Premessa. Cari amici, a nessuno fa piacere vedere la nostra squadra in queste condizioni.Non sarà facile in queste settimane scrivere e parlare di racconti e ricordi, mentre le cose non vanno certo bene. Cerchiamo di considerare questo spazio come una piccola distrazione, un cerchio attorno al fuoco dove incontrarci tra amici per non dimenticare chi siamo. Poi si vedrà. Avremo tempo per scrivere e toglierci tutti i sassolini dalle scarpe, non temete. Immaginate un indiano, un poeta, un ragazzo biondo, un Pulici che non era Pulici e tanti bambini in fila per la prima comunione.Sono i tanti protagonisti di questa storia, fatta di casualità e fatalità, di cose volute dal destino.Una storia che potrebbe cominciare in molti modi.Se fosse un film potrebbe iniziare con una stretta inquadratura su di un volto di donna sorpreso, stupito, allibito.La telecamera potrebbe poi zoomare al contrario e rivelare chi c’è attorno alla donna e che cosa ha prodotto quell’espressione attonita.Oppure, se fosse una musica, questa storia potrebbe avere inizio con alcuni accordi di organo. Magari una pianola elettrica, di quelle che si trovavano nelle chiese più moderne negli anni ’70, che annunciavano l’inizio della funzione.No, né film né canzone.Questa storia comincia dalla fine, in modo tragico.
mondo granata
Prima Comunione
Ci troviamo a Roma ed è il gennaio del 1977.C’è il negozio di un gioielliere, è buio ormai.Fuori si è radunata tanta gente, si vedono i lampeggianti di molte vetture della polizia. Un’ambulanza è ferma fuori.All’interno della gioielleria, sul pavimento, giace un giovane.E’ stato ucciso da un colpo di pistola.E’ uno dei protagonisti della nostra storia.
- Che bel bambino! Sembri proprio un angioletto!Ma che commento del cavolo. Non ho mai sopportato i luoghi comuni e le generalizzazioni fin da quando ero piccolo.Passi per il “bel bambino” (…) ma non mi era mai piaciuto far parte di categorie a priori, angioletti o colonie estive che fossero.Brutta cosa questa. Si vive male, perennemente incavolati.E poi, scusate, perché mai dovevo essere un “angioletto”?Gli angioletti erano in paradiso, cosa c’entravo io, che ero sulla Terra?E neanche da tanto?Emisi un sorriso rabbioso alla signora di turno, che quel giorno mi vedeva scendere le scale in direzione chiesa, con l’intenzione di farle capire a parole che sarebbe stato meglio non dire cretinate.- Grazie Signora! – dissi.Ero ancora troppo gagno per la polemica.
Era il giorno della mia Prima Comunione, il 25 aprile 1976.Stavo dirigendomi in chiesa con mia madre, tutto vestito di punto, assieme ad altri bambini, a molti altri bambini.In quegli anni eravamo veramente tanti, eravamo i bimbi nati negli anni ’60.In chiesa solite foto di rito, tra cui l’immancabile inginocchiata a mani giunte e sguardo beato.Avrei dovuto essere tutto spirito, tutto angelica beatitudine, direte voi.Certo, certo.Io in mente invece, avevo principalmente la partita che si sarebbe disputata nel pomeriggio.Lazio-Torino.Già allora. Una precoce malattia.
Il Toro veleggia verso lo scudetto con due punti di vantaggio, dopo il sorpasso operato ai danni dei gobbi qualche settimana prima. Mancano quattro giornate alla fine. Il turno però è ostico. Gobbi contro la Roma al Comunale, noi in trasferta all’Olimpico contro l’inguaiatissima Lazio, lontanissima parente di quella che pochi anni prima aveva vinto il campionato. I nomi sono famosi, alle volte legati a episodi o a leggende metropolitane un po’ inquietanti.Chinaglia, Wilson, Martini, Ammoniaci, Garlaschelli.Poi c’è un giocatore biondo, si chiama Luciano Re Lecconi.Ha fatto gol al Toro nella gara d’andata, un 2-1 per gli uomini di Radice.E poi c’è un Pulici che non è Pulici.Si chiama Felice Pulici, è il portiere della Lazio.Non c’è parentela col nostro idolo, solo omonimia.
Terminata la funzione dunque, nel pomeriggio mi ritrovai a casa con vicini, vicine, conoscenti e pochi parenti per un piccolo rinfresco con relativi dolciumi.E con la strana presenza dell’inseparabile radiolina, che tutti avrebbero voluto spenta, ma che invece continuava a gracchiare.Tutti a dire “come sei bravo, come sei bello vestito così”, foto di qui, foto di là, del tutto ignari che la mia mente volteggiava sopra lo stadio Olimpico di Roma.E se la mia mente fosse stata dotata di occhi, avrebbe visto Garlaschelli, quasi alla metà del secondo tempo, scendere sulla destra ed effettuare un traversone teso, che sarebbe stato mancato da molti.Un traversone sbucato all’improvviso, che sarebbe andato a incocciare contro il nostro Poeta.Un autogol terribile.
- Xxxxx, il Toro perde! – esclamai, dove le cinque x stanno per una cosa che potete facilmente identificare.Si fece silenzio.Stupore in casa, dipinto su invitati e vicine benpensanti.E tanto per gradire, ripetei quelle x altre tre o quattro volte, non per riempirne la stanza, ma perché il concetto fosse chiaro.Come poteva un bambino nominare tale sostanza proprio nel giorno della sua prima comunione?Volti inorriditi, anche perché accompagnati da un muso storico.Mancavano venticinque minuti ed improvvisamente cominciai a dimenticarmi della sacralità della giornata e del Sacramento ricevuto.“Sacramento”. Ogni tanto devo ricordarmi del significato originale della parola.Del resto, ragazzi, la mentalità era vincente, non si era abituati alle sconfitte.All’epoca pareggiare in casa era un disonore, mica adesso che ci si spella le mani - Bravi! – Bravi! – Sotto la Curva, dopo uno squallido pareggio interno col Siena!Bravi un corno! Si doveva vincere e si vinceva.- Vuoi una bignola? – mi chiese qualcuno degli invitati, vedendomi in quello stato.Non so voi, ma della bignola all’epoca mi importava poco o nulla.Mi importava del Toro.E anche in seguito la scala dei valori non è che sia mai cambiata più di tanto.
E così eccomi lì, in un giorno che avrebbe dovuto essere di festa.I minuti scorrono senza che nulla capiti e, ingenuamente, mi vengono le lacrime agli occhi.Ingenuamente perché non sarà certo la prima volta.Io non posso saperlo, ma mentre sono lì ad anticipare l’ansia e la rabbia dei seguenti trenta e oltre anni di vita, molti chilometri più a sud il Toro sta arrembando con la forza della disperazione.
E’ ormai l’ultimo minuto, ci prova addirittura Caporale, il libero.Scende nella metà campo avversaria sapendo che quella è l’ultima occasione.Un triangolo con Pecci, la palla a Nello Santin.Santin, l’indiano. Il suo soprannome.E’ il calcio di un’altra epoca, meno asfissiante, più giocato, meno veloce.Ora ci sarebbe il Gattuso di turno che penserebbe a stendere un giocatore in progressione.E’ il laziale Pino Wilson ad accorgersi del pericolo imminente.Tutto avviene in pochi secondi, Nello entra in area e si libera di un avversario.Wilson si para di fronte al nostro giocatore in maniera disperata.Ma scivola, tradito da una finta del nostro giocatore.Santin non è un gran tiratore. I suoi gol si contano sulla punta delle dita di una mano semi-monca.Rimane un solo giocatore tra lui e Pulici, il Pulici che non è Pulici.Un giocatore biondo.Quel giorno Nello ci prova.E tira una scarpata.
Fu la radio ad impedire che le mie lacrime scendessero.La prima occasione nella quale assaporai la gioia di una partita recuperata all’ultimo istante.Una delle prime volte con lo sguardo spiritato, gli occhi spalancati, fuori dalle orbite.- Tè! Tè! Tè! Gooooool! Quel te-te-te ripetuto ossessivamente, non era la richiesta arrogante di una bevanda.Era una corsa saltellante, dove ad ogni “Tè” corrispondeva un gesto dell’ombrello.Non so contro chi stessi inveendo.Forse contro la mala sorte. Forse ancora, in un flash forward avevo intuito quanto quella rete sarebbe stata importante.O forse ancora contro i Gobbi. Avevo imparato in fretta.Già, però lo stavo facendo perfettamente vestito da Prima Comunione.Di fronte a persone con volti inorriditi, che, pensando che fossi completamente impazzito, credevano che stessi mandando a stendere loro.L’angioletto.Salutarono e se ne andarono, ma a quel punto poco mi importava.Col senno di poi si può dire che la mia spiritualità durò il tempo di una mattinata.
La scarpata di Nello l’indiano, andò a cozzare contro un tallone di Luciano Re Cecconi, il giocatore biondo. La palla terminò nell’angolino alla sinistra del Pulici che non era Pulici.Un’autorete che pareggia un’autorete. Una casualità, una questione di centimetri.Un punto acciuffato per i capelli all’ultimo istante. Le nostre mani sullo scudetto.
Questa storia di scarsa spiritualità ha una piccola conseguente appendice.Due settimane più tardi dovetti presenziare invece a un battesimo.Ovviamente al pomeriggio. La contemporaneità con Verona-Torino era beffardamente scontata.Mio padre, che aveva cominciato a intuire la drammaticità delle cose, si era particolarmente raccomandato che in chiesa non saltasse fuori nessuna radio.La radio invece c’era, ben nascosta in una tasca, ma naturalmente non potevo accenderla.La sua vicinanza mi bastava.Durante la funzione io ed altri bambini fummo (con mio disagio inenarrabile), chiamati ai piedi dell’altare per “portare una candela” ad ogni famiglia dei battezzandi.Così fui costretto a percorrere la navata con in mano una candela.E nell’altra la radiolina.La scena non passò inosservata agli occhi del Sacerdote, che terminò la Funzione con il rituale:- …andate in pace… e ora andate pure a sentire la partita.Mormorio in chiesa.Ricordo mio padre che si mise una mano sul volto.- Asu – mi disse.
- Accendi, accendi!- Presto!- Quanto siamo?Gli altri bambini erano accorsi sugli scalini della chiesa. C’era fermento, partecipazione totale in quei giorni.Dopo pochi istanti di radiocronaca una voce potente alle nostre spalle ci fece sobbalzare.- Allora, quanto fa il Toro?Era il sacerdote, in abito civile.E’ proprio vero che tutti i salmi finiscono in Gloria!
Quanto siamo spirituali noi del Toro?Quanto questa personalissima religione si è confusa con quella che dovrebbe essere ufficiale?Quanto invece siamo legati a piccoli rituali e scaramanzie?Quante volte siamo andati alla Lapide per chiedere qualcosa, magari da soli, di nascosto.Anche solo per cercare un po’ di serenità?Quante altre tante volte abbiamo promesso di salire al colle a piedi in caso di promozione, salvezza, o difficoltà varie?Oppure quante volte, per assurdo, abbiamo chiesto aiuto a Loro da lassù, anche per altre cose che col calcio non c’entravano nulla?Sono pensieri strani, lo so.Ma ogni tanto mi piace riflettere un po’ in solitudine su queste cose, quando salgo alla Lapide.Chissà se da lassù mi vedono davvero?Magari tra di loro sorridono e sghignazzano, in fondo erano ragazzi anche loro, no?O se invece c’è qualcun altro, che con voce molto più tonante scuote la testa e dice “Fate furb”…
Il Toro vinse il campionato in quel giorno di aprile, quello della mia Comunione, su quella deviazione di Re Cecconi, che pareggiò quella del Poeta.Non matematicamente, ma sono convinto che senza quel rocambolesco pareggio, la corsa al titolo sarebbe stata ancora più difficoltosa.Se avessimo perso a Roma, la gobba, comunque bloccata dai giallorossi in casa, si sarebbe avvicinata ad un solo punto, e a tre giornate dalla fine tutto sarebbe potuto capitare.E’ bello rivedere quella foto. La scarpata di Nello. O se preferite, il tiro dell’Indiano, che finirà alle spalle del portiere laziale.Quello sarà l’ultimo anno per Felice Pulici nella Lazio. Il Pulici che non era Pulici passerà al Monza la stagione successiva.Quel Lazio-Toro è invece una delle ultime gare disputate da Luciano Re Cecconi.Purtroppo.Ricordate come è cominciato il nostro racconto, vero?
E’ il 16 gennaio del 1977, non è passato neanche un anno da quel giorno di primavera.E’ sera a Roma, ma i negozi sono ancora aperti.Tre amici entrano in una gioielleria.Uno di loro prima di entrare si tira su il bavero della giacca, per coprirsi il viso e mette una mano in tasca, come se avesse una pistola.Entrano.Uno dei giovani, quello col bavero alzato, dice – Fermi tutti! Questa è una rapina!Il gioielliere non ci pensa due volte.
Sono anni terribili, per strada si spara.Spesso e sovente.Sono anni di tensioni e atti mai del tutto chiariti.Quel gioielliere ha già subito altre rapine.L’uomo sente quelle parole e vede il ragazzo con il bavero alzato e la mano in tasca. Afferra la propria pistola che tiene sotto il bancone e spara, uccidendolo sul colpo.
Non era un rapinatore.A terra è rimasto un giovane che quel giorno, chissà per quale sventura della sorte, ha deciso di organizzare uno scherzo.Nessuno ha mai saputo cosa gli sia balenato nella mente in quell’attimo di follia.Neanche i due amici che erano con lui, tra cui Pietro Ghedin, suo compagno di squadra.Si è alzato il bavero, ha pronunciato quella frase per scherzo.Per fare uno scherzo al gioielliere.Forse pensava che quell’uomo l’avrebbe riconosciuto.Invece No.
A terra è rimasto un giovane biondo.Il giovane morto è Luciano Re Cecconi, il giocatore che aveva deviato il tiro di Santin.Morì così, a 29 anni.E’ una storia strana, se vogliamo assurda, figlia di un tempo distante.Forse la ricorderete anche voi.Lasciamo che il cerchio si chiuda sui protagonisti della nostra storia.
Su quel 25 aprile sono state raccontate tante storie, altre ne sono state scritte.La bellezza di quanto abbiamo vissuto nell’universo Toro è che le storie sono virtualmente infinite.Abbiamo ricordi comuni, ma li abbiamo vissuti in modo differente.Ognuno avrebbe la sua storia da raccontare.Ed è bello ogni tanto fermarsi, nelle nostre inutili, false e beffarde corse quotidiane, ad ascoltarle, come se fossimo tutti seduti attorno a un fuoco. E rivivere il gol di Santin, come se fosse sempre diverso. Non possiamo fare altro che sederci qui e vivere di questo. In attesa degli eventi. Mauro Saglietti
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