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mondo granata
Faccio fatica in questo periodo a mantenere una certa regolarità nella pubblicazione della rubrica. I motivi sono diversi. Trovo normale che l’anno calcistico sia fatto di alti e bassi a livello di umore, ma mai come in questo periodo la depressione (a livello calcistico) e la mancanza di stimoli mi ha toccato così da vicino. Chi mi segue sa che quest’anno il Torino mi ha solo provocato forti mal di pancia ed estenuanti emicranie per via di chi lo guida in panchina. Non ho mai condiviso la scelta dell’allenatore e nulla durante queste 30 partite mi ha fatto nemmeno per un attimo cambiare idea. A ciò si aggiunge la totale incapacità gestionale della proprietà del Torino Fc a dare una struttura seria e organizzata alla società calcistica. Mi sono sempre aggrappato ai ricordi, un po’ come quasi tutti i tifosi granata che hanno avuto almeno il piacere di avere vissuto qualche gara emozionante, ma oramai trovo quasi patetico sforzarmi alla ricerca di momenti di amarcord che ci facciano stare bene. Ciò che però mi fa più male è lo stato di degrado a cui è andata incontro la frangia più estremista del nostro tifo. La linfa vitale e soprattutto la forza di andare avanti e di sbandierare orgogliosamente la propria fede l’ho sempre trovata nell’identificazione del nostro tifo. Ancora adesso siamo riconosciuti nel resto d’Italia come sostenitori passionali, romantici, originali, ma da 3 o 4 anni noi per primi siamo consapevoli di essere andati incontro a una preoccupante involuzione. Come tifosi siamo sempre stati uniti, i meno facinorosi di noi si sono sempre trovati d’accordo con l’ala dura del tifo, anche nelle azioni violente o comunque poco edificanti, ma mai come in questi ultimi mesi la situazione ha assunto contorni indecorosi. E’ arrivato il momento di fermarsi, il calcio deve essere gioco e divertimento, il Toro deve essere passione e ideale, voglia di trovarsi e stare insieme, veicolo di amicizie e momenti da ricordare. Nel 2003, in memoria della tragedia di Superga, ci eravamo riversati in 50.000 per le strade di Torino all’indomani di una retrocessione in serie B con una delle più sciagurate gestioni societarie di sempre che ci portò due anni più tardi al fallimento. E nonostante ciò, il tifo granata di Torino si unì e fece scrivere tutte le prime pagine dei giornali italiani per come riuscì a colorare la città e a dimostrare in modo originale ed educato il proprio dissenso verso qualcosa che non funzionava. Soprattutto dimostrò il proprio orgoglio. Fu un vero e proprio Granata Pride come accade per tutte le minoranze che si rispettano. A distanza di 8 anni, nello stesso giorno sacro, i successori di alcuni di quei tifosi che tanto si erano impegnati per la buona riuscita di quell’evento si sono resi protagonisti di un sacrilegio. Era già accaduto un paio di anni fa, quando Alessandro Rosina, il capitano del Torino di quell’anno, fu bersaglio di insulti e tentativi di attacchi fisici. L’altro ieri è toccato al presidente Urbano Cairo. E’ora di dire basta, di capire che la rabbia e la frustrazione deve essere convogliata in azioni più mature, più intelligenti e per lo meno più educate. Stiamo dando prova di maleducazione, ignoranza, grettezza che si ripercuotono sull’immagine nostra e della nostra città. Noi non siamo così e non vogliamo essere rappresentati da queste persone. Qui non stiamo più parlando di schieramenti pro o contro Cairo, anche perché credo che chiunque abbia la ragione abbia anche capito il fallimento della sua quinquennale gestione, ma stiamo parlando di civiltà e rispetto per quei momenti e luoghi che per noi sono sacri. Non è nemmeno servito l’intervento di Don Aldo Rabino a quietare gli animi. Siamo ai minimi termini quanto a rispetto delle persone e delle istituzioni. Il Toro siamo noi siamo soliti ripetere, ma stiamo rischiando di rovinare anche questo valore in cui crediamo. In questo momento, noi tifosi non ci siamo comportati da Toro. Abbiamo perso il lume della ragione, non ci fermiamo nemmeno davanti a una basilica il giorno in cui dovremmo ricordare i caduti di Superga e il resto deve scivolare in secondo piano. Siamo una vergogna, lo sono i contestatori di mercoledì scorso e lo siamo noi che non siamo d’accordo con loro, ma non riusciamo a dimostrarlo e a prenderne le distanze. Siamo ad un punto di non ritorno e stiamo perfettamente al passo con il degrado della nostra società, intesa come società italiana che sta vivendo un periodo di oscurantismo che forse nemmeno ha vissuto nel Medio Evo o durante i peggiori periodi di guerra. Proviamo a distinguerci nuovamente, come sappiamo fare noi, ritroviamo dei leader illuminati, ritroviamo la nostra identità.
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