Ci sono posti in cui il tempo entra e si leva il cappello”, declamava Giorgio Albertazzi in mezzo a ciò che resta del Fila, nella più bella scena del film Ora e per sempre. Si potrebbe aggiungere che quando il tempo e la storia si levano il cappello entrando in uno stadio (ma anche in un disco, o in una festa popolare) facendosi comprendere da tutti, si respira subito un’aria migliore: grandi e piccoli, ricchi e poveri, donne e uomini parlano più o meno la stessa lingua e fanno una comunità, condividono dei sogni e dei ricordi...Solo sul tram, in piedi stretto fra la gente, penso a tutte queste cose. Poco più avanti un ragazzino sta ascoltando musica dalle cuffiette, seduto in mezzo ai suoi amici. Lo faccio sempre anche io, ma stamattina ero di fretta e non le ho prese. Mi incuriosiscono i suoi occhi, attraversati da un pensiero divertente che li illumina. Lo guardo un po’ invidioso: andrei a scuola assieme a lui, a respirare un po’ di quel tempo sospeso, a fare il pieno di emozioni acerbe, di sigarette in due nell’intervallo che sembrano chissà che cosa. Si aprono le porte e sale una signora anziana, affaticata e carica di borse della spesa, per la più classica delle scene metropolitane. Si guarda attorno e il ragazzino, per timore di incrociarne lo sguardo, si volta e si abbandona a scampoli di strada e al suono del suo gruppo preferito.
mondo granata
Streets of Filadelfia
Confesso che ci rimango sempre un po’ male. Mi viene in mente che la cultura popolare è un po’ come la gelatina della Simmenthal, che tiene tutti i pezzi di carne assieme in un unico, sensatissimo barattolo: non sarà un gran che, ma fa il suo bel lavoro. Oggi passiamo tanto di quel tempo a essere spettatori di qualcosa, a far da clack, che siamo sempre più imbranati. C’è sempre uno schermo, anche stamattina in questo tram, che ci divide dallo spettacolo degli altri: li puoi guardare e giudicare, ma non ti aspetti che ti parlino o rispondano agli sguardi. Alzarsi, salutare una signora e cederle il tuo posto è ribaltare tutto con un gesto, è un casino, è saltare dall’altra parte del vetro e diventare lo spettacolo per i presenti. Quello che una volta era normale adesso è stato reso in qualche modo più difficile.
Il Filadelfia è un posto mitico, pieno di vibrazioni, in cui migliaia di voci hanno lasciato tracce nel silenzio. Un posto in cui si può sentire il cuore di un quartiere battere per emozioni universali. Un posto dove ancora un ragazzino e una signora avrebbero qualcosa di cui parlare. Quando tagliavamo scuola e venivamo in treno a Torino per seguire qualche allenamento, una delle cose che mi piaceva di più era avvicinarmi ai capannelli di persone, ai gruppetti di focosi pensionati per sentir parlare di questo o di quel vecchio giocatore. Avrò avuto quindici anni ma, se sceglievo il momento giusto e usavo educazione, potevo dir la mia e aspettarmi una risposta. Non ero particolarmente audace, è che non c’erano tutte le distanze, i fossi tra le generazioni che il nostro tempo sta scavando ogni giorno sempre più profondi.
Una vecchia gloria granata ha detto che soltanto al Filadelfia si respirava aria pulita: mi piace pensare che, un gionro non lontano, anche i tifosi più giovani potranno leggere questa frase e capirla perfettamente, senza dover sognare o immaginare cosa mai volesse dire.
Un abbraccio a tutti, Marco.
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