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Juventus-Torino, il derby / Quando la trasferta è di casa
"Non capita in molte occasioni una trasferta nella propria città: sentirsi ospiti tra le mura domestiche è una cosa rara, e che per certi versi riporta indietro la memoria alla politica italiana dei comuni medievali. Allora ci si divideva tra famiglie e appartenenze politiche: chi era ghibellino non sarebbe mai andato d'accordo con un guelfo che, a sua volta, si sarebbe domandato se essere guelfo nero o bianco. Da qui lotte furibonde per il controllo della città, per instaurarsi nei luoghi di potere e per rappresentare il comune presso la rete politica del tempo. Lotte spesso cruente i tempi, si sa, erano quelli che erano e che se non terminavano con lo sterminio del partito avversario era solo perché a questo veniva concessa la via dell'esilio.
"Un folklore politico che curiosamente Torino ha scoperto solo con il calcio. Già, perché quando città come Firenze o Genova spandevano la loro egemonia per il mondo, Torino non era che un borgo con qualche anima, una cittadina utile ai Savoia per tenere un piede al di qua delle Alpi, ma nulla più. Una città che non conobbe mai quella vita comunale attiva e rovente che contraddistinse fortemente le altre città. Torino dovette attendere, per dividersi politicamente, il '600, quando fu spettatrice nelle lotte interne alla corte sabauda, divisa nelle fazioni di principisti e madamisti. Beninteso: lotte di corte, legate alla successione del trono, un argomento cioè poco coinvolgente per il bottegaio e il suo garzone intenti a spaccarsi la schiena per gran parte della loro giornata. Un argomento lontano anni luce dalle libertà popolari. Per dividersi seriamente, Torino dovette attendere gli anni della rivoluzione francese e soprattutto quelli della conquista napoleonica: lì i torinesi si divisero tra quanti restarono intimamente fedeli al re di Sardegna e al suo mondo assolutista e quanti collaborarono con il regime francese, intravedendovi stimoli e progresso. Non solo loro: la generazione successiva si divise tra laici e cattolici (con le riforme di Cavour cui risposero le scomuniche ecclesiastiche, che colpirono la quasi totalità della classe politica piemontese), quella dopo ancora tra socialisti, liberali e cattolici: insomma Torino, quando iniziò a discutere, divenne un laboratorio politico formidabile.
"Così questo portato storico, questa tradizione italiana fatta di piazze, di caffè e di discussioni ha creato nei secoli un vero e proprio folklore cittadino, che spesso il calcio sembra riproporre e rinnovare. Un folklore che riesplode fortissimo in ogni derby, in ogni città. La Torino che ama e soffre per il calcio conosce benissimo queste dinamiche: il suo derby è il più antico d'Italia ed è a sua volta l'erede di derby precedenti, giocati da squadre morte e dimenticate da più di cento anni. Le due squadre che si sfidano hanno rappresentato per decenni quartieri, ceti sociali e abitudini a volte differenti e a volte similari; in ogni caso ed è appurato fin da subito la rivalità tra le due è essenziale e ineludibile. Una rivalità che nacque con la fondazione del Torino, avvenuta come noto grazie soprattutto a fuoriusciti bianconeri, e che si coagulò fin da subito intorno all'ex presidente bianconero Dick, ovvero colui che si diede gran daffare nella nascita della squadra granata e, nel contempo, subì la prima burla da derby: durante la prima stracittadina venne chiuso dentro i bagni del velodromo, senza poter assistere alla gara. In quegli anni, dato significativo, era il Toro a essere la squadra cosmopolita (con i suoi soci fondatori svizzeri) mentre la Juventus, fondata da studenti torinesi, contava tra i suoi adepti molti più membri locali. Una situazione destinata a rovesciarsi completamente, come notò Arpino quando scrisse di un Torino squadra dialettale opposta all'esperanto bianconero.
"Le due squadre sono l'anima della Torino calcistica, hanno attributi con cui ci si può sbizzarrire a identificarle in città: se la Juventus ha ereditato lo spirito sabaudo, con le sue vie regie e i suoi portici ordinati, quella granata è nelle piole, nei bar e nelle officine con foto dello squadrone di Mazzola esposte sopra al bancone. Ma non solo: il derby a Torino è anche affare di fiumi, con la Dora un po' bianconera che scorre placida e sotto il ponte di via Rossini si curva ordinata come fossimo a Parigi, mentre dall'altra parte il Po, forte e vitale, talmente impetuoso da allagare i Murazzi e tentare di inondare la città (e in questo molto granata).
"Così, qualunque cosa succeda, il derby rimane un grande valore della città: novanta minuti in cui si intrecciano le storie di Torino, quelle delle due squadre e, non da ultimo, quelle dei tifosi che singolarmente, allo stadio o davanti alla televisione, potranno riavvolgere il nastro della propria vita e pensare a quanto questa partita abbia gli abbia regalato. Un film che molti avranno già proiettato nelle loro teste, perché al derby non si arriva mai impreparati: la settimana che lo precede è percorsa da brividi unici mentre sulla città cala un'aria particolare, che ogni tifoso avverte come fosse un appello, a cui rispondere presente.
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