mondo granata

Piangere di gusto

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di Marco Peroni
Redazione Toro News

Comincia il piccolo tour estivo nei vecchi articoli diFuoriarea. Visto che siamo all'inizio di una nuova stagione, sono andato a ripescare quello che avevo scritto a metà del campionato 2006-2007, con Zaccheroni impegnato a cercare di trasformare il Toro in qualcos'altro. Prendete quest'articolo come uno scongiuro.Il senso è: facciamo tesoro degli errori e partiamo sempre dalle nostre radici.

Buona ri-lettura e buona estate. Marco

 

31 gennaio 2007Lo sapevo benissimo, ero sicuro che con Fuoriarea mi sarei messo nei guai da solo. L’idea di scovare tracce di Toro inteso come “stile di vita” dentro libri, dischi, film o chissà che altro non poteva che presentarmi il conto appena le cose si fossero messe male per la squadra. E infatti chi ha voglia dopo Inter, Parma e Udinese di coprirsi di ridicolo con un pezzo sull’intramontabile “tremendismo granata”? Allo stesso tempo, non sono uno di quei tifosi che trova la forza di accettare che il tremendismo sia leggenda. Ogni volta che il Toro gioca mi aspetto di vivere qualcosa in linea con la tradizione, anche se dopo le vittorie in serie di novembre e dicembre mi ero trovato a sperare nel bel gioco e addirittura nell’Europa. Ed ecco il punto: quando gente con il nostro destino si avvicina alle partite con troppo ottimismo incorre sistematicamente nell’Umiliazione. Per questo vi parlerò di un libro dal titolo forse eccessivo per la nostra “crisi” (che, non dimentichiamolo, una volta tanto è unicamente sportiva: non tale da mettere in discussione addirittura la nostra esistenza), ma che dopo l’ennesima scoppola in casa mi è sembrato perfetto: Le umiliazioni non finiscono mai. Si tratta di una tragica e allo stesso tempo esilarante raccolta di racconti in cui una settantina di scrittori descrive le più atroci umiliazioni subite in anni di onesta professione: quello che alla presentazione di un proprio libro trova presente soltanto la madre; quello che viene invitato a una rassegna e ospitato la notte in uno sgabuzzino; quello abbandonato fra le pulci; quello mortificato in televisione dalle domande di un conduttore che non lo conosce, e così via…Questo libro così strano ci riguarda per due motivi. Primo, perché la comunità granata, produttrice instancabile di Mito, subisce alcune delle ossessioni che solitamente attraversano una mente letteraria (in particolare l’odio per la normalità, il bisogno di mettersi nei pasticci per dare il meglio: basti pensare agli ultimi due scontri con il Mantova, all’incapacità di affrontare serenamente una discesa, e alla capacità di diventare, feriti e in salita, insuperabili). Secondo, perché alcune delle umiliazioni raccontate nel libro nascono dalle esagerate aspettative con cui i protagonisti si erano presentati all’appuntamento con la realtà: in altre parole, con un po’ di timore e disincanto sarebbero state evitabili. Senza voler passare per presuntuoso, infatti, di umiliazioni del genere ne so qualcosa anch’io (memorabile quella di Sanremo, anni fa: invitato nei giorni del Festival dal direttore del Club Tenco a parlare del mio libro su Luigi, al mio arrivo scopro che il pubblico è composto esclusivamente da ultra ottantenni; ma il bello viene a metà della presentazione, quando capisco che si tratta di una comitiva di anziani in gita, momentaneamente “parcheggiata” dalla guida nella sala in cui ci troviamo... improvvisamente infatti si alzano tutti e, facendomi teneramente “ciao” con la mano, si dirigono rumorosamente verso l’uscita; il direttore continua senza battere ciglio, si rivolge all’unica persona rimasta nella sala spiegandole chi sono e cosa faccio nella vita: e quella è la mia ragazza…).Per concludere, dunque, questo libro entra in Fuoriarea come monito: per non dimenticare più chi siamo e stare con i piedi ben piantati a terra. Noi e soprattutto la squadra. Fin dalla prossima partita a Siena, perché le Umiliazioni per essere mistiche e salvifiche devono essere poche. Come dice la frase d’apertura, dobbiamo riprendere a “viaggiare nella direzione della nostra paura”. Soprattutto quella sana, sanissima paura di retrocedere di nuovo che non avrebbe dovuto abbandonarci tanto presto.

E poi, a quel punto, tirare semplicemente fuori le palle.

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