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Un gobbo

Un gobbo - immagine 1
di Walter Panero
Redazione Toro News

Cari lettori: per una volta, una sola, concedetemi di dedicare qualche riga ad un “nemico”. Prometto che sarà anche l’ultima. 3 settembre 1989

Ho appreso la notizia dopo aver visto il Toro battere l’Ancona per 4 a 1. Il mio sorriso si è immediatamente trasformato in un’espressione che non riesco e non so descrivere. Si può morire a trentasei anni in un posto che nessuno, almeno in Italia, è in grado di scrivere o pronunciare? Evidentemente si può, visto che a lui è successo. Se n’è andato in punta di piedi così come aveva sempre vissuto. Quasi come se, dopo aver smesso di parlare in campo, volesse togliere il disturbo. Eppure la sua faccia seria e un po’ triste, la sua voce bassa, non gli avevano impedito di diventare uno dei più grandi interpreti del suo ruolo nel mondo.    Ora anche i gobbi avranno la loro bandiera. Anche loro avranno qualcuno sul cui ricordo versare tante lacrime. Cercheranno di farne un simbolo, di utilizzare il suo nome anche a sproposito, anche in un modo che probabilmente lo avrebbe infastidito.Magari scrivo delle idiozie, ma  penso che ci siano diverse tipologie di gobbi. Nessuno di loro mi è simpatico in quanto tale, ma ci sono quelli fieri e tronfi del loro essere come Furino, Benetti o Bettega, e poi ci sono quelli che sembrano quasi scusarsi di quello che sono. Quasi come se, con il loro comportamento, volessero dirci: “ragazzi, la vita ci ha condotto a  giocare qui, ma per noi questo è un lavoro e cerchiamo di farlo il meglio possibile, pur non essendo convinti che questo sia il miglior posto del mondo per svolgerlo”.A questa categoria apparteneva secondo me Dino Zoff. E sicuramente ne faceva parte anche lui, che, non a caso, del Dino nazionale era grande amico.Ciao Gaetano! Non sono mai riuscito ad odiarti. Se c’era un gobbo che non meritava di fare questa fine da giovane eri proprio tu. E invece te ne sei andato. Troppo in fretta. Vent’anni dopo    Hanno cercato di sfruttarne il nome in tutti i modi. Gli hanno dedicato la loro curva ombrosa e incolore (cosa buona e giusta, ci mancherebbe). Hanno tentato di imporre il suo nome alla nostra curva che al Delle Alpi non sarà stata quella Maratona là, ma era pur sempre la nostra curva. Volevano dare il suo nome allo stadio che stava crescendo come una cattedrale nel deserto della periferia. Allora non ci riuscirono. Lo faranno probabilmente ora. Mi chiedo che fine farà “Viale Grande Torino” che non sarà stato un gran che, ma che era comunque l’unico omaggio che la città è riuscita a concedere agli “Angeli di Superga”. D’altra parte cosa ci si può aspettare da una città che non riesce a trovare uno spazio, non dico in centro ma almeno nei pressi, ad un museo dedicato agli “Invincibili”?    Insomma: hanno fatto di tutto per rendercelo antipatico. “E Scirea avrebbe detto. E Scirea avrebbe fatto. Ah… se ci fosse stato Scirea”. Penso che se ci fosse stato Scirea avrebbe fatto esattamente quello che ha fatto sempre. Se ne sarebbe stato zitto dietro il suo sorriso timido. Avrebbe lasciato le chiacchere agli altri. Avrebbe pensato e non detto che questo calcio non è più il suo calcio. Che girano troppi soldi. Che era meglio quando si giocava tutti di domenica. Quando gli stranieri erano solo tre. Quando la Nazionale era la Nazionale di Calcio e non un fenomeno da baraccone utile solo a urlare nelle strade e magari a spargere un po’ di retorica pseudo nazionalista da volemose bene.    Sono passati vent’anni e i suoi silenzi pieni di significato sono mancati persino a noi che avremmo dovuto odiarlo. O forse sono mancati soprattutto a noi. Quante volte, guardando la muscolatura di Vialli, le orecchie lunghe di Maresca, la faccia di Lippi e di Conte, i ruzzoloni e le proteste di Nedved ci siamo trovati a pensare: “Ah sarebbe stato meglio se, al loro posto,  ci fosse stato ancora il sorriso timido di Gaetano Scirea. Genova, 3 settembre 2009.