Sabato 11 aprile 2009. Caro Diario, tu lo sai: io faccio parte dei cosiddetti Bimbi dello Scudetto.Il sedici maggio millenovecentosettantasei fece coincidere un giorno di gioia assoluta, anche e forse soprattutto per quelli che – intorno a noi – ci avevano fatti crescere granata, con gli ultimi giorni di spensierata fanciullezza, quella in cui la matematica si chiamava ancora aritmetica e algebra era una parola dal suono un po' esotico.Mentre nel passaggio dall'asilo alle elementari mi era stato di conforto trovare in classe alcuni bimbi della sezione vicina alla mia, andare alle medie aveva significato essere scaraventata in una realtà di logiche più adulte ed in completa solitudine.Ricordo bene il primo giorno alle medie: mi guardavo intorno e vedevo solo volti sconosciuti.Tutto il conforto della normalità, della quotidianità, delle amicizie del quinquennio precedente, in cui ero bambina, era scoppiato come una bolla di sapone, si era sciolto come la neve sotto la pioggia.Sì, sotto la pioggia, non sotto il sole. Tanto per rendere il tutto più pesantemente drammatico.Non lo sapevo ancora ma insieme al divenire ragazzina, e non più bambina, nasceva una parte di me che sarebbe cresciuta costantemente nel tempo, quasi con ferocia: la parte selvatica (ho parlato di ferocia, no?), quella apparentemente aggressiva, quella sicuramente diversa, la mia parte CONTRO.A pensarci bene la mia parte CONTRO era nata nel momento in cui avevo preso coscienza di essere del Toro. Ma aveva assunto tangibilità in quel tuffo nell'ignoto circondata da ignoti.Rimpiangevo con un groppo in gola le scaramucce con i bimbi gobbi, rimpiangevo il legame forte con i compagni granata, rimpiangevo quegli strani, incredibili, entusiasmanti giorni di fermento e di gloria.Ero una piccola sprovveduta fin troppo leopardiana... ancora non sapevo che il Fato tesse in continuazione la sua tela.A volte ne disfa una parte, a volte sceglie disegni che apparentemente sono dissonanti o semplicemente sgradevoli per poi riprendere con schemi di trama ed ordito antichi e di singolare piacevolezza.Il Fato tesseva la sua tela ed in quella classe delle medie decideva di cambiare disegno pur mantenendo una continuità logica con quello del passato.Nell'immaginario comune si pensa che i Grandi Eventi, quelli epocali, si verifichino sempre in luoghi significativi, particolari, barocchi.Ed invece no: gli Eventi nascono in luoghi semplici, modesti, quasi minimal.Perché il punto focale, in ogni caso, è l'Evento non il Luogo.Una classe delle medie, volti sconosciuti, parole carpite nell'intervallo... “No, perché il Toro è...”Drizzo le orecchie e mi acquatto. E poi oso: “Come, scusa? Anche tu sei del Toro???”E fra gli ignoti due volti diventano noti, per certi versi familiari.Già sapevo che cosa volesse dire NOI, ma non immaginavo (chissà perché...) che quel NOI esistesse anche nell'apparente deserto, in quella solitudine prontamente cancellata da un nuovo NOI che si chiamava Sara e Marco.Credo sia nata allora la mia personale teoria secondo cui buona parte degli esseri umani sono collegati fra loro da sottili ma resistenti fili invisibili sui quali, ogni tanto, si riflette una luce che arriva da chissà dove e che li rende evidenti.Quando ciò accade si può sceglie di osservare il fenomeno dal punto di vista estetico, un po' come si fa con l'arcobaleno.Oppure si può scegliere di seguire la direzione (ignota!) di quella luce per vedere dove andrà a finire o a quali nuovi percorsi darà origine.Allora nasceva la mia teoria ed intrecciavo parte della mia esistenza con quelle di Sara e Marco.Ci saremmo persi, cammin facendo, e poi ritrovati.I percorsi importanti solitamente non sono diritti, macché... prendono curve improvvise, si richiudono su se stessi, si spezzano e poi si deve avere tanta buona volontà (ed umiltà) nel tenere gli occhi aperti per non perdere il momento in cui la luce illuminerà nuovamente quei fili perduti, rotti, invisibili.Ci si perde e ci si ritrova e nel mezzo si ricorda.I ricordi.Ce ne sono due a cui penso spesso. E mi fanno sorridere: te li racconto.Il primo: Torino – Lanerossi Vicenza, campionato 1978-1979. Risultato finale: 4 a 0.Sara ed io eravamo andate alla partita con suo padre: lo 0,01% del pubblico pagante in quella domenica fredda.Mi ricordo del primo gol di Pupi, non ricordavo la tripletta di Ciccio. Un grazie di cuore all'Amico Paolo ed al suo archivio granata che mi aiuta a dare contorni più precisi alle mie memorie.Il ricordo che rischiò di diventare indelebile fu quello della biro blu stoltamente dimenticata in una tasca dei jeans (portavo sempre con me gli attrezzi per scrivere: una biro ed un piccolo blocco note) che si ruppe facendo sgorgare il suo appiccicoso inchiostro nella tasca e sulla mia chiappa destra. Un vero disastro. Ci vollero giorni e giorni e giorni per cancellare quell'indesiderato ed informe tatuaggio blu.Però che domenica... che domenica! All'uscita dallo stadio camminavo tutta rigida a causa di tutto quell'appiccicume e mi girava la testa per la contentezza.Il secondo: Torino – Stoccarda, coppa UEFA 1979-1980. Risultato finale: 2 a 1, ma fuori dal turno.Quel che successe durante quella partita è ricordo indelebile, questo per davvero, è indelebile la beffa a tempo scaduto, beffa che abbiamo vissuto millanta volte e a cui reagiamo, a scelta, con il classico repertorio di:- “Noooooooooooooo!”- “Io lo sapevo, io me lo sentivo!”- “Non si può essere sfigati così...”- “E' una maledizione!”- “Mettiamo a ferro e a fuoco la Germania [ndr Può trattarsi anche di altra nazione o più semplicemente di altra città]- [nobile/sconfortato/orgoglioso/depresso silenzio]Ma il mio ricordo va a quello che accadde al termine della partita, ai lacrimogeni lanciati verso la Maratona.Eravamo un bel gruppetto quella sera ed il bel gruppetto pensò fosse cosa giusta ripararsi gli occhi al salire della nebbia acre.Tutti tranne Marco. “Tira giù la testa, tira giù la testa, chiudi gli occhi!”. E lui rimaneva a guardare. Ha sempre avuto sete di momenti, immagini, suoni, odori. Una sete quasi feroce.Ogni tanto aprivo gli occhi per guardare la sua caparbietà e forse è stato così che quell'immagine si è fissata per sempre sulla rétina della mia anima.Finiti i tumulti il bel gruppetto uscì dallo stadio. Enrico era troppo stanco per camminare, la distrofia era una cattiva e crudele compagna, e mio fratello se lo aggrappò sulla schiena. Sara ed io ridevamo: ci piaceva trovare qualcosa da ridere COMUNQUE. Marco stava zitto fra una bestemmia e l'altra.Eravamo una piccola e strana carovana: quello che mi rimane impresso di quella notte, molto più della beffa di quella vittoria per cui non ci fu niente di cui gioire.Ne parlavo proprio l'altra sera con Sara e di nuovo, come allora, abbiamo riso di gusto.Adesso è meglio che mi prepari: tra poco passa a prendermi la Stefi per andare allo stadio. Oggi viene anche la Nonna Olga! Speriamo... speriamo, via.Domenica 12 aprile 2009Caro Diario.buona Pasqua a chi crede ed anche a chi non crede.Ieri sono tornata a casa infreddolita, afona ed incredula.Dentro di me c'è una voce che mi dice che si deve vincere giocando bene.Ce n'è un'altra che mi dice che chi se ne frega avevamo bisogno di tre punti e ce li siamo messi in saccoccia.Un'altra ancora dice che quei due fulmini e relativi tuoni non sono stati un caso.Ci sono tante voci dentro di me ma questa è un'altra storia.So solo che sto dando più retta alla voce che mi parla di fulmini e di tuoni e di angeli granata che guardano dall'alto.Quella voce rende più dolce il quasi nulla accumulato durante tutti questi mesi.Almeno per ieri, almeno per oggi, almeno fino a domenica prossima.E mi fa pensare al futuro. Al fatto che un futuro (possibilmente positivo) c'è.Poi ti devo raccontare di quanto sia stato emozionante sentire lo speaker annunciare che in panchina c'era lui, proprio lui, il NOSTRO Camola, uno di NOI, ma non adesso, non adesso... sai, a volte ho come l'impressione che tifare Toro sia ANCHE passare una sorta di testimone proprio come accade nelle gare di staffetta. Non so ancora a chi passerò il mio testimone, forse ai miei figli, forse ad un amico, proprio non lo so... però so che quel testimone è come la spoletta di un telaio che si muove incessantemente e compone e ricompone ed apre finestre su nuove immagini oppure antiche, che si pensano perdute ed invece sono lì: basta avere voglia di guardarvi attraverso.
mondo granata