Se vuoi parlare di un campionato del Toro, hai solo l’imbarazzo della scelta per scegliere la scena di apertura di quello che sarà il film del tuo racconto.Puoi cominciare ad esempio parlando delle chiacchiere di luglio ai giardini, con gli amici…- Poveri noi! Non abbiamo un soldo… sai che questa volta finiamo male sul serio?Sergio Rossi se ne era andato nell’indifferenza generale. Anche Francini. Junior, Dossena e Kieft avevano salutato il Fila e i suoi spogliatoi.Si prospettava un’annata con Comi regista e con alcuni illustri semisconosciuti quali Crippa, Gritti e Polster a far da baluardo contro Maradona e Gullit.
mondo granata
Tira giù la porta!
Puoi scegliere un passo da un racconto di Stephen King che ti sembra importante e ti ricorda qualcosa legato a quell’annata. “Immagino che se questa fosse una storia di fantasia dovrei finire raccontandovi come il cavaliere zoppo della rimessa di Darnell corteggiò e conquistò la bella castellana, la dama dal foulard di nylon rosa”.
Oppure puoi scegliere il momento in cui in montagna fermi un signore con la radiolina, alla prima di campionato:- Cosa fa il Toro?- Perde 1-0.Perde, perde, perde, questo Toro perde sempre!
Mille modi per cominciare.La storia di quel campionato inizia invece su una pensilina della stazione di Brindisi, il 7 agosto del 1987.Sono le 12.30, fa un caldo impressionante e ovunque ci sono cocci di bottiglia, resto di una rissa avvenuta la notte prima tra turisti olandesi e tedeschi.Un treno si avvicina lentamente.Si ferma ed apre le porte.Un ragazzo sporge fuori la borsa arancione e scende.
Cominciamo dai protagonisti, che ci terranno compagnia in questo breve viaggio.Sono due, un uomo e un ragazzo. Il ragazzo, appena sceso dal treno, ha 19 anni e sono io, per servirvi (inchino).L’uomo è un po’ sfuggente e spesso osserverà gli avvenimenti senza intervenire.Sono salito su quel treno a Porta Nuova la sera prima alle 20, mio padre ha sponsorizzato la trasferta.Il motivo? Sono fidanzato con una compagna di classe, che chiameremo con una bella A, tanto per mettere le cose in ordine alfabetico (anche se, come scopriremo poi, altre lettere andrebbero bene lo stesso) da marzo. 5 mesi.Carina (per me è qualcosa di più, anche se siamo completamente diversi) ma i 5 mesi sono solo sulla carta, perché, col proverbiale sedere che mi ritrovo, mi sono messo con l’unica ragazza che si fa due mesi interi di vacanza in Puglia. Dal 31 giugno al 30 agosto.Scene tristissime alla sua partenza, non sono ancora capace a nascondere ciò che provo.La SIP (ciao, Telecom) fa affari d’oro in quei due mesi con le mie teleselezioni.- Vieni giù a trovarmi, dai! –Devo farmelo ripetere? Potessi andrei a piedi.Ciuff ciuff! Il treno sferraglia giù per l’Italia, fino a Brindisi.Quando però metto piede sul marciapiede rovente della stazione non c’è nessuno ad aspettarmi.O meglio, qualcuno arriva, dopo un quarto d’ora di smarrimento. Arriva lei, finalmente!Ma non da sola.
- Lui chi è? Come mai l’hai portato con te? Il suo ruolo, mi spieghi qual è? Io volevo incontrarti da sola, semmai!Già, figurati se sono in grado di aprire bocca, altro che fare Renato Zero.Ci metto giusto un attimo a realizzare. Giusto quell’attimo che ti distrugge l’esistenza.Il triangolo no! Non l’avevo considerato davvero. Per un diciannovenne la geometria era proprio un reato.
Si partiva dal presupposto che fossi fottuto, spacciato, morto sul colpo. Come un uomo che rimane appeso per una roccia sull’orlo di uno strapiombo, e che improvvisamente ha un solo pensiero in testa: la salvezza.Immaginate il caldo soffocante, le sensazioni che sembrano acuite, i colori quasi distorti dal gelido pulsare del sangue, diventato cianuro.Immaginate l’ambiente, per un montanaro come me, completamente estraneo, e a quel punto forzatamente avverso. Arrivai a Lecce in qualche modo, mi feci portare a Lecce, per trovare un treno per il ritorno.19 anni, povero Cristo.A Lecce, posto nel quale la fortuna è stata spesso estranea.Feci in tempo a fare una telefonata a casa, prima di chiudermi in una toilette del treno, dove trascorsi quasi tutto il tempo del viaggio di ritorno.Non vi dico in quali condizioni.Quando ebbi il coraggio e la forza di mettere il naso fuori dal mio rifugio, intravidi lo stesso uomo che era sceso con me a Brindisi. Probabilmente incrociò il mio sguardo, ma io non fui in grado di fissare il suo. I miei occhi in quei momenti avevano problemi seri di appannamento.Lo avrei ancora incontrato.
So cosa vi state chiedendo. Perché farmi scendere fin laggiù se poi…Bella domanda, persino un concorrente di “Chi vuol essere milionario”, con tutti gli aiuti a disposizione, non ha saputo rispondere.E‘ per questo che vi ho detto che sì, ho scelto A come elemento identificativo, ma avrebbe potuto essere qualsiasi altra lettera. Una T., oppure P. Persino B. Insomma ognuno scelga la lettera che vuole, come elemento identificativo.
Mia madre e mio padre si erano separati quando io avevo tre anni.Ho rari ricordi di loro due insieme. La loro immagine insieme sembra quasi aliena.Vederli alla stazione, lì fermi ad aspettarmi, mi fece comprendere quanto fosse grave la situazione.Era arrivato l’esercito della salvezza.
- Non fare quella faccia… mi ascolti? Ci sei? Niente… è in stato di morte apparente – forza, spostiamolo. Dai, che tra pochi giorni guardiamo il concerto di Madonna in tv…- Cosa vuoi che gliene freghi del concerto di Madonna? Non vedi gli occhi sbarrati? Qui ci vuole una secchiata d’acqua gelata.Gli amici della montagna (e che amici, ragazzi) si occuparono della mia rianimazione, obbligandomi a partecipare a partite di calcio (come bella statuina) o a guardare insieme il concerto di Madonna, il 4 di settembre.- Siete già caldi? Ánch’io!Caldi un Kaiser, ero un iceberg che piangeva ghiaccioli.Who’s that girl? No, “Who was that girl”?
In tutta quella situazione in cui Masini avrebbe fatto la figura del mattacchione, Minghi quella del simpaticone e un sezionando quella dell’esagitato, seguii solo di striscio il Toro, che vinse tutte le partite della prima fase della Coppa Italia. 1-0 a Cosenza, 2-1 in casa contro l’Atalanta, 5-1 fuori casa contro l’Arezzo, 1-0 ancora fuori casa a Vicenza.Mi trascinai fino in Maratona per la partita finale del girone eliminatorio di Coppa Italia. Toro-Sampdoria. Entrambe le squadre erano già qualificate, si giocava per il primo posto.Perdemmo 0-2, piovve sul bagnato.
Per molti la salvezza arriva sotto forma di freddo nelle vene.Un mattino ti svegli e scopri che non stai più male.Perdonate il gioco di parole, però quanto fa male quel non stare più male.No, per me non fu così, la salvezza provvidenziale arrivò sotto forma di disco.Ciondolavo lungo via Chiesa della Salute, il 9di settembre, meditando silenziosamente sulle mie miserie.Alla scuola, l’ultimo anno del liceo.Al fatto che mi sarei ritrovato davanti A per un anno intero.Poi però la tua vita cambia nel giro di mezzo secondo.Quel negozio di dischi oggi non c’è più, ma ogni volta che passo di lì mi rammento di quell’istante.Non mi fermai.Fu il disco che fermò me.
Il cuore che batte a 200 all’ora e io che neanche me ne accorgo.In una sequenza di flash, scorsi il nome sulla copertina (strano!) e la foto che non conoscevo, nel centro della vetrina.In un attimo fui dentro, l’LP già tra le mie mani. A momentary lapse of reason. Balbettai.- E’… è… è un disco nuovo dei…- Sì – mi risponde il proprietario del negozio - con evidente entusiasmo e partecipazione. E’ arrivato questa mattina. Sono Gilmour e Mason, più la partecipazione di Wright.- Lo…lo… lo… lo… lo… -- Auguri, amico mio, si è incantato il disco – pensò evidentemente l’uomo che scrutava la scena fuoei dalla vetrina.- Lo compro! – riuscii a dire.Uscii dal negozio senza scorgere quell’uomo e corsi a casa.Avevo completamente dimenticato quello che dovevo fare, il fiato corto per A.Mollai tutto e gettai il disco sotto la puntina.Le note di alcuni remi sull’acqua.I miei amici musicali, quelli che credevo perduti per sempre, erano tornati per togliermi dal fango!Ti aspetti un bel disco, ma non sai cosa.Poi, sbuca dal nulla una gemma, un gioiello prezioso, al termine della prima facciata, On the turning away, che per qualche minuto ti assorbe nel mondo dell’arte e della musica, nel quale nessuno ti può più ferire.
- Scusi, cosa fa il Toro?- Perde 1-0La consueta caccia al tesoro di settembre per le vie del paese di montagna, venne turbata dal fatto che non fossi a conoscenza del risultato di Avellino-Torino, prima di campionato.Buscammo gol, sbagliammo un rigore con Gritti, poi arrivò la notizia del pareggio con Polster e alla fine, proprio alla fine, ci dissero che Schachner aveva segnato. Quasi esultai.Poi mi fermai e diventai bianco. Ora l’austriaco giocava nell’Avellino. 2-1, avevamo cominciato e avevamo già perso.
Nella seconda giornata di campionato, però facemmo conoscenza con Tony Polster, il beniamino delle tifose.Grande e indimenticato Tony. Ne fece tre alla Sampdoria, vendicando così la sconfitta patita due settimane prima, facendo valere la sua strapotenza fisica. Tripudio nella Maratona, nella quale si respirava la vita a pieni polmoni. 4-1 alla fine con gol anche di Ezio Rossi e punto della bandiera di Vialli.Uscimmo dalla Curva preda di una gioia che per qualche ora mi fece dimenticare quello che avrei dovuto affrontare il giorno seguente.La scuola era ricominciata da poco, ultimo anno di Liceo, maturità in vista.Chi se ne fregava? Il problema era A.Come affrontare la situazione?- No, non quella faccia! Si vedono gli angoli della bocca giù. Stai aggrottando le sopracciglia! Allenati, per favore! Indifferenza totale. Allenati! Immagina di avere di fronte Mandy Smith e di fare di tutto per non guardarla. Domani con A. ti sarà tutto più facile.Stavo parlando con me stesso allo specchio e Mandy Smith era la figacciona che a 14 aveva cominciato ad uscire con Bill Wyman dei Rolling Stones, che ne aveva 47. Lei ne dimostrava 23, mica scemo però l’amico.Del resto era Bill Wyman, non Pirlo de Pirlis.
- Scusi, cosa fa il Toro?- Perde 1-0Ma che diamine, ma questo Toro perde sempre?L’addio, o l’arrivederci agli amici della montagna (erano ancora gli anni in cui c’erano amici estivi e invernali) fu segnato dalla nuova sconfitta esterna della banda di ragazzotti di Radice.Quel giorno prendemmo una bella scoppola. 3-0 dall’Ascoli e riuscimmo a santificare un giocatore che brillò solo per quella stagione, tale Scarafoni. Buttato alle ortiche quanto di buono fatto con la Samp.
Zucchero la faceva da padrone in quei mesi con Blue’s. Mi ero lasciato coinvolgere nell’acquisto, anche se il Rhythm 'n blues, che tutti sembravano masticare con incuranza, mi era un po’ estraneo.Senza una donna era la canzone che più mi piaceva, ma il fatto che fossi io a cantarla la rendeva una parodia beffarda.Il disco ad ogni buon conto non sfuggì alla tifoseria granata.Durante Torino-Inter, quarta di campionato, “Fracchia” collaudò un coro assai simpatico.- SOOOO – urlava a squarciagola- SOOOO – ripeteva la Curva- SOOOO!- SOOOOOOO – per quattro o cinque volte.Alla fine Fracchia lanciava il segnale e dopo l’ultimo “SO”, il coro partiva:Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’azione cattolica – uh! – TO-RO! TO-RO! TO-RO!Niente male le nostre citazioni musicali.Quel giorno Giacomo Ferri citò invece un centravanti, segnando uno splendido gol al volo.1-0, ma in seguito a un’uscita a vuoto di Lorieri, Matteoli raccolse il pallone al limite dell’area e fece gol. 1-1. Uscii dallo stadio furibondo.
Il mio rapporto con Lorieri è sempre stato di odio e amore.Mi aspettavo tantissimo da Fabrizio e forse lui bruciò troppo le tappe. Non lo si fece lavorare abbastanza su alcuni fondamentali (le uscite), ma soprattutto sulla testa. Era un emotivo e pativa la partita come pochi, andando spesso nel pallone, compiendo parate incredibili per la loro difficoltà, e poi facendosi beffare da tiri risibili.Con gli anni ho rivalutato il personaggio, un profondo cuore granata, che comunque continuò la sua carriera ad alti livelli anche quando se ne andò.
Il campionato proseguì con lo 0-0 sotto la pioggia di Cesena (i tifosi si presero a ombrellate), la vittoria per 2-1 contro la Fiorentina grazie a uno scatenato Polster, che non perdeva un colpo, il pareggio barricadiero per 0-0 a San Siro contro il Milan di Sacchi, futuro Campione d’Italia, e l’1-1 contro il Verona di Pacione, che portò in vantaggio i gialloblù, raggiunti nel finale da un gol di Cravero.
Mi è capitato di sapere dopo anni che in quei giorni dell’autunno 1987, nei quali medicavo le mie ferite con fatica, A stava tramando per tornare col sottoscritto, sondando il terreno con i miei amici, che ebbero il buon gusto di non dirmi nulla, ben sapendo che sarei andato in paranoia. Meglio così, i miei occhi erano puntati verso il futuro. Sembrava impossibile che il Liceo, che sembrava un’istituzione eterna, quell’anno dovesse terminare.Ma l’annata era solo agli inizi e chissà che in quei mesi io non potessi incontrare una bella castellana che potesse indicare la via al cavaliere che tornava sconfitto dalla battaglia e dargli una casa?
Il buon avvio del giovane Toro sul quale nessuno avrebbe scommesso una lira ad inizio campionato, si arrestò contro il Napoli scudettato, dove buscammo per 3-1 come da abitudine. A Pescara invece Polster aprì le marcature, poi i locali rimontarono, aiutati anche da un rigore da scandalo regalato dal casalingo Nicchi di Arezzo, e passarono in vantaggio. Due reti di quello Sliskovic che nell’annata precedente militava con l’Hajduk di Spalato e contro di noi aveva segnato da 30 metri. Rimediammo il pari comunque grazie al costante Gritti. Il gol di Polster è importante perché per quindici lunghe partite, l’austriaco consegnò più. Per un suo nuovo gol fu necessario attendere proprio il Pescara di Junior, nel girone di ritorno.Dopo gli abruzzesi, la discesa continuò e fummo battuti in casa dall’Empoli grazie ad un tiro da fuori del notissimo Della Scala, in un giorno piovoso nel quale la Maratona stranamente, non espose il bandierone per il quale era famosa.
20 dicembre 1987, la prima trasferta della mia vita.Un po’ tardino per farla, eh? Eravamo in due, io e Max l’amico di sempre. 200 gradi sottozero in riva al Lario, una delle giornate più fredde dello scorso millennio, una partita terrificante.Mezzo tiro in porta da parte di Polster, mentre il Como con Centi si divorò un’occasione incredibile e gigantesca, uno 0-0 annunciato. Giornata comunque utile per capire il funzionamento delle trasferte e la grandezza della Maratona anche lontano da Torino.Mentre il pullman se ne andava da Como mi sembrò quasi di rivedere per le strade l’uomo di Brindisi, quello che guardava fuori dal negozio di dischi.Un’illusione, solo un’ombra.
Masturbazione al cervello.Perdonate il termine, ma era quello che pensavo, durante le lunghe serate di dicembre, mentre cercavo di capire qualcosa della Critica della ragion pura o della Critica della ragion pratica di Kant.Mai capito un accidente, decisamente non sarebbe stata la materia che avrei portato all’Esame, la mia Filosofia era molto più spicciola.Era difficile inoltre riuscire a capire qualcosa, con un occhio sul foglio e l’altro su Indietro Tutta, uno degli ultimi colpi di coda di dignità culturale e satirica che questo paese ci ha regalato.Partito quasi in sordina, Indietro Tutta, trasmesso in seconda serata, catturò interesse e attenzione col suo sarcasmo in anticipo sugli anni. Nel finto quiz a premi, Arbore e Frassica misero alla berlina quello che la televisione stava diventando, con le ragazze coccodé, triste e geniale presagio di quello che la donna in tv sarebbe diventata, pubblicizzando un prodotto inventato come il Cacao meravigliao che il popolo già allora bue andò a cercare in massa nei supermercati, nelle sue varianti Delicassao, Spregiudicao e Depressao (come dimenticare la sagoma del fantomatico inventore, Paulo Meravigliao?).Le sere di Indietro tutta furono irripetibili, accompagnate dai tormentoni Volante uno a volante due o dalle canzoni Sì, la vita è tutto un quiz, Vengo dopo il tiggì, Grazie dei fiori bis, disperato urlo di allarme di un mondo che se ne stava andando.
- Ti va di fumare? Vuoi una sigaretta?- Non fumo, Presidente.Seguivo quel campionato in mezzo ad alcuni ragazzi che si soprannominavano NSG, uno spasso dall’inizio alla fine, soprattutto a causa del leader del gruppo, che tutti chiamavamo Presidente e delle sue canzoni in piemontese, ritmate da tutto il gruppo.Derby… non si vinceva da troppi turni e la gobba di Rino Marchesi era una lieta anticipazione di quella che sarebbe stata di lì a pochi anni con Maifredi.Li aggredimmo e Crippa segnò un gol di testa spettacolare, che a parti invertite sarebbe stato dipinto come “capolavoro”. Manco a dirlo nella ripresa Alessio pareggiò quasi subito con un tiro al volo. Ma Gritti, ancora lui riportò il tripudio in Maratona. Sembrava fatta, ma a cinque minuti dalla fine Ezio Rossi, nel tentativo di anticipare Rush, infilò la propria porta. Meritavamo di vincere quel derby. Non lo sapevamo ancora, ma avremmo affrontato i gobbi altre quattro volte quell’anno.
Giocammo l’andata degli ottavi di Coppa Italia a Verona il giorno della befana, e perdemmo 1-0 per un gol del vecchio Elkjaer, prima di trasferirci a Roma, dove si perdeva da quasi dieci anni, consecutivamente. I grandi numeri erano stati spazzati. Accogliemmo il gol di Voeller con rassegnazione, ma Gritti, sempre lui, gelò l’Olimpico, In un campionato ancora con due punti per vittoria, anche un pareggio muoveva la classifica.Ma occorreva assolutamente vincere.
- Ti va di fumare? Vuoi una sigaretta?- Non fumo, Presidente.- Ah, già, scusa.Quel Torino-Pisa del 17 gennaio cominciò male, con un gol del pisano Lucarelli (parente? Boh?), subito pareggiato però dal gol di Gritti. Nella ripresa il “giardiniere” Bergreen ci portò in vantaggio, quindi ancora Gritti raccolse la corta respinta di Nista, che aveva parato il rigore a Polster, e fece 3-1.- Tony Polster! – cantava la curva sulle note di Fra’ Martino – Tony Polster! Facci un gol! Facci un gol!... - E qui nasce la diatriba. Che cosa diceva la canzone? “Tira giù la porta?”, “Tiraci una bomba”, "Tira giù una bomba"? Mai capito, c’era chi cantava in un modo e chi nell’altro.In Curva ci si divertiva, poche balle.
Il 20 gennaio giocammo in casa contro il Verona il ritorno degli ottavi di Coppa Italia.Segnò subito Benedetti, poi si andò ai rigori.Lorieri fece un paio di miracoli e fu l’eroe della serata.Quindi mezzo passo falso casalingo contro l’Avellino di Schachner (0-0), pareggio per 1-1 a Marassi con la Samp, vittoria casalinga per 2-1 contro l’Ascoli con gol di Comi e Crippa e poi…
E poi c’è una cosa che non posso dimenticare.Era il 9 febbraio, quel giorno entrammo a scuola con due ore di ritardo.Col senno di poi, transitai in via Gottardo, proprio mentre si stava verificando una tragedia.Lei si chiamava Giorgia Padoan, aveva un anno più di me, frequentava l’università di Lingue e proveniva dal nostro stesso liceo.Venne strangolata quel giorno in casa. Aprì la porta proprio in quei minuti al suo assassino, che conosceva.Chiunque sia stato, fu preso dal panico e seminò dietro di sé una serie di errori da paura. Con le tecniche investigative di oggi lo acciufferebbero in mezza giornata. Al Liceo non si parlava d’altro, i giornalisti si fecero vivi alla ricerca di non si sa che cosa.Le indagini durarono mesi, anni. Un dramma, una pena infernale per i genitori.Non lo presero mai, A quanto ne sappia, l’assassino di Giorgia è ancora in circolazione tra di noi.Non potrò mai dimenticare quella cosa infame. Un pensiero per Giorgia.
Il giorno seguente, quando quasi nulla si sapeva della notizia, il Toro ospitò il Napoli in una serata di vento freddo nell’andata dei quarti di finale di Coppa Italia. Comi, il regista inventato, disputò una gran partita e Maradona lo definì “un fuoriclasse”. Finì però 1-1, con Renica che rispose quasi subito al gol dello stesso Comi. Le cose al ritorno sarebbero state quasi impossibili contro lo squadrone partenopeo.
Il 13 febbraio mi lasciai trascinare controvoglia a una festa del sabato pomeriggio. Erò già un po’ troppo grandicello, ma lì conobbi una ballerina (studiava ballo ed era molto bravina). Si faceva chiamare Sandy, nome soave. Ma, oltre che per le feste del pomeriggio, ero già un po’ troppo grande anche per credere al fatto che si chiamasse davvero così. E anche per pensarci troppo.Il giorno seguente si sarebbe andati a Milano con i Fedelissimi. Quelli erano i pensieri importanti.
L’ultima volta che vidi Parigi, The last time I saw Richard, L’ultima neve di primavera, L’ultima vittoria a San Siro.Indovinate un po’ l’intruso?- Allora, ti piace questa Sandy? – il pullman scorreva veloce sull’autostrada- Hhhhm….- Cosa vuol dire hhhmm? Ti ha dato il suo numero di telefono o sbaglio? Mi sembrava interessata- Non so – risposi all’amico - vedi, in questo momento mi sento come un cavaliere che ha perso la strada e che attende la sua dama, la bella castellana che gli mostri la via.L’amico mi guardò con pietà e impiegò un attimo a parlare.- Sei una persona malata, che ha bisogno di cure.
La Curva granata era strapiena, dopo 14 minuti Cravero insaccò un calcio di rigore concesso per fallo di Zenga su Bergreen. 1-0, poi 76 minuti di sofferenza, prima della festa finale.Il Torello di Radice, Poster e Gritti stava salendo la classifica verso posizioni di tutto rispetto, altro che serie B.Due settimane più tardi però, dopo la sosta, per poco non facemmo harakiri contro il Cesena in casa, andando sotto per 0-2 nel primo tempo grazie a Lorenzo e a un rigore di Di Bartolomei.Nella ripresa accorciammo le distanze con Cravero su rigore a venti minuti dalla fine e pareggiammo con un diagonale di Giorgio Bresciani quasi allo scadere.Eravamo sempre lì.
- Ci sarà di nuovo Patsy Kensit a Sanremo!- Di nuovo? Anche quest’anno?- Sì, vuoi vedere che…- Certo, adesso questa fa vedere le tette tutti gli anni…
Patsy Kensit, classe 1968, sogno più o meno inconfessato e inconfessabile di molti ragazzi, se non di tutti. Una deliziosa bambolina bionda che l’anno precedente, al Festival di Sanremo aveva presentato Will you remember col suo gruppo, gli Eight Wonder, resi famosi da Stay with me del 1986.Durante la kermesse sanremese, le si era staccata una spallina dal vestitino, peraltro già striminzito, mentre cantava. Quasi incurante del fatto, aveva continuato a cantare e ballare fino a far fuoriuscire dal vestito una delle sue piccole grazie. Piccola finché si vuole, ma grazia per noi, che non si andava mica tanto per il sottile.A scuola non si era parlato d’altro per giorni e avevamo impiegato parecchio tempo per riarrotolare le lingue. Insomma, era Patsy Kensit, non una matrona.
Durante la prima serata di Sanremo comunque non fu Patsy Kensit la sorpresa.Fu un video inaspettato.Annunciarono come anteprima assoluta, (credo fosse Carlo Massarini) un video tratto dalle prime date della tournee australiana dei Pink Floyd (che avrebbero suonato a Torino il 6 luglio): On the turning away.Restai paralizzato. Al momento quel video per me valeva molto di più delle tette di Patsy Kensit.
Il giorno dopo a scuola ovviamente se ne parlò nel corridoio.- Mamma mia, a momenti resto secco davanti al video!- Hai sentito l’assolo finale?- Incredibile… io... io... io... – mi impiantai guardando oltre le spalle dell’amico.- Bè? Che hai? Non parli più? Ohu…? Pronto…? C’è nessuno…?- Credo di aver visto la Madonna…- Ah, ma non sapevo fossi andato al concerto…!- Ma quale concerto… lei, quella ragazza là…- Non la vedo più… ma che ti prende? Ehi, ti sto parlando…!Non ascoltavo più il mio compagno. A dire la verità l’avevo notata già da qualche tempo, mentre usciva da un’altra classe. Aveva i capelli castani, era alta e snella e quel gioeno indossava un foulard rosa.Mi sembrava una ragazza semplice, non si dava arie e brillava di luce propria. Non poco.Aveva ricambiato il mio sguardo ma non aveva sorriso, brutto segnale. Sorrideva spesso, in modo semplice. Troppo estranea a tutto il resto per non risaltare, come ritagliata dai colori e poggiata su sfondo grigio. Troppo diversa dalle altre per non piacermi.Troppo “qualcosa” che non riuscivo a capire.
Il 3 marzo il Toro andò a giocare a Napoli il ritorno dei quarti di finale e nel primo tempo passò inaspettatamente in vantaggio con Gritti. Un certo Maradona però pareggiò su punizione e poi portò in vantaggio i suoi, ancora su punizione.Incredibilmente però la banda di Radice ribaltò la situazione e andò addirittura a vincere al San Paolo, con Comi e Polster.Eravamo qualificati e in semifinale avremmo incontrato indovinate chi? ‘Sto… ehm…pardon, gli odiati gobbi. Avevamo un mese per prepararci.
Qualche giorno più tardi feci un incontro fondamentale.Non fu con la ragazza dal foulard rosa, bensì con un libro, Christine la macchina infernale di Stephen King.Non fatevi ingannare dalla prevenzione. Credo che King, quando non scrive di orrore, ma di amicizia e di amore, sia uno scrittore insuperabile e molti non lo conoscono sotto questo punto di vista.Per chi non la conoscesse, la vicenda parla fondamentalmente di una storia d’amore tra Arnie Cunningham, un ragazzo goffo e brufoloso e una macchina, Christine, una vecchia Plymouth Fury del 1958, che ben presto si scopre non solo dotata di vita propria e capace di atti sinistri, ma capace anche di influssi nefasti sul suo proprietario. Arnie ha un grande amico, Dennis Guilder e una dolce ragazza, Leigh Cabot. Christine però non può tollerare che Arnie abbia qualcuno oltre a lei. Leigh, sopo aver rischiato di morire a bordo di Christine, avverte la sua sinistra presenza e si allontana da Arnie. Dennis, che stenta sempre più a riconoscere il suo vecchio amico Arnie, si innamora di lei.I due capiscono che Arnie è posseduto da un qualcosa che si nasconde sotto le sembianze della macchia e comprendono che il loro solo modo di riavere il vecchio amico, è quello di distruggere Christine.Lo scontro finale si avrà nella rimessa del meccanico Darnell…
Non avevo mai letto nulla di King. Mi trovai quasi assorbito da quel romanzo del quale lessi poche pagine al giorno, nei momenti che lo studio (il tentativo di studiare) mi lasciava libero. Ma a mano a mano che la vicenda prendeva forma, fu quasi la forza del libro a farmi identificare in Dennis, che si innamorava lentamente della dolce Leigh e insieme dovevano combattere contro i nemici.Io ero diventato Dennis e lei, la ragazza che incontravo nei corridoi, per me era diventata Leigh anche se temevo che nella realtà non lo sarebbe diventata mai.
Si perse a Firenze per un rigore di Diaz al 90° dopo un prodigioso tuffo di Berti (capitò nel 1987, nel 1988 e nel 1989, sempre all’ultimo minuto), pareggiammo in casa col Milan 1-1 (botta-risposta Bresciani-Ancelotti, Lorieri parò un rigore a Baresi), quindi espugnammo il Bentegodi, battendo per 2-0 i locali in caduta libera, con gol di Ezio Rossi e Tullio Gritti. Infine pareggiammo in casa contro il Napoli per 0-0. Polster fu toccato duro e dovette saltare la partita contro i gobbi. Il derby numero due.
Il 6 di aprile il Toro giocò il derby di andata delle semifinali di Coppa Italia, in una serata piovosa.- Che hai che sei così pensoso? Ancora per quella vecchia storia? Sarebbe ora che tu la piantassi, no? Ti va di fumare?- No grazie, Presidente, non fumo.- Te l’ho già chiesto?- Ma figurati!Vincemmo 2-0 quella stracittadina, passata alla storia non solo per il bel gol di Gritti, ma anche e soprattutto per la straordinaria fucilata di Ezio Rossi che ci regalò uno degli urli più belli della nostra storia.- L’Italia onesta ringrazia il Torino - fu il laconico commento del Presidente. – A proposito, ti va di fumare?
I giorni passavano e, tranne un breve contatto l’otto di Marzo, non ero ancora riuscito a parlare con la ragazza che nei miei sogni si era trasformata in Leigh Cabot.Un giorno di primavera il destino si materializzò sotto forma di pullman.Facevamo parte della stessa tratta insieme.Restammo soli in coda al mezzo pubblico e, Dio solo sa come, trovai la forza di rivolgerle due parole, uscendo dalla forma di baccalà, nel quale mi ero trasformato.- Compio 18 anni oggi… - disse sorridendo senza malizia.Il dado era tratto. Tu ancora non lo sapevi, Leigh, ma la vicenda di Arnie e Christine mi faceva pensare a te in ogni momento.
Il 20 di aprile, dopo aver regolato il Pescara 2-0 ed aver pareggiato ad Empoli, riaffrontammo i gobbacci nel ritorno di Coppa Italia. Dovevano farcene tre. E tre ne fecero. Purtroppo per loro uno dei tre gol fu un’autorete. Un’inutile vittoria per 2-1, con Lorieri in grande serata, che ci aprì le porte della finale contro i blucerchiati.Il 24 aprile pareggiammo per 1-1 in casa contro il Como, punto perso che alla lunga si sarebbe rivelato fatale, prima del derby numero quattro.
- Ti va di uscire sabato sera?Alle volte il coraggio arriva quando meno te lo aspetti.- Io e te…? Insieme?- Sì… non proprio… - dissi con un sorriso che rasentò la paresi – Andiamo al bowling ti va di venire con noi?
Trascorsi il pomeriggio di quel sabato in un’inquietudine da film horror, Suspiria al confronto era Bambi, pensando a ciò che avrei detto o fatto.Ricordo si avere acquistato “All the best” di Paul McCartney.Quel pomeriggio No more lonely nights e Once upon a long ago accompagnarono lo scorrere inesorabile dei minuti, mentre la tensione saliva. Trascorremmo la serata insieme, poi la riportai a casa sulla vettura generosamente offerta da mio padre, che serviva a farmi sentire un po’ più sicuro. Sicurezze dell’età.Glielo dissi, glielo feci capire.Lei sorrise imbarazzata e disse “Ci vediamo lunedì”.Scese e si lasciò il portone alle spalle.Mi diedi del coglione fino a casa.E il mattino seguente, quando mi svegliai, me lo ridiedi, casomai mi fosse sfuggito il concetto.
Mi recai alla partita con un muso lungo due chilometri, il Presidente se ne accorse e mi chiese se mi andasse di fumare.- Non fumo – risposi con una voce che arrivava direttamente da una necropoli.Fu derby, il quarto della stagione, undici giorni dopo aver giocato quello di ritorno di Coppa Italia.Giocammo male all’inizio, segnò Tricella sotto la Filadelfia, ma quasi allo scadere del primo tempo Polster pareggiò su punizione.Ci fu grande euforia nell’intervallo, con Fracchia scatenato nell’imbracciare una banana gigante e far partire cori a tema sulla musica delle quattro stagioni di Vivaldi.A due minuti dalla fine, Rush fu lesto ad approfittare di una palla vagante in area, mentre noi ci stavamo accontentando del pareggio (spesso questa dannata abitudine ha portato ad inevitabili sciagure). 2-1, gol preso di nuovo alla fine e derby perso.Mi venne da piangere. Non solo la bella castellana avrebbe probabilmente rifiutato la mia mano, ma gli scudieri granata avevano appena ceduto la loro roccaforte.Salutai gli amici dicendo frasi che negli anni sono diventate proverbiali e per le quali vengo preso per i fondelli ancora oggi.- Io non vengo più allo stadio…Già. La gente ghigna ancora adesso.
A scuola ci salutammo con gli occhi. Le parole erano già state dette.Leigh era una di quelle persone che ti metteva a proprio agio senza parlare.- Mi aspetti fuori?- Ti aspetto.Poi l’uscita quel giorno alle 13, il tempo di raggiungere il cancello, la mia mano sinistra nella sua destra, una strada secondaria camminando senza parlare fino alla fermata del pullman.Poi, mentre il pullman tardava ad arrivare, le nostre labbra si poggiarono le une contro le altre.Alle volte la vita offriva se stessa senza bisogno di parlare e quello era uno di quei momenti.Lei era diventata la mia Leigh Cabot.Non c’era un Arnie Cunningham ad ostacolarci, ma andava bene lo stesso.Non potei accorgermene. Eppure, neanche fossimo in un racconto poliziesco, anche quel giorno quell’uomo che spesso compariva mi seguiva a breve distanza, probabilmente vide anche il nostro primo bacio.Ma cosa voleva? Perché mi seguiva.
- Stasera vado a vedere Sting – le dissi vicino alla sua fermata.- Fai il bravo – furono le sue parole, prima di un bacio e di scendere dal pullman.La vidi allontanarsi dai finestrini del bus e disegnai il suo profilo con le dita, senza che lei se ne accorgesse.
Non che fossi impallinato di Sting, ma i biglietti erano arrivati gratis.Lei non poteva venire, così ci andai con il mio amico un po’ scalognato, quello che l’anno seguente venne poi tacciato di sfighite. Ne abbiamo parlato qualche tempo fa. E visto che il giorno seguente ci sarebbe stato compito in classe di matematica, ci portammo le fotocopie da studiare allo stadio, luogo del concerto.Eccome, certo. Tutti studiano allo stadio! Ho visto gente preparare interi esami!Il palco era posizionato sotto la Curva Filadelfia (quella dei gobbi per intenderci) ed entrando fummo in parecchi a commentare il tanfo che proveniva da quegli scalini.Ci piazzammo sotto il tabellone di allora, ma ciò non bastò per evitare la puntuale grandinata che si abbatté mezz’ora prima del concerto. Dovete sapere che non credevo alla storia della sfiga riguardante il mio amico. Ma quella grandine mi aprì gli occhi, oltre che molte ferite in testa. E non solo.- Posso prendere due pullman, il 49 da Piazza Statuto alle 0.49 o il 75 da Via Breglio all’1.01.Arrivammo in Piazza Statuto in anticipo di due minuti, il 49 se ne era già andato.Arrivammo in orario in via Chiesa e il 75 (l’ultimo 75) gli sfrecciò davanti.Lo vidi andare a casa a piedi smadonnando a testa bassa, mentre io mi nascondevo dietro un angolo sghignazzando senza ritegno.Che 3 maggio, gente.
Il giorno dopo io e Leigh ci incontrammo a scuola.Ci baciammo come se fosse la cosa più ovvia del mondo, davanti a tutti, prima dell’inizio delle lezioni.I compagni in classe mi insultarono bonariamente. Nessuno sapeva.Leigh, dolce Leigh, e il suo modo generoso di corrermi incontro, quando l’intervallo ci regalava un po’ di vita.Leigh e la voglia di vedersi il più possibile.Leigh che sotterrò i fantasmi e mi fece sentire per la prima volta parte di una coppia.Ce l’avremmo fatta?Non ero ancora arrivato al termine del libro e non sapevo quanto Arnie Cunningham e Christine, qualunque cosa fossero, avrebbero potuto ostacolarci.Per saperlo bisognava terminare il libro.
Due giorni quel mitico 3 maggio, il Toro le prese a Genova 2-0 nella finale di andata della Coppa Italia.Ci rubarono la partita nel secondo tempo, quando eravamo già sotto 2-0 in seguito a cappella di Lorieri su Briegel e a giocata spettacolare di Mancini per Vialli.Segnò Cravero, gol annullato da Casarin (ultima direzione per lui, come lo era stato per Michelotti nel 1981 e come lo sarà per Sguizzato nel 1993) su indicazione del guardialinee bergamasco Magni. Poi un rigore negato sempre su Cravero, piallato in area.Ci furono scontri a Genova quel giorno
La domenica il Toro terminò le proprie partite casalinghe, sfidando la Roma.Arbitro Magni, il guardialinee di Genova. L’insulto più educato che ricordo fu quello riguardante la professione della bisnonna, essendo le generazioni più recenti, già state sotterrate di miserie.Si vinse 2-0, gol di Gritti e siluro di Crippa.
Mancava l’ultima giornata, eravamo vicini alla zona UEFA, molto distanti dalla Coppa Italia e da quella delle Coppe. In quale competizione ci saremmo qualificati? Coppe? UEFA? Nessuna?I gobbi giocavano in casa contro la Fiorentina, noi andammo a Pisa, contro i locali, invischiati nella lotta per non retrocedere. I gobbastri persero 1-2, a noi sarebbe bastato un punto. Invece ne prendemmo 2 dall'ex genoano Faccenda (sai che goleador), che di testa saltò più alto delle mani del nostro portiere. A ridaje, divento monotono.
Sarebbe stato spareggio con i bianconeri per l’ultimo posto UEFA disponibile. Ma noi eravamo ancora in lizza per un posto in Coppa delle Coppe. Se noi avessimo vinto la finale di ritorno contro i doriani, loro sarebbero andati in UEFA, lasciando fuori la gobba.Spareggio invece sarebbe stato se noi avessimo perso la finale.Cosa che, per chi non lo sapesse, avvenne, nel solito modo rocambolesco.
Il presidente della Doria, Mantovani, chiamò a raccolta i gobbi, chiedendo loro di andare a tifare Sampdoria. Non commento, Mantovani padre è passato a miglior vita da molto tempo.Il Toro giocò una delle partite più belle che io ricordi, sotto quella pioggia di maggio.Ribaltò la situazione grazie a due autoreti, portò la partita ai supplementari.Sappiamo come andò.Quel momento è rimasto impresso amaramente in molti di noi. Il tiro di Salsano, autentico Jolly si abbassò centrale e colse Lorieri leggermente fuori porta. Quel tanto che bastava. Mi arrabbiai tantissimo e ogni volta che rivedo quel gol mi arrabbio di più.Era difficile attendersi un tiro improvviso così beffardo.Perdemmo la Coppa Italia alla fine, ma soprattutto ce la portarono via grazie al furto dell’andata.
Tre giorni dopo replicammo. Fuori dalla coppa delle Coppe, non restava che lo spareggio UEFA, proprio contro i gobbi. Lo trasmisero in diretta televisiva. Sapevo che lei stava guardando, forse avrebbe pensato che nei cori c’ero anch’io.L’amore fa questo a quell’età. E forse non sbaglia.Andò come andò, ci trascinammo fino ai rigori.Lorieri parò il rigore a Brio.Poi però Benedetti calciò fuori e Comi prese il palo.Rush lo imitò sull’ultimo rigore. Palo interno, ovviamente, e gol.
Eravamo distrutti.In pochi giorni, come da previsioni nefaste, si era compiuto il disegno che ci aveva visti esclusi.Eravamo in tanti sul tram numero 10, seduti per terra, le schiene abbandonate contro la parete del veicolo, lo sguardo fisso, nessuno parlava.Ci sembrava di aver toccato il fondo, soprattutto avevamo la sensazione di aver perso contro una forza più grande di noi.Col senno di poi quel senso di scoramento non sarebbe stato nulla, in confronto a quello che avremmo passato in seguito.Lo stesso uomo di sempre era sistemato più avanti nel tram. Non lo vidi, non mi accorsi del suo sorriso quasi disperato.Chiusi gli occhi e pensai a Leigh.
Dennis e Leigh, alla fine affrontano Christine, quando ormai è troppo tardi per salvare Arnie e lo scontro finale con la macchina demoniaca avviene nella rimessa di Darnell.Bè, per quanto mi riguarda la rimessa di Darnell fu un’aula del Liceo e la presenza demoniaca quella dell’esame di maturità, che affrontai, sconfiggendolo, con lei al mio fianco.Trascorremmo insieme molto tempo e il finale di quell’annata.Molti mi dicevano che mi vedevano più sereno e felice, da quando la frequentavo.Non parlavo molto, dopo quanto successo l’estate precedente, preferivo vivere i momenti piuttosto che razionalizzarli.Non so se ebbi mai l’occasione di dirle quanto fosse importante per me.Chissà se lo feci.
Per somma di combinazioni lessi le ultime pagine di Christine, durante i primi giorni di agosto, quando Leigh era già partita per il mare.Non la Puglia, per fortuna più vicino.
“Immagino che se questa fosse una storia di fantasia dovrei finire raccontandovi come il cavaliere zoppo della rimessa di Darnell corteggiò e conquistò la bella castellana, la dama dal foulard di nylon rosa e dai superbi zigomi nordici…”.La storia proseguiva, bisognava girare la pagina per sapere come sarebbe andata a finire.Ma non sempre è necessario girare le pagine per dare un senso al tutto.C’è un tempo da vivere e c’è un tempo del poi, come questa storia forse ha mostrato.Qui finisce il racconto del giovane cavaliere e della bella castellana, senza ci sia il bisogno di girare quella pagina.Alzai gli occhi dal libro, scosso e tremante, una volta terminatolo, e fu allora che intravidi per la prima volta, di fronte a me, l’uomo che mi aveva seguito per tutta la vicenda. Mi guardò.- Perché hai gli occhi rossi? – era la prima volta che ci parlavamo.Ma non fu lui a parlare.Fui io a chiederglielo.
Toro, Toro… Quante storie ognuno di noi ha dentro, legate ai medesimi ricordi.Questa è solo una tra tante, tra le migliaia possibili.C’è chi spesso ci accusa di guardare sempre a questi ricordi.Ma averne significa aver vissuto. Alle volte le frasi “guardiamo avanti” sono modi di dire vuoti.Quando l’orizzonte non si vede e il presente è complicato, allora non rimane che essere fieri di quello che si è fatto.
Ci sono stati tanti campionati, glorie, retrocessioni…Ma il campionato 1987-1988, il disco che mi salvò e tutti i personaggi e gli avvenmenti di quell’anno, sono sempre rimasti in fondo al mio cuore, il concerto di Madonna, quello di Sting, Indietro tutta, l’amico che si diceva portasse rogna, Patsy Kensit, A Momentary Lapse of reason, il gol al volo di Ezio Rossi. E naturalmente Leigh. Compreso quel ragazzo, diventato uomo, che oggi rivisita tutte quelle scene con la sola forza del suo sorriso un po’ amaro.Il ragazzo vive, l’uomo ricorda.Forse è andata proprio così. Mauro Saglietti
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