mondo granata

Never say goodbye – I ragazzi degli anni ’80

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

Riassunto puntate precedenti: Canguro, Lloyd, Uovo, Mafia, Pivot, Mitraglia e soprattutto l’Io narrante, il cui nome non viene mai citato, sono compagni di una Quarta Liceo del 1986-1987, in gran parte tifosi granata, che stanno cercando di uscire dagli anni di insicurezze post adolescenziali.La vita dell’Io narrante viene però turbata da una serie di contatti telepatici con una forza che sembra richiamarlo inesorabilmente verso lo scantinato del Liceo.Le vicende dei ragazzi si alternano con quelle affettive, il personaggio narrante avvia una relazione con Valentina, una ragazza quindicenne, ed il suo caro amico Canguro riesce a far breccia nei sentimenti di Tiziana, affascinante compagna di classe.L’estate però presenterà un conto salato da pagare. Valentina non si farà più sentire, mentre Canguro, partito in treno alla volta della Puglia per raggiungere Tiziana, si troverà di fronte alla relazione di lei con un ragazzo locale, e farà ritorno a casa distrutto.Anche in mezzo a un’estate che uccide i loro sentimenti, i ragazzi trovano la forza di vivere la loro amicizia e Lloyd insiste per una visita in pieno agosto, allo scantinato del Liceo, dal quale il narratore continua ad essere attratto.Una visita tormentata da momenti onirici e presenze inquietanti sotto forma di ombre, porta alla scoperta di una cartellina piena di disegni a carboncino.Metà hanno come soggetto una vicenda a loro sconosciuta.L’altra metà raffigura episodi della loro vita recente e futura.I disegni però risalgono al 1967.Oltre venti anni prima.

 

Sono alla fine della corsa.Lo scantinato è ormai stato svuotato e le foglie si sono depositate anche all’interno.Ritorno nel seminterrato, antiche ombre mi passano accanto.Con gli anni ho perso la capacità di distinguere questo universo che sbiadisce.La mia immagine che si riflette contro le finestre scure polverose e ne è la prova.

 

Tornati a Torino, dopo l’estate trascorsa insieme, trascorremmo lunghi pomeriggi a passeggiare in centro, viaggiando sulle ali di un finto ottimismo o sulla fugace speranza di uno sguardo che sembrava ricambiato.A mano a mano che i giorni volgevano però inesorabili verso l‘apertura dell‘anno scolastico, Canguro cominciò a farsi silenzioso. Sapevo quello che gli passava per la mente. Io stesso sapevo che prima o poi mi sarei trovato di fronte Valentina, la Valentina scomparsa senza neanche una telefonata durante l‘estate.Quel finale beffardo aveva però lasciato dentro di me un rabbioso senso di orgoglio ferito e non soltanto dato una mazzata alle mie traballanti sicurezze. Invece Canguro avrebbe avuto Tiziana in classe tutti i santi giorni. Temevo che il mio amico non avesse gli strumenti per affrontare una situazione simile. L’aveva amata tanto e probabilmente l’amava ancora.Con questi pensieri, i giorni di settembre scorsero via troppo veloci. Il mio foglio rosa che si trasformava finalmente in patente ed una Mini Minor rossa vecchia e scassata da cavalcare in libertà.E poi un altro anno da passare verso quel traguardo sconosciuto che chiamavano Maturità.Un altro anno da trascorrere salendo quelle poche scale dantesche che sapevano di sale.Avremmo amaramente scoperto che non sarebbe stato tanto difficile salire su quei pochi scalini che conducevano all’ingresso.Ma ridiscenderli per sempre.

 

Il primo giorno di scuola ci accorgemmo di come il destino avesse deciso di giocare sporco.La classe IIE di Valentina era stata piazzata proprio accanto alla nostra nuova aula.La intravidi uscendo, abbronzata e fiera, e fui fortunato a non intercettare il suo sguardo, che stava roteando vanesio, come un periscopio.Quell’anno sarebbe stata dura, pensai. Molto dura.

 

Piombammo nello sconforto quando venimmo a sapere che ci era stata assegnata, come insegnante di Scienze, la mefitica Tetano.Tetano era una donna che viveva per il male altrui e dovunque avesse insegnato aveva procurato danni e drammi. Provava piacere dal senso di potere, dall’umiliazione gratuita.Problemi sarebbero stati, pensammo. E problemi furono.

 

La sorte non era stata solo beffarda. L’altra classe accanto alla nostra, opposta all’aula di Valentina, era una IV. Un giorno incrociai uno sguardo silenzioso.Sussultai. La ragazza Non-mi-guarderà-mai. L’ultima volta l’avevo vista in un ritratto a carboncino. L’unico disegno che avevo conservato, tra quelli ritrovati nello scantinato. Che cosa voleva dire? Cosa c’entrava quella ragazza misteriosa, affascinante senza sapere di esserlo, con la mia vita e con disegni fatti venti anni prima?I nostri occhi intimoriti sembrarono sfuggirsi dopo essersi incontrati per pochi secondi.

 

Fu Lloyd a parlarmi di Amanda. Non la conoscevo e ne rimasi affascinato.Capitò durante uno dei tanti pomeriggi nei quali mi invitava a casa sua e poi si dimenticava di ricordarselo, facendomi attendere all’esterno come un piffero, per giunta sotto il possibile sguardo di Valentina, che abitava di fronte.Amanda non era una ragazza, Era una splendida canzone dei Boston che fece da colonna sonora a quell’autunno. Risaliva a due anni prima, il video mostrava dei caccia in volo, mentre la melodia del gruppo rock americano si snodava semplice e struggente.

…so, it may be too soon, I know,The feeling takes so long to grow...If I tell you today, will you turn me away…And let me go? I don’t wanna lose you…

 

Corsi ad acquistare i primi due dischi dei Boston, risalenti a dieci anni prima, e Third stage l’LP dal quale era stata tratta Amanda, affascinato dalle copertine nelle quali una misteriosa astronave rivelava essere una chitarra. Mi feci avvolgere dalle impreviste melodie che uscivano impreviste e impetuose dalle distorsioni di Tom Scholtz.Registrai un nastro e lo inserii nella radio sveglia. Per tutto l’anno, fino al giorno della Maturità mi svegliai sulle note di Hollyann, che da allora si legò a timori, paure, speranze, terrore e felicità.

 

Presi come si era dallo studio, non restavano molti spazi da dedicare a se stessi. Se a risvegliarmi erano le notte di quella canzone che parlavano profeticamente di una “past decade” e di una ragazza con “long hair blowin’ ”, la sera mi addormentavano le parole di un romanzo che leggevo per distrarmi dalle tensioni della giornata, il Nome della Rosa di Umberto Eco.Lo cominciai in modo scettico e, travolto da mille altri pensieri, impiegai l’intera annata a completarlo, facendomi coinvolgere ogni giorno di più nelle indagini di Guglielmo da Baskerville e di Adso da Melk.Ignorando completamente che la sorte stava progettando un finale, per le mie avventure, assai simile a quello del libro.

 

Per quanto ci tenessimo distante dal seminterrato, né io, né Lloyd o Canguro, potevamo dimenticare quello che era successo quel giorno d’estate dopo la nostra visita non autorizzata al Liceo. Quando però tutto sembrava portare ad un tacito accordo, in seguito al quale avremmo nascosto tutto nella cripta della memoria, i miei pensieri ridiventarono quelli di un estraneo.Capitò durante una lezione di Italiano della temibile professoressa FF.Mancavano più di venti minuti alla fine e stavo prendendo appunti. Non ricordo più come capitò. Tornai in me soltanto allo squillo della campanella del cambio ora. Avevo riempito 20 pagine con la stessa scritta, fitta e ravvicinata.LOCALE 16, LOCALE 16, LOCALE 16, LOCALE 16.Conoscevo quel numero. Era lo scantinato.Non solo. Avevo numerato le pagine in rosso. La numerazione partiva col numero 1967 e terminava con il 1988.Uscii fuori nel corridoio. Mi mancava l’aria, avevo bisogno di respirare.La ragazza non-mi-guarderà-mai era appoggiata al davanzale, lo sguardo affondato nel cortile interno. Si voltò, mi vide.Il suo volto, bellissimo e angosciato, era lo stesso che avevo visto sull’ultimo disegno che avevamo conservato.

 

- Dobbiamo mettere in ordine questa storia. Ora basta.Ero determinato ad andare a fondo di quella vicenda.Uovo, Lloyd, Mafia e Canguro erano seduti attorno al tavolo di casa di quest’ultimo. Coca e birra a volontà. - Questi disegni ci… mi portano di nuovo in quello scantinato – dissi più determinato che mai. Era una vicenda che toccava me, ma loro erano i miei amici e si erano rifiutati di lasciarmi solo in quei frangenti. - Non sono pazzo e non voglio finire in un manicomio – mi giustificai – E’ evidente che questi disegni sono mischiati, c’è una storia da ricostruire. E che qualcuno vuole che si vada a fondo di questa storia. Ma per capire, dobbiamo risolverla come fosse un puzzle…Per qualche istante nessuno parlò. Uovo era l’unico a rimanere ancora scettico, forse temendo un nuovo scherzo.Non c’era però tempo per chi non aveva fede.Feci roteare l’orlo del bicchiere sul tavolo, sospirando stanco.– Questa è una storia del passato, ragazzi – dissi - E’ qualcosa che è successo tanto tempo fa. E noi dobbiamo capire che cosa.

 

Riuscimmo a mettere insieme qualche immagine, la storia era una sequenza di fotogrammi, spesso in soggettiva.Il primo disegno nella ricostruzione raffigurava l’aula vuota del Liceo. Sulla porta era stato scritto il numero 5. Qualcuno stava per entrare. La seconda, sempre che l’ordine fosse quello corretto, raffigurava un gruppo di ragazze sedute sugli scalini dell‘ingresso. La terza un giovane uomo che leggeva su di una panchina. Molte immagini lo ritraevano da più angolazioni, il volto nascosto dai lunghi capelli e affondato nel libro. Poi un’altra immagine del ragazzo, di profilo, molto più ravvicinata. Come se il soggetto fosse stato seduto accanto a lui. Quindi due mani che si stringevano.Disponemmo tutti i disegni in ordine sul tavolo. L’ordine poteva variare, certo.Ma non avevamo più dubbi sul fatto che l’autrice fosse stata una ragazza.Per quella sera ci fermammo lì. Saremmo stati tentati di andare oltre, ma avevamo intuito quale fosse l’ultimo drammatico disegno della serie. Il corpo di una ragazza che galleggiava nell’acqua.

 

- Io non capisco - disse Uovo trenta minuti più tardi, sorseggiando la coca cola alla cannella, seduti tutti in gruppo sulle tribunette del Bowling - Ma se l’autrice delle immagini è vissuta nel 1967... Che senso hanno i disegni che riguardano presente? Come è possibile?Tutti tacquero. La risposta era tanto assurda quanto evidente. La stessa mano. La stessa persona.- Ragazzi, questa cosa mi fa impazzire… - bofonchiò canguro.Affondai sulla sedia di plastica delle tribunette, i pensieri che si mischiavano con il gusto di Coca-Cola. Pensai a quel corpo che galleggiava. Pensai a una persona sensitiva, in grado di avere delle visioni… - Immaginiamo a una ragazza che ama disegnare – parlai molto lentamente - E si accorge di essere… come si dice… sensitiva. E’ evidente che c’è stata una storia d’amore col ragazzo del libro… lei disegna… e vede. Vede la propria fine, qualcosa che la spingerà inesorabile verso la morte… allora… Allora chiede aiuto.Nessuno parlava.- Chiede aiuto a noi… - aggiunsi con tono romanzesco, quasi intimorito dalle mie parole.Lloyd era rimasto silenzioso fino a quel momento. Intervenne pacatamente, in modo quasi assente.- Forse vuole che ritroviamo chi l’ha uccisa…Mafia deglutì. Uovo pure.- Ma perché i disegni sulla nostra vita allora? Che senso hanno? Perché noi? – insistette Uovo.- Tu avresti preso in considerazione quella cartellina se ci fossero stati disegnati prati e montagne? Quei disegni sono stati la chiave per catturare la nostra attenzione e fare sì che ci interessassimo alla vicenda del passato…Il ragionamento di Lloyd non faceva una grinza. Già, perché proprio a noi? Anzi, perché proprio a me? Perché nessuno prima di me o dopo? Possibile che nessuno fosse stato pronto in quei venti anni?Scossi la testa passandomi le mani sul volto – Lei sapeva… lo sapeva dall’inizio che saremmo stati noi….- Come dici scusa?- Niente… - Mi sentivo stanco, avevo voglia di andare a casa e buttare i miei pensieri nel Nome della rosa - Dobbiamo andare avanti - dissi dopo qualche secondo.- In che modo?Il colpo di uno strike mi fece trasalire- Tornando nel passato. Cominciando a capire che cosa successe nel 1967 nel nostro Liceo e chi occupava l’aula 5.

 

Ben presto avevamo capito che l’anno scolastico, che si stava districando tra misteri, rancori e battiti di cuore, sarebbe stato impegnativo. L’Italiano della prof. FF sarebbe stato un ostacolo duro e implacabile, così come le derivate della prof. Lager. Le lezioni del professore di Filosofia e storia (il “Pelato”, come lo soprannominavamo crudelmente) sarebbero potute essere un’oasi di relax, non fosse stato che Immanuel Kant per il sottoscritto e per molti altri era letteralmente incapibile. Grazie a Dio venivano le lezioni di Baffone, il Professore di ginnastica, un 50enne bonario e giovanile, che permetteva che le nostre preoccupazioni fluissero via con i calci al pallone.Erano due ore di svago, durante le quali avevamo preso l’abitudine di confidare passioni e preoccupazioni a quello strano fratello maggiore. Lui, che insegnava in quella palestra da molto tempo, raccontava i vecchi aneddoti sulle ragazze che aveva frequentato in gioventù, ed in quel clima cameratesco la settimana diventava più leggera.Ma quando Tetano, la micidiale prof. Di scienze entrava in classe, allora sprofondavamo tutti nell’ansia.- Siete tutti dei poveracci! - ci guardava dritto negli occhi, sono sicuro che al suo interno dimorasse una presenza maligna che le stesse portando via la ragione. Odiava tutto, odiava i ragazzi in particolar modo. Era sottilmente perfida e provocatrice.Se la prese con Pivot, in particolare.Pivot era un ragazzo alto, forse il più carino della classe. Adorava il basket e quell’anno andava maluccio, catturato come sempre da compagnie sinistre che intuivamo soltanto.- Io ti rovinerò… - gli disse una volta, digrignando i denti.C’era da scommettere che l’avrebbe fatto.- Quella lì farà una brutta fine - mi disse Pivot, alla fine di quella lezione, con sguardo perso ma determinato.Non lo presi sul serio.

 

Quando Novembre incombeva, Tiziana mi fermò al termine di una lezione, chiedendo di potermi parlare. Quasi temetti l’argomento.Uscimmo insieme dalla scuola e sperai che Canguro non ci vedesse insieme. La accompagnai a casa con la Mini.Partì da lontano, con domande insulse, ma presto o tardi arrivò al dunque.- Che cosa pensa Canguro adesso di me? Etc. Etc. Etc.In pratica la ragazza si cospargeva il capo di cenere, ammetteva di essersi fatta “coinvolgere” dal clima di agosto, riconosceva di aver fatto una cazzata.E voleva tornare con lui.Mi chiedeva di parlargli. Erano gli anni ‘80... A vuole stare con C e parla con B perché faccia da tramite.- Glielo dirò - le dissi guardando altrove, mentre scendeva dalla macchina.La disprezzavo, e ancora di più mi dava fastidio il pensiero di essere usato.Non dissi mai nulla al mio amico. Forse sbagliai, ma sapevo che lui la amava ancora tanto e lei, calpestatolo una volta, non avrebbe più avuto remore a farlo di nuovo.In quanto a Valentina, dopo mesi trascorsi a guardarmi in cagnesco, si era trovata un nuovo fidanzato, un biondino di Terza che tutti chiamavano “il Greco”. Da lì in avanti, fu tutto un tentativo di farsi scorgere negli intervalli dal sottoscritto.Baciava e guardava. Guardava e baciava.Sette lettere bastavano e avanzavano per lei.Soltanto dopo qualche mese confidai a Canguro della conversazione avuta con Tiziana e di quanto mi avesse chiesto. Fu quando lui mi rivelò che Valentina aveva avuto lo stesso discorso con lui, chiedendogli quanto sarebbe stato possibile tornare con me.E anche lui aveva taciuto, così lei aveva inseguito il Greco.Andammo su tutte le furie e non ci parlammo per quasi una settimana.In realtà credo che ognuno ce l’avesse con se stesso perché sapeva bene che avrebbe rischiato di ricascarci. Quello che non accadde fu un bene.

 

Non avevo più nessuno per la testa, tranne la ragazza non-mi-guarderà-mai, che, per quanto avessi cercato di nascondere, forse avevo avuto in mente sin dall’inizio.Non dimenticavo il suo volto sull’ultimo disegno, non potevo farne a meno.Erano i giorni in cui un curioso Lp, che avevo comprato quasi per caso, risuonava spesso sul piatto del mio hi-fi. Lo avevo comprato attirandomi le ire dei compagni puristi, ma Actually dei Pet Shop Boys, era un portento. In particolare, oltre a It’s a sin, What have I done to deserve this? e Rent, anche la ritmata Heart.

Every time I see you,Something happens to me,Like a chain reaction, between you and me,My heart starts missing a beat, my heart starts missing a beat, every time.

 

Certo, il mio heart, started missing a bit, ogni volta che vedevo la ragazza Non-mi-guarderà-mai.E così capitò di sorpresa, una sera al Bowling.Ricordo il momento in cui, chino sul tavolo verde, dovevo spingere in buca la palla arancione mezza piena. Mi bloccai, lo sguardo spalancato su chi stava transitando verso l’uscita.- Che fai? Non tiri? – mi domandò Lloyd.- Yuhuuu? C’è nessuno? – insistette Mafia.Nessuna risposta da parte mia e anche loro si girarono.Non-mi-guarderà-mai stava uscendo dal locale. Un ragazzo al suo fianco, mano nella mano.Per un attimo i nostri sguardi si incrociarono e lei parve bloccarsi e mutare di espressione.Poi proseguì verso l’uscita.Il silenzio imbarazzato durò tantissimo.- Tripla merda! – esclamai. Quindi lasciai partire un colpo rabbioso.La palla bianca mancò clamorosamente la mezza piena e andò a schiantarsi in fondo a una delle buche.- Quadrupla – osservò Mafia.Mi ritrovai col cuore svuotato e con la palla beffardamente in buca.

 

- Ecco qua! - Uovo gettò un plico di fogli sul tavolo di casa di Canguro.Sapevamo che la sua mente analitica, quando non veniva preso per i fondelli, era la più adatta per andare fino in fondo alle ricerche.- Ho impiegato due giorni per individuare il periodo. Stavo quasi per abbandonare la ricerca e mandare al diavolo tutti i microfilm della biblioteca civica…Lo ascoltavamo mentre parlava con fare teatrale, abile prestigiatore che per la prima volta aveva l’attenzione rispettosa di tutti.- Poi ho pensato che stavo cercando qualcosa di sbagliato. Cercavo qualcosa che avesse a che fare con un omicidio, qualcosa che parlasse della nostra scuola… Avevamo torto, guardavamo le cose dal punto di vista sbagliato.Uovo alzò il sipario sulle fotocopie dei microfilm del giornale. Ci sporgemmo in avanti in contemporanea, fissando il titolo nero e sbavato.- CONTINUANO LE RICERCHE DELLA RAGAZZA SCOMPARSA – poco sotto la foto indistinguibile di una giovane sorridente.L’articolo parlava della scomparsa, avvenuta da qualche giorno, studentessa del nostro Liceo, classe IIIE, aula 5. Lessi le iniziali. G.G, la seconda non era una K, come avevo frainteso, cercando di interpretare i disegni.Non aveva più fatto ritorno a casa, dopo il termine delle lezioni e nessuno l’aveva più vista. Si ignoravano i motivi di un possibile rapimento. Altri articoli seguivano nei giorni seguenti, la primavera del 1968 ne era stata piena. Falsi indizi, piste fittizie, testimonianze.Uovo richiuse i ritagli e pronunciò il verdetto, che non aveva avuto bisogno di camera di consiglio.- Capite ragazzi? Quella ragazza scomparve e il corpo temo non sia mai più stato ritrovato.Mi lasciai andare sulla sedia. Non potevo fare a meno di pensare al corpo che galleggiava.- L’hanno affogata… - dissi.- E ora che facciamo? – chiese Mafia.- Abbiamo due possibilità – Lloyd stava tamburellando sul tavolo con una penna – O cerchiamo di capire qualcosa da questa storia, ma non siamo detective, o… - mi guardò – O lasciamo perdere tutto. Ma credo che in questo caso sarà lei a non lasciare perdere te.Fissai il vuoto, sentendomi incastrato nel nulla.

 

La cosa che traballare di esaltazione i nostri pensieri, poco prima di Natale, furono i tre giorni di autogestione che si sarebbero tenuti poco prima delle vacanze.Era facile prevedere come sarebbe andata a finire. Un quarto degli alunni a limonare nel seminterrato, un altro quarto a cercare qualcuno/a da trascinare nello stesso seminterrato, un quarto assente e un piccolo quarto a seguire le attività di autogestione.In realtà tutto venne preparato con cura: venne istituito un servizio d’ordine autogestito, fu organizzato l’immancabile torneo di calcio in palestra e soprattutto, venne istituito un inaspettato “Festival della canzone”, da tenersi nel grande auditorium sotto la palestra, che sarebbe stato riaperto per l’occasione.Le regole erano semplici: ogni classe avrebbe potuto iscrivere un gruppo di musicisti (oppure un solista) e presentare una canzone (inedita o conosciuta), che sarebbe stata valutata da una apposita giuria (professori inclusi). Pochi premi e tanta gloria.Mi dedicavo allo studio della chitarra da tre anni, dei quali il primo svogliato. Alla fine però ero diventato bravino, sebbene con molti limiti. Così mi ero regalato, con sudati risparmi, una chitarra da favola, una Fender Stratocaster, che in mano mia faceva la figura di una Ferrari guidata da un neopatentato.Molti compagni di classe erano musicisti o aspiranti tali, ma per pigrizia non avevano avuto voglia di organizzarsi in qualcosa di serio.Spinsi per la partecipazione quando seppi che anche la classe di Valentina aveva un suo complesso, del quale il chitarrista era il famigerato Greco, proprio il suo ragazzo.Fu così che fecero il loro trionfale ingresso i Walking shadow, il nostro gruppo, di shakespiriana citazione. Ci ritrovammo il sabato sera a casa di Mafia. Tutto sembrava ok: Canguro sarebbe stato il batterista, Pera si sarebbe occupato del piano, Uovo, Dio ci avesse in Gloria, delle tastiere, Mitraglia della chitarra ritmica, io di quella solista (che Dio ci riavesse in Gloria), Mafia ai cori (!) e Lloyd forzosamente voce solista.Tutto molto bello. Il giovedì mattina però ci sarebbe stata la giornata inaugurale e noi non avevamo la più pallida idea di che cosa suonare.

 

Una situazione drammatica.- Io mi vergogno a cantare di fronte a 300 persone!!!- Ma se non sappiamo neanche cosa cantare!- Cantiamo Il rock del capitano uncino!- No, Perdere l’amore!- Si, buonanotte, Grazie dei fiori!- Venditti! - Barbarossa! - Carboni!Mi veniva voglia di suicidarmi. Non avevo voglia di fare il menestrello giulivo e, quando stavo per andarmene, mi voltai verso di loro, la rabbia triste giusta. Non so come mi venne in mente quella canzone. Forse proprio perché era tristemente rabbiosa.- Conoscete A man I’ll never be dei Boston? Non fui io a scegliere. Fu quella canzone che scelse noi.

 

Non avevamo tempo. Chiedemmo al preside il permesso di provare nell’auditorium della classe e furono tre giorni frenetici, nei quali quasi rinunciammo a studiare. Non che ci pesasse.A man I’ll never be era un pezzo esaltante, che solo io e Canguro conoscevamo. Il lunedì ci dannammo l’anima, ascoltandolo e riascoltandolo e ognuno di noi provò separatamente il proprio pezzo. Ero esaltato dal potermi cimentare con un assolo che portava letteralmente a spasso la canzone, e nei miei sogni ero già emulo di Tom Scholtz, sul palco che sarebbe stato il nostro…, di fronte a così tante ragazze.Ma alla resa dei conti tutto franò. Tutto era troppo compitino, troppa la paura di sbagliare. Lloyd poi, che avrebbe dovuto essere il nostro Front Man, cantava quasi pregando che la canzone terminasse in fretta, io facevo errori in serie, Canguro sembrava ritmasse un walzer e Uovo pareva pestare i tasti come quelli di un organo di una cattedrale.Andammo avanti tra tensioni crescenti, fino a quando il pomeriggio del mercoledì, dopo una versione moderatamente penosa, della canzone, udimmo qualcuno fare - Tzk Tzk - nel buio della sala deserta.Non eravamo soli. Qualcuno ci aveva ascoltato. Udimmo i suoi passi lenti avvicinarsi e trattenemmo il fiato.Sbucò come un’ombra nella luce del palco.Era Pelato, il professore di Filosofia.

 

- Non ci siamo, ragazzi, lo dovete fare con più passione! Questa è una canzone d’amore… Siete mai stati innamorati, maledizione?? Mi sfilò la chitarra e mi fece sentire come andava suonato un certo passaggio.Eravamo a bocca aperta. Pelato, che avevamo, preso in giro per anni, non era quello che sembrava.- Ma.. Professore… lei conosce questa canzone? Sa suonare?- Cosa credete? Che io non sia stato giovane? - ci lasciò come statue di sale - E ora diamoci da fare, non abbiamo molto tempo. Buon per voi che vengo qui a leggere di nascosto al pomeriggio. Sono ore che vi osservo, non ve ne siete neanche accorti… In pratica fate schifo, ma si può migliorare.

 

Cominciò a prenderci sotto la sua ala protettiva ed in quei due giorni suonammo quella canzone di fronte a lui mille volte…

If I said what’s on my mind…, you’d turn and walk away,Disappearing way back in your dreams…

- No Lloyd, così non ci siamo ancora…! Giovedì qui sotto sarà pieno di ragazzine. Devi aggredire quel momento! Non devi essere passivo…Lloyd cambiò totalmente, sotto l’inaspettato incoraggiamento di quell’uomo che avevamo sottovalutato. La sua voce si fece viva, passionale, sofferta.Il giovedì Pelato disse che la canzone, per essere completa, avrebbe dovuto essere scenograficamente significativa. Si assentò e ritornò alcune ore dopo, quando noi, stravolti, stavamo ancora provando. Lui e un paio di amici trasportarono una macchina per il ghiaccio secco accanto al palco, installarono un aggeggio per il vento, armeggiarono con consolle e le luci. Ci sembrava di sognare.L’ultima prova fu alle 23 e mi parve meglio del solito, ma non ancora perfetta.- Ce la farete - disse Pelato, prima di andarsene – Domani vi voglio in forma. Lloyd andò a casa a dormire, mentre tutti noi telefonammo a casa per dire che ci saremmo fermati a scuola, per provare fino all’ultimo istante.Prendemmo sonno alle 3 e ci sdraiammo tra le file di sedili. Dormii abbracciato alla mia Fender, sognando che fosse Non-mi-guarderà-mai, che forse sarebbe stata lì di fronte, poche ore dopo.

L’autogestione iniziò il giovedì mattina. Eravamo stravolti e questo poteva far pensare a noi come musicisti maledetti. In realtà eravamo convinti di stare andando incontro a una figuraccia storica.La manifestazione iniziò e l’auditorium si riempì in breve di molti più ragazzi di quanti avessimo immaginato, professori compresi. I primi gruppi che si esibirono, non andarono oltre una scarsa sufficienza, vista l’ovvietà dei pezzi. Quando però fu il turno della classe di Valentina, capimmo subito che il Greco sarebbe stato un osso duro da battere. Era un signor chitarrista e la loro esibizione si concluse con un’ovazione, con Valentina che urlava e si sbracciava poche file più in là.Una parola di cinque lettere poteva bastare per lei.Quando però i Walking Shadow erano a cinque minuti dalla loro esibizione, ci accorgemmo con rabbia che Lloyd mancava ancora.Piombammo nella disperazione. Accidenti alla sua sbadataggine!Il prof Pelato mi si avvicinò e, con una mano sulla spalla, mi disse che avrei dovuto essere io a cantare.Io?Sì, ero in grado di farlo, ma avevo l’estensione vocale che andava da qui a qui.E poi il mio compito era quello di aiutare Lloyd nelle parti alte, come avrei fatto da solo?Salimmo sul palco tra gli applausi. I capelli lungi dietro come da moda, la camicia a scacchi fuori dai pantaloni. Era tutto perfetto, mancava solo il cantante.Stavamo per patire, quando vedemmo una figura bianca farsi largo nell’auditorium.Lloyd arrivò sul palco ancora col giubbotto bianco addosso.- Cretino! – gli sussurrai tra i denti.- Mi ero dimenticato… - strillò a microfoni aperti. Qualcuno rise.Cercai una fiala di cianuro in tasca, senza successo.Lo placai con gli occhi, pregando che non ne combinasse altre.Poi le bacchette di Canguro diedero il tempo.

Lloyd cantò bene e io potei lanciarmi nell’assolo, sottolineato dagli effetti di luce comandati dal prof. Pelato in consolle.

If only I could find a way,I’d feel like I’m the man you believe I am,It’s getting harder every day for me,To hide behind this dream you see…A man I’ll never he.

 Al termine della prima giornata risultammo essere quarti, così ci qualificammo alle semifinali del venerdì. Primo ovviamente il gruppo della classe di Valentina.Non dormimmo quella notte, tesi come eravamo.Il giorno dopo suonammo per ultimi e questa volta Lloyd si dimenticò le parole.Così dovetti suggerirgliele, staccandomi dal microfono e alternando il mio inglese con una sequenza di “cretini” impressionante.Arrivammo sorprendentemente in finale per la gioia del professore, nostro mentore.L’ultimo giorno, fummo accompagnati da qualcosa di magico.I ragazzi della scuola avevano cominciato ad apprezzare quella canzone e fummo accolti da un grande applauso che ci diede ossigeno. Lloyd questa volta non sbagliò quasi nulla. Io intravidi Non-mi guarderà-mai nel buio della sala e fu come se le mie dita si muovessero al ritmo di una forza sconosciuta.La canzone piangeva e la mia chitarra anche, offuscata dal ghiaccio secco che ci faceva sembrare tutti come ombre.All’ultima votazione scavalcammo il gruppo della classe di Valentina, nonostante Tetano, come venimmo poi a sapere, c avesse votato contro per tutta la gara.Avevamo vinto.Di quei momenti ricordo soltanto lo sguardo rabbioso di Valentina.A man I’ll never be fu il nostro sospirato trionfo ed il nostro ritorno alla vita.

 

Dopo Natale, i miei momenti di assenza tornarono a farsi sentire.Ero stanco di quella condizione, e spesso e volentieri mi ritrovavo a comportarmi in maniera strana e inaspettata. Un giorno, quando stavo per proporre ai miei amici una nuova riunione per terminare quel collage dannato, mi ritrovai, durante un’ora di lezione, di fronte alla porta che ormai conoscevo a memoria. Le mani appoggiate sopra.- Voltati – disse una voce nella mia mente. Non volevo farlo, non volevo cedere.- Voltati – disse di nuovo, più dolcemente.Mi girai. Poco più in là, la Ragazza Non-mi-guarderà-mai. Stava svoltando l’angolo del corridoio.

 

La seguii.Si era appoggiata ad un davanzale. Cercava di prendere fiato.Mi avvicinai e le fui di fianco. Non l’avevo mai vista così vicina, così angosciata.Mi vide. Impaurita fece un passo per andarsene.- Aspetta… - le dissi - La senti anche tu, vero?Si fermò in mezzo al corridoio.Non la conoscevo, ma il suo essere impaurita fu l’unico gesto di difesa prima che passassimo direttamente alla confidenza, saltando tutti i preliminari.- Che… che cosa?- La voce dagli scantinati. Non sono il solo a sentirla… anche tu la senti.Aveva le labbra contratte in una smorfia di sorpresa e indecisione, che durò un solo istante.Lessi in lei la paura per quanto avevo appena detto ed il sollievo perché qualcuno stesse facendo crollare il suo muro di angoscia.Mi avvicinai a lei, vincendo l’incredulità. Mai l’avevo vista così da vicino.- So che anche tu senti quello che sento io.Fummo complici prima di essere amici.Fummo indispensabili l’uno per l’altro ancora prima di diventarlo.

 

- Credevo di essere malata… stavo per andare da un medico…La sua voce cullava il mondo esterno che continuava a scorrere oltre le vetrate del bar nel quale ci eravamo recati quello stesso giorno dopo la fine delle lezioni.Il vento forte faceva roteare sacchetti per aria, strani festoni impazziti per festeggiare il nostro incontro.Le raccontai come tutto fosse cominciato, le parlai della nostra visita clandestina al Liceo, durante l’estate, le dissi della nostra indagine.Mai, per tutta la durata del racconto, pensò di mettere in discussione quello che le stavo dicendo. Aveva trattenuto dentro di sé troppi fantasmi e sembrava sollevata nel poterli lasciare defluire.- Quando hai capito che anche io… - domandò con stanca dolcezza.Ripensai ai miei primi momenti di assenza. A quando l’avevo intravista su di una vettura verde di fronte al Liceo, dopo la nostra fuga a rotta di collo in pieno Agosto.- Tutte le volte che… che mi capitava… quando tornavo in me c’eri tu nelle vicinanze. Ma è stato solo oggi che ho capito che eri lì… per lo stesso mio motivo.

 

Parlammo a lungo, parlammo per tutto il pomeriggio.Il tempo all’esterno, come i sacchetti, continuò a volare.- Cosa vuoi fare nella vita? Che musica ascolti?- Cosa farai dopo il Liceo?- Sei fidanzato?- No. Tu sì, vero?- Tu forse mi hai visto con un ragazzo ma… no, adesso è finita.- Ah…Deglutii senza farmi notare. - Cosa facciamo ora? – mi chiese una volta scesa dalla macchina, dopo averla riaccompagnata a casa.- Vuoi aiutarmi a scoprire la verità? – le chiesi guardandola negli occhi.Fece segno di sì con la testa. Mi abbracciò e mi baciò sulla guancia.Poi scomparve oltre il portone.Non ci conoscevamo quasi.

 

Pensai a lei per tutta la serata.Si era premurata di farmi sapere che non usciva più con il ragazzo che avevo intravisto in quella serata mentre cercavo invano di mandare in buca la palla arancione. Che cosa voleva dire?Quale diritto avevo di credere cose che potevano non essere vere?Ne parlai al telefono con Canguro.- Magari le piaci…- Fatti furbo! - risposi agganciando.Era assurdo. Mi sembrava impossibile che qualcuno potesse provare attrazione per me. Ed io non volevo, maledizione. Non volevo illudermi e… e non volevo più innamorarmi.

 

Dopo quel giorno cominciammo a frequentarci.Ci faceva piacere anche soltanto incontrarci per chiederci – Come stai?Le ore che mancavano all’intervallo scorrevano più lente ed era bello vederci sbucare dalle rispettive classi, rassicurati reciprocamente dalla nostra presenza.Era diventata la mia Complice, come la chiamai da quel momento.Le chiesi di uscire, spesso con i miei compagni, qualche volta al cinema.Le nostre rispettive classi spettegolavano, ma forse ci bastavamo per noi stessi e per il nostro segreto.Mentivo a me stesso, il mio cuore palpitava per la sua presenza a volte silenziosa, che spazzò via tutte le Valentine di questo mondo.

 

Per un po’ il tempo parve addormentarsi così.Le cose in classe scorrevano verso l’esame di giugno.Tutti ce la cavavamo benino, tranne Pivot.Non studiava ed occupava il tempo trascinato dalle ambigue compagnie del suo quartiere. Ogni giorno sembrava sempre più lontano e quando, sotto il peso di insufficienze gravi ed estese, si decise a chiedere il nostro aiuto per tornare in carreggiata, ci augurammo che non fosse troppo tardi.Sapevamo bene che il suo cielo era oscurato da una cappa oscura di nome Tetano.

 

Per qualche tempo io e la mia Complice sperammo di essere usciti ad abbandonare i nostri fantasmi.Durante un intervallo però, nel quale stavamo camminando parlando di noi e dei nostri progetti futuri, intravedemmo con la coda dell’occhio qualcosa di sinistro.Ci fermammo. La figura scura strisciava contro il muro.Passava accanto a ragazzi, insegnati, e nessuno si accorgeva di lei.Soltanto noi, impietriti potevamo vederla, fino a quando non scomparve lungo le scale.Le strinsi la mano inavvertitamente mentre tornavamo in classe.Avevamo bisogno di conforto reciproco e sapevamo di non poter sfuggire al nostro destino.

 

Quella sera stessa, a casa di Lloyd, con la mia Complice presente, completammo la storia dei disegni.La sequenza parlava da sola, stesa sul lungo tavolo. Lui e lei, l’incontro, la felicità. Poi le mani di lei sul grembo, litigi, rancori, incomprensioni. Tutto era chiaro in quel film. Ancora le mani di lei sul suo grembo cresciuto, altre scene nel liceo. Pianti e disperazione. Fino al drammatico finale. L’uomo che le teneva la testa sotto l’acqua, lungo il corso del fiume.C’era stato un bambino. Lui non lo voleva. E l’aveva uccisa.Chi era quell’uomo? Come avremmo fatto a seguire la voce che ci stava chiedendo aiuto?

 

Decisi di portarla nel luogo che continuava ad attirarci.Attesi la fine della sua lezione pomeridiana di ginnastica e ci nascondemmo al piano superiore della palestra. Attendemmo che tutte le compagne se ne fossero andate, quindi tornammo al piano terra e ci infilammo nel tunnel che collegava la palestra al Liceo, così come avevamo fatto io e Lloyd l'estate precedente.Questa volta non ci furono problemi di visibilità, le luci erano accese, ma per sicurezza avevo portato con me una torcia.Percorremmo il lungo corridoio insieme, temendo di vedere sbucare l'ombra nera oltre l'angolo.Era la prima volta che ci trovavamo soli con noi stessi. Potevamo sentire i nostri respiri, sincronizzati sullo stesso ritmo ed emozione.Quando fummo davanti alla porta, inserii la chiave nella serratura.La faccia da bravo ragazzo di Canguro, che aveva distratto l'addetta alla segreteria, aveva permesso alle chiavi di scivolare nella mia tasca durante la mattinata.Crack - un colpo secco sbloccò il meccanismo e ci fece sobbalzare.La porta si spalancò. L'ignoto di fronte a noi. Accesi l'interruttore che sapevo essere sulla sinistra.Scendemmo tenendoci mano nella mano.

 

- E' tutto come quella volta - le spiegai. Le sedie erano ancora spostate. Mi chiedevo se qualcuno avesse messo piede lì sotto da agosto. Le indicai l'armadio dove avevamo ritrovato la cartellina, le raccontai della nostra fuga precipitosa quando avevamo udito un rumore.La mia Complice restava all’inizio della scala, tenendosi le braccia. La presi per mano e la portai con me nei pressi del tavolo. Tutto era ombre e silenzio, solo i nostri cuori riempivano il silenzio del locale.- Senti nulla? - le chiesi facendo attenzione a ogni più piccola ombra che intravedevo.- Niente… E tu?Assolutamente nulla. Quella sera chi ci aveva attirato in quel luogo, aveva deciso di tacere.- Cos’è quello? - chiese la mia Complice indicando un cartoncino che sbucava da sotto uno scaffale?Riconobbi la macchia nell’angolo in basso a destra e ricostruì quello che doveva essere successo. Al momento della fuga mia e di Lloyd, un disegno doveva essere caduto dalla cartellina…Lo raccolsi con il cuore in gola. Proprio in quel momento però realizzai che sotto il disegno si trovava un altro foglio di carta.Era una busta. C‘era un nome sulla busta.Ignoravamo chi fosse.La aprimmo famelici e cominciammo a leggere alla luce di quella debole lampada.Amore mio…Arrivammo al fondo col cuore in gola.Poi scossi la testa… - Mio Dio, dissi.Mi chiesi da quanto tempo quella lettera, che non era stata consegnata, giaceva sotto quello scaffale. Se era già stato scritto che io e Lloyd, venti anni dopo, le avremmo lasciato cadere un disegno sopra.Incontrai gli occhi della ragazza e le dissi che dovevamo andarcene. Ora le tessere del puzzle sembravano riflettere di una luce inaspettata.- Che cosa c’è nel disegno? - mi domandò.- Forse e meglio che non…- Fammi vedere…Voltai il disegno.La luce della lampada lo illuminò nella sua interezza.Nel disegno io e lei eravamo nel vortice di un bacio appassionato.

 

Tornammo nel seminterrato, quindi chiusi a chiave.Facemmo qualche passo. Lento.Sentivo il suo respiro controllato tagliare in due l’aria.Cercai di deglutire in silenzio.Camminavamo verso la scala, sempre più lenti.La presi per mano, la mia sinistra nella sua destra e percepii la sua forza.Ci fermammo nei pressi di un davanzale in quel luogo pieno di silenzi, lo sguardo basso, le mani nelle mani.Un istante più tardi e nostre labbra si incontrarono a metà strada tra noi due, con dolce irruenza.Sentii in lei una passione familiare e accogliente, benché intensa.Era la mia stessa passione che si specchiava in quel gesto così semplice.Ci baciammo con passione a lungo, non so dirvi quanto durò. Lo volevamo da una vita, forse.Le accarezzai le guance, la baciai sul collo.Quando ci staccammo avevamo compreso che avevamo bisogno l’uno dell’altro.

 

Decidemmo di tacere con gli amici a proposito del contenuto della lettera, finché non fossimo certi dell’identità del destinatario. Avevamo sbagliato tutto, non avevamo capito nulla. Avevamo guardato la storia con occhi sbagliati.Il giorno seguente, alla campanella dell’intervallo, uscimmo entrambi di corsa dalla classe e ci gettammo l’uno nelle braccia dell’altro. Ora tutta la scuola poteva sapere, ed i miei punti potevano salire quanto volevano. Non aveva importanza. Non c’era graduatoria o ammirazione che potesse ripagare una sensazione di pienezza come quell’abbraccio che aveva il sapore dell‘amore.

 

Lasciammo trascorrere qualche giorno, la primavera ormai avanzava spedita e non mancavano più di due settimane all’Esame.Un pomeriggio mandai la Complice, a spulciare di nascosto negli archivi del Liceo del seminterrato.Non fu difficile risalire al 1967. Sperai fino all’ultimo che le nostre supposizioni fossero sballate o campate in aria. Ma quando lei uscì fuori dall’archivio, compresi dalla sua espressione che al nome della lettera era corrisposto il cognome che temevamo.Mantenemmo il segreto fino a sera, quando rivelammo la verità e il nome della persona che stavamo cercando a Canguro e Lloyd, le persone delle quali mi fidavo di più.Eravamo a casa di Lloyd, lontani anni luce da Parola Mia trasmessa in Tv, da Valentina nuda nel suo appartamento. Stava arrivando la nostra Maturità.- E’ incredibile… disse Lloyd, di fronte alla verità.Canguro scosse la testa - Cosa vogliamo fare, ragazzi? Il gioco diventa pericoloso…Nessuno rispose. Sapevamo che affrontare quella persona non avrebbe portato a niente.Presi per mano la mia Complice. La amavo e non volevo che le succedesse nulla.Sapevo bene che non potevamo rimandare quella decisione in eterno.La ragazza del 1967 ci aveva cercato e l’amore era stato il nostro premio.Non potevamo più rifiutarci di aiutarla.

 

Durante gli ultimi giorni di scuola, assistetti Pivot passo passo. La sua ammissione all’esame sarebbe stata decisa dall’ultimo compito in classe di Scienze. Tetano contro di lui. Trascorremmo tre giorni buoni a ripassare. Lui sapeva tutto. Era preparatissimo ed il giorno del compito confrontammo i risultati con fiducia. Erano gli stessi, erano giusti.Pochi giorni dopo però, quando Tetano riconsegnò i compiti, quello di Pivot era marchiato con un 4 rosso.Il nostro amico protestò, ma la Beffarda si mise a ridergli in faccia, assicurandogli che non sarebbe stato ammesso all’esame.Afferrai il foglio. I risultati erano stati sovrascritti in modo che fossero sbagliati! Era stata lei, a bella posta. Pivot era incredulo. Nessuno di noi poteva credere una cosa simile, ma era la sua parola di insegnante contro la nostra.Gliel’aveva promesso. Lo avrebbe rovinato.Così fu, Pivot non fu ammesso all’esame.Lo cercammo per due giorni, e poi lo ritrovammo nelle vie del suo quartiere.Aveva bevuto, ma il suo sguardo era sereno.Eravamo amici. Lo abbracciammo e lo riportammo a casa.Pensammo che prima o poi Padreterno avrebbe regolato i conti con Tetano.

 

Venne la fine dell’anno scolastico, vennero gli scritti.Il giorno della prova scritta di matematica fu l’ultimo nel quale Canguro vide Tiziana.Credo che l’avesse amata con tutto se stesso e che una parte della sua vita se ne fosse andata quel giorno quando a Lecce aveva dovuto prendere il treno per il ritorno.Ebbi notizie in seguito di lei.Aveva continuato a frequentare il suo amico grezzo con la Aro Ischia.L’estate seguente, lui aveva finalmente ottenuto quello che voleva da lei, poi l’aveva mollata il giorno seguente.Sapete, alle volte il tempo sa essere più spietato della vendetta.

 

Tre giorni notti prima della prova orale, terminai “Il nome della Rosa”.Restai a lungo sdraiato con la luce accesa, andando con la memoria al momento in cui Guglielmo da Baskerville incontra il colpevole, nella libreria.Quali parole aveva pronunciato?- Felice Notte, venerabile…Quelle parole cominciarono a martellarmi la mente.Ne parlai il giorno seguente, con la mia Complice.- E’ uno dei miei libri preferiti - disse - L’ho letto due volte e ogni volta che lo faccio mi sembra salti fuori qualcosa di nuovo.Avevamo accostato la Mini sulla riva del fiume, poco prima di un’ansa, poco fuori città.Era la prima volta che ci recavamo in quel luogo, quasi mi sembrò che la macchina ci avesse condotto da sola.Mi guardò per un po’, poi mi domandò dubbiosa - Hai qualcosa in mente?Feci spallucce, negando. Restammo abbracciati tutto il giorno in barba allo studio.Prima di cena la riaccompagnai a casa. Dissi che almeno la sera era da dedicare all’esame in vista.Lei annuì. La strinsi forte, come se non dovessi più rivederla.Poi me ne andai. Imboccai la strada verso casa, ma presto svoltai verso un indirizzo che mi ero appuntato su un foglio. Posteggiai distante, scesi dalla macchina e mi infilai oltre il portone. Presi dalla tasca un biglietto che avevo preparato.Avevo scritto: ti aspetto dove ci incontravamo tanti anni fa. Questa sera alle 23. Non mancare.Come firma il nome della ragazza del 1967.Ebbi un ultimo ripensamento, poi lo infilai nella buca e corsi fuori.Appena in tempo.Lui stava arrivando lungo la via. Non mi vide. Mi nascosi per sincerarmi che aprisse la buca e leggesse il biglietto.Così fece. Corsi via, e me ne andai in macchina.Feci un salto di un paio d’ore a casa, ma non fui in grado di studiare, benché i miei fossero fuori Torino.Dopodiché ripresi la macchina e mi diressi al Liceo.Posteggiai distante. Scivolai lentamente dentro l’inferriata e di qui nella Palestra.Di lì mi feci largo nel buio, verso il seminterrato del Liceo.

 

Fu il buio illuminato dalla mia torcia. Fino allo scantinatoLa porta era socchiusa. Mi misi a tremare.La aprii e accesi la luce.Nessuno all’interno. Quella porta socchiusa era un cattivo segnale. E se il mio ospite fosse stato già dentro?Richiusi la porta e scesi con la pelle tesa e pronta a scattare.Quello che avevo fatto era una follia, ma non avevo avuto scelta.Mi sedetti al tavolo, la torcia spenta tra le mani. Mancavano tre minuti alle 23.Fu un attimo. Un fruscio alla mia destra, tra gli scaffali.Un’ombra nera. C’era qualcuno.Scattai in piedi ed alzai la torcia per colpire.Vidi l’ombra entrare nel cono di luce e gridare - No!Era la mia Complice.

 

- Cosa fai qui? - gridai - Come hai fatto a…Il suo sguardo era triste e sincero.- Credevi che non avessi capito? Oggi quando mi hai parlato del finale del Nome della Rosa… in una libreria buia… Ho capito cosa avevi in mente… Non volevo lasciarti da solo. Perché non mi hai detto nulla?Le gettai le braccia al collo, commosso.- Perché ti amo - era la prima volta che glielo dicevo - Perché non volevo che tu fossi in pericolo, che tutti noi… Volevo risolvere la cosa da solo e…Uno scatto dalla porta del seminterrato.- Nasconditi... Nasconditi... ! - Sussurrai - sta arrivando! - Se le cose si mettono male, dagli una botta in testa e scappa! - le passai la mia torcia, la spinsi nello spazio dietro uno scaffale e mi sedetti al tavolo.Cominciai a pregare, sottovoce.

 

La luce tremolava sotto i passi pesanti e lenti che scendevano dalle scale.Non poteva vedermi, poteva solo intravedere le mie gambe allungate sotto il tavolo e soltanto allora mi resi conto del pericolo che stavo correndo e nel quale avevo trascinato anche la mia Complice.Aveva le mani affondate nella giacca e Dio solo sapeva cosa nascondesse lì dentro.Si fermò sul limitare del cono di luce della lampada.- Felice notte, Professore… - dissi sforzandomi di mantenere ferma la mia voce.Vidi la sua espressione triste e stanca.Sapevo bene chi fosse.Era “Pelato”, il professore di Filosofia.

 

Il professore armeggiò con qualcosa che aveva in tasca.Poteva essere un attimo. La mia incoscienza valeva quattro soldi.- Mi dispiace che sia stato tu… - sospirò. - Anche a me, prof… - replicai pacato.Entrò nel cono di luce e si sedette sulla sedia.Era stravolto. Faticavo a immaginare che fosse lo stesso ragazzo immortalato nei disegni a carboncino.Ricordavo di aver pensato, l’anno precedente, che il professore doveva essere un ex hippy, che aveva insegnato lì da sempre. Era vero Insegnava nella nostra scuola già nel 1967, come avevano confermato le ricerche della mia Complice.La lettera che avevamo ritrovato portava il suo nome sopra.Mi sforzai di rimanere calmo.Il prof. fissò un immaginario punto lontano, senza mai togliere le mani dalle tasche.- Io… non l’ho uccisa…- Lo so… - dissi sospirando - Fu lei a togliersi la vita. Avevo guardato le cose in modo sbagliato sin dall’inizio.Mi venne in mente il disegno dell’uomo che spingeva sott’acqua la ragazza.Che idioti eravamo stati. Non la stava spingendo.Stava cercando di salvarla. - Non l’ho mai dimenticata. Non sono mai riuscito a perdonarmi…- Sente anche lei la sua voce? - domandai.Pelato tremava - Sì... Lei mi parla. Non ho mai voluto trasferirmi perché so che lei è qui…Tirò su col naso - Era molto giovane…- Lei professore insegnava già qui, vero?- Sì - annuì l’uomo - Poi lei rimase incinta e… e io volevo tenere il bambino, ma lei non ne voleva sapere.Disse che non poteva più aspettare, che sarebbe andata ad abortire, ma io… io cercai di impedirglielo, gli dissi che l’avrei lasciata… Lo feci la lasciai, dopo l’intervento.Un giorno dopo una lezione trovai un suo biglietto in sala professori. Diceva che in questo scantinato, dove eravamo soliti incontrarci, avrei trovato una lettera. Scesi qui, ma non la trovai. Qualcuno aveva messo in ordine e chissà dove era finita… Persi tempo prezioso. Corsi al fiume, dove trascorrevamo i momenti liberi e…Pelato tirò nuovamente su col naso.Il fiume - pensai - il luogo dove quel giorno la macchina ci aveva portati da sola.Ripensai anche alla lettera di addio, che era scivolata sotto uno scaffale, dove era rimasta per 20 anni.Quella che ci aveva fatto capire tutto. Che aveva confermato i miei sospetti, nati quando avevo visto che il giovane uomo dei disegni aveva spesso una chitarra accanto a sé.- La trovai lì, nell’acqua - proseguì - Provai a salvarla, tentai di rianimarla. Ma era tardi. Ero disperato ed ebbi paura. La rimisi in acqua e lasciai che la corrente la portasse via. Non me lo sono mai dimenticato. Non trovarono mai il corpo.Il prof tornò alla realtà e si fece duro. Armeggiò nuovamente con qualcosa nella tasca, poi mi chiese:- Perché hai fatto tutto questo? Cosa vuoi, soldi? Io non ne ho…Lo ha fatto perché gliel’ho chiesto io.Una voce aveva parlato. Una voce di donna.Trattenemmo il fiato.

Amore mio…

La voce riprese a parlare. Mi voltai verso la mia Complice, tra i due scaffali. Era lei a parlare, come in trance, lo sguardo perso.Ma la voce non era la sua.

Amore mio, perdonami…

Soltanto allora compresi che la ragazza del 1967 aveva avuto bisogno di tutti e due.Di me per arrivare alla mia Complice.Per avere una voce sensibile, con cui chieder perdono al suo amore.Di due persone sensibili, che potessero comprenderla.Due persone la cui ricompensa sarebbe stato l’amore.

Amore mio, perdonami se me ne sono andata, è tanto tempo che voglio dirti queste cose… Volevo dirti Ti amo ancora una volta...

Deglutii a fatica mentre udivo quelle parole di rimpianto da un tempo lontano. Soltanto allora, vedendolo singhiozzare, compresi quanto fosse stato grande il rimorso del professore.Quando la voce ebbe finito di parlare, mi alzai e mi diressi verso la mia Complice.- Cosa è successo? Non ricordo… - disse, uscendo dallo stato di trance.- Vieni… - la presi sottobraccio. Passai accanto al professore. Aveva la testa china.Tolse la mano dalla tasca e posò sul tavolo una foto sgualcita di una ragazza.Era stata bellissima.Quasi sembrava sorriderci in modo tenero e amaro.

 

Quella notte le chiesi se volesse venire da me, ero da solo in casa. Lei annuì con dolcezza.Salimmo le scale senza bisogno di parlare.Ci ritrovammo l’uno di fronte all’altro con la voglia di essere una cosa sola.Lei si filò via la maglietta, e poi fu solo qualcosa a cui abbandonarsi.Quel momento era arrivato anche per noi.

 

Probabilmente sognai, inquieto.Al mattino mi risvegliai con un sobbalzo.Lei se ne era andata. Avevo sognato tutto.E’ terribile fare il log-in col mondo e caricare nel tuo sistema operativo un’assenza che fa a pugni con i tuoi sogni.Allungai una mano di lato, sapendo di scontrarmi col niente della mia solitudine.Incontrai il suo corpo caldo.Lei era lì, con me.Era tutto vero, non se ne era mai andata.La abbracciai, assonnata, e lei ricambiò sorpresa.Se mai esisteva un momento per far finire il mondo, quello avrebbe potuto essere l’istante giusto.

 

Maturità.Cos’era mai? Un voto in sessantesimi, risultato di nozioni su di una cultura persa nel tempo?O svegliarsi di fianco alla ragazza che amavi?Qualcuno me lo spieghi.

 

Dopo due giorni sostenni l’esame orale, il tutto si sarebbe risolto in un buon 50/60.Il giorno in cui vennero affissi i tabelloni con i risultati, noi compagni di classe ci rincontrammo per l’ultima volta. Vidi Lloyd e Canguro, ai quali avevo raccontato la fine della nostra avventura. Vidi da lontano Pelato. Ci guardammo sottintendendo i nostri segreti. Vidi la perfida Tetano, all’ultimo giorno di lavoro.Uscendo e fatti pochi metri, incrociammo Pivot.Aveva un’aria strana e non ci salutò neanche.Le mani affondate nelle tasche, il volto sicuro e sorridente.

 

Ce ne accorgemmo dal trambusto, dalla gente che correva e dalle sirene che accorrevano dal vicino ospedale.Tetano.Pivot l‘aveva aspettata all’uscita da scuola, le aveva sorriso e le aveva sparato ad entrambe le ginocchia.In molti l’avevano vista contorcersi incredula, giù per gli scalini, gridando disperata nella sua pozza di sangue, sotto il peso dello sguardo stanco di Pivot, che si era seduto guardandola con divertita indifferenza, dopo aver gettato la rivoltella a terra.A quanto ne so Tetano trascorse il resto della sua vita trascinandosi su di una carrozzella a rotelle. Tentò di ritornare ad insegnare, ma a quel punto qualcuno disse basta.So che esistono dei limiti. Ma non ho mai provato pena per lei.Pivot trascorse otto anni di galera dopo quell’episodio.Negli anni ho ripensato spesso al nostro incontro.A come forse avremmo potuto fermarlo.Ma sono discorsi fatti d’aria.Mentre stazionavamo nel capannello di persone, tra luci e sirene, quel giorno, intravedemmo una figura scura lungo il muro esterno. La vedemmo entrambi.Qualsiasi cosa fosse stata l’ombra, non se ne era andata con la risoluzione del mistero.Fu l’ultima volta che la vedemmo.

 

Trascorremmo l’inizio di quell’estate tutti insieme, Canguro, Lloyd, Mafia, Uovo, Mitraglia, io sempre stretto alla mia Complice, e tutti quelli che erano stati i protagonisti di quella grande amicizia, quasi a voler prolungare il soffio di vita che ci aveva avvolto.- Perché sei triste? - mi chiese la mia Complice un giorno di fine luglio.Eravamo abbracciati tra le lenzuola, passando le dita sul nostro profilo quasi per impararci a memoria.- Perché parti - risposi sincero. Non volevo fare commedie, non sarei stato capace di mettere a tacere la preoccupazione per quanto avvenuto l’anno prima. La bellezza di quell’amore era il timore di poterlo perdere. Quasi lessi la stessa paura nei suoi occhi, solitamente allegri.- Qual è il problema? - poggiò le labbra sulle mie - Come fa quella canzone? Never say goodbye, vero? - mi chiese sorridendo

 

Due colpi di batteria, poi altri due secchi e veloci. Quindi la chitarra languida che si lancia nel riff.Così inizia Never say goodbye di Bon Jovi e così la nostra storia volge verso l’epilogo.

As I sit in this smokey room The night about to end I pass my time with strangers But this bottle's my only friend

 

Never say goodbye…Never say goodbye…You and me and my old friends, hoping it would never end,…say goodbye…Never say goodbye…Holding on we got to try…Holding on to never say goodbye!

 

L’ultima sera la riportai a casa.Non c’era bisogno di dire altro, oltre alle cose che non c‘era bisogno di dire.Scendemmo dalla macchina mentre ancora risuonavano le note della canzone.Deglutii senza farmi vedere. La lezione di Canguro aveva insegnato qualcosa.Ci dicemmo Ti amo con gli occhi.- Fai il buono, Ombra - mi disse.Cambiai espressione, mentre lei si stava allontanando verso il portone di casa.- Ombra? – titubai alzando la voce per farmi sentire – Perché mi hai chiamato Ombra?Si voltò sorridendo, continuando a camminare al contrario, allargando le braccia.- E come dovrei chiamarti? Giovanni? E’ il tuo soprannome…! Te ne sei dimenticato?Rideva divertita, pensava scherzassi. Si voltò e la vidi andare via.Poi scomparve dietro il portone.

 

Ombra.Mi chiamavano OmbraTutti avevano un soprannome e anche io ne avevo sempre avuto uno.Me ne ero completamente dimenticato.O forse non volevo ricordarlo.Era il tassello mancante.Ecco chi era l’ombra.Mi sposto strisciando in questo tempo che non è più il mio.Amo visitare i miei ricordi per riassaporarli e vedo la mia figura riflessa sui vetri polverosi.Un’ombra nera indefinita, con due occhi che invidiano quei ragazzi.Un’ombra persa in un tempo che non è il suo.Ogni tanto mi sembra ancora di respirane l’eco dello spirito, mentre mi sposto in questi corridoi eterei.

 

- Cosa fai? – chiesi ridendo a Lloyd- Annuso l’aria, non vedi? - era una sera in montagna, pochi giorni dopo la partenza della mia Complice per il mare e stavamo attendendo di osservare uno spettacolo pirotecnico in lontananza.Lui era buffo con e gambe incrociate stile vecchio saggio sulla roccia.- Ah… e come sono i tempi in arrivo? – quasi lo canzonai.Lloyd annusò ancora verso l’orizzonte distante – Non sono sicuro che mi piacciano… - disse rabbuiandosi – Ma… sapete che vi dico? Quei tempi sono ancora lontani…- Bravo Bernacca! – lo canzonò Canguro.Ridemmo divertiti, poi guardai i bagliori dei fuochi artificiali, col cuore contento.Ripensai a come era cominciata quella storia.Ad un compleanno inondato di nuvole temporalesche, nel quale avevo deciso di abbandonare la vecchia Quarta.Alla prima volta che li avevo visti tutti insieme, i ragazzi nelle file davanti e le ragazze in quelle dietro. A Zudas, che non avevamo più rivisto, oltre i cancelli del check-in.A Canguro e Tiziana che ballavano stretti in un lento, a IT di King, letto prima di addormentarci. Alla chitarra in distorsione mentre ci sembrava di essere padroni del mondo.Al mio risveglio con la mia Complice.A come eravamo diventati grandi.A tutte le cose che non avrei mai potuto provare se non avessi preso quella decisione in un lontano giorno pieno di nubi e pioggia.Le ultime note ed il refrain mentale di Never say goodbye si spensero sotto un cielo per una volta stellato, mentre da lontano i fuochi di artificio illuminavano la notte, a tempo con le battute finali della canzone.

Holding on…To never say goodbye…

 

Eravamo I ragazzi degli anni ’80.Sempre in bilico tra un mondo che aspettavamo e un presente che diventava passato troppo in fretta.Sempre ibridi tra un treno perso e uno che stava arrivando.Sognatori, rabbiosamente romantici o romanticamente rabbiosi.Ognuno alla ricerca del proprio tempo, che è scivolato via e delle proprie idee che si sono perse tra le sue pieghe.Eravamo ingenui, eravamo sognatori disillusi prima di sognare.Anche se a quei sogni non abbiamo mai rinunciato.Ci abbiamo provato, fieri più dei nostri tentativi falliti che del risultato finale.Eravamo tanti, eravamo amici.Ci abbiamo provato davvero.E forse… chi lo sa? Chi può dire se sia stato giusto o meno?Per quanto alle volte il dolce spesso si confonda con l’amaro…Chi può dire se sia stato giusto cosi...?

Mauro Saglietti