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mondo granata
Sullo spareggio di Reggio Emilia contro il Perugia molto si è scritto, sul maledetto palo di Dorigo si è tristemente recriminato a lungo. Quello che invece non è stato mai descritto, ciò che successe pochi istanti più tardi, in uno dei momenti più difficili della storia granata e della sua tifoseria. Questa Istantanea parla della gente granata che abbandonava lo stadio dopo la sconfitta. Parla di rabbia, di amici, di lacrime. Diecimila tifosi del Toro quel giorno a Reggio. Questa è la storia del loro ritorno a casa. Ed è anche la storia di come si possa piangere sentendosi fieri di farlo.
Reggio Emilia, 21 giugno 1998, spareggio per la promozione Torino-Perugia. E'il giorno più lungo dell'anno, il caldo a tratti è insopportabile. L'ansia del pre-partita, centoventi minuti di angoscia, speranze e rabbia si schiantano contro un palo. Il solito palo. Tovalieri infila l'ultimo rigore. E' finita,è proprio finita. Si sente solo l'urlo dell'altra gradinata. E'un attimo di gelo che sembra eterno, forse ci sono quaranta gradi, ma nessuno li sente più. Non si parla, lo sguardo spazia smarrito.
Rabbia e dolore verranno dopo, gli unici ricordi sono quelli dei giocatori granata che piangono e si incamminano a capo chino verso la nostra curva. E’ finita dunque. Non importa quanto sia stato ingiusto, quanto truffaldino. E'davvero finita.
Non so quanti di noi oggi rammentino ancora quegli attimi tremendi o quanti abbiano cancellato un ricordo a tratti insostenibile. Scendiamo le gradinate come automi, nel silenzio. Qualcuno fa volare parole grosse, ma i più in quegli istanti cercano un appiglio, una consolazione, che non arriva. Si cerca qualcosa da bere, l’arsura e 120 minuti di urla hanno fatto terminare le scorte d’acqua a molti di noi. Niente, nessuno vende acqua. Ci muoviamo nei bagni come automi, nel silenzio rotto solo dai singhiozzi di una ragazza. Il liquido che esce dai lavandini sembra tutto meno che potabile, rinunciamo a bere nello scoramento più totale.
Scendiamo gli ultimi scalini, prima di uscire dallo stadio. Dio, quanto sono difficili, quanta fatica costano, mentre tratteniamo a stento quel qualcosa che ti sta prendendo alla gola e che vorrebbe scatenarsi. Fuori dalla curva c'è il treno che ci aspetta, il treno col quale siamo arrivati allo stadio Giglio qualche ora prima. E'rimasto sotto il sole tutto quel tempo. Le lamiere sono infuocate, la temperatura è insopportabile. E non c'ècqua. Saliamo su quel treno ed è da uno dei finestrini che viene scattata l'Istantanea di oggi. La gente granata è radunata smarrita attorno al muro di cinta dello stadio. Molte persone sono sedute contro quel muro, il capo chino, le lacrime che scendono, i singhiozzi alle volte trattenuti, il capo di una ragazza su quella del fidanzato, un bambino con una bandiera per mano al suo papà. Da lontano arrivano le urla dei perugini che ci sfottono. Qualcuno replica, qualcun altro sussurra: - Non finisce quì li ritroveremo sulla nostra strada, prima o poi, state tranquilli! Il treno si muove e subito, quasi inavvertitamente, parte un lento applauso verso chi sta partendo. Sono i ragazzi rimasti a terra, che aspettano il secondo convoglio. Hanno visto i nostri volti stravolti e noi vediamo i loro. Dai finestrini rispondiamo al loro lento battito di mani.
Quanto è granata quel gesto tra fratelli.
Il resto del viaggio è cosa nota, apocalittica. La gente invoca “acqua!”, ma il treno speciale non si ferma neanche per sbaglio. Ad Alessandria viene impedito ad un venditore ambulante di avvicinarsi al nostro convoglio. E’ un viaggio nel silenzio e c’è chi pensa agli amici, chi sta tornando a casa in macchina, chi in moto. Ognuno inghiottito dal crepuscolo del giorno più lungo dell’anno. Idealmente siamo stati tutti su quei vagoni quella notte, fratelli. Viaggiavamo verso una notte che era destinata a durare, nonostante mille saliscendi. Quel treno corre verso il buio, lasciamolo andare.
Sono passati nove anni, da quel 21 giugno 1998.
Ora il Toro è in serie A, il Perugia in serie C e le nostre strade si sono davvero incontrate, un paio d’anni fa’. Buffo vero? E mi viene da pensare a quante volte, ognuno di noi nella propria vita, nei propri affetti personali, si è davvero trovato appoggiato a quel muro, il capo chino, il senso di sconfitta per aver perso tutto. E quante volte ce l’abbiamo fatta a tornare vivi, a vincere alla distanza. Sotto questo punto di vista il Toro è stato un fratello maggiore, un vero maestro di vita.
Ripenso a tutta la gente che piangeva, quel giorno a Reggio Emilia. Potessi viaggiare nel tempo tornerei indietro per mormorare parole di conforto, per tentare di consolare. E'a loro che è dedicata questa Istantanea, a loro vanno queste parole. E queste parole vanno anche a chi, magari molto recentemente, ha criticato il mondo dei tifosi in generale, senza neanche lontanamente sapere o conoscere che cosa significhi soffrire per la propria squadra. E a tutti quelli che, come il sottoscritto, sono fieri di aver pianto, in un lontano pomeriggio di giugno di qualche anno fa.
Mauro Saglietti
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