mondo granata

Torino – juventus 7-0

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

Solo davanti a Zoff.Il portiere bianconero si protese in avanti cercando di chiudere la strada a Claudio Sala, ma il numero sette granata arrivò per primo ad incocciare la palla marrone, che andò a gonfiare la rete, spostando così la porta indietro di qualche centimetro.Si levò un suono molto simile ad un boato.Sala andò a terminare la propria spinta sotto la luce di un riflettore. Il tabellone venne immediatamente aggiornato.Torino 7 – juventus 0. Bianconeri distrutti, umiliati. Schiacciati senza possibilità di appello dalla macchina da guerra granata.Avevano segnato Pulici 2 volte, Graziani, Pecci, Santin e persino Caporale con una bordata da fuori area.I giochi erano ormai fatti. Noi eravamo lì al sole, i gobbi, a sole due giornate dal termine, erano inchiodati al terz’ultimo posto e la retrocessione.Anche il loro recente pareggio interno per 1-1 contro la Pistoiese non aveva risollevato un ambiente che tendeva per natura alla depressione.I bianconeri fecero per battere il calcio d’inizio, ma non c’era più tempo.Il timer si mise a suonare e l’arbitro decretò la fine del match, per il tripudio dei sostenitori granata, assiepati alla sinistra della tribuna. Toro batte juve 7-0, risultato finale.Staccai il timer soddisfatto.Spensi i riflettori e tolsi la pila. Poi cominciai a smontare la tribuna. Raccolsi gli spettatori dalle gradinate e li sistemai nel loro sacchetto. Tolsi anche le gradinate e le curve dal campo, staccai i cartoncini con i nomi delle squadre dal tabellone, raccolsi dal tavolo la torre tv, con operatore e cameraman. Rimisi a posto la panchina con i giocatori di riserva, infine smontai lo steccato e rimisi i giocatori nelle loro scatole, seguiti dal grosso pallone marrone.Fatto. Restava solo il campo, ovvero il panno.Lo tolsi e il tavolo riprese il suo aspetto normale.Per quel giorno era abbastanza. Il campionato sarebbe proseguito l’indomani.Rimisi la scatola a posto.Era una passione, una grande passione, amici.Era il Subbuteo.

 

Tutto era cominciato una paio d’anni prima, con una splendida richiesta.Dovevo avere otto – nove anni non di più.- Che cosa ti piacerebbe per Natale? – la voce di mio padre- Il Dolce Forno Harbert!- Che cosa?????- Il Dolce Forno Harbert… per fare torte e pasticcini… ho visto la pubblicità su Topolino!- Ma it‘ saras pa’ mat?! Fate furb, asu!- Ma io…

 

Ne venne fuori una questione di stato. Per poco non ne parlarono anche i telegiornali. Il Dolce Forno Harbert era un giocattolo da bambine! Cosa ne sarebbe stato di me se avessi trascorso la mia infanzia attaccato ai fornelli? Col senno di poi posso dire che magari avrei imparato a cucinarmi qualcosa, anziché specializzarmi in seguito nelle buste Knorr, ma questo è un altro discorso.Dolce Forno non doveva essere e Dolce Forno non fu, con mia grande rabbia.Uno dei primi grandi dolori della vita.Attendere la mattina di Natale credo sia una delle cose più belle al mondo, soprattutto se sei bambino. Sapevo che quel Natale non avrei trovato il Dolce Forno tanto desiderato, ma la delusione venne presto compensata.Sotto l’albero trovai un grosso pacco rettangolare, che rivelò una scatola verde.Era la scatola del Subbuteo.

Il Subbuteo, il sogno proibito di ogni bambino o ragazzino degli anni ’70.Oltre a Gloria Guida naturalmente.Un panno verde più 22 miniature di giocatori dipinti rigorosamente a mano, montati sulla caratteristica base che permetteva al giocatore di ritornare quasi sempre in posizione verticale.Era un gioco parecchio costoso, il fatto che fosse prodotto artigianalmente veniva fatto pagare a caro prezzo.Nella confezione standard si trovavano due squadre (maglia blu e maglia rossa), i portieri con le caratteristiche astine, due porte con reti marroni, i palloni (enormi se proporzionati alle miniature) e il campo verde da gioco.Le regole erano poche ma precise. Si poteva colpire il giocatore solo con la punta del dito, era vietato utilizzare un altro dito come molla e una miniatura non poteva colpire la palla per più di tre tocchi di fila.Problema: i palloni non erano fragili. Erano fragilissimi. Quando cascavano dal piano di gioco precipitando sul pavimento, avevano la tendenza a fare crash. Occorreva quindi procurarsi il primo di quella che sarebbe stata una serie interminabile di accessori: lo steccato che girava intorno al campo, con tanto di pubblicità!La partita inaugurale fu peggio di un assedio a Fort Alamo. Non ero affatto esperto e mio padre cinse d’assedio la mia porta. Altro che pietà per i deboli!Un paio di volte fui salvato dai pali, ma proprio quando la partita sembrava dirigersi sui binari di uno striminzito 0-0, per alleggerire la pressione, sparai via la palla con un rinvio lunghissimo.La palla incocciò contro l’unico mio giocatore in attacco.Gol. Nonostante l’estremo tentativo di parata paterna. E finale per 1-0.Gol che causò l’incazzatura feroce di quest’ultimo “Non sei leale”, “Non è giusto”.Ma che avevo fatto? Avevo solo rilanciato il pallone, in fondo.Ero stato salvato dal mio attaccante, che da quel momento ribattezzai “Dolce Forno Harbert”.

 

Mi appassionai al Subbuteo in maniera inesorabile.La mania si diffuse anche tra gli amici di classe.Ognuno aveva acquistato una squadra, ci si incontrava al pomeriggio e si svolgevano interminabili tornei.La mia passione era sommergere i gobbi, come al solito prepotenti e boriosi prima del match.Quando poi si trovavano sotto 0-3 dopo soli due minuti di gioco cominciavano a frignare dicendo che quello era un gioco stupido.Certo, era un gioco dove c’era un arbitro, ma era solo una miniatura inanimata, e se la palla entrava in porta, era gol sul serio. E soprattutto l’arbitro non fischiava rigori alla kaiser, non c’erano guardalinee che sbandieravano fuorigioco inesistenti o che annullavano gol validi, quindi loro partivano svantaggiati rispetto al solito. Inoltre tra gli accessori del Subbuteo non era prevista nessuna 132 in miniatura da regalare all’arbitro.Ero l’unico a possedere il gioco, almeno all’inizio, e potevo allenarmi quando volevo. Vincere facile però non era bello perché la gente si deprimeva. Giustamente.Così simulai molte volte partite scandalose, con svantaggi rimontati clamorosamente negli ultimi 3-4 minuti, tanto per tenere vivo l’interesse.Questo fino a quando anche gli altri non divennero competitivi.Ma Subbuteo non erano solo i match. Farsi prendere dalla passione significava correre dietro ai mille accessori che componevano quell’universo.C’erano a disposizione centinaia di squadre, tutte dipinte a mano e soprattutto costosissime.E poi arbitri, tribune, panchine, spettatori, tabelloni, set di allenamento, coppe, giocatori speciali per battere rimesse laterali e corner, palloni speciali, più leggeri o per il gioco d’effetto.Scatole in confezione doppia o tripla, e tu piantato dietro la vetrina del negozio tutto l’anno, col naso premuto contro il cristallo.Quando non c’erano gli amici ed eri solo, lasciavi che la tua fantasia si scatenasse in mille tornei e campionati. Possedevo due squadre, la prima ovviamente era il Toro. Tenuta tutto granata, con macchietta bianca raffigurante il torello rampante.L’altra era la Spal. O se preferite il Savona. O ancora lo Sheffield, i colori erano quelli.Quelle due squadre diventavano a turno il Liverpool o il Borussia Monchengladbach, il Goteborg o la Sambenedettese, nei mille campionati che giocavo da solo.Simulavo con la gola i boati del pubblico e i miei mi prendevano per pazzo.O pensavano che avessi l’asma.Cercavo di essere imparziale, ma chissà come mai, la gobba non si schiodava mai dalla mediocrità: sconfitte interne contro il Taranto, eliminazione ai primi turni della coppa UEFA ad opera del Banik Ostrava e così via.Giunsi addirittura al punto di escludere il Toro dai campionati per manifesta superiorità. Non riuscivo a farlo perdere, se non in modo ipocrita, al ritorno di un match magari vinto 11-0 all’andata.La passione per il Subbuteo continuò a lungo.Forse fino a quando non mi accorsi che il tempo necessario per montare-smontare tutto superava il divertimento stesso. O forse perché è destino che le cose passino e cambino, soprattutto quelle più belle.

Parente povero del Subbuteo, negli anni 70, era il Giocagoal dell’Atlantic.Imparagonabile al fratello maggiore, ma decisamente più economico, si componeva di una serie di scatole acquistabili separatamente, una per squadra. Ogni scatola conteneva una squadra, un pallone e una metà campo di cartone (!). Così bastava trovare un amico che possedesse un’altra squadra per trovare un’altra metà campo e poter così disputare una partita.Ma la differenza era imparagonabile, i giocatori non erano dipinti a mano e il gioco sul cartone era abbastanza approssimativo.Logicamente il costo era più abbordabile.

Sempre a livello calcistico, c’era poi un gioco meraviglioso, che non avevano in molti. Si chiamava “Il gioco dello scudetto” ed era una sorta di gioco dell’oca dove ogni partecipante poteva portare una squadra del campionato italiano a gareggiare per lo scudetto.

 

Quando però non si disponeva di questi giochi, era la fantasia a farla da padrone e a creare uno stadio da 70000 posti tutto intorno al nulla.Bastava una pallina di carta appallottolata e un po’ di scotch tutto intorno e i giochi erano fatti.Quante, quante partite, giocate in questo modo!La veranda di casa diventava uno stadio immaginario attorno al quale si assiepavano gli agguerriti tifosi delle due squadre.Le piastrelle a ridosso dei due muri erano le porte. Devo aver rovinato decine di pantaloni inginocchiandomi lì per terra, calciando quel pallone con le dita! La nocca del dito indice era il colpo di testa, il polpastrello era il fallo di mano. Giocai con la fantasia tutti i mondiali di Germania ’74 in quel modo, marcando i risultati sull’album delle figurine.- Ma qui ci sono tutti i risultati sbagliati!!! – tuonò una volta mio padre, sfogliando per caso proprio quell’album. In effetti c’era scritto Haiti-Argentina 5-0. Tutti gol di Sanon, l’unico che ovviamente conoscevo.Vagli a spiegare! Un po’ mi vergognavo in fondo. C’erano cose che potevano esistere solo nella fantasia di un bambino, e poi non avevo voglia di farmi dare dell’asu.

Quando dunque mancava la materia prima, in quegli anni era la fantasia a creare ambientazioni suggestive, non solo a livello calcistico.La Formula 1 sul pavimento di casa infatti era un’istituzione.In tabaccheria si trovavano piccole macchinine delle vetture più famose. Ne avevo una decina. C’era la Brabham, la BRM, la Ferrari, la Shadow, la McLaren, la Tyrrel numero 3 semplice e la Tyrrel a sei ruote. Il circuito? Si faceva in fretta. Si sceglieva un percorso tra le piastrelle, dove i guardrail erano i limiti delle stesse.Nella mia fantasia ogni volta si correva in un circuito diverso, ora il Nurburgring, ora Monza, ora Fuji e ai lati della pista il pubblico assiepava le tribune immaginarie con tifo e calore. La griglia di partenza? Chiudevo gli occhi ed estraevo a caso le vetture. Si cominciava dall’ultima fila e poi si arrivava alla pole. La casualità rendeva il campionato avvincente.Pronti, via! Una spinta per ogni vettura, senza uscire dai bordi del circuito, altrimenti la macchina incriminata avrebbe saltato un turno. Alla prima chicane era già bagarre. Vai Scheckter! Corri Lauda, spingi Reutemann, forza Hunt! Simulavo il rumore delle vetture con la mia voce e si può ben capire perché i parenti più prossimi volessero farmi visitare da uno Specialista.Quando si era in vacanza, e non c’erano le macchinine, bastava avere una quindicina di tappi di bottiglia e il gioco era fatto. Si scriveva sul retro il nome del pilota e il campionato poteva avere inizio.

Quanti giochi abbiamo avuto negli anni ’70!Giochi che divertivano senza mai essere eccessivi e che lasciavano correre la fantasia. Potremmo riempire pagine intere.Sapevamo trascorrere giornate intere rimbalzando come scemi su quell’enorme pallone sul quale ci si sedeva, tenendosi alla maniglia centrale, ma non ci sentivamo affatto deficienti.Mi viene in mente il Cinevisor della Mupi, un piccolo televisore che proiettava film in super 8, il View Master, un doppio visore nel quale veniva inserito uno strano dischetto di cartone con alcune foto, che permetteva di vedere le stesse foto in tre dimensioni.E i pasticci fatti col Pongo? Quella sostanza colorata così piacevole al tatto, con la quale si poteva comporre di tutto, anche un’orribile ritratto della maestra?Per avere ragione del Das (una sorta di plastilina) occorreva una padronanza artistica che di certo non possedevo. C’erano però gli accessori Sganghi Das, con i quali potevi trasformare il tuo mattone di plastilina in una macchina strambissima.

E poi ricordate la tenda degli indiani o la casetta del west in tela, da montare anche in casa? Il Going, un gioco stranissimo con una palla ovale che rimbalzava tra due giocatori che tendevano delle corde, nel quale non si capiva mai il vincitore? Il sempiterno Monopoli, per le giornate piovose o i pomeriggi delle feste?Big Jim la faceva d padrone.Con il suo camper, la tenda, l’amico Big Jeff, ed il micidiale colpo di Karate se premevi sulla sua schiena, con il quale rompeva la tavoletta di legno e affrontava il suo micidiale nemico Dr. Steel.E poi tute le varie tenute, Big Jim sulla moto, Big Jim alpinista, Big Jim calciatore, Big Jim sciatore, Big Jim che cambiava volto, Big Jim che andava a cacciare gli striscioni in curva Filadelfia… forse ho esagerato, una delle descrizioni non mi pare vera.Sicuramente quella di Big Jim alpinista. C’era poi il parente povero di Big Jim, ovvero G-Joe, che non riscosse altrettanto successo.Così come c’era il “Gioco del Pirata”, dove si dovevano infilare dei pugnali (in plastica) in una botte per far saltare fuori il personaggio annidato dentro, il “Rischiatutto”, gioco in scatola basato sulla trasmissione di Mike Bongiorno, nella cui scatola erano allegati un paio di occhiali stile Mike, ma senza lenti.E come non parlare dei soldatini dell’Atlantic, piccole miniature nelle scatole da 100 o 150 lire? Paracadutisti, Fanteria, Bersaglieri… teoricamente sarebbero stati da verniciare, ma chi l’ha mai fatto? E i carri armati sempre della Atlantic da montare, con il mitico Leopard? Non solo esercito. In un secondo tempo la Atlantic aveva pubblicato anche alcune serie storiche riguardanti gli Egiziani, Greci e Romani.E le macchinine della Matchbox, Politoys, CorgiToys, Majorette e Polistil? O ancora la pista elettrica, sempre della Polistil, con la Ferrari e la McLaren o con le macchine da rally?E se parlassi delle Crystal ball? Gli strani palloni gonfiati col fiato, fatti di una sostanza con un odore talmente acre che rimaneva in casa per giorni. Qualcuno ricorda?O piuttosto parliamo dei Trasferelli, del Gioco del 15, dei Lego e Plastic City, del Meccano, del Piccolo chimico, delle bustone a sorpresa che si trovavano in edicola,mo stati dei dirigibile Ufo Solar?Il Traforo (deng! Il seghetto che salta)? I chiodini Coloredo della Quercetti? Le palline clic-clac che ti spezzavano le nocche? Il flipper Arco Falc? L’alfabeto magnetico con tanto di lavagna? La lavagna magica?

Vi ricordate poi lo Slaim?Quella sorta di sostanza verde molliccia e filamentosa contenuta in un barattolino di plastica, col quale si poteva fare tutto e niente? Ne venne anche creata una versione “particolare”.Si chiamava “Slaim vermi”, la sostanza molliccia era viola anziché verde e al suo interno “galleggiavano” dei lunghi pezzi di plastica scuri che sembravano vermi.Bastardo che ero, avevo architettato uno scherzo ai danni di mia nonna.Lei dopo pranzo aveva l’abitudine di addormentarsi con le braccia lungo i braccioli della poltrona.Io prendevo lo Slaim vermi, separavo con cura il verme dal resto della sostanza, quindi lo appoggiavo sul dorso della mano della nonna dormiente.Poi mi facevo gli affari miei e, il più delle volte me ne dimenticavo.Dopo un paio d’ore un urlo epocale lacerava l’aere mi faceva trasalire.Mia nonna si era risvegliata e aveva creduto di trovarsi un verme vero sulla mano.Povera nonna! Un giorno dovetti recuperare la confezione di Slaim vermi dal sacchetto della spazzatura, dove “qualcuno” lo aveva gettato.Non aveva tutti i torti.

Tirando le somme, c’erano due giochi che mi piacevano tantissimo, ma sui quali non fui mai in grado di mettere le mani. Si chiamavano “Colpo grosso a Topolinia” e “Paperopoli, il grande gioco degli affari d’oro”.Quest’ultimo veniva dato in omaggio a chi si abbonava a Topolino o altre riviste della serie.Mi abbonai, ma scelsi un libro come regalo. Bravo furbo.Qualche anno fa lo rintracciai in un’inserzione su E-bay. Gli feci una caccia serrata, ma… mi venne soffiato all’ultimissimo secondo, come spesso capita. Si vede che non era proprio destino.

Sul finire degli anni ’70, l’avvento dei giochi elettronici relegò sugli scaffali i vecchi giochi da tavolo.Fu l’epoca dei pomeriggi trascorsi a vedere la pallina bianca che rimbalzava da un lato all’altro dello schermo (tic-toc-tic-toc per ore e ore), l’epoca dei vari Simon, Logic 5, Pocket Simon, Affonda la flotta e compagnia bella.Ricordo uno splendido gioco da tavolo (Stop Thief), al quale era stato abbinato un piccolo computerino, che simulava i movimenti del ladro, ovviamente da catturare.Ma erano già anni diversi.Non si sentiva ancora parlare ossessivamente di riduzione costi e il Made in China era cosa rara. Al limite Made in Taiwan.

Farsi prendere dal richiamo della retorica per l’eden perduto è molto facile.Non caschiamo in questo tranello, amici.Siamo stati fortunati avere vissuto quel periodo, credo sia giusto ammetterlo. Un periodo di grande creatività. E forse un po’ di quel tempo ci è rimasto addosso.Alle volte sapete, la realtà si confonde con la fantasia e mi sembra davvero di essere sugli spalti ad esultare, in occasione di Toro-juve 7-0, dopo la bordata di Caporale, che gonfia la rete di Zoff.Mi sembra davvero di esserci stato.In quegli anni tutto era possibile.Possibile che sia stato davvero solo un gioco? Mauro Saglietti