cantante degli Humpbacked Swines.Dice che non mancherà alla prima data del loro tour mondiale, giura che sarà in prima fila.Le piacerebbe incontrare di nuovo quel ragazzo di una volta.A Monaco. Domani sera.Si parte ragazzi, aspettatemi, sto arrivando.
Chissà se la ritroverò, chissà se ci sarà.Fosse anche solo per dirle “Ciao”. O per chiederle scusa.Sono più vecchio ora e il pubblico è sempre al buio.Ma spero di vedere in quel buio, in prima fila, le gemme che ho cercato tutta la vita.Chi ha detto che se hai capelli grigi e se sei vecchio devi smettere di essere te stesso?Il viaggio è cominciato, è sempre bello stare con gli amici di sempre.Mi piace chiudere gli occhi, scorrere le immagini della mia vita, dei miei amori, e pensare di essere ancora a San Francisco.La musica continua. E la Summer of Love non è mai finita. Sebbene gli Humpbacked Swines ovviamente non siano mai esistiti e tutta la storia sia il frutto di fantasia, mi sono permesso di citare un particolare reale eccome.Waiting in the weeds esiste davvero ed è una canzone degli Eagles. Secondo il mio modesto parere, la canzone più bella degli ultimi dieci anni. E' uscita pochi mesi fa ed è stata ovviamente ignorata dalle radio italiane che preferiscono martellarci con pezzi da suicidio.
Mauro Saglietti
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