mondo granata

No one but you

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

Lo so, arriviamo tardi.In questi giorni è stato prevedibilmente e giustamente, un susseguirsi di celebrazioni per i 20 anni trascorsi dalla morte di Freddie Mercury.Questa rubrica però esce il venerdì e forse il respiro lungo di chi arriva tardi sul traguardo, può esserle d’aiuto per una riflessione che non vuole essere soltanto celebrativa.Vorrebbe essere il punto di vista, forse non proprio convenzionale, di chi non era mai stato interessato ai Queen e che, credo comunque si sia in tanti, si avvicinò ed apprezzò la musica del gruppo soltanto in seguito, dopo che quel giorno di novembre, quando le telescriventi batterono la notizia della sua morte.Questo non vuole essere un saggio pomposo, non ne sarei capace e non è la mia intenzione. Mi piace però pensare che le riflessioni musicali possano essere una scintilla che fa scoccare l’interesse musicale in qualche lettore, che conosce la storia soltanto per sentito dire.

Questa è la storia di Freddie Mercury e dei Queen vista a partire da quel 24 novembre di 20 anni fa, con i suoi tanti personaggi che escono dalle nebbie della memoria e che vanno a sovrapporsi oniricamente a ricordi di note indimenticabili.

 

Una musica ridondante.- Ti piacciono i Queen?- No, non particolarmente.- Come mai? - Non lo so, non riesco ad ascoltarli, mi sembra tutto molto pomposo…- Qui c’è scritto che il loro ultimo Lp, Innuendo, è entrato direttamente al primo posto….- Sarà…

 

Tutto cominciò così, o quasi.In un pomeriggio qualsiasi del febbraio 1991, quando avevo già conosciuto un bel po’ di musica, almeno il 90% di tutta quella che poi ho continuato ad ascoltare di lì in avanti.Le voci? Sono la mia e di mio fratello, ma la particolarità non ha importanza.Se vogliamo localizzare un momento del tempo nel quale la cerniera cominciò ad aprirsi, quello fu il momento.Se però abbiamo intenzione di individuare lo strappo finale, quando la cerniera arrivò a fine corsa, dobbiamo fare un salto avanti nel tempo di pochi mesi.Stessi protagonisti, stesso luogo, stesso pomeriggio di un tempo inconsapevole.Stesso giornale da sfogliare.

 

- Oh… cazzo…!- Che c’è?- Qui c’è scritto che Freddie Mercury ha l’AIDS…!- Non scherzare.- Non sto scherzando, è in prima pagina, un trafiletto. Ha dato l’annuncio ieri.Un uomo che tutti noi eravamo abituati a vedere con i baffi ci guarda dalla piccola foto in bianco e nero del giornale.E’ il 24 novembre del 1991, Mercury e il suo entourage hanno atteso parecchio prima di dare l’annuncio. Forse troppo.Se la telecamera del nostro racconto, volasse via dalla stanza dove siamo e, in un fiorire di effetti speciali, zoomasse al contrario fino ad allontanarsi dal palazzo, dalla città e dall’Italia, forse planerebbe lentamente in un giardino di una villa di Kensington, a Londra.Lì, si stanno consumando le ultime ore di vita di Mercury.Morirà quella sera stessa, per una broncopolmonite causata dalle complicazioni portate dal dilagare del virus HIV.La telecamera stacca improvvisamente al contrario e con vorticoso effetto sonoro ci riporta ancora nella stanza di partenza.Sembra lo stesso giorno, ma è l’indomani.Questa volta non c’è bisogno di commentare la notizia.Le mani sfogliano le pagine e si fermano su di un trafiletto interno.ULTIMA ORA: E’ morto Freddie Mercury.Da lì, da quel momento cominciano a dipanarsi due storie separate, che corrono in direzioni opposte.Da un lato la scoperta sorprendente di un qualcosa che in molti avevamo  trascurato o snobbato, in un vortice quasi entusiasmante di rabbiosa voglia musicale.Dall’altro tutto quello che di lì in avanti capita, e che ci allontana da quella cesura.Due storie che ci afferrano per le braccia e che tentano di tirarci lontano, senza riuscire mai a dividerci dall’altra metà.Due storie, che pur essendo simili, non si incontreranno mai più.

 

Nel 1991 ho 23 anni e, come detto, la mia conoscenza dei Queen è letteralmente ridicola. Ho un 45 giri, Radio Ga Ga, acquistato nel 1984, in piena confusione musicale adolescenziale, pre Floydiana.Oh, sì, so anche altre cose, come no. Conosco Another one bites the dust che nel 1980 è stato un discreto hit, so che hanno cantato We are the champions, e chi non la conosce o non la conoscerà. Mi sembra inoltre di ricordare qualcosa su una certa We will rock you, so che hanno girato un video semi disgustoso sulle notte di I want to break free, che peraltro mi piace molto, e che una pubblicità del 1990 si accompagnava alle note di I want it all, mostrando la Coppa del Mondo di Calcio.Come corollario, so anche che hanno suonato, credo in playback a Sanremo nel 1984, sempre Radio Ga Ga.Questo so.Per farla breve non so un accidente di niente, ma non mi sento in colpa per questo.

 

Due giorni dopo la morte, La Stampa pubblica un articolo abbastanza schietto a firma Gabriele Ferraris, il noto critico musicale, che riflette sulla morte di Mercury.Ragiona con gli strumenti di allora, e quindi in modo corretto, perché gli manca ovviamente la coscienza di tutto quanto verrà dopo.Ha l’intuizione di parlare di ’esteriorità”, di “immagine”, più che di musica e l’articolo è soltanto opinabile quando egli afferma che i Queen in realtà fossero la sua band personale e basta, tesi secondo me errata, in quanto come vedremo la forza dei Queen è stata la coralità, non solo nelle strane e ricercate armonie vocali.L’articolo di Ferraris viene accolto da parecchie critiche. I fans non gradiscono, come potrebbero?, e scrivono alla rubrica di Oreste del Buono, sempre sul giornale cittadino.Tutto questo ha la sua parte nel creare un alone di curiosità in chi come me, ma non sono solo, non ha nascosto il proprio interesse dietro un paravento di prevenzione.La storia non è ancora cominciata che già stiamo cercando di ricostruirla, guardando oltre le nostre spalle.Ve l’ho detto, questa vicenda e un continuo rimando avanti-indietro, che delinea pian piano i suoi personaggi, come un elastico che alla fine ci lascia nel mezzo, fermi in quel novembre 1991.

 

La vicina di casaCapita quando, pochi giorni dopo, la mia vicina di casa suona alla porta e mi regala un Cd appena uscito. Capirò dopo qualche anno il motivo interessato per cui lo fa.Ma bastava chiedere, senza regalare nessun cd.La casa discografica dei Queen, rilascia sul mercato Greatest Hits II, una raccolta di successi che va dal  1981 al 1991, anno di uscita di Innuendo, ultimo lavoro della band.La data di uscita è programmata da mesi, ma è indubbio che la morte di Mercury susciti una pubblicità tale da lanciarlo al primo posto in più paesi.Ringrazio per il regalo, ma alzo le spalle. Non posso dire che non mi piacciono.La mia vicina forse mi legge nel pensiero.- Guarda che è veramente molto bello…E così, mi metto ad ascoltarlo, tanto per arrivare a Radio Ga Ga e I want to break free.Si comincia con A kind of magic, che già conosco, ma che non mi esalta un gran ché, per passare poi alla sconosciuta Under pressure con David Bowie, poi finalmente si transita per i due pezzi sconosciuti. No, non è più un vinile, con testi immagini scritti bene in chiaro, ma un piccolo leaflet primo figlio della riduzione costi.Così, mentre in cuffia passano pezzi curiosi, le dita sfogliano le foto dei quattro. Volutamente sovraesposte, fin troppo facile a quel punto ipotizzare il gesto voluto per nascondere il pallore del leader, la cui foto, incorniciata da un sottile kimono colorato, non lascia spazio a molti dubbi.Si scoprirà in seguito che è stata una foto scattata durante le riprese di These are the days of our lives, autentico commiato dal pubblico e dai fans, stranamente escluso dalla raccolta.Una delle ultimi immagini di Mercury.

 

Il guardiano dei pinguiniDa mesi si parlava dei possibili problemi di salute del cantante dei Queen.Tutto era cominciato con le dichiarazioni di Freddie dopo l’uscita di The Miracle, nel 1989.Mercury aveva dichiarato alla stampa che si sentiva un po’ stufo di correre su e giù dal palco in calzamaglia e che a quel disco non avrebbe fatto seguito nessun tour.Essendo i concerti dei Queen eventi ormai oceanici, lo aveva dimostrato il Magic tour del 1986, la dichiarazione spiazzò un po’ critici e fan, se a questa si aggiunge la sorprendente intenzione del gruppo di rimettersi immediatamente al lavoro per registrare un nuovo album.Più che le dichiarazioni, fu l’aspetto di Freddie nei video e nelle rare apparizioni pubbliche ad allarmare il mondo e a scatenare la stampa scandalistica britannica, in particolare quella facente capo al Sun. Se nei video di The Miracle e The invisibile man Freddie può apparire leggermente invecchiato o stanco, le immagini di I want it all sono girate con un gioco di chiaro-scuri che in qualche modo confonde le idee. Tuttavia i video di Breakthrough e di Scandal soprattutto lasciavano trasparire un Freddie decisamente sofferente.Da lì in avanti all’insinuazione, il passo fu breve. La stampa cominciò a non dargli tregua, a seguirlo nei suoi spostamenti, facendo uscire articoli allarmanti nei quali si parlava chiaramente di AIDS.L’uscita di Innuendo, nei cui risvolti di copertina i 4 Queen appaiono in una fredda foto oblunga, che li fa apparire volutamente magri, fa il resto. Lo stesso titolo dell’album, il cui significato è “insinuazione maligna”, ed i video commoventi ma sconfortanti di I’m going slightly mad, Innuendo e soprattutto These are the days of our lives (non è chiaro se quest’ultimo sia stato mostrato soltanto dopo la morte, come da sua volontà), gettano benzina sul fuoco.Durante gli ultimi mesi di vita, Freddie fu letteralmente assediato. Alcuni scatti rubati e impressionanti lo ritrassero all’uscita di uno studio medico, mentre alcuni paparazzi, secondo la testimonianza di May, arrivarono persino a puntare dei teleobiettivi particolarmente sofisticati all’interno della tenuta di Kensington.Il Sun intervistò tutti quelli che poteva, da pseudo ex amanti a persone che avevano a che fare colui. Arrivarono addirittura ad fare domande al guardiano dei pinguini che compaiono nel video di I’m going slightly mad, (nel quale Freddie risulta visibilmente truccato per nascondere i segni della sua sofferenza), che dichiarò – Freddie non ha per nulla un bell’aspetto.L’annuncio della malattia venne dato dunque quando ormai lui stesso sapeva che non sarebbero mancate che poche ore alla fine della sua esistenza.Ma questo è un pezzo della storia che va indietro, della ricostruzione.Nel frattempo l’altra storia, quella scandita dal tempo, continuava ad andare avanti.

 

Un’incredibile pubblicità.La morte del cantante dei Queen provocò una grande ondata di emozione, non solo nel mondo musicale, nella quale entrarono diverse componenti. E’ innegabile ci fu quella sorta di strano coinvolgimento motivo, una sorta di pianto collettivo, che vide partecipare anche chi fino a quel momento quasi non aveva mai sentito parlare dell’artista. Si trattò di una cosa che avremmo poi incontrato nei vent’anni seguenti, quasi amplificata e rituale, in occasione delle morti di Senna, Lady D, Michael Jackson e tanti altri.Ci fu il semplice dispiacere, che ne faceva parlare in giro, tanto disprezzato dagli odiati qualunquisti, quelli sempre pronti a dirti che la gente muore in tutto il mondo anche senza essere famosa.E poi ci fu il dolore vero e proprio dei fan, che riempirono di fiori la tenuta della villa di Kensington, i cui giardini furono aperti per l’occasione.Oltre a quello degli amici e parenti più stretti.Ecco dunque pian piano acquisire nitidezza il primo personaggio della nostra storia.E’ Brian May, il chitarrista del gruppo, nonché autore e spesso cantante.Attraversa un periodo nel quale la depressione lo ha scaraventato in momenti difficili. La fine del matrimonio con la prima moglie, dalla quale ha avuto tre figli, l’inizio della relazione con l’attrice Anita Dobson, il declinare della salute di Freddie, hanno avuto come risultato quello di spingerlo a chiudersi in se stesso, con la medicina come musica.Il suo primo album, Back to the light rappresenta un percorso autobiografico verso il ritorno a una certa serenità, ovviamente suonato sull’intensità intensa del May musicista.Il lavoro dunque è quasi pronto e Mercury lo sa bene.Molti pensieri comunque tormentano May in quei giorni. Il singolo di lancio, Driven by you, che per giunta è anche stato scelto dalla Ford come colonna sonora dei propri spot, è ormai pronto per essere distribuito e dovrebbe vedere la luce proprio verso la fine di novembre.May ci pensa un po’ su e poi decide di sospenderne l’uscita, visto l’aggravarsi delle condizioni dell’amico.Qualcuno però lo riporta a Freddie, il quale riesce a dire – Digli che lo faccia uscire. Sarà un’incredibile pubblicità.

 

Non solo II ma tanto IL’interesse scaturito da Greatest Hits II, che staziona tranquillamente al numero uno delle classifiche non solo italiane, è grande. E nasce ai miei occhi, proprio dalle canzoni meno conosciute del gruppo. Come ad esempio It’s a hard life. E’ un pezzo che risale all’album The works del 1984 e, come scoprirò in seguito, fa parte del periodo nel quale i Queen e soprattutto Mercury, stazionarono a Monaco, periodo probabilmente destinato a segnare l’artista anche sotto aspetti negativi.It’s a hard life, sebbene risenta delle consuete atmosfere ridondanti, è una canzone che parla delle difficoltà dell’amore, di quanto sia difficile condurre una relazione e soprattutto dei momenti dell’abbandono.Tematiche che vanno oltre, e che fanno interessare all’artista oltre che al cantante,Tematica della solitudine che viene anche confrontata, con verve ottimistica in Friends will be friends, che quasi chiude la raccolta.Ma è delle misteriose e un po’ sinistre tracce ricavate da Innuendo, che la curiosità si ciba.Cresce nell’ambigua I’m going sligtly mad che, ora ce lo si chiede, sembra percorsa da sinistri messaggi che indicano la prossimità sarcastica della fine, o nella minore (esclusivamente per la tonalità) The show must go on, che diventa un addio fin troppo conclamato.Il Cd gira, gira, sprizza qualcosa di nuovo, anche se si sta andando indietro nel tempo per ricostruire la storia.Affamati da una musica finalmente curiosa  e coinvolgente, caleidoscopica ma capace di non risultare dispersiva, sorge la necessità di acquistare anche il Greatest Hits volume I, che risale a qualche anno prima, ma che la casa discografica sta ristampando a tempi di record.Dovrebbe essere quello più conosciuto o prevedibile, ma non si rivela tale, se non nella  nota Another one bites the dust, che gli anni fanno apprezzare soprattutto per il riff di chitarra delle ultime strofe.Il disco è uno scrigno di canzoni che non tarderanno a diventare pietre miliari della propria conoscenza rock. E chi aveva mai ascoltato questa Bohemian Rapsody, il primo videoclip della storia? E poi, quanto è bella Don’t stop me now? E Somebody to love?Due dischi in pochi giorni sono già diventati dei classici.

 

Qualcuno da amareI primi mesi dopo la scomparsa di Mercury sono quelli della grande onda emotiva, che porta in classifica i loro LP, ma la sensazione ricorrente è la difficoltà, da parte dei fan, nell’accettare che tutto sia finito veramente.E’ il momento nel quale Brian May, Roger Taylor e John Deacon si ritrovano in uno studio di registrazione, per portare avanti un progetto a breve scadenza.Per i tre, privi del loro compagno di sempre, è il momento più duro.Come ammetterà in seguito lo stesso May, fu arduo riprendere in mano gli strumenti e provare a suonare le canzoni di sempre senza il loro compagno.Per May si tratta soprattutto di riprendere a cantare, cosa che negli ultimi anni ha fatto solo saltuariamente durante le registrazioni del suo album solista, e farlo in maniera continuativa.L’adrenalina viene mantenuta alta dall’evento che si svolge il 20 aprile 1992, neanche a 5 mesi dalla morte di Freddie.Lo stadio di Wembley, è esaurito in ogni ordine i posti, per il tributo che i migliori artisti del rock decidono di regalare alla memoria di Freddie, evento benefico a favore del Mercury Phoenix Trust.L’evento è seguito in diretta da molte televisioni e l’Italia, non fa eccezione.Durante la prima parte del concerto si alternano vari gruppi, tra i quali Metallica, Def Leppard e Guns N’ Roses. Memorabile rimane la performance degli Extreme, che alternano la loro More than words, un piccolo classico nel grigiore degli anni ’90 con Love of my life dei padroni di casa.Dopo che sul palco è salita Liz Taylor che rassicura tutti (I’m not here to sing), nella seconda parte salgono sul palco i Queen, accompagnando vari artisti, tra cui Roger Daltrey degli WhoZucchero, la cui presenza in Italia fa discutere, ma che si rivela comunque dignitosa, sale sul palco subito dopo..La scelta di Las palabras de amor, un pezzo particolare tratto da Hot Space, si rivela tutto sommato azzeccata.E’ uno show che riserva molte emozioni, sul palco sale Robert Plant, che canta Innuendo (con alcuni passaggi da Kashmir dei Led Zeppelin) e Crazy little thing called love.La leggenda, avvalorata anche dal fatto che questo pezzo sia stato successivamente escluso da VHS e cd, sussurra che l’ex abbia supplicato i Queen di estromettere il materiale, visto il risultato non certo all’altezza.Quindi si alternano Paul Young, Lisa Stansfield, David Bowie e Annie Lennox, che cantano insieme Under Pressure.David Bowie si inginocchia e recita il Padre Nostro per ogni persona colpita da Aids, episodio che verrà criticato il giorno seguente, principalmente da chi sul quel palco non sarebbe mai stato in grado di salire.Axl Rose si alterna con Elton John in Bohemian Rapsody, eppure molti artisti mostrano la corda nel competere con le alte tonalità di Mercury ed il confronto risulta impari.

 

Elton John nel finale si cimenta con The show must go on, scelta sicuramente poco azzeccata, ma questo è un tributo, non un festival, e non prova neanche ad attaccare l’ultimo show che Mercury aveva gridato in modo disperato, lasciando soltanto alla doppia rullata della batteria di Taylor il compito di sottolineare l’intensità del momento, quindi Axl Rose si trova a suo agio con la sempre trascinante We will rock you, mentre spetta a Liza Minnelli chiudere, assieme a tutti gli altri artisti con We are the champions.Sembra davvero che Freddie debba saltare fuori da un momento all’altro e c’è chi ironizza su questo.I nastri rossi del tribute, tuttavia, tornano a casa con la gioiosa malinconia per aver assistito alla celebrazione di un qualcosa che non potrà più tornare.Sembrerebbe finito qui ma…Ma ho saltato qualcosa. La più importante.

 

All’epoca del concerto, George Michael, altro personaggio che esce dalle nebbie della nostra storia, è in guerra aperta con la sua casa discografica, la Sony, che gli sta creando il vuoto intorno, sotto forma di isolamento, in seguito ad alcuni disastri commerciali, e al carattere certo non  facile dell’ex Wham!.Personaggio non troppo distante da Mercury, Michael ha l’opportunità, offertagli dai Queen, di rompere l’isolamento.Lui la prende al volo.Se qualcuno si ricorda ancora oggi del Freddie Mercury tribute, lo fa per la sua interpretazione sorprendente e spettacolare della difficile Somebody to love, seguita poi da These are the days of our lives, cantata in coppia con Lisa Stansfield.A lungo si vagheggerà di una possibile sostituzione di Mercury con Michael, nei Queen degli anni ’90 che avevano ancora tante cose da dire, forse l’unica scelta che sarebbe stata veramente azzeccata.Nonostante alcune esibizioni non facili e contraddittorie, del Tribute resta il ricordo di un evento memorabile e della grande esibizione di George Michael. - Lo immaginavo - dichiarerà Brian May dopo un paio d’anni - Sapevo che Mr. George Michael sarebbe stato in grado di fare quello che poi ha fatto a Wembley.

 

Ne valeva la pena?I Greatest Hits hanno spianato la strada. Di solito sono un ottimo modo per avvicinarsi a un gruppo o ad un cantante, ma sono un’arma rischiosa, perché spesso il bello se ne è andato.La curiosità è però grande e si associa ad un periodo musicalmente ancora valido (R.E.M e U2 la stanno facendo da padrone), ma inesorabilmente in declino, così la musica dei Queen diventa il modo per prolungare la grande stagione dell’abbondanza.Non ci sono più i vinili, e se ci sono vengono ingiustamente snobbati da tutti, ma la collezione di CD è ancora convincente.Cosa acquistare per approcciare una carriera musicale che si scopre quasi agli antipodi tra inizi e drammatico finale?Nel negozio di dischi, l’occhio cade su The Miracle, uscito nel 1989, di cui i Greatest hanno fornito qualche ricca anticipazione. E’, a mio giudizio uno dei dischi migliori della loro produzione.Sebbene i Queen decisero da questo lavoro di firmare collegialmente le canzoni (forse perché alcuni espliciti testi di Mercury non potessero essere associati alla sua condizione che andava comunque peggiorando), non è difficile intuire chi si cela dietro lo stile delle composizioni.L’inizio arrembante ricorda molto quello di A night at the opera, il loro capolavoro del 1975, con Party e Krashoggy’s Ship eseguite una di seguito all’altra, poi staccate dal brano che dà il titolo all’album. Un testo che potrebbe sembrare retorico, ma che si riscatta nel finale in puro stile Queen, dalla valenza corale simbolica. La sorpresa vera e propria si ha con I want it all, che appare un pezzone di ben altra caratura rispetto alla versione inclusa in Greatest Hits II, che si scopre tagliata.Del resto questa è la parte della storia che va al contrario nel tempo, quella che mette insieme i pezzi del puzzle. Si accavallano pezzi censurabili (The invisible man) ad altri notevoli (Scandal), ma è nel sottovalutato pezzo finale che si chiarisce l’orizzonte pieno di nubi. Was it all worth it è il brano di chiusura di un disco che potrebbe anche essere l’ultimo. Freddie alla fine ride sguaiatamente “It was worth it”, “Ne valeva la pena”, prima di lasciare sfumare in modo improvvisamente malinconico uno dei pezzi più belli della loro produzione.

 

Ma la curiosità non è fermarsi alle cose recenti.E’ ad esempio acquistare quello che viene considerato, anche dal sottoscritto, il loro capolavoro. Un lp uscito 14 anni prima di The miracle, ovvero A night at the opera.Se Bohemian rapsody è conosciuta da pochi giorni, il resto dell’LP rivela un classico del rock sfuggito alla rete della passione musicale.L’inizio arrembante mette insieme due pezzi memorabili come Death on two legs e I’m in love with my car, intervallati da Lazing on a sunday afternoon.Basta quello per riflettere. Perché i Queen di Night at the opera, possono anche sembrare esteriorità ampollosa, ma sono in realtà fini ricercatori di armosfere rock per nulla stereotipate, che verranno poi definite decadenti dai critici.Non solo, ma i Queen degli inizi (questo è comunque il loro quarto album), non sono una one man band, nonostante la bravura del loro leader. Solo il bassista John Deacon non canta, ma contribuisce (e contribuirà) silenziosamente all’intera carriera del gruppo. Qui firma con Mercury You’re my best friend, mentre Taylor canta la sopra citata I’m in love with my car, e May si ritaglia un piccolo classico con‘39. Scorrono capolavori uno dietro l’altro, come Love of my life, peraltro ancora appesantita, che sarà il cavallo di battaglia di tanti concerti.Un disco da sentire e risentire, che non fa che accrescere la curiosità e la voglia di musica.

 

Verso la lucePassato il Freddie Mercury Tribute, le scene ed i riflettori sembrano non volersi spegnere sui Queen, forse per il troppo non detto, mentre un certo tipo di letteratura è attratta non tanto dalla musica, quanto nella morbosa, minuziosa e forse inutile ricostruzione degli ultimi mesi di vita del cantante.Del resto c’è parecchia gente disposta a parlare. Freddie nelle sue volontà ha cercato di accontentare un po’ tutti, ha lasciato ben 10 milioni di sterline più la villa di Kensington alla sua ex ragazza Mary Austin, ma forse qualcuno è stato accontentato un po’ meno. O molto poco.Così diventa notizia anche il fatto che nell’estate 1992 un tizio ritrovi nella sua soffitta 100 45 giri tutti uguali, di un certo Larry Lurex. Il signore ha una fortuna tra le mani, perché Larry Lurex non è altri che lo psedudonimo dello stesso Mercury pre-Queen.Nel 1992, nel frattempo, esce finalmente il lavoro solista di Brian May, Back to the light.Un lavoro duro, denso, tormentato, che risente dei grattacapi degli anni precedenti, ma anche di largo respiro, con momenti di pura ed intensa rabbia musicale.La title track si fa ricordare per la sua grinta, Resurrection è un pezzo epico, scandito dalla batteria dell’amico Cozy Powell, Let your heart rule your head è un omaggio alla ‘39 di Night at the opera, Last Horizon è un delicato perdersi nei sogni. Ma è soprattutto la semplice ed intensa Too much love will kill you ad avere una storia,da raccontare, e come vedremo, diventerà un piccolo classico. 

 

I’m just the pieces of the man I used to beToo many bitter tears are raining down on meI’m far away from homeAnd I’ve been facing this alone for much too long.

 

E’ il pezzo che May porta in giro per l’Europa nel suo viaggio promozionale. Visita l’Italia, è ospite di diversi programmi tra cui il Maurizio Costanzo Show (non so bene chi l’abbia consigliato), passa a Domenica In, e in un programma trasmesso dalla sede Rai di Napoli chiede disperatamente, durante la canzone, che i tecnici gli aumentino il ritorno audio. Nessuno capisce l’inglese neanche per sbaglio e lui se ne va incazzato come un bue.May è vivo, ha tanta voglia di suonare e tanto ancora da dire.Forse non sa bene con chi farlo e quando farlo.Mentre il 1992 sfuma però, si comincia a parlare di alcune canzoni alle quali Freddie si sarebbe dedicato prima di morire, con le precise istruzioni che da esse potesse nascere un nuovo album

 

Il disco incantatoCi sarebbe già materiale per dieci anni di ascolti, nella nostra bacheca di fan, arrivati all’ultimo momento in stazione, quando il treno se ne era già andato.Invece, quasi le cose possano scomparire dai cataloghi, ogni due settimane la collezione si arricchisce di qualcosa di nuovo, correndo il rischio di bruciare gli acquisti recenti.A kind of magic, del 1986 è un gioiello, non tanto per il fatto che molti pezzi sono andati a far parte della colonna sonora del film Highlander, con Cristopher Lambert, quanto per il fatto che Mercury fa raramente parte degli autori dei pezzi, se non totalmente in Princess of the universe.Ciò può sembrare un controsenso, ma è la testimonianza della coralità compositiva del gruppo, che davvero era stato archiviato troppo in fretta come “la band di Mercury”. La title track è di Taylor, questo però  è soprattutto il disco di Deacon che infila la splendida e semisconosciuta One year of love e che co-firma Pain is so close to pleasure, nonché la musica del classico Friends will be friends, il cui testo è scritto da Mercury.

 

Gli acquisti recenti sono alternati con altri della vecchia produzione.La contrapposizione nero-bianco (in quest’ordine, non al contrario) era stata il cardine di Queen II con due facciate contrapposte. Ora il dualismo viene riproposto con il bianco della copertina (suggestivamente nel disco che parla della notte) di A night at the opera, ed il nero di A day at the races del 1976 (dove il nero è associato al giorno).E non ci potrebbe essere contraddizione meglio costruita ad arte.Se Night è un disco solare, vivace, martellante, tanto Day è un lavoro introverso, talvolta sinistro e ombroso, dove spicca la triste You take my breath away e si ritagliano il loro spazio classici come Somebody to love (il pezzo preferito di chi vi scrive)  e Tie your mother down, che accompagnerà le esibizioni della band dal vivo fino al 1986, anno dei loro ultimi concerti.

 

Se tanta ormai è la passione musicale, le tessere paiono slegate e si fatica ad avere ancora un visione di insieme, ma per quella c’è tempo.Anticipato da tempo, e quasi volutamente ritardato, arriva l’acquisto di Innuendo, l’ultimo album, uscito all’inizio del 1991.Ad Innuendo ho dedicato una precedente istantanea e lo considero un monumento di ghiaccio bollente, che ustiona e congela gli ascoltatori.E’ un disco layer, interpretabile a più livelli, col senno di poi sin troppo comprensibili.E’ un misto di Night at the opera e Day at the races, che ne sono stati forse la preparazione.E il definitivo commiato di Mercury, sulle note di un vinile che si incanta, a ricordarci che lo show dovrà sì andare avanti, ma sarà sempre la sua voce a ricordarcelo tristemente.Su questa splendida canzone scritta da Brian May, vale ancora la pena citare l’aneddoto rivelato dallo stesso chitarrista.Al momento della registrazione, nel 1990, Mercury poteva a mala pena camminare e May gli espresse dei dubbi sulla riuscita del pezzo, vista la sua complessità vocale.Mercury lo guardò, si sgolò in una sola sorsata il suo bicchiere di vodka e disse qualcosa come “Oh, I’ll fuck it, darling”, che è intraducibile, ma sta come un “Oh, caro mio, vado e la distruggo”.E così fece.The show must go on è incredibilmente registrata, come linea vocale, in una sequenza unica, soltanto alla fine è stato aggiunto un ‘eco che si mixa con la chitarra.Credo che nulla quanto le parole di May, che non vi traduco, possano rendere omaggio al grande Freddie.:- (…) He went in and killed it, completely lacerated that vocal.

 

L’orrore di DunwichDavvero non basterebbe il Necronomicon intero per descrivere ciò che penso di quanto avvenne sul finire del 1992.I discografici, presi dalla voglia di continuare a consegnare materiale alle folle, si inventarono il disco The Freddie Mercury album, che in Italia ottenne parecchio successo.Trattasi in realtà di pezzi tratti dal suo unico album solista, dai lavori con Giorgio Moroder e Montserrat Caballé. Fin qui non ci sarebbe nulla di strano, ma il vero orrore si chiama Living on my own, ed è un brano tratto da Mr. Bad Guy, disco solista del 1985.Soltanto che non è più lui.Ne è stato fatto un orrore da macelleria, una base house-dance che grida vendetta al cielo, in modo tale che milioni di tamarri in giro per il mondo abbiano di che ballare e stare tranquilli.Credo che la versione di Living on my own del 1992 sia il più grande insulto mai perpetrato a Mercury dopo la sua morte.Purtroppo ancora oggi molte persone, che non si sono minimamente poste il problema che forse una canzone house suonava strana dalla voce di Freddie, continuano a credere che quello fosse il pezzo originale.Passano i mesi, ma non la rabbia, in quanto nel 1993 viene perpetrato da recidivi un altro delitto, quello della compilation Remixes, che grida vendetta al cielo.Questa non è più storia Queen o Mercury, ma storia per le masse stordite, soprattutto in Italia, dove non tarderà una imminente controprova.Mentre si disquisisce di questo, come un fulmine a ciel sereno, irrompe la notizia che i nastri delle canzoni alle quali Mercury aveva lavorato prima di morire (e sui quali i componenti restanti della band stanno sviluppando un album), sono stati rubati.L’ultimo album dei Queen diventa una corsa contro il tempo.

 

L’ondaViste dall’alto le cose acquistano coralità. Un senso.Con l’acquisto di Mr. Bad Guy, il lavoro solista di Freddie (qualcuno sostenne che avesse voluto giocare con la similitudine guy-gay, e probabilmente l‘opinione non è sbagliata), la storia passata si fa quasi completa. Certo, mancano ancora svariate tessere del puzzle, ma possiamo già trarre delle conclusioni, non prima di aver considerato Mr. Bad Guy come un album incompleto.L’album solista di Freddie è a tutti gli effetti un disco dei Queen senza Queen.Alcuni brani mancano dell’orchestrazione tipica (la riceveranno in seguito, vedremo come) della band, altri avrebbero meritato maggior fortuna.A scanso di equivoci però, nelle note di copertina, Mercury ringrazia i suoi tre amici “for not interfering”. Made in heaven è il pezzo cardine, ma anche la title track si rivela originale, mentre si perde un po’ tra le pieghe del testo un po‘ retorico, la bella There must be more to life than this.

 

Eccoci qui.Vista da una certa altezza, questa è la storia dei Queen.Un gruppo che venne definito Glam Rock, o facente parte di un Rock decadente, che ebbe i suoi esordi nei primi anni ‘70.Il perno fondamentale della riflessione, e forse dell’intero articolo, è proprio il loro associare fortemente un’immagine di se stessi in anni nei quali altri gruppi, che avevano già spazzato via il mondo con il successo, la rifuggivano, puntando invece su immagini legate ai suoni.Non parlo solo dei Pink Floyd, ma di Led Zeppelin, Genesis, Jethro Tull, Supertramp e tanti anni.Con i Queen no.Con loro si ha una anticipazione dell’immagine come elemento portante ed inseparabile del gesto artistico. Il messaggio diventa esibizione, non proiettata verso l’esterno, ma verso se stessi, portatori auto compiaciuti e spesso autoironici.La complessità del messaggio Queen non si limita certo a una canzone.Band capace di partire da picchi medio alti e di raggiungere l’eccellenza con A night at the opera, per poi scendere lentamente verso il seppur bello News of the world, ma non paragonabile ai suoi  predecessori e planare un po’ anonimamente in dischi che, seppur ci abbiano lasciato dei gioielli (Jazz, The game), mancano della sardonica sfacciataggine dei predecessori.Hot space poi risente fin troppo del cambio di look, non solo esteriore, del suo personaggio principale e, benché pezzi come Back Chat e Las palabras de amor, tentino di galleggiare, l’album è da considerarsi il punto più basso della carriera del gruppo.Gruppo che con The works tenta faticosamente di risollevarsi, cosa che gli riuscirà nel successivo A kind of magic, autostrada purtroppo drammatica per le vette del finale di carriera.

 

Made in heavenNel 1995 esce finalmente l’ultimo lavoro ufficiale della band, e ad attenderlo sono in tanti.L’album è quello che è, un insieme di pezzi e spezzoni del passato, assemblati con stile e non certo alla c… ehm… carlona, o per spudorati motivi commerciali.Alcune tracce erano state soltanto abbozzate, altre ancora giacevano in qualche cassetto.Si fanno notare Made in Heaven, tratta come abbiamo visto da Mr. Bad Guy, ma completamente arrangiata in meglio supponiamo dalla mano di May, e I was born to love you, sempre del Mercury solista, che May massacra senza pietà.Heaven for everyone è il singolo che viene estratto, ma non è un pezzo completamente nuovo, come molti ritengono erroneamente, bensì risale ad un lavoro di Taylor con i Cross del 1987, la gloriosa Let me live, che tanto successo ha ottenuto è stata tratta da una demo del 1984 (Mercury in fondo canta soltanto la prima strofa, dopo si aggiungono May e Taylor), You don’t fool me è sì un pezzo nuovo ma è quasi completamente costruito su pezzi di frasi, poi abilmente assemblate.Ciò che resta è davvero l’ultimo Mercury, ovvero Too much love will kill you di May, che in realtà avrebbe dovuto far parte di the Miracle, Mother love, l’ultima canzone cantata da Mercury in assoluto e soprattutto la magnifica A Winter’s tale, un racconto facilmente visualizzabile, che descrive la serenità con cui Mercury osserva il paradiso della natura dalla sua casa di Montreux, durante gli ultimi mesi di vita.Chiude il disco una misteriosa traccia di ambient music lunga 22 minuti, alla quale in molti hanno provato a dare una spiegazione, quasi simboleggiasse il trapasso del cantante verso un’altra dimensione, oppure un sunto della carriera della band.

 

My make up maybe flakingNegli stessi anni, emerge dalle nebbie del nostro racconto, la figura di Jim Hutton, l’ultimo compagno del cantante, scomparso recentemente, che pubblicò un libro di memorie, dal titolo “I miei anni con Freddie Mercury”.Era quello che il pubblico in fondo voleva, e la storia di Hutton ha inizio quando al principio degli anni ‘80 viene avvicinato da un tipo in un locale gay, che lui scaccia in malo modo.Ha scacciato Freddie Mercury senza sapere neanche chi fosse.Si incontreranno ancora ed inizieranno una duratura relazione.Secondo Hutton, Freddie risultò positivo al test HIV dopo la Pasqua del 1987 ed entrò in AIDS conclamato sul finire del 1989, quando finalmente rivelò anche ai compagni della band la verità, prima di tutti a Brian May.- Ti prego, aiutami a continuare a fare musica come se niente fosse… - fu la richiesta espressa al chitarrista. Si venne a sapere che già ai tempi di The Miracle, Freddie non fosse sicuro di riuscire a vivere abbastanza per poter pubblicare Innuendo.Partecipò alle registrazioni di quest’album nei momenti in cui la malattia gli dava tregua.Fu lui a lavorare fino all’ultimo sulle tracce di Made in Heaven e a lasciare notizie dettagliate su come dovessero essere suonate.Mercury steso dichiarò di essersi mantenuto fedele a Hutton (durante gli ultimi anni della sua vita, ed il libro di memorie dell’irlandese sembra confermarlo.Anni dopo però, una biografia del ballerino russo Nurejev, sostenne che tra il sovietico e Mercury fosse intercorsa una focosa relazione durata quasi cinque anni.Nurejev si spense di AIDS il 6 gennaio 1993.Mercury trascorse gli ultimi mesi della sua vita nella casa acquistata a Montreux, la Duck House, che si affacciava sul lago, e tornò in Inghilterra soltanto un mese prima di morire.Da tempo aveva deciso di rifiutare determinati farmaci che lo distruggevano dal punto di vista delle nausee. C’è chi sostiene che fece ciò per accelerare il momento della morte, che arrivò in quel giorno di novembre.

 

Il freddo veloAnalizzare la figura di Mercury soltanto dal punto di vista musicale o visuale, sarebbe fare un torto al messaggio verso cui si cercò di canalizzare l’energia e la rabbia scaturita da quella perdita, ovvero l’attenzione contro l’AIDS.Non voglio entrare nel merito dei rabbiosi luoghi comuni e delle domande, talvolta sensate, che ci siamo posti sull’origine della malattia.In un mondo che vede ormai tutto ridotto a business, che tre anni fa ha visto i governi spendere milioni per prevenire una presunta epidemia di influenza, che ha fatto sì tanta paura, ma ha regalato anche tanti soldi a qualcuno, il dubbio è sempre lecito.Qui però si discute di oggettività, e ad essa è meglio attenersi, lasciando la porta aperta al dubbio se i veri luoghi comuni riguardino i voli pindarici o l’oggettività stessa.Credo che molti di noi abbiano avuto a che fare, soprattutto in quegli anni, non solo con la paura del contagio, ma anche con il dramma che ti sfiora.Per qualche strana forma di difesa e incoscienza personale, si pensa sempre di essere diversi ed immuni. Immuni dalle leggi, immuni dalla coscienza civile, immuni anche dalle malattie.Poi quando il velo freddo ti sfiora, allora realizzi.Ho conosciuto due persone che sono state portate via dall’Aids. Una delle due, e piuttosto che affrontare una vita di stenti e disfacimento, decise di porvi fine, in una buia nottata d’ospedale.Sono storie terribili ed erano anni senza speranza in cui le cure non erano certo all’avanguardia.Quando le cose ti sfiorano, allora ne prendi coscienza.Quando poi ad essere colpito è una persona che aveva tutte le possibilità economiche per accedere a cure anche costose, allora la coscienza ne viene letteralmente investita.La morte di Mercury, con la sua storia di sofferenza lentamente ricostruita e testimoniata drammaticamente da quei filmati nei quali si tentava di ostentare normalità, ebbe un enorme impatto sul pubblico e sulla sua ricettività verso le tematiche HIV.Impatto poi amplificato dal Freddie Mercury tribute e dalla vasta eco che se ne ebbe.Ora, a distanza di anni, forse l’impatto è un po’ scemato.Si tende spesso a ricordare giustamente l’artista, ma le cause che lo portarono alla sua morte prematura spesso sono sottintese.Le cure ed i farmaci sono diventate specializzate e si è portati a credere che non si muoia più di AIDS. Qui si dovrebbe aprire una pagina spaventosa, in quanto nel continente africano la situazione è e continua ad essere spaventosa e probabilmente sottostimato. Nel 2005 sono stati ipotizzati circa 3,1 milioni di morti di cui 570.000 bambini.Tuttavia, se nel mondo occidentale sono stati compiuti passi da gigante nel cronicizzate la malattia.In realtà come rivelato in un recente video di Magic Johnson, sopravvivere costa sofferenze e disciplina.Anche questa in fondo è parte della nostra storia.

 

 

Is it raining in heaven?

A hand above the waterAn angel's reaching for the skyIs it raining in Heaven -Do you want us to cry ?

 

Sono i versi di No one but you, che i tre Queen restanti dedicarono al loro amico in occasione dell’uscita di una delle numerose e interminabilmente devastanti raccolte, Queen Rocks, del 1997.Il pezzo è di una bellezza semplice e vi consiglio di dare un’occhiata il video, se non vi è mai capitato.Con questo pezzo si chiude una parte significativa della storia dei Queen stessi, forse l’intera storia.Essi all’inizio degli anni ‘90 avevano ancora molto da dire, ma nessuno avrebbe sostituito Freddie Mercury così a cuor leggero e l’unico che avrebbe potuto farlo, come abbiamo visto, non lo fece.

Il vero colpo fatale, oltre naturalmente alla morte di Mercury, è  il ritiro di John Deacon, che contribuisce a questo pezzo prima di dedicarsi alla vita privata.Personaggio particolare Deacon, forse il meno estroso dei quattro, il meno propenso alla vita mondana, eppure forse fondamentale.Nel 1998 May pubblica Another world, il suo secondo lavoro solista, ma deve rinunciare all‘amico Cozy Powell scomparso in un incidente stradale.Il chitarrista si ritaglia un pezzo stupendo come la title track e continua a seguire il suo obbiettivo di portare la musica dei Queen in giro per il mondo.

La scelta di tornare sulle scene come Queen ed affidare la parte vocale al cantante Paul Rodgers è stata da più parti criticata, mentre il primo disco della band completamente senza Mercury, The cosmos rock, è stato accolto come un fastidio da molti fans.Non mi sento proprio di gettare la croce a May e Taylor, in fondo cosa dovevano fare? Molte persone, molti giovani non avevano mai ascoltato quella musica dal vivo ed è stata un’occasione, benché malinconica per proporre al pubblico classici immortali.

Ma la storia dei Queen, anche quando sembra sempre sul punto di finire, presenta sempre nuove sorprese.Chissà come, chissà quando, sono spuntati fuori altri nastri di Freddie, tra i quali alcuni incisi con Michael Jackson (!)Sapete come finirà, vero?Allora, chi compra il disco per primo?

 

Another tricky situationI get to drowning in the BluesAnd I find myself thinkingWell - what would you do ?

 

Già, proprio What would you do – Cosa faresti tu? – le parole che Roger Taylor invia idealmente a Freddie in No one but you.Cosa direbbe lui, ora?Ci fu chi all’epoca disse che – Nessuno in fondo si immagina un Freddie Mercury vecchio, ma l’affermazione lasciò il tempo che trovò.Come sarebbe stato?Sdegnoso e snob, forse ritirato nelle composizioni liriche che tanto amava?O forse piuttosto impegnato in opere umanitarie ed a favore degli animali, in fondo sarebbe stato nel suo stileO sdegnosamente disgustato da alcuni sfarfaleggianti lustrini della musica contemporanea, forse quegli stessi lustrini che lui, con ben altra sostanza, aveva indossato molti anni prima.Già, perché il punto è tutto lì, lo strappo del tempo si opera con la stessa morte di Mercury.Una cesura tra quello che è stato prima, e quello che sarà dopo.I Queen furono tra i pochi gruppi ad essere estremamente longevi ed a sopravvivere a cavallo di due decenni.Intuitivi e lungimiranti, compresero in anticipo il gusto del pubblico e seppero essere il giustto ago della bilancia tra esteriorità e sostanza, tra musica e immagine e probabilmente avrebbero continuato ad esserlo, in un mondo digradante.La morte di Mercury è la cesura definitiva, il precipitare della bilancia verso uno dei due componenti, il più vago e superficiale..Cosa avrebbe pensato Freddie, della musica attuale, in un panorama nel quale Lady Gaga è un mito, eppure a malapena si ricorda una sua canzone? In uno scenario nel quale Madonna, per sopravvivere musicalmente si affida alla techno più banale e campiona gli Abba?Sarebbe un discorso interessante.La storia di Freddie Mercury dei Queen è basata assai di più sulla riflessione di quanto non si creda, sulla mancanza e sul rimpianto, sulla rabbia e sull‘amore.Sarebbe interessante ascoltarlo.Lui per il quale amore e vita per il domani erano facce della stessa medaglia.Questi sono tempi senza amore perché sono tempi senza musica.All’uomo è stata donata l’arte, come sublimazione del proprio essere, e quando commette l’errore arrogante di credere di poterne fare a meno, va incontro alla disgregazione di se stesso.Sì, credo proprio che Freddie avrebbe tante cose da dire anche oggi. Mauro Saglietti