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Tra le fiamme

Tra le fiamme - immagine 1
di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

Apro gli occhi, ma per me è difficile.Apro gli occhi ma è impossibile ricordare.Cosa ricordo?Il sorriso di chi c’era e che oggi non c’è più.La mia famiglia, gli amici di quella Curva, una fotografia che brucia inesorabile.

Roberto ha 42 anni, ne aveva 17 il 31 marzo 1985, quando un’ora prima di Torino-Juventus, in Curva Maratona si scatenò l’inferno dovuto alla benzina o al kerosene che erano stati sparsi nottetempo sui gradini.Quel giorno si era piazzato nel settore centrale della Curva, dove si radunava il tifo più acceso.Lo raccolsero dandolo per spacciato e trascorse svariati giorni tra la vita e la morte, prima che il destino lo riportasse alla famiglia, che non l’aveva mai abbandonato.Ha vissuto per anni in ospedale e dal 1990 si è sottoposto a svariate operazioni di chirurgia estetica per lenire i segni del rogo che lo avvolse.Non ha mai più messo piede allo stadio da allora e non parla volentieri dell’argomento, anche perché i suoi ricordi sono legati al dopo, mentre il momento drammatico di quello che accadde quando la prima sigaretta accesa cadde sulla benzina, è stato rimosso.E’ il fratello a parlare per lui. Li incontro in casa di quest’ultimo, un piccolo imprenditore di 45 anni. Roberto spesso annuisce, ma parla pochissimo. Si sposta sulla sua carrozzina ed è semi autosufficiente, ma ha alle spalle anni d’inferno.- Ci telefonarono dal CTO - dice il fratello - Sapevamo che Roberto quel giorno si era recato al derby e, quando ricevemmo la telefonata, pensammo si fosse trattato di qualche scontro tra tifosi, in quegli anni erano quasi abituali. Ma non fu così. Quando i medici dissero che disperavano di salvarlo, mia madre svenne di fronte a loro.

 

Fu un uomo sconosciuto a salvarlo, almeno così ci dissero.Lo vide sdraiato tra le fiamme, proprio nel centro della Curva, e risalì con grande forza la corrente della gente in fuga disperata, che si accalcava verso le strette uscite.Quando lo sollevò, la pelle delle braccia gli rimase in mano.Indica suo fratello.- E’ grazie a quell’omone se lo abbiamo ancora qui, dopo tutto questo tempo. Non sappiamo ancora oggi chi fosse… mi sarei messo in ginocchio per ringraziarlo…

 

Sonia ha 37 anni, quando fu travolta dalle fiamme ne aveva appena 12 ed era andata alla partita con il papà. Porta ancora addosso i segni di quanto accadde quel giorno, ma sono nulla in confronto al dolore accumulato negli anni per chi perse quella domenica.Mi riceve nel salotto di casa sua. Alle pareti le foto di una famiglia lontana nel tempo, accanto a immagini meno sbiadite, che parlano di tempi recenti e di un bambino dal sorriso d’oro.Solo in un lontano documentario aveva brevemente accettato di raccontare la sua verità, ma questa è la prima volta vera e propria nella quale acconsente a sottoporsi ad una intervista su quanto capitò quel giorno di Marzo.- Mio padre sembrava lo percepisse… Non voleva andare a quel derby. Diceva che era troppo pericoloso, aveva paura degli scontri fra tifosi, ma io avevo insistito per tutta la settimana. Lo ricordo tutto serio mentre ci avvicinavamo allo stadio con il tram. Una volta dentro sembrava più sereno… - si ferma e non c’è nessuna necessità di rallentare questa pausa di malinconia.  Guardo le foto alle pareti, quelle dell’uomo dallo sguardo giovane, con lei bambina.- Non ricordo quasi nulla - mi dice, del momento in cui capitò. Ho solo il ricordo di un uomo che urlava, alla mia destra. Era completamente avvolto dalle fiamme ed alcuni amici cercavano di aiutarlo ma… Non ricordo più nulla. Sentivo la gente che gridare e calpestarmi fuggendo.Conobbi la verità soltanto una settimana dopo in ospedale, dove avevo da poco ripreso conoscenza.Ci sono voluti anni, per fingere di avere avuto una adolescenza che non ho mai vissuto…Sono ricordi che non mi fanno più paura… lasciano soltanto un grande vuoto, che credo mi accompagnerà fino ala fine dei miei giorni.

 

Rocco oggi ha quasi 44 anni, è Responsabile per la logistica in una ditta di trasporti che opera nella cintura di Torino.E’ l’unico che ha accettato di parlare, anche solo di guardarmi negli occhi.Faceva parte del gruppo di criminali che non venne mai scoperto.Lo incontro fuori dell’azienda, la nebbia che si addensa ai margini dei prati, il rumore di macchinari poco lontano che sferragliano.Mi trovo di fronte ad un padre di famiglia imbarazzato. Camminiamo lungo la squallida strada di una zona industriale in silenzio, senza sapere se sono io a dover formulare qualche domanda, o se deve essere lui a cominciare.Allarga le braccia, la sua voce è sommessa. E’ il tipo che deve averne combinate di tutti i colori quando era giovane.- Purtroppo fu di notte – sospira. Facevo parte di uno dei gruppi organizzati della Curva Filadelfia. La notte prima del derby entrammo dentro i cancelli dello stadio. Il custode dormiva, ma non fu un problema, uno dei nostri aveva le chiavi. Entrammo con un camioncino, nessuno udì nulla. E se anche avesse udito, noi avevamo validi motivi per farci valere… Si accorge che non rido, e prosegue.- Un ragazzo aveva il padre benzinaio. Riempìmmo taniche e taniche di benzina… sì, credo che fosse benzina. Quando suo padre lo venne a sapere quasi lo sfigurò, povero Cristo… Fa un’altra pausa. E’ simpatico, ma cerco di non scendere a quella empatia che da me non avrà.Ho sentito parlare di gente che ha avuto di fronte terroristi che hanno messo bombe in giro per l’Italia, e ha provato le stesse sensazioni.- Solo dopo il fatto mi resi conto di quanto quelle compagnie sbagliate mi avessero portato in un baratro. Ma durante quei momenti no, proprio no… Ero accecato dall’odio, volevo dimostrare agli altri di non aver paura.Lo lascio parlare.- Arrivammo sotto la Maratona e salimmo con le taniche. Eravamo una decina in tutto. Rovesciammo il contenuto nella parte centrale, e poi via via ai lati. La curva ne era piena. Scappammo via con le taniche, ridevamo… ridevamo come matti… io non credevo che con la luce del giorno quella benzina non si fosse ancora asciugata…- Perché l’avevi messa allora, se pensavi si asciugasse?La mia è una domanda pacata, ma lui non risponde… né saprebbe come farlo.Quando vedemmo le fiamme, ci furono degli olè…  mi vergogno a dirlo, sono passati tanti anni. Non immaginavo che sarebbe capitato un disastro simile… Non avevamo pensato alla calca…- Hai mai pensato in questi anni di andare a raccontare tutto quello che successe a qualche giornale? Perché non sei andato alla polizia…?Sospira sarcastico verso se stesso. Vorrebbe dirmi che è un inetto, che pensa di essere un vigliacco. Leggo nella sua mente l’immagine del primo figlio che ha avuto, poi del secondo.Non c’è bisogno di aggiungere altro.- Devo rientrare in azienda - mi dice. La nebbia sembra seguire la tempistica di questo incontro.Lo vedo andare via e scomparire come un’ombra dentro di essa.Dove è stata per 25 anni.

 

Apro gli occhi, ma per me è difficile.Apro gli occhi ma è impossibile ricordare.Cosa ricordo?Il sorriso di chi c’era e che oggi non c’è più.La mia famiglia, gli amici di quella Curva, una fotografia consumata dal fuoco.Non se ne sono andati in quelle fiamme, ma in quelle del tempo, che ha consumato con lingue assai più spietate tutto quello che di buono c’era in quel mondo.

 

No, non andò così.Niente di quello che avete letto è vero.Tranne una cosa.La notte tra il 30 ed il 31 marzo 1985, alcune persone rimaste ignote, cosparsero di benzina, o Kerosene la Curva Maratona. I ragazzi che al mattino entrarono a posizionare gli striscioni, si accorsero di quel liquido che gocciolava sugli scalini e diedero l’allarme.Vennero utilizzati strofinacci e segatura, ma per far ciò si dovette ritardare l’ingresso in Curva dei tifosi.Dei tre ingressi principali dal lato di corso Sebastopoli, ne venne aperto soltanto metà e si creò una calca terribile, che servì però per scongiurare il micidiale pericolo.Questo piccolo racconto, ha voluto ricostruire, nella sua voluta crudezza, quello che sarebbe potuto accadere, se quel gesto criminale non fosse stato sventato.

 

Tutti ne venimmo a conoscenza, tutti sapevamo bene quello che era successo.Nessun “giornalaio” però dedicò una sola parola a quello che accadde.E soprattutto a quello che sarebbe potuto accadere.Nessuno ne parlò mai.Nessun giornalaio, questa fu la vergogna.Spesso sono gli zii dei giornalai che oggi fanno da grancassa con le loro palle, come la fecero dieci anni fa, in occasioni di simili campagne stampa.

 

Questo ci deve far riflettere, sul lavoro che abbiamo la fortuna di fare, chi a livello professionistico, chi a livello puramente hobbistico come il sottoscritto.E farlo significa dire la verità, quella che sentiamo in fondo al cuore, senza tante paure, perché il treno passa, ma non è detto che torni.

 

Occorrerà coraggio per dire le cose come stanno, in futuro. Per non trovare noi stessi parte di quella foto tra le fiamme.Ognuno ha un debito di onestà verso se stesso e verso i lettori, e non può trascorrere il suo tempo a dire “potevo fare, ma non ho fatto”.E se questo significherà ricevere minacce e trovarsi gli squadristi sotto casa, allora pace. Ed Amen. Mauro Saglietti

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