mondo granata

Un mondo diverso

Un mondo diverso - immagine 1
di Mauro Saglietti
Redazione Toro News

Torna indietro! – esclamò Angelo- Perché…- Torna indietro…! Manda indietro le immagini!- Aspetta… non posso così in un attimo! Questo non è un DVD… - disse l’amico, armeggiando dietro al vecchissimo proiettore super 8, che stava svelando sul muro bianco i segreti di un mondo lontano nel tempo.- …la pellicola è talmente fragile che basterebbe un nulla per romperla. E poi cos’hai visto di tanto speciale da fare quella faccia inebetita? Angelo aveva gli occhi sbarrati e fissava ansioso la parete, nell’attesa che le immagini ricomparissero.- Allora? Hai visto un fantasma? – gli chiese l’amico- Forse. – rispose lui a mezza voce. – Forse l’ho visto…

Alle volte è il caso, talvolta è il destino. Può darsi che quella volta fosse stato un misto tra le due cose. E dire che i mercatini delle pulci stavano scomparendo. Era stata proprio quella scatola ad attirare l’attenzione dell’amico di Angelo, buttata in mezzo ad altre scatole, tutte larghe e piatte. E lui le conosceva bene, appassionato com’era di tutto quello che avesse a che fare con il cinema. Erano vecchi contenitori di bobine super 8, lo standard amatoriale in voga negli anni ’70. Ma quella scatola bianca, con scritto TORO sopra si era messa in luce da sola. Così lui non aveva saputo né potuto resisterle.

I colori ripresero a sfarfallare sul muro della casa dell’amico di Angelo.- E’ questo il punto?- No… molto più avanti.Sul muro camminavano persone vestite di granata, nei pressi di quello che doveva essere Corso Sebastopoli molti, troppi anni prima. Il picchiettare continuo del proiettore era l’unica colonna sonora delle immagini mute.- Qui siamo ancora a Toro-Cesena…Le immagini ora mostravano alcune sequenze della partita scudetto del 1976, riprese dagli spalti. I colori erano in larga parte sbiaditi e tendenti al giallastro, ma le maglie dei giocatori granata erano di una tonalità più viva e accesa che mai.Scene di festa al termine della gara. Il giro di campo di qualche giocatore. Poi improvvisamente le immagini mostrarono una scena ripresa verso l’imbrunire e la qualità di ciò che si intravedeva peggiorò sensibilmente.Gente granata che entra allo stadio. Bandieroni, tamburi in un flusso interminabile di persone. Sullo sfondo vecchie automobili.- Deve essere qui. Tieniti pronto a fermare la pellicola…Una 127 verde sullo sfondo della scena, altra gente che cammina spedita con vessilli granata.- Ecco! Ferma! Torna indietro di poco… ce la fai?- Sì, ma solo per pochi istanti. Non possiamo mantenere il fermo immagine troppo a lungo…- Ancora poco... ecco, ora! Guarda… guarda l’immagine!Sul muro del salotto si stava stagliando l’immagine di un gruppo di persone. In primo piano la figura di un uomo, che stava tenendo per mano un bambino con una bandiera.- Dio mio... hai visto?- No… non capisco… cosa dovrei vedere? Non so neanche quale partita sia- Ti dico io quale partita è… - rispose Angelo tremando, senza riuscire a staccare lo sguardo un solo istante dal muro.- …è la sera di Toro-Stoccarda. … Quell’uomo è mio padre.

Trascorse un minuto di incredulo silenzio.I volti dei due giovani erano illuminati soltanto dal riverbero dell’immagine.- …sei sicuro? Chiese l'amico, vincendo lo stupore.- Sì – disse l’altro, avvicinandosi al muro, la sua ombra che copriva l’altra figura presente nello schermo.- Questa è la sua giacca con le toppe ai gomiti, quelli gli occhiali scuri che portava sempre… e poi è lui. Per quanto lo abbia cancellato dalla memoria, mi ricordo bene di quei baffi e delle grandi basette. E’ proprio lui.- Ma… chi è il bambino che tiene per mano…?Angelo si scostò dallo schermo, rivelando il resto dell’immagine.- Quello sono io –

- Fu quella sera, vero? – chiese timidamente il suo amico.I due uomini stavano sorseggiando una tazza di the. Era trascorsa più di un’ora dalla visione del super 8, ma le mani di Angelo faticavano ancora a reggere la tazza per la forte emozione.- Fu quella sera. Fu quella partita. Fu tutto l’insieme. Abbiamo appena visto le ultimi immagini di mio padre. Con me.L'amico conosceva la storia di Angelo a grandi linee, fin dove lui aveva voluto raccontare, in quei lunghi anni di amicizia. Sapeva che la madre era morta quando lui era molto piccolo e aveva appreso anche la storia della scomparsa improvvisa del padre, ma sempre in modo superficiale e filtrata dal cinismo di Angelo. - Non ho mai voluto chiederti molto…-- …e io non ti ho mai detto molto. Per tutta la vita ho cercato di cancellare quel ricordo. Per tutta la vita ne sono stato segnato. E quando pensavo di averlo sotterrato, eccolo rispuntare sul tuo muro. Una bella finestra sul passato! Su un dramma! Fu quella sera, hai ragione. Fu quella sera che mio padre se ne andò e mi abbandonò. Proprio la sera di Torino-Stoccarda.

- I miei non erano sposati. Forse non ci credevano o non ne sentivano l’urgenza. Avevo due anni, quando mia madre morì. Non ho ricordi precisi di lei. Forse solo inconsci o derivati dai racconti di mio padre. Per me lei è sempre stata l'imagine in una foto che conservo. Lei con me in braccio. Una giovane ragazza dai lunghi vestiti colorati e dal sorriso semplice e sincero. - …come è avvenuto? – chiese l’amico con cautela.- Preferisco non dirtelo… io l’ho saputo per caso, solo dopo molto tempo. Ad ogni modo una parte di mio padre, quella migliore, a quanto mi dice chi lo conosceva bene, morì con lei quel giorno. Credo lui non fosse mai riuscito a perdonarsi di non essere stato presente, quando tutto capitò.Fu sempre molto più che un padre, ma si spegneva ogni volta che parlava di lei.E poi piombava nel silenzio, almeno per quello che posso ricordare. Con me era premuroso, non mi mancava nulla, mi assecondava in tutto, mi portava alla partita… nulla lasciava immaginare quello che sarebbe successo quella sera.- Se non ti senti di parlarne non c’è…- No, non preoccuparti, è ora che lo faccia… è una storia così assurda. La raccontai veramente tante volte nei giorni e nei mesi seguenti. Ai nonni, alla Polizia che dopo qualche giorno mi fece molte domande, ai compagni di classe. Alla fine ho cercato di dimenticare. Ormai sono anni che nessuno mi chiede più nulla, per paura di farmi del male o di darmi fastidio. –Posò la tazza e si girò a guardare in direzione del proiettore spento.- Volevo vedere quella partita, ci tenevo tanto! Torino-Stoccarda, ritorno del primo turno di Coppa Uefa, avevamo perso 1-0 all’andata per un’autorete e dovevamo assolutamente vincere al Comunale. Fui talmente cocciuto che lui acconsentì. Però non voleva portarmi in Curva, diceva che era troppo pericoloso, ma insisti oggi e insisti domani, riuscii ad averla vinta ancora una volta. Mi ricordo di tutto… tanta gente, i palloncini che sollevavano le bandiere prima della partita. Anche io avevo la mia! La mia inseparabile bandierina, quella del filmato. Ricordo tutto come allora. Il gol di Sala nel secondo tempo… la bolgia… Si andò ai supplementari e Graziani raddoppiò, a pochi minuti dalla fine. Da quel momento in avanti fu tutta una sequenza di fatti improvvisi. Ho persino paura di averli modificati con la fantasia, alle volte. La gente urlava e partecipava, c’era un entusiasmo incredibile dopo il 2-0, ma, lo Stoccarda si era buttato in avanti e ci stava mettendo alle corde. Da qualche minuto però mio padre però era diventato taciturno, come se fosse diventato estraneo alla partita. Io ci facevo caso come potevo, perché staccavo poco gli occhi dal campo. Non posso dimenticare quello che accadde in quei pochi minuti.Si levò una corrente d’aria improvvisa che mi strappò la bandierina dalle mani. Lui la afferrò al volo, me la riconsegnò e mi abbracciò improvvisamente. Credevo fosse ancora un abbraccio per il gol, invece mi disse: “Perdonami” e quasi faticai a capire le sue parole in quel frastuono. - Perdonami, un giorno capirai tutto… - Mi strinse di nuovo prima di dire – Rimani qui adesso, non muoverti. Ti prometto che verrà un angelo a prenderti…- Ma papà…- non ero sicuro di aver capito bene, la partita continuava a distrarmi.- Aspetta qui e non muoverti? Me lo prometti? Si fece largo tra la folla con qualche difficoltà, anche se era un uomo grande e grosso, quindi scomparve. Di quei momenti mi è rimasto il ricordo di quel vento improvviso che sollevava gli striscioni. Questo è l’ultimo ricordo che ho di lui. Se lo avessi saputo avrei fermato meglio quell’immagine nella memoria. Invece non feci troppo caso a quelle parole,  ero abituato alle sue stranezze di artista. Immaginando che sarebbe tornato dopo poco, fui di nuovo inghiottito dalla partita… in fondo avevo solo 7 anni nel 1979... – Si fermò per sospirare a lungo.- Il resto è cosa nota e si confonde con la cronaca. I tedeschi che si buttarono in avanti, il loro assedio disperato. La palla messa fuori, la gente che gridava 5… 4… 3… Il tiro del Tedesco. Ohlicher si chiamava. Un tiro del cavolo. E la palla in rete. Sono frammenti di ricordi…L’amico aveva ben stampata nella memoria quella drammatica scena del gol, con la palla che lenta, inesorabile, quasi al rallentatore, passava in mezzo a mille gambe e gelava lo stadio all’ultimo secondo. - Fu un brivido freddo, una lama ghiacciata. Un istante dopo, quando ancora nessuno riusciva a respirare, mi sentii toccare su di una spalla. Credevo fosse mio padre che era tornato, probabilmente imbestialito. Mi voltai, ma era un signore che non avevo mai visto prima. Ricordo quello che mi disse: “Sono arrivato tardi… sono arrivato tardi…”

I ricordi si fanno molto più confusi, forse sono riuscito a cancellarli sul serio. Io piangevo. Non tanto per mio papà, non mi ero ancora reso conto di quanto fosse capitato, ma per la rabbia di quella beffa, per l’eliminazione. Tanti piangevano. In molti restarono sulle gradinate fermi a singhiozzare con la testa tra le mani. Non mi viene più in mente ciò che dissi a quel signore, ma fu lui ad accompagnarmi a casa dei nonni. Una cosa è certa: non me lo inventai. Nessuno prestò fede all’esistenza di quella persona e tentarono di farmi ammettere di aver mentito... Quell’uomo è esistito veramente, anche se non lo vidi mai più dal momento in cui mi lasciò sotto casa.Fu soltanto dopo qualche giorno che compresi… che mio padre se ne era andato. Che mi aveva abbandonato.- Non lo individuarono mai?- Mai! Non toccò mai più i pochi soldi che aveva in banca, la macchina fu ritrovata dove lui l’aveva lasciata. I suoi vestiti… il lavoro. Niente. Scomparso. Disperso nel vento. Ci fu un viavai di parenti, amici, perfino forze dell’ordine. Ne parlarono anche i giornali, credo. Col passare del tempo o degli anni pensai che se ne fosse andato con un’altra donna. Ma non compresi mai perché avrebbe dovuto abbandonarmi… perché? Pensai anche che si fosse… ucciso. Tuttavia il suo corpo non fu mai ritrovato.- Possibile però – intervenne l’amico, che era stato rapito da quel racconto – che non abbia lasciato un indizio in giro? Magari due parole di spiegazione? Niente di niente?- Non lo so… la casa venne messa sottosopra, ma non saltò fuori nulla. Negli ultimi tempi stava scrivendo una specie di racconto, questo era quello che diceva almeno, mi sembra che mi avesse anche chiesto di leggerlo… ma a me non interessava molto. Io leggevo Topolino! Forse ci provai e credo che lui avesse insistito perché mi concentrassi. Si chiamava… si chiamava… Un mondo differente… no! Aspetta… Un mondo diverso. In ogni caso sembra che anche in quelle pagine non ci fosse niente di utile alla fin fine. E’ tutto inutile, amico mio. La verità è che mi abbandonò quella notte. E io non ho mai capito il perché.

Da solo a casa, il mondo che impazziva nei propri pensieri.Erano passate solo poche ore dalla proiezione a casa del suo amico, ma l’emozione scatenata da quella finestra sul passato era viva più che mai.Si abbandonò sul divano e si prese la testa tra le mani.Gli capitava ogni tanto di pensare a suo padre, spesso nei momenti che precedevano il sonno, quando restava veramente solo con se stesso.Gli capitava di pensare a quello che era la sua vita, alla sua ragazza, alle cose che aveva lasciato quando lei se ne era andata, alla loro foto, che non aveva il coraggio di togliere dal muro.Pensava alle occasioni perse, al viavai che era stata la sua vita, agli addii alle stazioni.a quanto tutto fosse diventato amaro e cinico.Come si intitolava il racconto che suo padre aveva iniziato? Un mondo diverso…Prova a concentrartiStava perdendo contatto con la realtà, gli sarebbe piaciuto abbandonarsi a quella sensazione.Se non fosse stato per quella brezza che entrava in casa… per un istante pensò di aver lasciato una finestra aperta.Prova a concentrarti… Un mondo diverso…Tutto questo era già capitato, lui lo sapeva.Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla brezza, che nel frattempo stava diventando vento.

No, non era la prima volta che capitavaA molti capita improvvisamente.Per altri è un sogno.Per lui era stata una brezza mista al sonno.Non avrebbe saputo dire come si fosse improvvisamente trovato in quel posto.La sensazione di familiarità con quello che vedeva, gli fece capire che probabilmente aveva già vissuto o sognato quella situazione.Il tram stava arrancando, stipato di tifosi, in Corso Sebastopoli, in prossimità dell’incrocio con Corso Agnelli.Sapeva che si trattava del tram numero nove, uno degli ultimi tram lunghi di colore verde, con bigliettaio a bordo.Il rumore di ferraglia si fece più intenso, quando il conducente frenò poco prima della fermata.La gente si riversò all’esterno frettolosamente, trascinando bandiere e aste.Avrebbe potuto dire tante cose a quelle persone. Avrebbe voluto fermare uno per uno quei tifosi granata. Dire loro che stavano per assistere ad uno dei momenti più drammatici della storia granata. Un momento nei quali anche i tifosi più navigati avrebbero versato lacrime di rabbia e disperazione.Ma non fece nulla, forse paralizzato in una dimensione fin troppo reale o dettagliata per essere un sogno.Scese per ultimo dal tram e spaziò con lo sguardo, alla ricerca improbabile di un padre e di un figlio.La partita stava per cominciare e la gente si affrettava verso i lontani cancelli della Maratona. Com’era diversa la gente in quegli anni! Quante persone con i baffi, quanti altri ancora con i capelli abbastanza lunghi, o ben lontani dal portarli rasati. Quanto era diverso quel mondo da quello delle auto grigie, che conosceva così bene.Dall’altra parte della strada arrivavano gli ululati della Maratona e la voce dell’inconfondibile speaker annunciava la lettura delle formazioni.Scrutò senza fortuna i pochi papà che ancora stessero entrando insieme a dei bambini.No – rifletté – noi eravamo già entrati… eravamo arrivati almeno mezz’ora prima…Si voltò e guardò la Curva.Sarebbe entrato.

Si ricordò troppo tardi di non possedere un biglietto.Tentò di varcare i cancelli, una, due, tre volte, ma venne sempre fermamente rispedito indietro. La quarta volta gli addetti ai biglietti minacciarono di chiamare le forze dell’ordine, se ci avesse riprovato.Tutto sembrava così assurdo. Non possedeva più nulla di quella che era stata la sua vita fino a pochi istanti prima, se non i vestiti. Non aveva soldi e anche se li avesse avuti non sarebbero serviti.Si guardò intorno. Il mondo era fatto delle urla che provenivano da dentro lo stadio.Eppure lui doveva entrare. Doveva entrare assolutamente. Doveva fermare suo padre.Il tempo scorreva e lui non riusciva a trovare una soluzione.

Passò un’ora forse, forse qualcosa di più, nella quale gironzolò ansioso nei pressi della Maratona, quando tutto ad un tratto il mondo cominciò a tremare. Un rumore sordo, sempre più forte quasi lo stordì.Proveniva dallo stadio.Questo è il gol di Sala – intuì. Sala segnò a venti minuti dalla fine… a venti minuti dai supplementari.Improvvisamente, come una folgorazione, gli tornò in mente un particolare che avrebbe potuto aiutarlo.I cancelli! Quando aprono i cancelli?

Corse nuovamente sotto gli ingressi della Maratona.Un paio di persone erano sedute a calcioni delle balaustre divisorie, in attesa dell’apertura gratuita dei cancelli, che avveniva di solito verso la fine partita.Chiese loro se sapessero quando sarebbero stati aperti, ma nessuno di loro aveva notizie certe.I minuti passarono. Tanti minuti passati sotto il peso della propria impotenza.I ragazzi a cavalcioni delle transenne sorseggiavano della birra. Uno di loro aveva una radiolina:- Sono ai supplementari – disse.Subito dopo un altro ragazzo, un amico dei due li chiamò a gran voce da poco lontano:- Hanno aperto i cancelli dei Distinti, venite qua!Come i cancelli dei Distinti? Perché non questi?Perché non aprono qui in Maratona?Si ricordò che la Maratona era stipata in ogni ordine di posti. Non avrebbero fatto entrare altra gente.Cominciò a battere i pugni contro le porte in ferro dei cancelli:- Aprite! Aprite!!! – Batté fino a quando ebbe le mani mezze scorticate e fu privo di energia. Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato. Si lasciò cadere a sedere, rassegnato, con la schiena contro il ferro delle porte.Poi, proprio quando si doveva essere già nel secondo tempo supplementare, le porte si aprirono.

Corse come un pazzo nell’antistadio e salì la rampa delle scale che conducevano agli spalti.Si trovò di fronte un muro insormontabile di gente che urlava e fremeva.Questa è la vecchia Maratona… Questa era La Maratona. Quella vera, non quella tutta plexiglas che aveva visto recentemente.Cercò di salire qualche gradino delle scale che portavano alla zona superiore della Curva. Riuscì solo ad intravedere il tabellone, il cui cronometro luminoso segnava minuto otto, più qualche secondo. Ottavo minuto del secondo tempo supplementare. Non c’era tempo. Ridiscese le scale e puntò verso la zona dove lui e suo padre guardavano di solito la partita, nella prima balconata in basso, vicino alla tribuna. La gente urlò, come per uno scampato pericolo, ma Angelo non aveva tempo di guardare il campo. Si introdusse nella folla e tentò a spintoni e con maniere brusche di farsi largo verso quella balconata.Ma fu travolto da un urlo.

Si ritrovò per terra, quasi schiacciato da mille mani e piedi.Il gol di Graziani, il 2-0.Si risollevò. Si trovò in una bolgia di gente che urlava e si abbracciava commossa. Al momento del gol era stato travolto e la marea umana lo aveva trasportato per qualche metro. Buttò l’occhio verso la balconata, cercando di scorgere suo padre e.. se stesso. Lo sguardo spaziava, ma tutto era più difficile nel ribollire della folla. Non sapeva dire con esattezza quanto tempo fosse passato dal momento del gol.Poi si sollevò il vento.Il vento, mio Dio. Ora. Ora mio padre sta per andarsene.Le raffiche aumentarono improvvisamente di intensità e gli impedirono di scorgere verso la balconata.Il tempo passavaUn uomo passò di fianco a lui, tra la folla, quasi travolgendolo.Gli occorsero un po’ di secondi per accorgersene.La giacca con le toppe sui gomiti. Era suo padre.Angelo si voltò e lo inseguì, scavalcando persone e travolgendone altre.

L’uomo corse nel corridoio che separava la parte superiore della Curva da quella inferiore, Angelo tentò di stargli dietro, ma il vento gli rendeva difficile vedere con chiarezza dove stesse andando.- Fermati!!!! – gli urlò, ma suo padre sembrò non sentirlo.Scappò giù per la rampa di scale che portavano fuori all’antistadio.Angelo a breve distanza, dietro, esausto.- Fermati, papà…! Il padre di Angelo si fermò improvvisamente e si voltò. I due uomini, separati soltanto da una manciata di scalini si guardarono negli occhi. Uno sguardo antico e recente allo stesso tempo. 

- Vai da lui! Non perdere più tempo…– disse il padre- Vai da lui! Se sei arrivato fin qui, è perché hai capito… vai da lui, digli le cose giuste! Presto, vai!Angelo avrebbe potuto mettersi a correre e forse raggiungere suo padre. Ma un’altra folata impetuosa di quello strano vento si incanalò giù per le scale della Maratona, costringendolo ad annaspare e chiudere gli occhi.Quando li riaprì suo padre era sparito.

Se sei arrivato fin qui, è perché hai capito.- Che cosa? Che cosa ho capito? Cosa hai voluto dirmi?Angelo si appoggiava contro il muro delle scale, sconvolto e indeciso.La gente granata urlava.Lo Stoccarda stava per pareggiare.

Corse di nuovo nella folla, buttandosi a pesce al suo interno.Laggiù, a pochi metri, ora la vedeva, c’era la bandierina. C’era lui che la sventolava.Questa volta non doveva vedere. Doveva portarlo via prima di quel gol.I tifosi scandivano i secondi alla fine: dieci… nove…Angelo calpestò persone, incurante degli insulti. Verso la bandierina.…Otto…Sette…Terraneo uscì di pugnoLa bandierina in balconata, ormai vicina.Batti e ribatti, la palla uscì dall’area,…sei …cinqueVide la bandierina e se stesso a un paio di metri.Palla fuori area... quattro…tre… Ohlicher… il tiro…La folla trattenne il fiato.Due… la palla in mezzo a una selva di gambe.Angelo sapeva che non avrebbe fatto in tempo. Si buttò verso di lui eUno…Riuscì solo a poggiargli la mano sulla spalla, in un ultimo sforzo.Ed in quel momento fu quasi costretto a vedere la palla che lentamente superava Terraneo e sbatteva contro il palo, prima di rimbalzare sulla linea.Danova intervenne e spazzò via.Zero! Urlò la folla.L’arbitro fischiò la fine.

La Maratona urlava di gioia come non accadeva da tempo.Angelo si appoggiò alla balconata, tremando con gli occhi sbarrati:- Ma… non… non è…Un mondo diverso- Tu sei l’angelo che è venuto a prendermi? Me l’ha detto il mio papà…L’Angelo ero io… l’Angelo ero io… - pensò scoppiando a piangere. Come un bambino.- Ma non sei contento? Perché piangi? Non sei del Toro? Io non ho mai visto un angelo che piange – disse continuando a sventolare la bandierina. La gente urlava e saltava e i due dovettero aggrapparsi alla ringhiera della balconata per rimanere in piedi.- Certo che sono del Toro, piccolo… Questa volta sono arrivato in tempo… - tremava e quel gesto rimase nascosto per via della confusione intorno a loro.Digli le parole giuste- Vieni piccolo, vieni via con me, è ora di andare…- Non c’è il mio papà? Dove è andato il mio papà?Digli le parole giusteUn mondo diversoAngelo finalmente capì. Ora gli era chiaro. Si chinò verso il bambino, con gli occhi ancora umidi e gli disse- Il papà è andato a salvare la mamma.Il piccolo lo guardò, si fece serio ma poi gli sorrise. Lo prese per mano e i due si incamminarono.

Camminavano lungo il viale.Il vento si stava di nuovo levando. Questo però era veramente un vento più dolce.Sì, si disse Angelo, mentre sentiva che i pensieri cominciavano a fondersi con quelli del bambino.Ora non avrebbe più potuto odiare suo padre. Questo era veramente un mondo diverso, era una vita da vivere, era una lei da rincontrare ed amare, erano stazioni che non avrebbero più significato addii. Era una vita da rivivere felicemente. I suoi pensieri si fecero sempre più ingenui e flebili.Come ultima cosa si chiese se suo padre ce l’avesse fatta. E si augurò che ci fosse un mondo dove tutti e tre stessero finalmente vivendo insieme.Poi tutto confluì nel bimbo, che restò solo.Un bambino che, con lontani ricordi e una consapevolezza diversa percorreva il viale della propria esistenza.

 

Scomparso. Scomparso senza lasciare traccia. Come suo padre quasi trent’anni prima.Può una persona disperdersi nel vento senza neanche prendere con sé le chiavi della macchina o i documenti?Lo avevano cercato ovunque, ma il suo amico sentiva che tutti i tentativi sarebbero stati vani.Quasi senza accorgersene, inserì la vecchia bobina con le immagini granata di tanti anni prima.Il muro si riempì di colori ed il proiettore a picchiettare costantemente.Le auto vecchie, la 127 verde che sfreccia sullo sfondo.La sequenza veloce nella quale Angelo e suo padre passano di fronte all’obiettivo.Le immagini cambiano, l’immagine si fa ancora più scura e sgranata, rischiarata soltanto da un lampione e dai fari delle macchine.La gente esce dallo stadio questa volta, sembra in festa. Bandiere che si intravedono mentre sventolano.Angelo doveva essersi sbagliato, pensò il suo amico. Quelle non potevano essere le immagini di Torino-Stoccarda. La gente era uscita in lacrime dallo stadio quella sera. Doveva trattarsi di un’altra partita…Poi comparve come un lampo sotto la luce del lampione.L‘amico di Angelo si buttò sul proiettore, per rivedere l’immagine che era stata appena proiettata sul muro.Non poteva essere, doveva essere suggestione.Rivide le due persone attraversare lo schermo, l’adulto e il bimbo e la piccola bandiera.Tornò ancora indietro e fissò l’immagine, mentre i brividi lo scuotevano.Vide sul muro l’immagine di Angelo. Che teneva per mano quel bambino.Poi il muro si riempì di un bagliore bianco.La pellicola aveva ceduto. Il proiettore continuava a girare a vuoto, aggrovigliando la bobina.Si gettò sul marchingegno, tentando di salvare il salvabile, già sapendo che sarebbe stato tutto inutile.Che non avrebbe potuto salvare quelle immagini, le immagini di un altro mondo.Un mondo diverso.Chiuse gli occhi. La luce del proiettore lo abbagliò per un istante. Ripensò al suo amico. A suo padre e alla giovane ragazza dai lunghi vestiti.Alla notte di Torino-Stoccarda, al gol di Ohlicher, a quel tiro all’ultimo secondo.A quello che forse era stato un racconto, forse un diario, forse una speranza, chi mai avrebbe potuto saperlo.Chissà, forse era raro dono di qualche anima sensibile provare emozioni così forti da poter arrivare a modificare il proprio passato.Un mondo diverso.- Ciao amico mio… - sussurrò a mezza voce.Un mondo diverso.Si augurò che fosse un mondo bellissimo. Mauro Saglietti

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