- Calciomercato
- Prima Squadra
- Giovanili
- TN Radio
- Interviste
- Mondo Granata
- Italia Granata
- Campionato
- Altre News
- Forum
- Redazione TORONEWS
mondo granata
Autunno 1989. La caccia ai biglietti. Da solo non ci sono mai entrato. Non ne ho mai avuto bisogno e comunque non mi è mai piaciuto più di tanto. Ricordo ancora che da piccolo ci andavo con mia madre quando lei doveva fare delle commissioni per l’ufficio. Ma oggi non posso proprio fare a meno di venire qui, perché soltanto qui posso trovare ciò che mi interessa. Solo qui, in questa banca, è possibile acquistare il blocchetto con i biglietti per tutte le partite dei prossimi mondiali che si disputeranno a Torino.Non so ancora quali squadre giocheranno nella mia città, a dir la verità non si conosce neppure il nome di tutte le squadre che parteciperanno ai mondiali. Ma so di certo che sarà un appuntamento storico per l’Italia e per la città, e non vorrò perdermi neppure una partita.Entro. Mi guardo intorno con aria circospetta. Ci sono diversi cartelli che indicano un sacco di cose per me incomprensibili. Incontro un individuo in giacca e cravatta. Penso sia un impiegato. Ha l’aria distinta e un po’ triste tipica della persona che vorrebbe essere dappertutto tranne che lì. Devo vincere la mia timidezza. Devo chiedergli le informazioni che mi interessano. “Ehm….signore….avrei bisogno….ehm…cioè….vorrei comprare i biglietti per i prossimi mondiali….sa mica a chi posso rivolgermi?”. Lui mi guarda con un’espressione quasi stupita. Fa una smorfia che sembra insieme di commiserazione e di disgusto. Magari è un pezzo grosso della banca, penso. Magari avrei dovuto chiedere a qualcun altro. L’uomo bofonchia qualche frase incomprensibile. Capisco soltanto la parola: “cassa”. Vedo il suo dito puntato in una certa direzione. Seguo l’indicazione del dito. Mi ritrovo in un’altra zona della banca in cui ci sono cinque sportelli, dietro ai quali vedo due fanciulle piuttosto carine, una signora con gli occhiali spessi come un fondo di bottiglia, un ragazzo incravattato e belloccio che avrà solo qualche anno più di me, ed un signore sulla cinquantina dalla faccia simile a quella di un bulldog. Non mi piace qui. Non mi piace questa gente. Però devo affrontarli. Devo aver a che fare con loro se voglio andare ai mondiali il prossimo anno. Sembrano tutti molto occupati. Evidentemente hanno lavori molto importanti da svolgere. Molto più importanti che dar retta ad uno stupido studente senza né arte né parte. Solo una delle due ragazze giovani e carine sembra essersi accorta di me. Alza lo sguardo, mi fa un mezzo sorriso. Decido di provare a rivolgermi a lei. “Buongiorno!” dico “Mi hanno detto che qui è possibile trovare i biglietti per i prossimi mondiali….”. La ragazza abbozza di nuovo un sorriso. Poi arrossisce. Vedo un accenno di sudore sulla sua fronte. Non pensavo davvero che la mia richiesta la mettesse così in imbarazzo. Si sposta verso l’altra ragazza giovane, la quale scuote la testa. Si rivolgono all’occhialuta e poi al bulldog, ma nessuno sembra essere in grado di aiutarmi. La donna occhialuta cerca di convincermi ad andare presso un’altra filiale di questa banca, ma io sono giovane ma non scemo. Su tutti i giornali c’è scritto che qui si trovano i biglietti. E io non me ne andrò da questo posto senza stringerli tra le mani. Chiamano un’altra donna che ha gli occhi gonfi di una che stanotte non ha dormito affatto. Deve essere la responsabile, perché chiede all’occhialuta di attaccarsi al telefono per cercare di risolvere il mio problema. L’occhialuta sbuffa, fa una, due, tre telefonate. Alla fine prende dei foglietti colorati da un cassetto, li inserisce in una stampante ad aghi, me li consegna. Tiro fuori il mio portafoglio col simbolo del Toro. Estraggo un biglietto da centomila lire che mi ha dato ieri mia mamma. Lo do alla signora. Il bulldog mi guarda di storto. Probabilmente è un gobbo ed ha adocchiato il mio portafogli. Probabilmente mi rimprovera perché ho fatto perdere un po’ a tutti una mezz’oretta del loro prezioso tempo. Ma a questo punto non me ne frega più nulla. Ho in mano ciò che volevo. Il prossimo anno si va ai mondiali alla faccia di tutti coloro che, quando io me ne starò sugli spalti del nuovo stadio, saranno lì dentro a marcire in quella squallida banca. Esco sventolando i miei biglietti colorati. Li accarezzo. Li annuso. Li guardo uno per uno. Non vedo l’ora di farli vedere ai miei amici. Non so ancora di preciso quali partite si disputeranno nel nuovo stadio che stanno costruendo non lontano da casa mia e che sarà certamente bellissimo. Sicuramente i tre match della testa di serie di uno dei sei gironi, un ottavo di finale ed una semifinale. Non è che me ne freghi molto di quali partite vedrò. L’importante sarà esserci per respirare nella mia città l’atmosfera ed i colori che solo una manifestazione come il mondiale di calcio può offrire.
Dicembre 1989. Brasil, Brasil…
Brasile. Sarà il Brasile la squadra che verrà ospitata nella nostra città. La notizia circolava da qualche tempo, ma io non ho voluto crederci fino a quando non è diventata ufficiale a pochi giorni dal sorteggio dei gironi preliminari. Il Brasile del tecnico Lazaroni, il Brasile di Dunga e Alemao, il Brasile di Careca e del nostro Muller. Il Brasile che tutti considerano una delle squadre più forti del mondo. Ad affrontare i verde oro verranno nel nuovo stadio di Torino la Svezia di Brolin, la Scozia ed il Costa Rica che giocheranno le altre partite al Ferraris di Genova. Nella città della Lanterna, infatti, hanno scelto di non costruire uno stadio nuovo, ma di ristrutturare il vecchio impianto di Marassi. Magari non sanno dove metterlo, o forse è l’ulteriore conferma della proverbiale parsimonia dei genovesi. Sta di fatto che a Genova si accontenteranno di ospitare i mondiali in un impianto ormai vecchio, mentre da noi tutto sarà nuovo e bellissimo. Bellissimo stadio. Grandissime squadre. Magnifiche donne. Già immagino le lunghe sere d’estate alla ricerca di qualche prosperosa Svedese o di qualche disinibita Brasiliana…
Che cosa è rimasto?
Ricordi meravigliosi. La città piena di bandiere tricolori ovunque. Le Brasiliane seminude e le biondissime svedesi. L’atmosfera di festa in città alla vigilia della prima partita tra Brasile e Svezia. L’emozione enorme e mai più provata di entrare per la prima volta in quello stadio in cui l’oro dei brasiliani si mescolava con il giallo degli svedesi. Uno stadio che all’epoca mi sembrava fantastico. La torcida festante per i gol di Careca. I gonnellini degli scozzesi. Le lacrime degli stessi dopo il gol del nostro Muller che li eliminò dai mondiali. Il Brasile che dominò l’Argentina sbagliando gol clamorosi. Lo slalom di Maradona, la palla a Caniggia che segnò un gol facile facile. Argentina avanti, Brasile fuori agli ottavi. Una semifinale tanto attesa quanto brutta. La punizione di Brehme deviata. Il pari di quel grandissimo bomber che è stato Lineker. I rigori con gli errori di Pearce e Waddle. Gli occhi sgranati di Schillaci. La sconfitta dell’Italia con l’Argentina in semifinale. I tristi fischi all’inno argentino prima della finale. L’apoteosi tedesca.Quei mondiali ci avevano lasciato anche uno stadio. Troppo grande. Troppo triste. Troppo vuoto. Troppo scomodo (Per chi? Non certo per me che abitavo lì vicino…). Dopo averci raccontato che si trattava di un’opera assolutamente necessaria, hanno voluto convincerci che sarebbe stato meglio abbatterlo dopo pochi anni per farci la casa dei gobbi. Pazienza se era costato un sacco di soldi. Pazienza se, dopo meno di vent’anni, siamo stati costretti a tornare a giocare nello stesso stadio che quasi tutti all’epoca consideravano vecchio ed inadeguato. Gli stessi che ora vogliono farci credere che si tratta di uno stadio bellissimo. Gli stessi che hanno fatto scempio di quella che è la nostra vera casa. Intanto il vetusto Luigi Ferraris si è trasformato in uno degli stadi più belli d’Italia. Un autentico gioiellino. Peccato che anche a Genova, vent’anni dopo, si parli di abbatterlo per costruirne uno nuovo in una zona diversa e meno congestionata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA