mondo granata

Un altro tempo, un’altra vita

Redazione Toro News
di Mauro Saglietti

E' una sera di ottobre di molti anni fa. E' già molto buio su Torino. La città industriale si sta per nascondere nella domenica sera, nell'attesa inquieta del lunedì Ci sono mille volti, mille storie che si incrociano. C'è una ragazza che sta tornando a casa, si èattardata lungo la strada, per qualche motivo. Ha in testa mille cose, sta pensando alla serata, sta pensando al suo uomo. Ma improvvisamente un pensiero la scuote come una scarica elettrica, è questione di un attimo. E'una sensazione di deja-vù, un capogiro improvviso, un pensiero che come arriva è già passato.Un brivido freddo che le proietta lontano, molto lontano, forse in un’altra storia, forse in un altro mondo.

 

Little darling,It’s been a long cold lonely winter,Little darling,It seems like years since it’s been here…

 

Di nuovo quella musica che si perdeva nelle strade avvolte dalla nebbia… poteva essere solo la sua suggestione? Oppure era veramente quella canzone che lei ricordava così bene?Tentò di guardarsi attorno.Si era già persa altre volte nella sua vecchia città, ormai aveva pochi punti di riferimento, era un posto troppo diverso ed estraneo da quello che aveva conosciuto. E non era neanche la prima volta che quella strana nebbia la sorprendeva. Tutte le volte che tornava a Torino, trovava ad accoglierla una lieve foschia, che poi diventava muro inesorabile, quasi la città volesse nasconderle il suo volto, dopo quanto era successo. Dove si trovava ora? Da quanto tempo stava girando in tondo?Non riusciva a ricordare.Era proprio la zona dove era… forse sì, …era proprio quella.Erano passati troppi anni, ma avrebbe saputo riconoscere quel posto anche ad occhi chiusi.Non c’era nessuno per strada, solo le ombre delle auto posteggiate e il rombo sommesso di qualche motore lontano. E quella nebbia fredda e gelida che penetrava nelle ossa.

Camminò rasente al muro per una cinquantina di metri, presa dalla confusione. Perché era lì? Dove doveva andare? In quale luogo era diretta? In lontananza intravide una luce confusa, filtrata dalla nebbia.E poi di nuovo la musica.Era proprio quella. Non poteva, non doveva essere proprio quella… Non era giusto.Sembrava provenire dal luogo della luce, che andava e veniva.A mano a mano che si avvicinava al chiarore, le note si facevano più distinte.In pochi sapevano che lui, poco tempo prima della morte, aveva comprato una chitarra. Non aveva voluto prendere lezioni, si era lasciato guidare dal suo istinto di artista. Quante volte le aveva suonato, in maniera un po’ goffa, quello che era l’accenno di una canzone… -Ti piace? E’ per te? Devo ancora finirla… ma è per te.Loro due nella mansarda e niente altro se non la rosa che lui le portava tutti i giorni.Non era riuscito a terminarla. Non aveva avuto il tempo.Due anni dopo la sua morte, lei udì per caso le note di quella canzone, diffuse da un disco appena uscito.Era un disco dei Beatles.Non era mai riuscita a capire come fosse stata possibile una cosa simile, forse uno strano gioco del destino.Era sicura che quella fosse la canzone che Lui le aveva suonato pochi giorni prima di morire.Ed erano le stesse note che stava sentendo ora, sempre più vicine, a mano a mano che si avvicinava alla luce.

Era l’insegna bicolore di un bar.Quando si avvicinò, la musica si affievolì fino a cessare.Un uomo stava fumando una sigaretta fuori dal locale:- Ha bisogno di qualcosa, signora?- Io… io mi sono persa...- Perché non entra e non prende qualcosa di caldo? La serata è terribile… Nel frattempo forse la nebbia si alzerà…Entrò nel locale quasi senza rendersene conto. In lontananza le sembrava ancora di sentire l’eco delle note che non avrebbe più voluto sentire.C’erano solo uomini all’interno del bar e il loro sommesso cicaleccio si spense del tutto quando la videro entrare. Tutti si voltarono verso di lei.Era il classico locale che nemmeno troppi anni prima sarebbe stato completamente avvolto dal fumo delle sigarette.Si avvicinò confusamente al bancone, sulla destra, indecisa su cosa dire o chiedere.Il gestore le rivolse un sorriso benevolo e le indicò la saletta al fondo del locale.- Io… io mi sono persa e...- Si accomodi, tutto si risolverà, non abbia timore.Si avviò, come un automa verso la saletta, nel silenzio generale, rotto solo dai suoi passi.Doveva essere un club del Toro.C’erano bandiere granata ovunque, foto di giocatori, sciarpe, immagini della Curva.Entrò nella stanza.In alto, sulla parete opposta, era stato appeso uno striscione, era il nome di un club.Lo lesse e una morsa improvvisamente le afferrò il cuore.Tutte le foto erano foto di lui.Posò lo sguardo su quelle istantanee e improvvisamente annaspò in cerca d’aria.C’erano le immagini che conosceva bene, ma…le pareti erano piene di immagini a lei sconosciute. Lui con compagni che non aveva potuto conoscere… lui invecchiato… foto tra tifosi…gol sconosciuti, riconoscimenti, premi…Notò solo allora l’uomo, voltato di spalle che, sulla sinistra stava sistemando una piccola fotografia contro il muro.Non fece in tempo a temere di sentire la sua voce.- Sono contento che tu questa volta sia entrata… Si sentì mancare. Tante volte aveva pensato di essersi dimenticata della sua voce. E invece la ricordava benissimo. Afferrò una sedia e si sostenne in cerca d’aria.

- Qui mi vogliono ancora bene in tanti, hai visto? Ci sono altri club, ma in questo ci sono i ricordi più cari… mi piace tornarci ogni tanto…Lei lo guardava con occhi sbarrati. Doveva assolutamente essere un sogno, per quanto terribilmente reale. Il cuore le era salito alla gola.Lui rimase girato e continuò parlare a bassa voce, una voce soltanto un pelo incrinata dal peso degli anni.- C’è sempre qualche tifoso a cui fa piacere parlare di questa o di quella partita, di quel gol… e ogni tanto è bello stare con loro. E’ la mia gente in fondo.Fece una pausa.- Sai, mi sono chiesto tante volte come sarebbero stati quegli anni se… come sarebbe stata la carriera se… se tu non te ne fossi andata quella sera. – spostò un’altra foto e la appese un po’ più a destra - Ho passato anni terribili… penso che tu conosca tutta la vicenda… ad ogni modo è la storia di un altro tempo… Tante volte ti ho visto passare titubante di fronte a questo bar. Sono contento che tu stasera sia entrata…Si voltò lentamente.

Lei lo vide, continuando a trattenere il fiato.Era come si era immaginata tante volte che sarebbe stato se… se fosse stato ancora vivo. Le sorrise un po’ imbarazzato.Disse qualcosa che lei non riuscì ad afferrare.Aveva la vista piena soltanto dei capelli grigio chiari, dei baffi, che portava come allora e delle rughe attorno agli occhi.Le sue parole vorticavano, le raccontavano cose che non capiva.Tutto era reale, i gesti, la persona, persino i rumori del bar ed il cicaleccio che era ricominciato più in là.Riuscì a riprendere fiato a fatica, fino alla domanda che non si sarebbe mai aspettata.- Perché te ne sei andata? Ora puoi dirmelo. Dopo tanti anni puoi vuotare il sacco. Io… non riesco più a odiarti…- Io… io…Lui la guardò con un sorriso amaro- Neanche un biglietto, niente… sparito tutto, sparita la tua roba. Spariti i tuoi vestiti. Come se non ci fossi mai stata…Fu una pugnalata al cuore... Perché? – la sua espressione era saggia, ma velata di rimpianto.- Ma io… io non me ne sono andata…! – riuscì a dire strascicando la voce.- Ti ho cercata ovunque. Andai anche la polizia… ma tu questo già lo sai. Dov’eri in quei momenti? Dove eri scappata…? Per tanto, troppo tempo non sono stato più lo stesso… Ma sai già anche questo, lo avrai saputo da giornali e tv. Non posso credere che tu non ti sia più informata.Nelle sue parole c’era l’eco di una rabbia lontana che si era trasformata in tristezza.- No…no… so che questo è un sogno…, mi dovrò svegliare…! Tutto questo non è giusto. Tu… tu te ne sei andato quella sera… non farmi questo, ti prego. Mi hai lasciato quando hai attraversato il corso… Dio, dammi una mano. Non è giusto!- Cosa ho fatto io?Lo guardò con gli occhi gonfi di lacrime.Da quando in qua si sentivano le lacrime scendere così reali nei sogni?- Te ne sei andato quella sera, in quell’incidente… Perché mi fai questo?L’uomo sbarrò gli occhi increspando la fronte. Lo stesso sguardo ingenuo di allora. Quasi rise.- Che cosa? Io sarei… Cosa stai dicendo?- Tutto questo non è reale. Tu sei morto quella sera e io... e io non so dove sono…Oddio, qualcuno mi aiuti!Si guardò attorno ma non trovò nulla che confermasse il suo sogno. Tutto, i dettagli attorno a sé erano reali.Sfiorò una rosa, il cui gambo era stato infilato in una bottiglia, un tavolo più in là, e sentì i petali vivi tra le mani.Prese una sedia e si sedette al tavolo, abbandonandosi ad un pianto sommesso.Incontrò gli occhi di lui, che la fissavano con espressione sgomenta.- Io non sono… ti sembro morto? Mi hai lasciato tu quella sera…- No Gigi, no. Sei stato tu a lasciarmi quella sera…

Parlarono a lungo, increduli. Chissà per quanto tempo. Forse per ore.Parlarono delle cose più disparate.- Hai avuto figli?- Cosa hai fatto quando…- Ti ricordi di…Parlarono a lungo, in bilico sul piedistallo della logica, seduti a un tavolino della saletta fino a quando le tante parole si esaurirono.- Sei uguale ad allora – le disse lui dopo qualche istante.Lei allungò una mano, quasi per accarezzargli il viso, poi si ritrasse.- Dio, Gigi, dove sono? Dove sono finita? Questo non è il mio tempo, lo sai… Sento che… che devo andare…- Lo so… – la guardò comprensivo, ma con una tristezza infinita – Lo so… il nostro tempo è stato allora…- Qualsiasi cosa sia stata… ti prego di credermi… mi dispiace io… io volevo vivere con te… mi credi, vero? Io non ti ho mai lasciato… Oddio, mi stanno portando via…- Anche io volevo vivere con te…La donna si sentì risucchiare via, dentro di sé.- Aspetta, esclamò lui – Scattò in piedi con un balzo, incurante degli anni che erano passati. Raccolse la rosa rossa dal tavolo lì vicino e gliela porse, protendendosi verso di lei.Lei allungò una mano istintiva, per afferrarla.Ma era troppo tardi.Le loro mani si tesero, ma non riuscirono a sfiorarsi.Venne risucchiata da qualche parte, lontano.Si guardarono fino all’ultimo istante, fin quando poterono, con gli occhi pieni di rimpianto e tristezza, mentre la scena svaniva.

 

 

E’ una sera di ottobre di molti anni fa.E’ già buio su Torino.C’è una ragazza che sta tornando a casa, attardata lungo la strada, per qualche motivo.Ma improvvisamente un pensiero la scuote come una scarica elettrica.E’ questione di un attimo. Le sembra sia passata tutta la vita, ma è trascorso solo un istante.Non ricorda più nulla di quello che ha sentito e visto, ma sta tremando. Ha la sensazione di aver appena vissuto qualcosa di drammatico, ma non sa cosa.C’è qualcosa che non va… qualcosa di brutto.Abbandona la logica e si affida all’istinto.Si mette a correre.L’istinto le dice di farlo. Sta per capitare. Solo un po’ più in là.

Corre disperata, evitando i passanti che camminano in senso contrario, incespicando sui tacchi.Molti si girano a guardarla, preoccupati o semplicemente incuriositi.Corre gridando il nome del suo uomo.Incespica, perde la borsetta, ma continua a correre.Deve essere solo un po’ più in là.Non è distante, spera che non sia troppo tardi.Corre ancora, poi improvvisamente intravede due ombre nel buio.Stanno attraversando la strada.Sono Lui e il suo amico.

- Fermo! Ti prego, fermo!!!Urla a squarciagola, lanciandosi verso il corso, incespicando però nell’isola del controviale e finendo in ginocchio.- Fermati amore mio - singhiozza, ma lui non la sente, sta sorridendo e parlando col suo amico.Sulla linea di mezzeria della strada.Il rumore di motori che rombano sempre più vicini invade la scena.Gli occhi le si riempiono di lacrime e tende le mani, come in un abbraccio disperato, l’ultimo.Ma quello non può essere l’ultimo.No, non può esserlo.In un attimo di ribellione contro il destino si rialza e si getta in mezzo alla strada.- Fermoooo!Lui sta per fare un passo indietro, senza guardare, per scostarsi un po’ dal centro della strada.Però la vede in quel momento. Vede il riflesso dei i suoi occhi luccicare di lacrime nel buio.In un istante che dura un’eternità, in un momento attorniato da fanali assassini, rivede attorno a sé tutta la sua vita. Il suo paese, gli amichetti, i primi calci al pallone, Genova, la maglia granata, quella della Nazionale, una scena all’uscita di una chiesa, i suoi quadri…E poi vede altre immagini che non conosce. Il suo Capitano, quello duro, che piange come un bambino. Nestor che prima giura e poi alza la mano verso il cielo.Un ritratto, il suo ritratto lungo la strada, con una donna che porta tutti i giorni dei fiori.Migliaia di persone di fronte a quel ritratto, una domenica mattina.Un telo con la sua foto, steso sulle gradinate di uno stadio, vicino a quella del Grande Capitano. L’istante infinito termina.In quel momento l’unica cosa che conta sono gli occhi di Lei che luccicano di lacrime nel buio della notte.Invece di fare un passo indietro, come aveva pensato un attimo prima, allunga le mani verso di lei.La macchina gli sfila dietro e lo sfiora soltanto, non lo falcia.I due giovani fanno appena in tempo a sfiorare i loro sguardi stupiti in un altro attimo che sembra eterno.- Gigì, sei salvo… sta per dire lei tra le lacrime.Solo un attimo e lo raggiungerà, lo abbraccerà.Ma per tutta risposta vede dipingersi sulle labbra del suo uomo la parola “NOOOO”.Poi c’è solo un rumore assordante di freni, prima che la macchina, l’altra macchina, quella che arriva in senso contrario, le sia addosso.

E’ una sera di ottobre di molti anni fa.E’ già buio su Torino.Ci sono mille volti, tante storie che si confondono e si incrociano.Ma c’è un amore che si sta spegnendo.C’è un ragazzo disperato, su un auto lanciata in corsa verso un ospedale, che sta perdendo la ragazza che ama. La ragazza che lo ha appena salvato.- La supplico… Distrugga il motore, vada più veloce, più veloce, più veloce!!- Gigi… ti prego lascialo stare, stiamo andando a tutta velocità – dice l’amico.L’urlo del clacson della macchina, che corre verso l’ospedale, è un coltello affilato che taglia in due la notte.- Mi ha salvato… io… io non so come facesse a sapere… io non capisco cosa sia successo. – Stavo per fare un passo indietro… quella macchina mi avrebbe travolto… come faceva a saperlo? Urlava diceva di fermarmi… Io non capisco… Perché l’hai fatto? Perché? Ti prego, resisti… ti prego non te ne andare… – si rivolge a lei accarezzandole il viso insanguinato.- Abbiamo tutta la vita… non mi lasciare…Ma lei non può sentirlo né rispondergli.

C’è di nuovo nebbia.Non c’è più Torino però, con i suoi marciapiedi ed i rumori lontani delle macchine.Questa è nebbia sospesa sul nulla, che ti fa vagare, come quella che avvolge un aereo e che lo immerge nell’oscurità, con il pericolo che può saltare fuori quando ormai è troppo tardi per evitarlo, a meno che non ci sia un radar che lo tiri fuori.Vaga nella nebbia gelida, non ci sono punti di riferimento, non c’è nulla, solo il buio.Sa che nessuno la raccoglierà. E’ troppo grave.Alle volte qualcuno, grazie a una parola chiamata amore, viene trattenuto per un po’.Non di più.Quando aspetta di cadere, di sprofondare in quel buio, un suono lontano la richiama.Sembrano note. Provengono da un punto un po’ più chiaro della nebbia.Vorrebbe andare in quella direzione, ma non ce la fa, sta soffrendo troppo.Sono note molto dolci ma lontane, che la chiamano.Lei allunga le mani in quella direzione.Per quando sappia che forse è inutile, cerca di vincere un immenso dolore e ci prova.

 

Little darlingIt’s been a long cold lonely winter,Little darling, it seems like years, since it’s been here

 

 

E’ la mattina di un giorno nuovo.Dalla chitarra di un ragazzo stravolto e provato, seduto accanto al letto in una stanza d’ospedale, escono stancamente e con fatica le sei note della canzone che non è mai riuscito a finire di comporre. Le ha ripetute incessantemente a basso volume per giorni.

 

Here comes the sun,Here comes the sun and I say…It’s all right

 

Non conosce l’inglese, ma inventa delle parole che prendono forma nella sua mente.Dalle fessure delle tapparelle penetra un raggio di sole nella stanza.Sul comodino, accanto al letto c’è una rosa rossa.La ragazza apre gli occhi.- …la tua canzone… la tua canzone…Il ragazzo scatta in piedi e posa la chitarra, che ruzzola con un tonfo disarmonico sul pavimento.- Infermiera! Infermiera!!! – urla. La chiama più volte a gran voce, mentre si china sulla ragazza.Vorrebbe dirle tante cose. Vorrebbe dirle che ha dovuto lottare con i medici, fare entrare la chitarra di nascosto e poi tenerla sotto il suo letto, per poterle poi suonare di nascosto quelle poche note.Vorrebbe dirle che ha vegliato, che ha pregato.Vorrebbe ringraziare Dio perché l’ha fatta svegliare.Ma non riesce a dire nulla. Ha un groppo in gola che non lo fa respirare.- Si è svegliata ora… - dice a fatica all’infermiera, che armeggia frettolosamente con le flebo.Cerca di non mostrare alla donna i suoi occhi, che sa rossi e gonfi.- Dove siamo? Ho dormito tutta la notte?- …è giovedì – dice lui piano tirando su col naso. Non osa prenderle la mano per paura di farle male. – Hai dormito per quattro giorni…Lei apre a fatica gli occhi. C’è ancora nebbia, ma è una nebbia diversa da quella fredda che ha conosciuto chissà quando e chissà dove. Intravede il volto del suo uomo in questa foschia.- Gigi… tu… tu sei… sei vivo… sei vivo! Io. io non ti ho lasciato. Gigi… Gigi perché stai piangendo?  – vorrebbe parlare ma sussurra.Lui si abbassa verso di lei. - Io... io non ti ho lasciato, Gigi, non essere arrabbiato...- Non lo sono... non lo sono… ora non parlare, ti prego… non voglio perderti…- …hai di nuovo la barba lunga… Sembri stanco. Dove sei stato?- Sono stato qui con te. Tutto il tempo. Non parlare ora…- Tutto il tempo…? Devi andare ad allenarti. C’è il derby… - la sua voce è solo un filo.- Non pensare al derby, non parlare ti prego…- Lo vincerai… lo vinceremo 4-0. Tu… tu segnerai il quarto. Il quarto gol. Io… ne sono sicura…La bacia sulla fronte- Devi dire a Nestor di tirare forte. Di tirare forte lo stesso… anche questa volta… con rabbia, come se… Digli che lo faccia per me…- Sì, certo… – Solleva lo sguardo e rivolge un’espressione interrogativa all’infermiera.- Devi dire a Nestor di tirare forte… promettimelo… lui capirà…- Sono i farmaci che la fanno delirare – sussurra la donna. Ha la febbre alta ed è’ molto debole.L’infermiera sostituisce la flebo e vede che lui le prende la mano.- Gigi… Ho paura… Suona ancora… Suona ancora un po’. Ho paura di finire… in un altro tempo… In un altro tempo… – chiude gli occhi e reclina lentamente il capo sul cuscino.- No… Non aver paura. Ci sarò io qui con te. Te lo prometto... Mi senti?- Si è addormentata – dice l’infermiera - Ha bisogno di riposare. Mi dia retta, vada a casa anche lei ora. Ne ha bisogno. Si riposi almeno per qualche ora.- Tra un attimo. Tra un attimo vado – dice lui, continuando a tirare su col naso.Attende che l’infermiera sia fuori dalla stanza, si siede accanto a lei e riprende la chitarra tra le mani.Arpeggia con le note di una canzone che ora forse riuscirà a terminare. E lì, quando nessuno può vederlo, l’emozione del bambino travolge la maturità dell’uomo e si confonde con la sensibilità dell’artista. E si lascia andare.Guarda la sua donna e le sussurra:– Te lo prometto, amore mio. Ti guiderò io nella nebbia. Questo è il nostro tempo. Te lo prometto.Poi poggia il capo accanto alla sua mano e, stremato, si addormenta vicino a lei.

Here comes the sunHere comes the sun and I say…It’s all right

Ci fosse una telecamera, l’inquadratura rimarrebbe fissa sulla scena, per poi si allontanarsi dai due giovani.Uscirebbe con uno zoom al contrario dalla finestra e lentamente si allontanerebbe dall’ospedale, fino a riprendere la città della fine degli anni ’60 dall’alto.

E’ giorno su Torino.C’è una giornata che inizia.Ci sono nuovi volti, altre storie, mille speranze che si confondono e si incrociano.C’è una città che aspetta il suo campione.C’è un derby da affrontare e da vincere.E c’è lo stesso amore, che ora ha un altro tempo e un'altra vita per esistere.

 

Questo racconto è dedicato a Gigi e a tutte le persone che granata che non hanno avuto il loro tempo per esistere.Sperando che ne abbiano trovato un altro migliore, anche senza di noi.Ed è anche dedicato a tutte le persone che lunedì mattina si ricorderanno del nostro Campione, senza aver paura di sembrare retorici o di quello che potrebbe dire il vicino di casa. Mauro Saglietti