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mondo granata
Che si dovesse soffrire era banale, scontato, ovvio. Quale vittoria ha mai potuto festeggiare il Toro senza lasciarsi dietro lacrime, sudore e sangue? Pero' questa volta avevo un cattivo presentimento, non riguardo al risultato ma piuttosto alla mia capacita' di sopportare le emozioni. L' ho intuito gia' giovedi' sera, quando Abbruscato ha infilato Brivio sotto la Maratona itinerante. Il 4-2 lasciava aperta la porta alla speranza. Meno male. Quando venerdi' il mio amico Ciccio mi ha chiamato urlando ''Ho trovato quattro biglietti in tribuna ovest, ale-ale'-ale'-toro-ale''' la ragione mi ha consigliato di rinunciare, il cuore mi ha strappato un ''si'' sussurrato. Poi due giorni di angosce, di riti tra il tribalismo e la santeria, di 'toccatine' che ''se avesse avuto ragione il parroco sarei dovuto diventare cieco in poche ore''. Dopo la notte insonne tra sabato e domenica, la decisione apocalittica. Per me niente stadio. Le 60.000 voci urlanti, la partita, i cori, gli sfotto', la tensione, erano davvero troppo. Cosi' ho dato il biglietto ad un amico e mi sono rassegnato a vedere la partita in tv.
I riti scaramantici sono iniziati a pranzo, stappando una bottiglia di barbera ''perche' il vino frizzante porta bene''. Poi una passeggiata in collina per scaricare. Peccato che ho beccato quel gobbo del mio vicino che per 20 minuti mi ha ripetuto quanto avrebbe voluto essere nato granata, perche' cosi' ogni vittoria si puo' apprezzare di piu' eccetera eccetera. Inutile sottolineare che l'ho mandato cordialmente affanculo. Ma lui, un po' come il Ned Flanders dei Simpson, mi ha sorriso. L' ho interpretato come un segno del destino: se avessimo perso, gli avrei bruciato l'auto e il dondolo in giardino. Sono le 18: ne approfitto per staccare la spina e guardare in tv Messico-Iran. La testa viaggia a 2.000 all' ora. Mi metto a cucinare. Trituro cinque cipolle per fare un soffritto da tre persone. Piango per 10 minuti buoni. Poi mi taglio un dito. Sangue. Il rosso mi fa pensare alla passione che stara' facendo esplodere lo stadio. Memore dell' anno scorso, alle 20,40 mi metto sul divano. Al mio fianco due amici, neanche troppo interessati. La sciarpa e' sulla scala (e' li' dalla partita con il Mantova del girone di ritorno e li' restera' per i prossimi 20 anni a meno di un terremoto), i gatti sono chiusi dentro casa (l'anno scorso ha portato bene). Il primo tempo lo guardo seduto sul divano, il secondo in piedi dietro il divano. Ai due gol mi lancio come un ossesso sul pavimento. Il cuore mi batte a mille. Il primo tempo supplementare lo passo a lavare i piatti. Occhio non vede, cuore non duole. Ma purtroppo orecchio sente la telecronaca. Ed e' subito Nicola che mette le cose a posto. ''Adesso ci devono fare due gol'' urlo come un disperato. Poi torno a lavare i piatti. Il secondo tempo supplementare lo trascorro a guardare i pesci nell'acquario. A ciascuno do un nome. C' e' Rosina che e' piccolo e tondo, Dou Dou e' lungo e nero, Taibi ha il faccione e gli occhi piccoli, Stellone cerca di mangiarsi gli altri. L'orecchio e' sempre, automaticamente, rivolto all'altra stanza. Entra Melara. Non faccio in tempo a pregare da ateo che Poggi e' gia' sul dischetto. 3-1. Coronarie in fibrillazione.
E' l' ora del rhum. Mancano 9 minuti e mi accendo una sigaretta. Ne mancano 5 e ne accendo un'altra. Gasparetto sfiora il palo e mi pizzico per vedere se sono sveglio. E' un sogno o un incubo? Manca un minuto piu' il recupero. Accendo un'altra sigaretta. Il gatto miagola. Vuole uscire, in casa ci sono 40 gradi, un po' troppi anche per lui. Farina fischia la fine e mi manda affanculo. Vabbo', lo perdono. La gioia e' troppa. Questa partita dovrebbero farla vedere nelle scuole per far capire cosa vuol dire essere tifoso del Toro. Niente e' facile, niente e' scontato. Pochi fuoriclasse in campo, tanto orgoglio sugli spalti. Ogni gioia e' il risultato di tanta sofferenza. E sara' sempre cosi', con buona pace per le nostre coronarie.Un saluto, Enrico Marcoz (Ansa Aosta)
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