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Redazione Toro News
di Silvia Lachello Domenica 24 agosto 2008Caro Diario,ti voglio raccontare un magone. O forse no.Quando ero piccola c'erano due cose di cui ero avida: guardare la Luna e andare alla partitella del giovedì al Fila.Mi piaceva anche il...

di Silvia Lachello

 

Domenica 24 agosto 2008

Caro Diario,ti voglio raccontare un magone. O forse no.Quando ero piccola c'erano due cose di cui ero avida: guardare la Luna e andare alla partitella del giovedì al Fila.Mi piaceva anche il cioccolato ma veniva in terza posizione quanto a preferenze.

La Luna, facile. Bastava spostare la tenda ed era lì, sempre diversa. Mi piaceva intuirne il profilo dietro alle nuvole quando c'erano le nuvole, contare i colori dell'alone quando c'era l'alone, guardarla e basta quando illuminava d'azzurro le case. Quando son diventata grande nelle notti di Luna Piena, se mi trovavo fra le colline del Monferrato con Marco (sì, il gobbo per dispetto), spegnevamo i fari dell'auto e procedevamo lentamente, incantati da tutta quella luce, riappacificati con i dispiaceri che ci eravamo appena raccontati.

La partitella del giovedì, meno facile. Il giovedì c'era una volta sola alla settimana e non sempre meritavamo d'andarci: era un premio e per ottenerlo dovevamo comportarci come si deve. Ma poi si andava quasi sempre.Una calamita: quel luogo era ed è tuttora una grande, immensa, irresistibile calamita.

Entrare dentro al Fila significava essere a casa. Una casa diversa da quella abituale, una casa piena di volti sconosciuti eppure così familiari, una casa piena di rumori, di odori e di suoni. Sempre gli stessi.Io da bambina credevo nei fantasmi e spesso mi guardavo intorno sperando di vederne qualcuno. Lì al Fila.Non riuscivo a capacitarmi del fatto che gli Angeli non tornassero nella loro casa. Boh, non lo so, forse c'erano ma non ero in grado di vederli.

Le partitelle che mi piacevano di più erano quelle nei giorni freddi. Mi piaceva vedere il fiato dei giocatori dare forma visibile a giubili e bestemmie. Anche a risate.Mi aggrappavo alla rete con le dita e rimanevo a guardare senza capire esattamente che cosa stessi guardando. Ma so che era bello.I bambini hanno sentimenti ed emozioni molto semplici, anche se non sembra girano per il mondo con un machete immaginario e decretano: questo è brutto, questo è bello.E quello, sai, era bello.Come il rumore dei piedi sul pallone. E' uno dei miei ricordi sonori più nitidi. Era bello. Ed era vicino. Potevi quasi afferrarlo.E' il senso della casa: ricordi nitidi, calore.

To cut a long story short: ad un certo punto sono arrivate le ruspe ed hanno buttato giù la casa. La nostra casa.Ed ho sostituito le partitelle al Fila con il cioccolato.Sai che ho evitato di passare nelle vicinanze del Fila per tantissimi anni? Sì, che lo sai. Se tu potessi parlare si leverebbero ore, giorni ed anni di rimproveri. Ma non puoi parlare. Ah!Poi ho deciso di farvi ritorno. Una mattina mi son fatta lasciare in Via Spano e sono rimasta ad osservare una breccia nel muro.Vado o resto? Vado o resto? Piglio fiato e vado.Sono entrata di soppiatto, misurando ogni singolo passo e poi mio marito, fermo in auto ad aspettarmi, dice di avermi vista partire di corsa.E' vero: mi sono messa a correre come chi sa che ha già fra i denti la preda. Si trattava solo di riafferrare un pezzettino di me. A volte si lasciano pezzi d'anima in altri luoghi. Non so se sia più grande la nostalgia per quei pezzi d'anima o per i luoghi in cui sono rimasti.Ieri sono tornata dalla Scozia e mi rendo conto di aver lasciato molto di me lassù. Il pezzo più grande è rimasto sulle Orcadi: verrà ben custodito, soprattutto nelle tante ore di oscurità dell'inverno. Ma questa è un'altra storia...

Sono partita di corsa, dicevo, ed arrivata a centrocampo ho alzato le braccia al cielo e sono caduta sulle ginocchia a piangere.E' stato come fare un viaggio nel tempo: ho chiuso gli occhi ed ero di nuovo lì con le mani rattrappite ad aggrapparmi alla rete. Anzi no: ero davvero io, davvero io quella in mezzo al campo.Avevo paura di far male all'erba, pensa un po', avevo paura di star facendo qualche cosa di ingiusto... ed invece no.E per la prima volta ho percepito che dentro al Fila tira sempre una leggera brezza.Mi son guardata intorno ed ho guardato le rovine. E non mi hanno fatto male (unica volta, unica volta in cui non mi hanno fatto male).Poi sono uscita lentamente con i crampi alle guance per i gran sorrisi.

Ci sono tornata qualche sera dopo con Sandra, Roberto, Antonio, Beppe e Filippo per festeggiare il mio compleanno.Avevo già acceso le candeline sulla crostata, adagiata a centrocampo, quando Roberto ne ha presa una, ha spostato la torta di lato, ed ha piantato quel piccolo punto di luce nel mezzo della casa di un popolo grande.“Adesso puoi soffiare, adesso”.E poi via nella notte a spegnere l'afa con un Mojito mentre quel piccolo punto di luce mi brillava ancora dentro.La sensazione precisa era quella di star contenendo tutta la mia vita in un unico pensiero. Ed era un pensiero bello.Da allora ci sono tornata molte volte, quasi sempre da sola, per scrivere, meditare, anche solo per sentire quella brezza unica che soffia solamente lì.E per fare delle foto.Lo sai, ormai fotografo qualunque cosa compulsivamente.

Una mattina d'aprile ci sono tornata per terminare un racconto ma ho trovato la strada sbarrata da lamiere.Mi è preso il panico.E compulsivamente sono tornata lì per giorni e giorni finché non ho visto che qualcuno aveva aperto una soglia.Terribile, terribile sentirsi ladri ad entrare nella propria casa. Ma chi se ne frega.Sono tornata ancora ed ancora ed ancora.Ci ho passato un'alba a luglio ed ho visto tutti i colori svilupparsi sotto ai miei piedi, davanti ai miei occhi. Ho visto anche altro, qualcosa che mi fa soffrire, per cui non mi do pace  ma anche questa è un'altra storia: prometto di raccontartela poi.E poi, prima di partire per le ferie, ho compiuto il mio personale pellegrinaggio: c'era una voce interiore che non stava mai zitta e quella voce mi diceva “Vai a dirgli addio”.Non capivo, non capivo in quel momento e fotografavo, clic clic clic, trattenendo il fiato.Il penultimo giorno, dopo una notte di pioggia, uscendo ho visto per terra un pezzo di stoffa granata parzialmente coperto da petali fucsia. Era abbandonato lì ed aveva la forma di un cuore. Clic clic clic. Clic di rabbia. Clic di emozione. Clic di orgoglio. Clic di io so chi sono. Clic.Il giorno dopo sono entrata ed uscita alcune volte prima di decidermi a salire in auto ed andare verso la routine. Ma quando la decisione è stata presa mi sono sorpresa a dire a voce alta “Addio”.Il perché l'ho capito ieri sera, dopo Toro-Brescia: il Fila è diventato di nuovo inaccessibile.Chiuso.Finito.Kaputt.

Fila caput Tauri... non più definitivamente.

Un (altro) colpo secco di ghigliottina in una sera di fine agosto.Ma che male facevamo noi ad andare lì? Nessuno. Volevamo solo rendere omaggio alle nostre radici, volevamo solo continuare a ravvivare il fuoco, volevamo solo stare un po' tranquilli ed al riparo mentre intorno il mondo crollava.Volevamo avere un luogo. Tenere vivo IL luogo.Ma noi siamo indomiti, però... e chi ci ammazza? Non è bastato un aereo contro una collina, non è bastata un'amministrazione discutibile.Le cose cambieranno: io non perdo MAI la fiducia. Sì, magari per qualche momento, ma poi... lo sai: vado avanti come un carrarmato. E non sono sola. Siamo un Popolo, l'unico Popolo a cui mi sento di appartenere.Il Toro è l'unico possesso da cui non mi sottraggo fuggendo a velocità di curvatura.Ed ora mi tuffo di nuovo nelle ottocento e passa foto scattate in Scozia (avrei dovuto farne di più...) e provo a ritrovare quella parte di me che è rimasta lassù al nord.Poi ti devo raccontare di quando ho incontrato due giapponesi tifosi del Toro al porto di Calais ma non adesso, non adesso...