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Silenzio. Il piccolo Valentino era rimasto fermo ed in silenzio. Quasi come paralizzato. Intorno a lui c’era gente che urlava. Gente che fischiava. Gente che se la prendeva con qualcosa o con qualcuno. Il bambino, che doveva avere circa dieci anni, rimase impietrito per alcuni minuti. Non ci poteva proprio credere. Eppure tutti dicevano che oggi sarebbe stato facile. Tutti erano convinti che il Toro, finalmente, sarebbe riuscito a vincere una partita dopo oltre un mese di digiuno. E invece quello Zoboli e quel Calderoni (ma non doveva esserci Sereni?) avevano fatto due errori che se li avesse fatti lui all’oratorio i bambini più grandi gli sarebbero corsi dietro per suonargliele. E non lo avrebbero mai più fatto giocare con loro. La partita era finita da alcuni minuti. Ancora una sconfitta. Ancora un’umiliazione. Ancora una serata triste. E poi, chi li avrebbe sentiti lunedì a scuola i suoi compagni gobbi?“Vale….è finita….lo stadio è quasi vuoto….dobbiamo andare a casa….”. Nonno Mario mise delicatamente una mano sulla spalla destra del bimbo. Lui scosse i ricci e si voltò. Aveva gli occhi lucidi, adesso. “Nonno ma perché? Perché va sempre a finire così? Eppure ad agosto mi avevi detto che quest’anno sarebbe stato tutto facile e invece perdiamo quasi sempre. Oggi doveva essere una partita semplice, di quelle da vincere assolutamente, ma è andata male ancora una volta….me lo spieghi il perché?”Il nonno prese Valentino per mano mentre scendevano le scale tra le urla festanti dei pochi tifosi del Crotone; la poca gente rimasta se la prendeva col Presidente, con l’allenatore, con questo giocatore che non corre e con quello che è scarso. Ognuno con in bocca la verità, la propria verità. Alcuni tifosi, poco più in là, discutevano animatamente tra loro venendo quasi alle mani.“Me car cit…sai nen…non lo so….io non sono come loro che hanno la verità in tasca….non lo so di chi sia la colpa….so che insultare questo o quel giocatore non serve certo ad aiutarlo a stoppare un pallone, a crossare bene, o a tirare meglio in porta. La gente è esasperata e posso anche capirla, ma non credo che la contestazione sia un modo per risolvere le cose….”“Sì nonno….ma questi perdono sempre….e poi fanno certi errori….”“Hai ragione anche tu…e pensare che c’è stato un tempo….va beh….senti….adesso facciamo una bella cosa: ce ne andiamo a casa, ci prendiamo qualcosa di caldo, magari ci vediamo il derby di Genova sperando che i nostri ex amici rossoblu perdano…e domani ti porto in un posto…un posto dove non sei mai stato e che devi assolutamente vedere….”“Dove mi porti, nonno? Dimmelo dai…” disse il bimbo nei cui occhi neri e grandi era tornato il sorriso….“No…adesso no…voglio che quella di domani sia una sorpresa…”
Domenica
La pioggia aveva iniziato a scendere timidamente, quasi come se non volesse disturbare. La macchina grigia di nonno Mario aveva imboccato la tangenziale dirigendosi verso Sud. “Nonno adesso me lo vuoi dire dove mi stai portando? Non conosco questi posti e…”“Sta brau….ancora qualche minuto e saremo arrivati….ancora qualche minuto e saprai, o meglio, vedrai…”. Il nonno parcheggiò la sua auto vicino ad un alto muretto mentre la pioggia cadeva con maggiore intensità. “Eccoci, siamo arrivati”, disse il vecchio aprendo un cancello che immetteva in una specie di parco.“Ma nonno, dove mi hai portato? Non c’è niente qui….”“Non c’è niente? Ne sei proprio sicuro? Guarda là…” disse il nonno indicando sullo sfondo una bandiera granata “Vieni qui che ti faccio vedere io se non c’è niente….”Il nonno aprì una porta. Salutò alcune persone che sembrava conoscere. Una di queste, un ragazzo con la felpa granata e un accento diverso dal loro, li accolse con un bel sorriso e li fece entrare in una stanza che si trovava lì vicino.Il ragazzo con la felpa spiegava e Valentino finalmente capiva. Gli sembrava di essere entrato in un sogno. Guardava le foto. Guardava le magliette. Guardava le scarpe. Guardava i giornali d’epoca. La guida raccontava di una squadra imbattibile, di uno stadio bellissimo ed invulnerabile, di Angeli tornati in cielo troppo presto. Il bambino aveva sentito parlare tante volte di queste cose. Aveva visto immagini. Aveva sfogliato libri. Ma osservare quelle facce, sfiorare le magliette, vedere le scarpe che erano appartenute a quei campioni aveva un sapore del tutto diverso. La guida elogiava la forza di Capitan Valentino e il bimbo non si era mai sentito così fiero di portare quel nome che, fino a qual momento, non gli era mai piaciuto più di tanto. Raccontava della classe di Gabetto e Maroso. Della potenza di Loik e di Menti. E poi di Bearzot che divenne un grande allenatore. E di quel ragazzo morto così giovane in un incidente. E ancora di Capitan Ferrini e dell’ultimo scudetto. Tutte cose lontane nel tempo, ma che a Valentino sembravano ora così vicine da poterle toccare. “Nonno…ma tu te li ricordi proprio tutti eh?” disse allora il bambino quando capì che il suo anziano accompagnatore sembrava saperne quanto se non più della guida.“Eh sì…certo…quando gli Angeli caddero a Superga ero un ragazzino poco più grande di te….ma me li ricordo bene perché mio papà, tuo bisnonno, mi portava sovente con lui a vedere le partite al Filadelfia. Che stadio! Che atmosfera quando Oreste Bolmida suonava la tromba e il Capitano si rimboccava le maniche. In sei anni non abbiamo mai perso in casa. Ti rendi conto? Capisci cosa vuol dire?”“Capisco sì, nonno…altro che adesso che perdiamo sempre…”“Poi venne la tragedia…non ci volevo credere e invece…non hai idea di quanta gente ci fosse ai funerali. Iniziò un periodo molto buio…fu durissima riprendersi, ma certe cose non le perdemmo mai: la grinta, lo spirito, la dignità. In campo non c’erano dei fenomeni, ma giocavamo sempre col cuore…il cuore di Bearzot…il cuore di Giorgio Ferrini, l’altro grande Capitano”“Che strani capelli quel giocatore …”“Gigino? Il povero Gigino. Anche è lui andato in cielo troppo presto. La vedi? Quella lì è la sua maglia. E poi quelli sono i ragazzi dell’ultimo scudetto. Quella sera salimmo a piedi con le fiaccole fin su a Superga. Eravamo tantissimi. Adesso non ci è rimasto niente, se non il ricordo di quei tempi là, ma noi dobbiamo andare sempre fieri di quello che siamo e della nostra maglia. Nessuna squadra ha una storia come la nostra. Ci hanno tolto tante cose, ma non ci potranno mai togliere la nostra storia. Non dimenticarlo mai!”Il bambino sorrise e fece cenno di sì con la testa. Avrebbe voluto rimanere lì per tanto tempo ancora. Avrebbe voluto sapere tante altre cose. Avrebbe voluto che il nonno continuasse a raccontare. Di Capitan Valentino e di tutti gli altri Angeli. Di Capitan Giorgio e del povero Gigino. E di Pupi, del quale bastava il nome per spaventare i gobbi.Ma fuori pioveva. Si era fatto buio, ormai.“Vale…è tardi…dobbiamo andare a casa” disse nonno Mario prendendolo per mano.“Mi piace qui, nonno. Ci torniamo presto, vero?”“Certo che ci torniamo. Speriamo però di venirci in tempi migliori per il nostro Toro…”
Qualcuno vide il vecchio e il bambino che si allontanavano per mano sotto la pioggia. Il vecchio pensava ai campioni della sua giovinezza lontana e a come fosse bello a quei tempi essere del Toro. Il bambino sognava le gesta dei suoi nuovi eroi dal volto antico. Non vedeva l’ora di arrivare a casa e di indossare la maglia granata che il nonno gli aveva regalato il Natale scorso. Anche se ora gli stava un po’ piccola l’avrebbe messa anche il giorno dopo nell’ora di ginnastica a scuola. Con quella maglia addosso e con Capitan Valentino nel cuore, nessun gobbo, proprio nessuno, poteva più fargli paura.
Un ringraziamento particolare a Giampiero e a tutti i volontari del Museo della Leggenda Granata di Grugliasco.
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