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mondo granata
di Marco Peroni
Dopo un anno e mezzo a scrivere qui sopra, solo uno stupido potrebbe non avere capito ancora cosa fa più gola al frequentatore di Fuoriarea. C’è un termometro abbastanza affidabile che è quello del numero di visite: uno va a vedere indietro e si accorge che, tutte le volte che ha spinto sull’acceleratore fin dal titolo, i curiosi sono saliti eccome. E così, probabilmente, il piacere con cui hanno letto.Ma bisogna che dia retta anche un po’ a me stesso, visto che sono qui per passione esattamente come voi... Per cui oggi sarò meno caustico del solito, e vi parlerò di un romanzo che mi ha colpito al cuore: La strada, di Cormac McCarthy. Come sempre, senza l’ambizione di recensire, ma con la speranza di incrociare la curiosità di qualcuno di voi. Proprio come se fossimo nella stessa macchina, in una domenica di sole in direzione stadio.La strada è prezioso per come è scritto, e terribile per cosa dice: si racconta dei giorni e delle notti di un uomo e del suo bambino, che si muovono soli e indifesi in un mondo azzerato da una guerra nucleare. Mangiano quello che trovano, ma stando attenti a non farsi mangiare; tutto è distrutto, quasi tutti gli uomini scomparsi e non si vedono che cenere, rovine e squadre di straccioni pronti a qualsiasi cosa per un boccone. "Ce la caveremo vero papà?Sì, Ce la caveremo.E non ci succederà niente di male.Esatto.Perchè noi portiamo il fuoco.Sì. Perchè noi portiamo il fuoco."
Forse non si capita in mezzo a certi romanzi per caso. Forse è un po’ che sono particolarmente sensibile a certe sirene. Distruzioni a parte, la cosa che mi ha impressionato di più è stato immaginare un mondo senza cultura: senza più niente che sappia di uomo, di idee, di sogni... Un mondo senza più impronte, senza più eredità, senza storie da tramandare, senza parole, concerti, cucina, architettura, partite. Niente emozioni, rappresentazioni, simulacri: solo fame o cibo, freddo o fuoco, pioggia o tetto... Quello che posso dirvi è che questo libro mi ha lasciato con la voglia di alzarmi dalla sedia e occuparmi di quello che ho attorno: proteggendolo, tenendolo vivo e pulito. E' un po' il merito che ha l'opera d'arte, anche quella più dura: mentre ti scuote, paradossalmente, ti rincuora. Porta a galla qualcosa che avevi nascosto in profondità, provocandoti un salubre dolore. Del resto, penso che qui su una cosa siamo tutti d'accordo: non è un Leopardi che fa venire voglia di tirarsi un colpo, ma le Paoleperego e le Buonedomeniche.
Una delle cose più belle di essere del Toro è che la Storia ne ha fatto di tutto fuor che una semplice società sportiva: con noi il destino non ci è andato leggero, ma ci ha lasciato diversi. Un po’ come fa La strada con chi lo legge.
Un abbraccio a tutti, Marco
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