mondo granata

Tequila Sunrise

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

Cari amici, tra un fantasmagorico colpo di mercato e l'altro, vi ripropongo, tanto per non impazzire di Toro, il nuovo racconto Tequila Sunrise, per rinfrescarci un po' le idee. Il black-out della scorsa settimana aveva impedito l'uscita della seconda puntata, che saràpuntualmente on line domani mattina. Buona lettura, viva il Toro e i suoi TANTI giocatori.

La luce bianca, di fronte a sè La pulsazione nelle orecchie. Tutto era sfocato, gli ci volle parecchio perchè tutto cominciasse a placarsi. La mente cominciò a tentare ragionamenti, che dopo un paio di minuti si tramutarono in pensieri logici, mentre il pulsare si faceva meno insistente e ossessivo. La luce bianca assunse una forma sfocata ma simile a qualcosa di conosciuto. Parole, concetti, che cos'erano? Una frase gli rimbombò nella parvenza di coscienza. Ogni volta era la stessa storia, anche se non era la stessa. Prese coscienza del proprio respiro, i capillari risposero come tanti piccoli spilli.Lei era lì. Lo sapeva, anche se non ricordava chi fosse. Poteva percepirne la presenza, un qualcosa di indagatore che si era arrestato al limite del suo raggio d'azione.Quanto trascorse? Il codice del tempo gli pareva sempre diverso, poi, dopo quelli che gli parvero essere pochi minuti tentò di parlare. Gli sfuggì un rantolo. Lei era lì. Lei era arrabbiata, lo sapeva.- Quanto? Quanto tempo?La voce rimbombò come un 45 giri suonato a 33, i suoni gli facevano dolere le orecchie.- Non è importante Quanto. E’ Come!La voce rallentò ancora, simile a un nastro che si stesse fermando.Poi un suono, un’esplosione nelle proprie orecchie, un’ondata di dolore che gli fece portare le mani alle orecchie.La porta.Lei aveva sbattuto la porta.Si riebbe dopo altri due minuti, ora si sentiva se stesso.

Ogni volta è la stessa storia, anche se non è la stessa…

- Ogni tanto è anche peggio… - mormorò.

 

Aeroporto abbandonato di Biggin Hill, Inghilterra.Estate 1969Jim giunse con gli altri due ragazzini al limitare della zona dove le erbacce gialle erano più alte.- Sei sicuro che sia laggiù? - domandò al ragazzino che tutti chiamavano “Swedish” per via dei capelli biondissimi.- Sono sicuro - ed indicò la piccola traccia che si insinuava più chiara tra le erbacce.- Sono già stato qui ieri ve l’ho detto. Di qui non si vede ancora, ma è là dietro. Quasi ho fatto un salto, quando ho capito che cos’era…Jim guardò Swedish e si sentì percorrere da una serie di brividi che potevano essere l’ebbrezza dell’avventura. Ma anche tanta paura.Cercò di non pensare alla boscaglia di fronte a sé, canticchiando la canzone che lo tranquillizzava sempre. Quel motivo era legato a sensazioni troppo serene per entrare in contatto con qualcosa di negativo.

 

…staring slowly cross the sky…They said goodbye...

 

- Che canzone è? - gli domandò Bill lo smilzo, il fratellino minore di Swedish, dal perenne cappellino blu con la scritta BJ – Non l’ho mai sentita, ma la canticchi spesso…- Devo averla ascoltata da qualche parte… - mormorò.Per qualche istante lui e gli altri due ragazzini restarono immobili, indecisi sul da farsi.Le nuvole si alternavano in rapida successione dipingendo chiaroscuri di speranza e finta disperazione su quel mondo immobile e dimenticato.Jim guardò il lontano limitare sud dell’aeroporto, dove la striscia di asfalto emergeva dalle erbacce.Nella silenziosa quiete di quel pomeriggio ventilato, le macchine scavatrici dormivano come mastini, nella loro siesta indisturbata.Jim pensò con la mente di un ragazzino a come quello che era stato il loro posto dei giochi segreti, avesse ormai i giorni contati.Quante estati avevano trascorso in quel suggestivo universo fatto di strisce d’asfalto sgretolato e di capannoni inservibili, dai quali era meglio tenersi alla larga?Quella doveva essere stata soltanto la seconda, ma nel suo cuore di ragazzino gli sembrò essere trascorso un tempo infinito da quel pomeriggio in cui Swedish gli aveva detto di aver trovato un varco all’interno della vecchia rete di cinta del parco, chiuso da sempre.Si erano sempre chiesti che cosa si celasse dietro quei chiavistelli arrugginiti e quello strano cancello chiuso, la cui casa di accesso, ben più grande di una guardiola, era in stato di perenne abbandono.All’inizio erano stati loro due, e dopo non molto si era unito Bill, in stato di perenne movimento.Attraverso quello squarcio, fatto di mille tentativi per aprirsi un varco con rudimentali attrezzature, erano sbucati dopo due settimane, non in un territorio boschivo zeppo di case abbandonate, ma in un’ampia radura densa di erba altissima e sterpaglie, dalla quale faceva capolino una lunga striscia di asfalto.- Che roba è questa?- Non lo so – aveva risposto Jim, guardando in direzione dei lontani capannoni e della palazzina abbandonata, dalla quale svettava una sorta di torre metallica in rovina.- Perché questa striscia di asfalto? Non ci sono strade qui attorno.Era stato Jim ad uscirsene con una delle sue intuizioni:- Vuoi vedere che questo è…Aveva atteso fino al giorno seguente prima di confermarlo agli amici, tornando in quel luogo con un libro preso a prestito dalla biblioteca della signora Wenders.- Ragazzi cari, questo è il vecchio aeroporto di Biggin Hill!

 

 

Pullman numero 57Primavera 1987Jim adorava il vento e quella ne era stata la prima giornata senza.Il vento voleva dire contorni definiti delle cose, paesaggi nitidi e aria della città per una volta fresca, lontana dagli standard di quegli anni oppressi dai gas di scarico.Dall’interno stesso del pullman si intravedevano i dettagli della vicina collina, altrimenti spesso nascosti e dimenticati.Jim strinse forte la mano alla ragazza che gli sedeva di fianco, sentendo il calore del venire ricambiato.Per uno strano momento tutte le cose sembrarono essere in armonia, persino il rumore del pullman che li faceva sobbalzare.Lì per lì pensò di essere arrivato al cuore della vita, ma un qualcosa lontano gli suggerì che si sarebbe ricordato molto a lungo di quel semplice istante e di quanto avrebbe inseguito quel ricordo infinito.Guardò lo strano orologio che indossava, facendo finta di niente. Non aveva lancette e non indicava l’ora, ma il suo quadrante emanava una riposante luce verde, la cui gamma tendeva a sconfinare nell’azzurro.La ragazza disse qualcosa, a proposito di quel bel pomeriggio che avevano trascorso insieme.  Jim sentì il calore della sua mano e cominciò a intonare in modo quasi impercettibile un motivetto che lo aveva accompagnato lungo quel pomeriggio fatto di baci e panchine.

 

He was just a hired handWorkin' on the dreams he planned to tryThe days go by…

 

Jim e Valentina si conoscevano da pochi mesi, da quando lui aveva avuto la bella pensata di ripetere l’anno e di finire nella sua classe, ma riuscire a convincerla ad uscire era stata un’impresa.Aveva sempre creduto alla scintilla e all’armonia reciproca che tra due ragazzi, ma con lei, così disinteressata e alla ricerca di un tamarro classico, possibilmente bastardo e “uomo vero”, era stata un'impresa.Soltanto quanto lui, dopo mesi di tentativi che avrebbero esasperato Giobbe, si era staccato, non degnandola neanche più di uno sguardo, lei aveva cominciato a dare i numeri, sentendosi privata di attenzione e importanza.Oh sì, Jim aveva fatto il sostenuto. Almeno per 5-10 minuti, prima di travolgerla in un abbraccio ed in un bacio che aspettava dall’eternità.Qualcosa dentro di sé continuava a ripetergli che le sue sicurezze potevano essere illusorie, ma nella sua mente di artista la fragilità rendeva il momento eterno.E poi dentro di sé aveva la sarcastica speranza di averla salvata dal classico momento della sua vita, quando un giorno si sarebbe accorta che il bastardo si era trasformato in un grezzo senza pensieri se non quello della gelosa proprietà.Come facevano tutte, del resto. Cosa pensavano di trovare, oltre al piacere di farsi trattare male? L’orgoglio della conquista franava presto su basi di cartapesta.I suoi pensieri furono troncati dalla figura del controllore, che si parò di fronte a loro, seduti nell’ultima fila di sedili di quel vecchio simpatico cassone.Non lo aveva sentito arrivare ed i giovani ragazzi significavano multa probabile, per via della loro indole bullesca. Ma non loro, non loro due, non quel giorno.Jim fece per estrarre la tessera dell’abbonamento, sentendosi strano, come se non avesse previsto quell’interruzione.Poi si bloccò di colpo.L’uomo non doveva essere italiano, aveva lineamenti pesanti e la pelle scura, che gli ricordò quelli di un indiano d’America.Rimase a guardarlo interdetto, mentre questi controllava il suo biglietto.Si scambiarono uno sguardo silenzioso prima che il controllore si avvicinasse silenzioso agli altri pochi passeggeri di quel sabato pomeriggio.- Che ha di strano quell’uomo? Lo hai guardato come se avesse tre teste…Jim non rispose, e immaginò che nel giro di una settimana al massimo non si sarebbe più ricordato di quella stranezza.Chissà come mai, aveva ragione.

 

 

Aeroporto abbandonato di Biggin Hill, Inghilterra.Estate 1969- L’aeroporto di Biggin Hill – aveva cominciato a leggere Jim con naturalezza, quasi fossero state parole proprie – fu uno dei baluardi della resistenza britannica durante la Battaglia d’Inghilterra della Seconda Guerra Mondiale…- Che cos’è la Battaglia d’Inghilterra? – lo aveva interrotto Bill lo smilzo.- Zut! Non cominciare con le domande, lascialo proseguire…- La Battaglia d’Inghilterra – aveva risposto Jim quasi si fosse scritto il discorso – fu il tentativo da parte di Hitler di ridurre all’armistizio la Gran Bretagna, dopo l’invasione tedesca della Francia. Dalle basi francesi vennero lanciate numerose bombe sulle città inglesi e dalla Francia si levarono quotidianamente in volo, nel 1940. squadriglie di bombardieri per fiaccare le difese terrestri dell’Inghilterra. I famigerati “Stuka”, gli aerei con l’aria che faceva suonare la micidiale sirena in fase di picchiata. Si pensava che questo fosse il preludio ad una invasione, ma l’Inghilterra oppose una strenua resistenza con i suoi eroi dell’aria a bordo degli “Hurricane” e degli “Spitfire”. Gli aerei tedeschi non potevano contare su una autonomia illimitata, mentre i nostri combattevano vicino alle basi. Fu una durissima lotta, ma alla fine l’invasione fu scongiurata e la battaglia di Inghilterra fu vinta. la guerra proseguì su altri fronti. Ora posso andare avanti…? I ragazzi lo avevano lasciato parlare. Jim aveva dato un’occhiata al suo strano orologio che teneva al polso. Non aveva lancette, ma emetteva una curiosa e solida luce verde. Buon segno. Aveva proseguito il suo discorso riprendendo a leggere, facendo finta di nulla.- Ecco… questo dove ci troviamo, è l’aeroporto di Biggin Hill, che fu uno dei baluardi estremi della resistenza, uno degli aeroporti più esposti, da dove ogni giorno nel 1940 si alzavano il volo gli Spitfire, quando i radar avvistavano squadriglie di Stuka in avvicinamento. Quindi, se non sbaglio, quei capannoni laggiù – indicò le costruzioni pericolanti lontane, vicine ai prati – sono gli hangar, dove alloggiavano gli aerei. E qui siamo sulla pista di decollo e atterraggio…Era sembrato strano a loro ragazzini dell’età moderna, i cui fratelli maggiori vestivano a zampa di elefante, immaginare aerei traballanti prendere il volo con rumori borbottanti di eliche, tra fumi maleodoranti di benzina e vapori incandescenti che liquefacevano la vista dell’asfalto. Proprio a loro che avevano sempre immaginato quei luoghi in bianco e nero, non certo colorato com’era oggi, per di più a poca distanza da una colonia hippie.- Poi cosa successe? – gli aveva domandato Swedish.- Successe che dopo la fine della Guerra per qualche periodo l’aeroporto fu convertito ad uso civile. Ma i nuovi e potenti aeroporti lo relegarono in breve ad antiquato residuato. Venne chiuso nella primavera del 1947. Ora è di proprietà statale. In pratica sono 22 anni che è abbandonato. Nell’attesa che qualcuno non decida di farne un parco, o di costruirci sopra. A dire la verità so che il progetto è di ripristinarlo, non so per quale utilizzo. - Quante cose sai – gli aveva chiesto Bill malizioso – come fai a sapere sempre tutto?Jim lo aveva guardato in maniera strana, poi aveva fatto spallucce.

Ed era così che era andata, con loro tre impegnati ad esplorare l’immenso parco durante i pomeriggi estivi, o a rifugiarsi per scampare alle scorribande dei Gitty Boys (un soprannome che a quei delinquenti faceva un gran ridere, mentre per i più era solo carne in bocca a idioti senza cervello), che sulle loro Mini Minor non vedevano l’ora di saltare addosso a qualche ragazzino imberbe dei paesi a sud di Londra.Li avevano presi di mira, da quando l’anno precedente Jim aveva osato ribellarsi a Spencer, il capo degli idioti, quello con gli occhialini neri e tondi.Avevano tentato di sottoporlo a qualche umiliazione sullo stradone che fiancheggiava il parco dell’aeroporto e lui aveva reagito.Se l’era cavata con un dente rotto e un occhio pesto, prima di riuscire a scappare ed intrufolarsi nel varco che solo loro conoscevano, ma a Spencer non era andato giù il ceffone che il ragazzino aveva osato tirargli di fronte agli amici idioti come lui e presto o tardi, c’era da giurarlo, gliel’avrebbe fatta pagare.

 

 

Pullman numero 57Primavera 1987La riaccompagnò a casa, mentre uno dei sabati più lunghi dell’anno era ancora lontano dallo spegnersi.La madre di Valentina era un tentativo di controllo perenne, una illusa manipolatrice psicologica, per la quale la sua faccia da bravo ragazzo le aveva fatto credere di avere il controllo.Lo credesse pure. Quello non era l’universo della manipolazione e avrebbe dovuto vederli soltanto la sera prima per comprendere quanto i suoi tentativi di farli desistere fossero andati a donne allegre...Jim le pose le mani sui fianchi e fece per appoggiare le labbra alle sue. Dalla fine di quel bacio in avanti sarebbe stata soltanto la Matematica, il pensiero dell’interrogazione del lunedì, la schifosa di Scienze.Ma in quel momento, mentre il pomeriggio moriva, c’era lei e soltanto lei.- Ragazzi! Venite su prestoooo!Intorpiditi, Jim e Valentina si staccarono. Chi era che aveva urlato in quel modo dall’alto?- Venite su! Vi bacerete un’altra volta… svelti, cazzo!Jim riconobbe la voce. Era il Nanetto, il loro compagno di classe dall’ovvio soprannome, che abitava al quarto piano del caseggiato attiguo a quello di Valentina.Jim lo guardò insospettito, temendo uno scherzo.- Vieni su, coglione – inveì l’altro – Siamo su Rai Stereo Due!

Il fatto di essere stato chiamato coglione, per giunta di fronte alla sua ragazza, fece scattare Jim con le molle ai piedi.Fece le scale a quattro a quattro, inseguito da una curiosa e preoccupata Valentina, brandendo il pugno alzato.Immaginava cosa sarebbe potuto capitare in seguito. Il Nanetto avrebbe aperto la porta e lui lo avrebbe colpito proprio sulla fronte. Magari non con simpatica violenza.Anche se qualcosa gli diceva che non sarebbe andata così.Quando il Nanetto, venti secondi dopo aprì effettivamente la porta, fu più lesto di lui e agì prima che il lordone si abbattesse.- Fermo! Fermo! Sta finendo… ascolta!!!Jim intravide lo stereo dall’uscio, piazzato nel tinello della casa del Nanetto.Ma prima ancora gli arrivò la tremenda ondata sonora dell’ultimo ritornello della canzone.

 

Girl rest your head one more time in my bedLove me like you loved me when you loved me and you didn’t have to tryLet’s lay down tonightI kiss tomorrow goodbye

 

Jim si imbaccalì così. Col pugno alzato e lo sguardo spalancato.- Siamo… noi – bofonchiò – Siamo noi…!Dietro di lui si incorniciarono gli occhi verdi spalancati di Valentina.Il Nanetto rimase a contemplarli con le mani sui fianchi, un sorriso che non finiva più, sulle ultime note della canzone che sfumava.- Era Kiss tomorrow goodbye, dei Kiss tomorrow goodbye, si chiamano come la canzone, ed era la nuova proposta musicale di Rai Stereo Due, ce l’avete richiesta in molti e può darsi che ve la riproporremo nei prossimi giorni…I tre ragazzi abbandonarono occhi e bocche spalancate per lo stupore e si abbracciarono sulla soglia dell’appartamento del Nanetto.- Venite – fece – festeggiamo… ho solo gazzosa ma andrà bene lo stesso.

 

Aeroporto abbandonato di Biggin Hill, Inghilterra.Estate 1969Era andata cosìIl terrore degli spazi chiusi, che non potevano fare a meno, nella loro giovane mente di avventurieri, di inseguire, era stato sostituito dall’imprevedibile piacevolezza degli spazi aperti.A partire dall’anno precedente avevano esplorato le palazzine degli uffici, deserte e sinistre, che avevano spesso immaginato colme di soldati in procinto di partire per missioni il cui esito era dubbio. Avevano persino ricavato una sorta di piccolo ufficio al piano terra di una di esse, per avere riparo durante i momenti di pioggia.Avevano esplorato gli hangar cadenti, popolati soltanto da pipistrelli, luoghi cavernosi e metallici dai quali era meglio tenersi alla larga.Jim si era informato sui vari modelli di aeroplani che avevano fatto parte della Battaglia di Inghilterra, facendosi passare prima un volume, poi l’altro dalla signora Wenders, che non avrebbe mai imparato a pronunciare l’inglese in modo corretto.Doveva essere originaria di un paese, straniero, ma quale…?

 

Sì, era andata così.Poi la signora Wenders si era ammalata ed era sparita dalla biblioteca, all’inizio di quella estate.Le colleghe avevano vociferato a bassa voce che si trattasse di un brutto male e che si fosse allontanata per curarsi, e queste voci erano arrivate all’orecchio di Jim, che della biblioteca avrebbe fatto volentieri la propria casa.I ragazzi durante quell’estate avevano alternato le loro esplorazioni a Biggin Hill con le saltuarie gite al Sud, per vedere il mare.Facevano l’autostop distanti dallo stradone, dove avrebbero potuto essere imbattersi in Spencer e i suoi Gitty Boys. Solitamente si fermava qualche Mini Minor, non quelle nere dei Gitty però. Una in particolare, di colore azzurro, guidata da una bella ragazza in minigonna, che era diventata il loro angelo.Nessuno conosceva il motivo per cui si dirigesse ogni giorno a Sud ma Jim se ne era letteralmente innamorato. E lei? Naturalmente lo immaginava, non ci voleva molto a fare rosolare un ragazzino più giovane di otto anni.Jim e gli altri la aspettavano ogni giorno dietro la curva dove si appostavano per il loro autostop, sicuri che presto o tardi la Mini della ragazza sarebbe arrivata.Era stata un’estate polverosa, insolitamente calda, trascorsa al bordo della strada, nell’attesa delle gambe di Sally, la ragazza dalla Mini.Sally chiacchierava con loro senza darsi troppa importanza, accompagnando i propri viaggi con un mangianastri bianco e nero, dal quale uscivano fuori i miti della sua generazione.- Ti piacciono i Beatles, Sally? Dicono che deve uscire un disco nuovo, con le loro canzoni nuove, quelle che hanno cantato sul tetto…Sally aveva frenato e aveva piantato gli occhi grandi e irreali in faccia Jim, quasi volesse baciarlo.- E se ti dicessi che ieri li ho visti?- Chi? Loro quattro? – aveva chiesto Swedish dal sedile posteriore, Jim troppo emozionato per parlare.- John, Paul, Ringo e George! Con i miei occhi. Ve lo giuro. Ieri, a Londra, stavano facendo una foto per il loro disco, non mi credete?Nessuno parlava – Ho fatto una foto! Appena la faccio sviluppare ve la porto.E l’aveva fatto sul serio, qualche giorno più tardi. Loro quattro, Paul a piedi scalzi, in quella che sarebbe diventata la copertina di Abbey Road, scattata più lateralmente rispetto all’immagine della copertina.

Sally sapeva dove trovarli.- Vi ripasso a prendere questa sera alle 6, ok? Non tardate o vi lascio qui…- Certo Sally.Una volta però, vinti dalla curiosità, si erano fatti scaricare proprio a Batheford, dove Sally si recava ogni giorno, e l’avevano seguita. L’avevano vista correre incontro ad un ragazzone sulla via del mare e finirgli tra le braccia in un bacio che non finiva mai.Quel giorno erano tornati a Waterspring, la cittadina che di solito frequentavano sulla costa, a piedi, quasi senza parlare.Si erano straiati sulla spiaggia ventosa, contando i nuvoloni in arrivo e guardando come sempre le ragazze in minigonna.- Dovevi immaginarlo che era fidanzata, no? – gli aveva detto Swedish, lanciando sassolini lungo la larghissima spiaggia.E’ vero. Jim l’aveva sempre immaginato, l’aveva sempre saputo eppure covava il dolceamaro sapore di un sentimento puro ma irrealizzabile.Si erano poi recati da zio Jules, lo zio di Swedish e Bill, che abitava poco lontano dal lungomare.Uomo burbero, solitario e di poche parole, quel giorno, forse più di malumore del solito, non li aveva neppure fatti entrare in casa, mentre era solito offrir loro una limonata ghiacciata che per loro diventava la parte migliore della giornata.Piacere al quale, domandandosi quale fosse il problema di zio Jules, avevano dovuto rinunciare.

- Hai qualcosa che non va, perché non parli oggi?Jim si era seduto sul sedile posteriore della Mini al ritorno, ma Sally lo aveva intercettato con lo sguardo.La ragazza aveva sogghignato, vedendolo arrossire.Eppure lui voleva che sapesse, e forse lei sapeva.

 

Casa del Nanetto.Primavera 1987Nessuno rientrò a casa quella sera, con buona pace di genitori assenti e presenti.Suonavano insieme, da neanche tre mesi. Il Nanetto era un formidabile batterista ed era da poco tempo diventato grande amico di Jim, arrivato nella loro classe all’inizio dell’anno.I due erano cane e gatto ma la loro amicizia era nata quando il Nanetto si era reso quasi per caso conto del talento musicale dell’amico.Non sapeva suonare, non conosceva gli accordi, non aveva idea di cosa fosse una partitura musicale, ma aveva l’ispirazione nel sangue.Proprio lui, il cui aspetto fisico lo portava ad essere così sottovalutato, era un abile musicista, dal quale l’idea di un gruppo era partita quasi per caso.Prima loro due, poi per scherzo la bella e disinibita Saretta, pianista del Conservatorio e amica del Nanetto, infine i loro compagni di classe, Brian e Rocco, da destra verso sinistra o da sinistra verso destra, agli antipodi come nomi e come fisico. Alto, di origine olandese Brian, tutto il contrario Rocco. Ma la cosa curiosa era l’ironia della sorte che aveva voluto che Brian, come detto di madre olandese, si chiamasse Rocchi di cognome. E Rocco? Briano, naturalmente.Due ragazzi palindromi, uno scherzo delle coincidenze bizzarre.Un chitarrista e un bassista, potevano scambiarsi i ruoli come volevano, Rocco destrorso e Brian mancino.Posti l’uno accanto all’altro, formavano un curioso effetto speculare con le chitarre puntate in direzioni diverse che aumentava l’effetto palindromia.

Jim non aveva mai scritto canzoni aveva sentito dentro di sé Kiss tomorrow goodbye semplicemente sintonizzandosi sulle note di una sensibilità di cui si vergognava. Era nata così, in un momento in cui si era sentito felice e con il mondo ai piedi per aver conquistato la bella Valentina.Era però stato il Nanetto a mettere le cose a posto, aiutando passo passo l’amico nel mettere su carta una canzone che sapeva essere valida.- Io non sono capace! Non sono capace!- Senti, genio e sregolatezza, non rompere le scatole. Qui. Questa pausa, quanto la faresti lunga? E poi la chitarra?- Ma io non capisco niente…- Tu ci capisci, e ci capisci eccome.

 

Così dunque era nata la loro prima canzone, un pezzo ritmato e svelto, un a canzone matura per dei ragazzi di 17 anni. Il testo era stato scritto da Brian e Rocco, anche se si supponeva che fosse stato Brian che tra i due, forse per il nome, aveva più dimestichezza con l’inglese.Ma era stata l’amicizia di Saretta con gli ambienti della musica a fare nascere la possibilità di due sedute negli studi di registrazione più importanti della città. A titolo completamente gratuito.

 

Saretta e il Nanetto, un’attrazione incontrollabile, da parte di lui naturalmente.Lei gli voleva bene, ma nulla di più, per lui lei era invece l’altra metà del cielo. Quante storie avevano quel minimo comun denominatore, in fondo.Si erano conosciuti ad un concerto jazz, lui suonava la batteria in un gruppo di amici e lei era la ragazza dello Spostato, un nome - una garanzia, tecnico del suono negli studi Ambros, che quella sera si occupava del mixer.Lo Spostato era alto come un armadio, una coda di capelli legati dietro la nuca, dava almeno 30 cm in altezza al Nanetto, il resto andava da sé.Saretta però faceva quello che voleva. Aveva cominciato a frequentare il Nanetto nei suoi concerti jazz ed era bello vederli insieme, sembrava fossero veramente complici con un qualcosa da condividere.Anche se non era così, Saretta accettò volentieri di far parte della band e fece leva sullo Spostato per ottenere delle ore di registrazione.

 

Tre settimane prima della data fatidica, però, il nervo rimasto scoperto cominciò a far male sul serio, quando il Nanetto si rese conto che Jim non sapeva suonare.Niente, neanche il campanello di casa.- Adesso ci mettiamo qui e ogni giorno ti insegno qualcosa.- Ma tu sei matto… io non conosco…- Non voglio sentire ragioni, allora, cominciamo con le nozioni base. Jim sapeva che sarebbe stato eternamente grato al suo amico e, nonostante il suo imbarazzo, tre settimane più tardi si presentò in sala di incisione teso come una corda di violino, ma in grado di imbracciare una chitarra ritmica.

Avevano provato per tutto il primo giorno, avendo suonato poche volte insieme, con Valentina che li osservava attentamente. Era stato in quel momento che i ragazzi si erano accorti che alla loro canzone mancava qualcosa, soprattutto nella parte vocale, i cori che affiancavano Bryan troppo deboli. Proprio come se mancasse una voce femminile a rendere compatto e più vario il timbro di spensierata follia del brano.Gli sguardi erano caduti sull’unica ragazza presente in sala.- Non penserete che io… Non so cantare.E invece avevano pensato. Jim in particolare.Quello che non sapevano era che Valentina sapeva cantare eccome. Una delle poche idee sensate che la madre aveva avuto era stata quella di farle studiare canto qualche anno prima, oltre che danza.Il giorno seguente, i “No” di Valentina erano diventati melodia.

La cosa era completa, e lo Spostato aveva provveduto al mixaggio del pezzo, creandone un demo tape che i ragazzi avevano ascoltato dopo qualche giorno, letteralmente arrampicandosi l’uno sull’altro per stare più vicini alla consolle.- Ragazzi… inutile che ve lo nasconda… Qui sento passare della paccottiglia, ma il pezzo è veramente… forte - aveva guardato Saretta con intensità complice.Il Nanetto aveva stretto i pugni quasi ringhiando per la gelosia cieca e senza speranza.

Saretta ci sapeva fare ed era determinata. Aveva preso il nastro e l’aveva spedito a una radio privata, scrivendo il titolo del pezzo e dimenticandosi di menzionare il nome del gruppo, che in tutta verità era qualcosa di estremamente banale.Era stato dunque così che quando un Dj di una importante radio locale lo aveva mandato in onda, in mancanza di ulteriori informazioni aveva parlato di Kiss tomorrow goodbye dei Kiss tomorrow goodbye.Quella era stata una grande emozione. Ma la cosa era finita così, nessuno si era fatto avanti per proporre loro qualcosa di più.Due settimane più tardi Rai Stereo due trasmetteva la loro canzone.

 

Quella notte nessuno avrebbe dormito, e sarebbe stata una lunga notte di adrenalina, tutti sdraiati sull’immenso terrazzo del Nanetto. La madre, separata, al mare con le amiche.- Ma come è possibile?- Lo avranno spedito dalla radio!- Ci pensate! A casa hanno telefonato dicendo che ci avevano sentiti!- Ma chi sapeva che eravamo noi? Non avevamo detto di tacere?- Ehm... io l’ho detto alla De Magistris… Le ho anche fatto ascoltare la copia...- Brian, sei un cretino! Eravamo d’accordo. Ora lo saprà già tutta la scuola…!Risero, guardando la volta stellata, pensieri confusi di giovani ragazzi, Jim abbracciato a Valentina, la mano del Nanetto timidamente protesa verso una Saretta che scherzava con Rocco.Pensieri frastagliati di chi si vedeva arrivare già a scuola il lunedì, accolto come una rock star.Jim si strinse nell’abbraccio di Valentina cercando di riconoscere le stelle.Il suo orologio era di un verde pieno e intenso, luce per la sua notte.Dopo qualche minuto la voce ingenua di Brian spezzò il silenzio.- E ora? Cosa succederà?

 

 

Aeroporto abbandonato di Biggin Hill, Inghilterra.Estate 1969Pochi giorni prima del momento in cui Swedish comunicò a Jim e Bill di avere individuato qualcosa nella boscaglia del parco, i ragazzi avevano trovato ruspe e scavatrici di fronte all’ingresso dell’aeroporto.Come in un passaggio improvviso dall’adolescenza ad un’età più matura, avevano compreso che i loro giochi non sarebbero stati eterni, che quelle attrezzature non sarebbero state che l’avamposto di nuovi mostri che avrebbero tagliato ed estirpato erbacce e boscaglia.E che probabilmente avrebbero recintato, questa volta in maniera inaccessibile, il loro rifugio verde a metà tra radura e foresta.Sull’onda di questo grande dispiacere, del quale il solo Jim intuiva tutte le sfaccettature malinconiche, Swedish aveva deciso la sera precedente di proseguire l’esplorazione del parco dell’aeroporto verso la zona Est, la più misteriosa, quella invasa dalle erbacce, quella dove la luce del sole faticava ad entrare in pieno giorno.Quella dove anche Jim in fondo aveva sempre immaginato che esistesse qualcos’altro.- Venite con me, non si vede assolutamente da qui. Non ci siamo mai accorti che c’era, ma il perimetro esterno era troppo grande rispetto a quello che avevamo esplorato.Jim si voltò ancora a guardare le scavatrici sonnolente al limitare opposto della pista. Se gli operai li avessero scorti, avrebbero dovuto dire addio a tutte le loro esplorazioni e la loro estate si sarebbe fermata a quel punto.Una radio lontana, probabilmente appisolata nei pressi dei loro baraccamenti, portava a tratti, memoria di lontani rumori di aerei in decollo, i versi di una canzone che scaldava quel luogo con il sole.

 

Everybody’s talking at meI don’t hear a word they’re saying,Only the echo of my mind.

 

Ma non ci sarebbe stato nessun operaio a interferire, Jim lo sapeva fin troppo bene. Il suo orologio splendeva di un rassicurante colore verde smeraldo.Chiuse gli occhi e seguì i due amici nella boscaglia.

- Ecco, vedete… - qui c’era un prolungamento della pista. Sotto le foglie c’è l’asfalto!Bill lo smilzo scostò il fogliame con un piede e per poco non andò a gambe all’aria.- Stai attento, per la miseria…! – lo rimproverò Swedish.- E’ vero, qui c’è del selciato sgretolato.- Ve l’ho detto, doveva essere un ramo della pista che si staccava… laggiù, venite a vedere.I ragazzi camminarono per qualche minuto seguendo una pista tra le sterpaglie, aperta dal recente passaggio di Swedish.- Mi chiedo come hai fatto a passare di qui ieri… - gli domandò Jim.Swedish sogghignò. Non era la prima volta che prendeva a prestito qualche attrezzo dalla cantina dello zio Jules, quando andava a trovarlo. Se l’avesse saputo l’avrebbe come minimo fatto a fette, considerato il suo caratteraccio. Aveva liberato il passaggio grazie ad un machete che in mano ad altri ragazzini sarebbe stato più pericoloso di un fucile.- Dobbiamo riportarglielo, ragazzi. Se se ne accorge, per noi due è finita. E anche per te, Jim…- Un momento che c’entro io?I ragazzini giunsero sghignazzando al limitare della boscaglia, che improvvisamente diventò radura inaspettata, inondata da sole e vento.L’erba alta era spazzata verso destra dai soffi d’aria intermittenti, che lasciavano intravedere la costruzione, ancora in buono stato, solitaria e dimenticata.- Avete visto? Non mentivo – disse Swedish.- Un altro hangar…! Non l’avevamo mai visto…Swedish si beò dell’espressione stupefatta degli altri due – Presto, andiamo a vedere.

- La porta è sprangata con un catenaccio e il portellone deve pesare una tonnellata….Il vecchio hangar, nascosto alla vista dalla pista principale per decenni era conservato meglio degli altri, ma era totalmente inaccessibile. I ragazzi tentarono di circumnavigarlo, ma la struttura, per quanto arrugginita nella parte superiore, sembrava solida. Si domandarono il motivo per cui gli altri capannoni fossero rimasti in balia dei quattro venti mentre soltanto quello fosse stato sprangato e sigillato.- Chi sarà stato l’ultimo a mettere piede in questo aeroporto, Jim? Ne hai idea?- No… assolutamente, forse l’ultimo custode, più di vent’anni fa...I ragazzi stavano quasi per abbandonare la loro esplorazione, quando individuarono un finestrone chiuso sul lato destro dell’hangar, situato ad altezza minore rispetto agli altri punti luce.- Se solo riuscissimo ad arrampicarci fino lì…. Facciamo scaletta?Fare scaletta si rivelò un’impresa improba. Non solo il terreno nei pressi dell’hangar era cosparso di cocci di vetro e speroni di materiale aguzzo, ma Bill non era in grado di sostenere il peso di uno di loro. Ed era troppo impaurito per salire in cima alla torre improvvisata.- Se impiliamo quelle vecchie casse, ce la possiamo fare… - propose Swedish, per cui la soluzione più ovvia era sempre la più praticabile.- Il legno sarà marcio, io non mi fiderei... e poi cosa vogliamo trovare all’interno?Qualcosa però diceva a Jim che valeva la pena di fare un tentativo.Proprio mentre pensava a queste cose, Swedish, facendosi aiutare da Bill, aveva cominciato ad impilare delle vecchie casse il cui nome stampigliato, McDormath, poteva stare a significare di tutto, whisky o, più probabilmente, munizioni.- Fate attenzione a dove mettete le mani, ci può essere di tutto…I primi due tentativi fallirono, in quanto il legno non resse la minima pressione sotto i piedi di Swedish. Ma al terzo, proprio quando il progetto stava per essere abortito, il ragazzino traballando riuscì ad appoggiarsi al finestrone.- Che cosa vedi? Cosa c’è? – lo pressò il fratellino.Swedish si voltò verso Jim. Aveva un’espressione strana dipinta sul volto.- E’ tutto buio… E’ meglio che vieni a vedere… tu.Discese con occhi spalancati.Quando Jim si arrampicò e gettò lo sguardo oltre il finestrone, immaginò di vedere proprio l’ambiente angosciante che si trovò di fronte.E quelle ombre…Quelle grandi ombre.- Oh mamma… che cos’è… quella roba? – mormorò.Non trovò risposta negli occhi di Swedish.

 

 

Scuola.Primavera 1987Il lunedì a scuola, si accorsero subito che qualche ragazzo li indicava di nascosto.I compagni li accolsero con un imbarazzante applauso scrosciante al loro ingresso in classe e loro cominciarono a volare a dieci cm da terra.Durante l’intervallo un gruppo di ragazzini di Prima avvicinò Brian, già eletto bello del gruppo, e gli domandò se lui facesse parte di quel gruppo di cui si sentiva parlare in giro.Per quanto spiegassero che si era trattato soltanto di un colpo di fortuna, non poterono che sentirsi cullati da tutta quella attenzione. La nota stonata fu che la voce doveva essersi diffusa anche tra gli insegnanti.All’ultima ora infatti l’insegnante di Scienze, nota per le sue simpatie ed antipatie, decise di interrogare Jim, senza alcuna estrazione, con l’evidente intento di affibbiargli un 5, compito per il quale non dovette faticare più di tanto.Allo sguardo soddisfatto della megera, Jim rispose sul filo della campanella. -Tanto io divento una rock star, vecchia strega – lasciandola di stucco.

 

- Sei matto – gli dissero Valentina e gli altri all’uscita dalla classe – Quella ti rovina.Sì, Jim aveva la sensazione di avere fatto una gran cazzata, certo.Ma non era poi sicuro di essersi sbagliato più di tanto.Quello stesso pomeriggio Rai Stereo Due passò ancora una volta Kiss Tomorrow goodbye e la mattina seguente dopo il Preside in persona fece irruzione in classe, prelevando il povero Nanetto, per il quale era arrivata una telefonata privata, cosa a quei tempi rarissima.Il Nanetto tornò bianco come un cadavere e l’Insegnante di Italiano gli domandò immediatamente se si fosse verificato qualche problema a casa.- Ehm… no, cioè sì… - bofonchiò – I miei mi hanno avvisato che staranno fuori e che mi lasceranno le chiavi in… ehm… in latteria! Ecco, in latteria!- E’ per la vostra canzone, vero? – l’insegnante puntò il dito accusatore verso di lui. - Ehm… sì, è così… - si risedette paonazzo sotto gli sguardi di quelli che sembravano 70000 volti.Soltanto dopo cinque minuti il Nanetto trovò la forza di passare un foglio di soppiatto a Jim, suo compagno di banco.- Due notizie – diceva il foglio – una discreta e una fantastica. Quella discreta: hanno telefonato allo studio di registrazione e da lì sono risaliti fino a Saretta… Da Roma. Ci mettono sotto contratto, dopodomani dobbiamo essere laggiù a registrare…Jim sgranò gli occhi e cercò con lo sguardo Valentina, anche lei bramosa di notizie. Fece un gesto di vittoria col pugno serrato, poi si ricordò della notizia fantastica.

Manca la notizia fantastica, coglione.

Scrisse sul foglietto, prima di farlo scorrere verso il banco dell’amico.Il foglietto tornò indietro come sospinto da un muro.C’era scritto Saretta ha lasciato lo Spostato.

 

 

Aeroporto abbandonato di Biggin Hill, Inghilterra.Estate 1969Venti minuti più tardi erano sulla strada del ritorno, a capo chino in fila indiana, persi nei loro dubbiosi pensieri.Costeggiavano la pista nel suo tratto più ampio e pulito e quasi non si accorsero che poche centinaia di metri più avanti, un furgone nero era andato a occuparla.- Fermi, ci vedono! - Chi sono? Operai anche quelli?- No, non mi sembraI ragazzini si acquattarono nell’erba, procedendo verso il limitare della pista, dove si era fermato il furgone.- Che diamine stanno facendo? – gli domandò Bill.- Non lo so – rispose scrutando con curiosità il mezzo nero dal quale quattro ragazzi dai capelli lunghi stavano scaricando alcuni strumenti musicali.- Non ne ho la più pallida idea… - rispose Swedish – A te viene in mente qualcosa – si rivolse a Jim.- Non lo so… stanno disponendo gli strumenti musicali per terra di fronte al furgone… c’è anche un gong. Guardate quello con barba e baffi, che ha il nastro legato al cappello… sta dando delle indicazioni agli altri due… Secondo me potrebbe essere una foto per qualche disco…- Un disco? – strillò Bill.- Ssssst! Scemo di un fratello – inveì Swedish – Ci sentono.Ma li avevano sentiti.Il quarto uomo, quello che probabilmente avrebbe dovuto incaricarsi della fotografia, si voltò verso di loro.Aveva lineamenti marcati e profondi, come se non fosse europeo. La pelle rossastra, il grande naso e la fessura degli occhi sottile, poteva sembrare un originario dei nativi americani. Li guardò inespressivo. Temettero che l’uomo avrebbe dato l’allarme in men che non si dica, invece tornò ad occuparsi delle scatole contenenti gli strumenti e ad armeggiare accanto al Furgone nero.- Andiamo via! – sussurrò Jim.Presto erano di nuovo nella boscaglia, diretti verso l’uscita, la testa colma di mille pensieri senza spiegazioni.Mentre camminavano in silenzio lungo i loro sentieri segreti, Jim si sentì in pace col mondo e pensò a quanto rimpianto avrebbero provato di lì a poco, quando quell’universo sarebbe stato chiuso.Ma c’era ancora tempo prima di quel momento. C’era un mistero da risolvere e c’era soprattutto la canzone che non si staccava dalla sua mente.

 

Every night when the sun goes downJust another lonely boy in town…

 

Jim diede un’occhiata al proprio orologio, senza farsene accorgere.Il verde andava lentamente sbiadendo.

 

 

Panchina del parco.Primavera 1987Jim e il Nanetto stavano giocando a tris con i sassi su di una panchina del parco del centro. L’espressione corrucciata del primo faceva da contrapposizione a quella esaltata dell’amico.- Hanno litigato perché lui non vuole che lei vada a Roma. E lei lo ha mandato a stendere. Figurati, dille una cosa del genere! Lui le ha risposto che non doveva registrarle quel pezzo, che è un’ingrata. Insomma, lei lo ha mollato.Jim si guardò intorno pensoso, poi scagliò lontano un sassolino.- State bene insieme voi due. Si vede che c’è intimità, che avete qualcosa di… proprio pensi che non ce ne sia?Il Nanetto alzò le spalle – Stiamo ore al telefono… ci raccontiamo tante cose. Ma sai come sono le ragazze… Tanti proclami, tanta libertà… ma alla fine tornano sempre a cercarsi uno come lo Spostato…- Lei hai già detto che… insomma, che tu... non…Il Nanetto lo guardò fisso, fu come se la scena si fosse congelata.- No, quello non ancora…Erano in pochi a saperlo. Forse solo lui all’interno della classe. Un paio di anni prima i genitori del Nanetto gli avevano rivelato di non essere i suoi veri genitori e che lui era il risultato di un’adozione.L’aveva raccontato a Jim in un momento di estrema confidenza, e da quel momento non ne aveva più voluto parlare. Jim cambiò totalmente discorso e se possibile si rabbuiò ancora di più.- Valentina non viene. La madre non la lascia.- Che cosa?- Davvero, abbiamo litigato oggi.- Ma sei matto? Lei deve venire! E’ parte della canzone… Ci mettono a disposizione un furgone, uno di quelli nuovi a più posti…- Niente da fare. Mi ha anche detto che sua figlia deve arrivare illibata al matrimonio…- Eh??? – il Nanetto si alzò in piedi ma la cosa non cambiò più di tanto – Ma Valentina non è più vergine da…- Dillo a me. Lo so bene, lo sai?- Ma lei vorrebbe venire?- Certo che sì. Quella donna le sta rovinando la vita…Il Nanetto ci pensò un po’ su.- Ascolta, ho un piano – disse a bassa voce.

 

OraDi nuovo il bagliore indefinito.Gli ci vollero quelli che gli parvero giorni per tornare alla coscienza.Anche se dovevano essere passati soltanto pochi minuti.E la frase che rimbombava nelle orecchie.

Ogni volta è la stessa storia, anche se non è la stessa.Ogni volta è la stessa storia, anche se non è la stessa.

Lei era alle sue spalle, che chiedeva e le parole rallentavano, un nastro trascinato a stento.Dove sei stato? Così non può andare avanti.Forse rispose qualcosa… ma cosa?- No! Tu non eri qui!!! Non devi più andare lì dove vai! Mi hai capito???E poi di nuovo la porta che sbatteva e gli trapanava il cranio.Ora lo sapeva, era abbandonato su una sedia, di fronte al bagliore bianco.Ogni volta è la stessa storia, anche se non è la stessa.- Anzi, forse è anche peggio – mormorò in un lamento.

 

Arizona.Tempo imprecisato

Faceva caldo, ma l’aria che entrava dai finestrini aperti, rendeva tollerabile la temperatura all’interno della Chevrolet Impala blu, che procedeva lentamente su una striscia di asfalto polverosa e pressoché infinita.Si sentì stanco, ma con un sospiro di sollievo che scendeva lento per il corpo.Da dove veniva?Per quanto tempo aveva guidato?Non lo ricordava, non era importante.Sapeva che il posto era quello e da qualche parte la strada lo avrebbe portato.Controllò la borsa grigia gettata sul sedile del passeggero e sospirò.Chi poteva dire se all’interno ci fosse tutto.Se avesse veramente preso tutto.Accese la radio.Soavemente si diffuse una canzone che lo invitò a procedere ancora di più a quella velocità di crociera tanto tranquilla.Sì, prima o poi avrebbe trovato la strada.

 

It’s another Tequila SunriseStaring slowly, ‘cross the skyThe days go by…

 

 

Cosa hanno trovato i ragazzini nell’hangar di Biggin Hill?In cosa consiste il piano del Nanetto riguardante Valentina?Quale rapporto hanno le vicende di Biggin Hill e del gruppo di amici del 1987?Cosa lega queste due vicende apparentemente così distanti fra di loro?Che cos’è la luce bianca, visualizzata in un ambiente onirico?Qual è il senso della vicenda che inizia in Arizona, sulla Chevrolet Impala?Chi è il personaggio dai lineamenti che ricordano quelli di un Indiano d’America.Che cos’è l’orologio con la luce verde smeraldo?E soprattutto… che cos’è Tequila Sunrise?Troppe domande amici e immagino che a questo punto la confusione sia tanta.

Ritroveremo ancora i ragazzini di Biggin Hill la prossima settimana, assieme ai ragazzi di Kiss Tomorrow Goodbye, se vi andrà.Ritroveremo Jim.E naturalmente una Chevrolet Impala blu, alla ricerca della propria strada in Arizona.

L’aeroporto di Biggin Hill, situato poco a Sud di Londra, esiste veramente e non è mai stato abbandonato o dismesso dopo la Seconda Guerra Mondiale, nella quale fu una delle basi dalle quali Spitfires e Hurricanes si distinsero nella Battaglia di Inghilterra.La scena nella quale i ragazzini vedono scaricare degli strumenti da un furgone nero, è stata ispirata dal retro di copertina di Ummagumma, dei Pink Floyd, foto scattata proprio in quell'aeroporto. Uno dei due personaggi della foto è Charles Watts, roadie dei Pink Floyd all'epoca di Ummagumma, da poco padre di una bambina di nome Naomi. Una bambina che decideràdi fare l'attrice e diventerà Naomi Watts, che noi maschietti ben conosciamo. Kiss Tomorrow Goodbye è in realtà una canzone di Luke Bryan. Mauro Saglietti