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Molto più di un secondo. Amilcare Ferretti detto Mirko, per Gigi Radice, è stato prima un punto di riferimento per gran parte della carriera, poi un leale amico per tutta la vita. "Il cassetto dei ricordi insieme a lui è ovviamente colmo di memorie ed emozioni", ci racconta Mirko dopo aver appreso della morte di Radice. "E' una serata triste, ma le mille cose che abbiamo passato insieme sono scolpite nel tempo e non me le toglierà nessuno". Vice allenatore di Radice per cinque anni (dal 1976 al 1982) e poi allenatore in proprio, Ferretti ci concede qualche spaccato di vita passato con Radice.
Mister Ferretti, che cosa le passa per la testa in questo triste giorno?
"Beh, cosa volete, Gigi è stato un grande amico. Ovviamente il nostro rapporto non era solo professionale. Siamo stati amici per tutta la vita, anche dopo il calcio, famiglie comprese. Dal lavoro alle vacanze, insieme ne abbiamo passate tante. Essere stato suo secondo è stato un onore che mi porterò dietro per sempre, tant'è che ci ho scritto anche un libro (A. Demichelis, M. Ruggiero, "Una vita da secondo", 2016, edizioni Araba Fenice, ndr). Quando si trattava di lavoro, Gigi non mollava mai. Facevamo riunioni a qualsiasi ora del giorno e della notte, erano infinite, mi "sequestrava" per ore nella sede del Torino di corso Vittorio. Ma poi gli piaceva anche "staccare", e allora si passava del tempo insieme anche lontano dal campo. Da lui ho imparato tanto se non tutto".
Quando lo conobbe per la prima volta?
"Nel 1976, quando parlammo per la prima volta al Filadelfia di una collaborazione. Cercava un secondo, perchè il povero Giorgio Ferrini era stato colpito dal male che poi lo portò via. Nel conoscerlo per la prima volta, quegli occhi di ghiaccio non potevano non rimanermi impressi. Io gli mostrai il mio modo di interpretare il lavoro sul campo, ci fu feeling fin da subito. Parlammo di calcio ma non solo, voleva farsi un'idea di me a 360°".
Il rapporto professionale è durato sei anni (quattro al Torino, uno al Bologna, uno al Milan). Poi l'interruzione nel 1983, quando lei decise di mettersi in proprio.
"Io sono uno che mantiene sempre la parola data, ho fatto della correttezza uno stile di vita. Ero già d'accordo con l'Alessandria e mantenni fede all'accordo. Altrimenti, figuratevi, sarei andato con Gigi anche all'Inter. Col senno di poi, ripenso a quella scelta con pentimento, nel senso che avrei voluto continuare con il mister. Ma comunque siamo rimasti molto amici anche se le nostre strade si sono divise. Io andavo a trovare lui, lui veniva a trovare me, d'estate si andava al mare insieme, a Ventimiglia".
L'ultima volta che lo ha visto?
""Guardi, non lo dimenticherò mai. E' stato un anno e mezzo fa, andammo a trovarlo io ed altri ragazzi dello scudetto, da Pecci a Zaccarelli a Salvadori, nella clinica dove era ricoverato. Lui era già molto malato, non riconosceva le persone. Però ad un tratto mi prese per un braccio e piano piano mi portò in un'altra parte della sala. Io immediatamente associai quel gesto alla sua solita maniera di prendermi per un braccio per fare finta di dovermi parlare in disparte, quando magari si era in compagnia di persone a lui antipatiche, per poterle evitare. Ne parlai con le infermiere e i dottori, che mi confermarono che era certamente possibile che per un attimo mi avesse riconosciuto".
Che immagine di Gigi le piacerebbe fosse tramandata ai posteri?
""C'è questa nomea del sergente di ferro che gli viene attribuita, che è veramente superficiale. Lui era certamente maniacale e appassionato, ma solo sul lavoro. Perchè, ripeteva sempre, bisognava allenarsi seriamente per essere in grado, la domenica, di rispettare la gente che veniva a vedere il Toro. Per il resto ha sempre concesso massima libertà e fiducia ai suoi calciatori, nella loro vita privata. Chieda a loro se è vero. E poi credo gli siano stati dati meno meriti di quel che gli spettavano; fu il primo allenatore a portare in Italia concetti come il fuorigioco o il pressing uno contro uno a tutto campo. Ma la grande stampa ha sempre preferito attribuire questi meriti a qualcun altro. E invece uno dei primi innovatori del calcio italiano è stato Gigi Radice".
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