Stefano Radice è prima di tutto uno storico: insegna storia e filosofia nei licei di Carrara. Ma è anche un cuore granata vero. Da pochissimo è uscita la sua ultima fatica letteraria: Solo il fato li vinse. Memorie e rappresentazioni del Grande Torino 1949-2024 (Urbone Publishing, 2024). La prefazione è di Domenico Mungo. Da questo volume non ci si deve aspettare un romanzo aneddotico sul Grande Torino, ma una ricerca storica approfondita e valida. Lo dice quasi con un po' di imbarazzo: "Questo è un libro di storia, moltissimi potrebbero trovare il libro un po' ostico da un certo punto di vista. Chi compra un libro sul Grande Torino e la tragedia di Superga si aspetta di trovare le solite storie, le piccole memorie, i risultati, i record... In realtà questo è un libro di storia". Questo rende il libro interessante per tutti gli appassionati sportivi ma anche per gli amanti della storia, oltre che per i tifosi granata. In esclusiva, Toro News gli ha chiesto di raccontarlo e di spiegare come si è mossa la sua ricerca.
le voci
Lo storico Stefano Radice a TN: “Ecco com’è stato raccontato il Grande Torino”
Buongiorno professore, innanzitutto una curiosità su quella copertina con il Torino campione d'Italia nel 1976 (nella foto qui sotto). Qual è il nesso con il titolo e con il libro? "C'entra eccome in verità. Sul Grande Torino è stato scritto praticamente di tutto. Mancava, a mio giudizio, una storia che raccontasse una storia del Grande Torino, ossia quello che del Grande Torino è stato scritto, detto e raccontato dal '49 ad oggi. Ho individuato dei punti di svolta e uno di essi principali è proprio il 16 maggio 1976. Se si guarda bene la storia, che oramai conosciamo tutti, dietro a Radice in festa c'è uno striscione con la scritta "Grande Torino". Questo fa un po' specie pensando che sono passati 27 anni. Prima della partita, in Maratona c'era stato un altro grande striscione: "Superga vi guarda". Dopo la gara, poco prima dello scatto di quell'immagine, Radice disse: "Abbiamo fatto resuscitare il Grande Torino". Mi sembrava proprio una foto che potesse rappresentare un momento di svolta di una narrazione, che io faccio, anche per non mettere la solita foto del Grande Torino".
Può c'entrare anche il suo cognome? "Mio nonno era di Varese ed era cugino di Gigi Radice. Questo lo sanno in pochi. Ma in verità era solo una foto rappresentativa di un momento importante".
"A distanza di secoli s'è rinnovato ieri a Torino (si creda, questa non è retorica) ciò che doveva avvenire nella Grecia antica ai funerali degli atleti, che un popolo di artisti sapeva considerare eroi, perché è sempre un eroe chi lotta e vince e cade perché il nome della sua città, il nome della sua patria si spanda chiaro nel mondo". Questa è una citazione dal suo libro, che poi è presa da La Stampa del 7 maggio 1949, ce la può commentare? "Questo è un libro di storia e si regge su un impianto forte. Prima della tragedia di Superga, il Grande Torino aveva dato vita ad almeno tre immaginari: uno sportivo, uno locale e uno nazionale. Quello nazionale, nel momento in cui ci fu la tragedia, venne utilizzato dal governo democristiano, e soprattutto dai vertici della Chiesa, per creare una sorta di consenso attorno alla morte del Grande Torino. Era un momento difficilissimo socio-politico che vedeva due campi avversi: il blocco atlantico e quello comunista. Il governo decise coscientemente di creare il lutto nazionale e questo per me è il tema centrale del libro. Per farlo sviluppò dei codici narrativi culturali che aveva già ripreso il fascismo e che il fascismo non aveva minimamente inventato: il richiamo alla patria, ai soldati morti in battaglia... Arrivarono questi codici fino agli anni '50. La memoria del Grande Torino entrò nell'oblio e fino ai primi anni '60 di Grande Torino se ne parlò poco o pochissimo. Anche negli anniversari della tragedia su La Stampa ci fu un trafiletto o poco più, Tuttosport si impiegò maggiormente anche per il legame a doppio filo con la tragedia (si allude a Renato Casalbore ndr). Nel libro vengono analizzati i codici: quello romantico, quello bellico e poi il riferimento ai giovani".
C'è una periodizzazione nella memoria del Grande Torino? "I primi dieci anni sono stati anni di oblio, viene chiamato oblio conservativo negli studi di sociologia della memoria e non può essere altrimenti. Una prima riscoperta avvenne alla fine degli anni '60 con la morte di Meroni nel '67, ma in realtà anche prima, perché già dal '62-'63 in Italia ci fu un'esplosione di recupero della memoria storica dovuto al centenario dell'Unità d'Italia del 1961. Iniziarono ad esserci dispense di storia in edicola, trasmissioni in tv e i giornali parlavano spesso di storia. Superga, già allora, venne inserita come momento centrale nella storia degli italiani. Poi, è chiaro che tutto è legato a doppio filo alle vicende societarie del Torino: c'era Pianelli e io riporto due discorsi in cui lui si propose di rimettere in piedi la tradizione di Novo e del Grande Torino. Nei primi anni '70 ci fu l'esplosione con la contrapposizione totale a Torino tra due tipi di mentalità, proprio come negli anni '20 e '30. Ci fu uno sviluppo incredibile della memoria che coincide con lo scudetto. Sembrava ci fosse spazio spazio per un nuovo Grande Torino e invece con la cessione di Pianelli ci fu una caduta verticale. Questa è durata fino alle metà degli anni '90, poi l'enfasi di Borsano con la Coppa UEFA e la Coppa Italia. Poi, il nulla da Calleri e l'abbattimento del Filadelfia, quindi i tifosi si sono attaccati visceralmente al Grande Torino. Ci sono tantissimi imprenditori della memoria, persone che fanno memoria del Toro a tutti livelli senza nessun tornaconto: Bellino e gli angeli del Filadelfia, l'Associazione Memoria Storica Granata, Ossola, Gramellini... Tuttosport ha un ruolo fondamentale nella riscoperta del Grande Torino. Ma non esiste una sola memoria, per questo parlo di memorie e rappresentazioni perché ci sono più memorie. Basti pensare al museo, meraviglioso e stupefacente, che è di un'associazione privata e non del Torino, che dovrebbe custodire un patrimonio di valori e non lo fa. Ossola fa un'altra memoria e poi c'è il museo dei Ballarin a Chioggia. Ci sono vari poli della memoria".
Lo storico Alessandro Barbero di recente ha dichiarato: "La memoria personale non basta, perché ognuno ha la sua. Ma poi bisogna arrivare alla storia che significa: ‘io capisco il tuo punto di vista, ma non puoi rimanere chiuso dentro questa cosa". Questo come si concilia con il Grande Torino? Non si rischia di vederli più eroi di com'erano? "Sì, assolutamente. Manca fondamentalmente un senso storico sul Grande Torino. Non esiste un'analisi approfondita sul Grande Torino e di quello che è stato in quegli anni. Purtroppo la memoria del Grande Torino è schiacciata sulla tragedia. Noi siamo quasi religiosamente attaccati al Grande Torino, e lo sono anch'io (devo ammettere di aver faticato per allontanarmi da questo ed analizzarlo in modo scientifico), perché siamo schiacciati sulla tragedia. Della tragedia, come si vede nel libro, se n'è parlato in un certo modo, religioso. E lo Stato, dopo aver sfruttato per un anno almeno, la memoria del Grande Torino, l'ha demandata al Torino, che non era in grado neanche di ricostruire la squadra, ai famigliari, gente poverissima, e ai tifosi. Ho trovato all'archivio di Stato di Roma delle lettere toccanti delle vedove che chiedevano dei sussidi allo Stato. Gli unici, che potevano occuparsi della memoria, furono i tifosi, infatti è nato il "culto del Toro", ossia un attaccamento morboso alla squadra e alla memoria di Superga con la nascita dei Fedelissimi nel 1951".
Non ci sono però i materiali sulle indagini della tragedia..."In realtà lo studio storico andrebbe fatto su ciò che è stato il Grande Torino prima della morte, ma è difficile perché fare uno studio di sociologia solo sul Grande Torino credo che sia quasi impossibile. Nel primo capitolo cerco di dire come si sono sviluppati questi tre diversi immaginari, ma scientificamente è difficile trovare documenti che lo supportino. Si può studiare quello che è successo durante la tragedia, ma non ci sono i documenti. Li ho cercati dappertutto: all'archivio di Stato di Roma e Torino. Ho avuto la fortuna di ricostruire tanti piccoli pezzi tramite archivi privati. Ad esempio ho ritrovato il materiale preparatorio degli avvocati del Torino per la presentazione del processo grazie ad un tifoso di Modena, Mirko Ballotta, che ha un archivio sterminato sul Grande Torino. Gli avvocati citano indirettamente le inchieste ministeriali, che non si trovano più".
L'istituzionalizzazione del Grande Torino: la FIFA che ha fatto diventare il 4 maggio giornata mondiale del calcio, il presidente Mattarella che ha riconosciuto di recente nella tragedia una pagina indelebile della storia della nostra Repubblica, il lavoro portato a termine già da anni dalla Regione Piemonte e dalla Città di Torino... Può aiutare in senso storico o rischia di enfatizzare sempre più il Grande Torino? "L'istituzionalizzazione del ricordo è sempre una sconfitta e non lo dico io, ma è già successo con la Shoah. E' come se lo Stato dovesse avvallare qualcosa perché il senso comune non è riuscito da solo a farlo. Tutti gli anni, in occasione nel derby, c'è un attacco al Grande Torino, ma quello, più che un affronto al Grande Torino, è un affronto al tifoso del Toro, dal momento che è per noi il Grande Torino è un elemento identitario".
© RIPRODUZIONE RISERVATA