Dalla mia finestra, qui a Ivrea, se è sereno riesco a vedere la cima del Monte Gregorio che spunta da sopra le case che ho di fronte. Oggi invece il cielo è grigio e non spunta un bel niente. Il freddo comincia a farsi sentire e la macchina della mia ragazza, che esce tutte le mattine alla stessa identica ora direzione Torino, non parte più al primo colpo ma al secondo, al terzo o al quarto.Io finalmente sento il motore mettersi in moto, tiro un sospiro di sollievo, metto mano alla tastiera e inizio a raccontarvi qualcosa. E’ più o meno questo che mi viene in mente quando penso al lusso: due ore tutte per me, anzi non solo per me, ma nessuno a cui dovere un favore.Fuoriarea l’ho sempre immaginata così, un regalo in cui lo spirito granata si manifesta tra le righe, anche se a volte si parla di tutt’altro.E il tutt’altro di oggi si chiama Riccardo Mannerini.Lo conoscono in parecchi, ma vorrei lo stesso dire su di lui due cose. Perché ho riletto alcune sue poesie di recente, e ancora con la stessa emozione. La faccio breve, la sua vita è ripida e non merita orpelli: genovese classe 1927, cresce con il padre generale e nessuna intenzione di seguirne le orme. Sotto l’occupazione nazista viene reclutato a forza come operaio alla Todd, in attesa di essere arruolato nell’esercito repubblichino. Ma un anziano operaio gli prende la testa per mano e l’accompagna verso pensieri più profondi e profumati di libertà. E lavorando, sabotano.Poco più che ventenne, Mannerini si imbarca come sottoufficiale di macchina addetto alla manutenzione dei frigoriferi a bordo di navi mercantili greche. Qui il suo interesse per i versi, suoi e di altri, prende letteralmente fuoco. Legge forsennatamente, scrive e le sue parole si faranno strada. Nei rientri a Genova, frequenta il Gian Bar nel quartiere della Foce e conosce Gino Paoli, Bruno Lauzi, Fabrizio De Andrè, Umberto Bindi. Riccardo Mannerini è magnetico, seduttivo, corrosivo ma allo stesso tempo capace di generosità mai vista. L’amicizia con De Andrè spicca il volo e porta alla collaborazione artistica: notti di baldoria, ansie di libertà, avventure di ogni tipo nel loro pied a terre in salita Sant’Agostino. La notte è fatta d’alcol e l’esperienza li segnerà portandoli a comporre insieme, anni dopo, Il cantico dei drogati (in "Tutti morimmo a stento").
mondo granata
Parole al vento
Mannerini ci ha lasciato versi in cui il pensiero libertario non è posa, o gesto, o ricamo, ma qualcosa di più profondo e sincero. Nel 1961 una caldaia gli esplode in faccia levandogli la vista. Non smette di scrivere, ma le parole sui fogli di carta diventano enormi, fatte di caratteri giganteschi, il verso si accorcia facendosi se possibile ancora più affilato. A Luigi Tenco, altro genio con cui condivide un'amicizia colma di sensualità, lascia continuamente fogli per la casa, nascosti nei cassetti, dietro i quadri: per questo molti versi gli saranno attribuiti solo molto più tardi.
Diventa massaggiatore, ma tempo dopo le sue parole finiscono su Senza orario e senza bandiera dei New Trolls, e conoscono il grande successo. Straordinario e amaro: nello stesso anno il suicidio dell’amico Tenco, al Festival di Sanremo, gli leva il fiato. Altre collaborazioni artistiche arriveranno negli anni Settanta, ma nessuna andrà a buon fine.
Mannerini conosce la solitudine, il suo aspetto si fa più trasandato. Le parole hanno però riguardo e si fanno trovare. Qualche amico passa e gli legge il giornale, un romanzo, una poesia, e il resto delle ore le passa alla ricetrasmittente. Parla con i pescatori, a qualsiasi ora, e nella loro voce immagina probabilmente orizzonti e gabbiani. Lo rapisce la depressione e sceglie di andarsene nel 1980.
Io vi saluto con una manciata delle sue parole, parole di uno che ha perso la vista ma non ha abbassato lo sguardo davanti a nessuno. Atteggiamento che dovrebbe così, a spanne, renderlo simpatico anche a tutti voi.
Quelloche nonvoglio direnon me lo fa dire nessuno. Né mia madre.Né gli amici.Né Dio.Il diavolo, forse.
Un abbraccio, Marco
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